23 December, 2024
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A Carloforte, in pochi giorni, è stato circoscritto e spento sul nascere, un potenziale focolaio di Coronavirus. L’attore principale del colpo di mano è stato il sindaco Salvatore Puggioni. Ha applicato quella che gli scienziati Americani chiamano: regola delle “3T” (Tracciare-Testare-Trattare). E ha vinto. Non solo. Ha trascinato tutto il Sulcis nell’applicazione del metodo. Oltre ai 21 casi dell’isola (17 di residenti di Carloforte, 3 di Sant’Antioco e 1 di San Giovanni Suergiu), sono stati identificati ed isolati 1 caso a Narcao e 1 a Sant’Antioco (con altri 200 tamponi). Bonificata la zona.
Il primo ad applicare questo metodo fu, tra febbraio ed aprile, il professor Andrea Crisanti nella cittadina di Vò Euganeo, in Veneto. Quella cittadina, assieme alla cittadina lombarda di Codogno, furono i centri in cui si svilupparono i primi focolai di Coronavirus. Tuttavia, nei due centri, l’evoluzione dell’epidemia fu diversa: a Vò Euganeo il focolaio si spense; a Codogno avvenne la diffusione verso Bergamo, Brescia, Milano. Nel primo caso, fu salvata l’intera regione Veneto; nel secondo caso, fu compromessa l’intera regione Lombardia.
Il professor Andrea Crisanti è uno studioso di Microbiologia e Virologia specializzatosi ad Oxford. Quando, a gennaio, iniziarono ad arrivare in Italia le notizie dell’epidemia a Vuhan, egli capì immediatamente quale sarebbero state l’evoluzione e diffusione globale.
Già allora, esistevano gli strumenti per decodificare lo RNA virale col PCR (Polimerase chain reaction). Questa tecnica, ideata negli anni ’90 per la decodifica del DNA, consente di vedere ciò che non si può vedere con i comuni microscopi di laboratorio. I “geni” vengono amplificati dall’enzima Polimerasi e, con una reazione a catena, vengono ingranditi, poi con un metodo di migrazione elettrica delle molecole (“foresi”), vengono visualizzati nel computer, sotto forma di bande colorate. Queste “bande”, di varia lunghezza e spessore, dello RNA virale, sono come il codice a barre dei prodotti esposti nei supermercati. Ogni virus ha un suo “codice a barre” e se ne possono identificare le mutazioni. Con tale metodo, è stato possibile identificare la breve sequenza di RNA che sintetizza la “proteina Spike” che riveste il virus e che, come il vischio per gli uccelli, si attacca alle cellule della preda umana.
L’avere identificato la sequenza per la proteina “Spike”, ha consentito agli scienziati di aprire le porte alla preparazione di un vaccino specifico, senza dover usare tutto il virus. Per questo, i ricercatori, compresi quelli dell’azienda IRBM di Pomezia, pensano di poter ottenere un vaccino non pericoloso. Il vaccino, infatti, non sarà costituito dall’intero virus attenuato, ma da una minima frazione: cioè solo la sequenza di RNA virale che sintetizza la proteina “Spike”.
Tuttavia, il vaccino non è pronto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità pretende che si portino a termine tutt’e tre le fasi di sperimentazione sull’Uomo. La precipitazione potrebbe costare cara. Fino al momento della disponibilità mondiale del vaccino.

La prima volta che si utilizzò la tecnica di diagnosi ed isolamento dei pazienti colpiti dal morbo, fu nel 1378, con Bernabò Visconti. Egli istituì gli “Ispettori di Sanità”. Questi avevano il compito di individuare gli infetti. Poi arrivava l’esercito che procedeva ad inchiodare porte e finestre, rinchiudendo dentro le loro abitazioni gli appestati; il cibo veniva lanciato da debita distanza. Nel caso tutti morissero, si procedeva ad incendiare l’abitazione, per distruggerne il suo contenuto. Il metodo fu rude ma efficace. La mortalità per peste in Lombardia fu bassissima. Quel metodo di individuazione e trattamento, raggiunse lo scopo.
A Firenze, invece, fu una strage. Nel 1423, il doge di Venezia mise a punto la tecnica dell’“isolamento”. Individuò l’”isola di Santa Maria di Nazareth” per riunirvi tutti gli appestati. L’isola venne data in gestione all’Ordine di San Lazzaro. Dalla fusione dei nomi “Lazzaro” e “Nazareth”, derivò il termine “Lazzaretto”.
La “quarantena”, invece, era stata ideata molti secoli prima, da Ippocrate di Kos. Egli sosteneva che una malattia acuta si manifesta entro 40 giorni dal contatto con uno colpito dall’epidemia. I Francesi nel Medio Evo chiamarono quel lasso di tempo “une quarantaine de jours”. Da cui “quarantena”.
Come si vede, la regola delle “3T” ha radici molto antiche ed i metodi per applicarla furono senza dubbio rudi nel passato ma sono “gentili” oggi. L’ingentilimento del metodo attuale, deriva tutto dalla tecnologia. Abbiamo oggi a disposizione il “sequenziator” di DNA. Lo strumento decodifica l’RNA virale e riproduce il corrispondente DNA. Questo viene amplificato e sottoposto a “foresi”, per conoscere il “codice a barre” del virus infettante.
Il prelievo è molto semplice: si esegue con un microtamponcino che entra in contatto con la mucosa delle cavità nasali e con quella del faringe. Queste sono sedi particolarmente ricche di virus nei casi positivi. Il paziente che viene identificato è molto fortunato: viene seguito e curato precocemente, inoltre viene isolato in modo da non contagiare la propria famiglia ed i compagni di lavoro. Il risultato è duplice: la cura del paziente e la tutela della società.
La sequenza di atti clinici che ho descritto, è semplice dal punto di vista metodologico e strumentale, tuttavia è difficilissima dal punto di vista umano. Infatti, non tutti riescono a riprodurre i risultati ottenuti a Vò Euganeo dal professor Andrea Crisanti. Nel caso dell’area sanitaria del Sulcis Iglesiente, esiste una difficoltà in più. E’ l’unica area in Sardegna che, fino al primo caso di Covid-19 a Carloforte, non era dotata dell’apparecchio estrattore di DNA. L’Amministrazione regionale non aveva ricompreso il Sulcis Iglesiente fra i destinatari di questo strumento.
Due mesi fa, dopo pressioni di gruppi di opinione come lo SPI CGIL di Carbonia e la Consulta Anziani di Iglesias, è intervenuto un Ente benefico privato, la Fondazione di Sardegna, che ha donato alla Regione la somma necessaria per l’acquisto dello strumento da destinarsi specificamente alla popolazione del Sulcis Iglesiente.
Dopo un lungo lasso di tempo, lo strumento è stato ordinato ed acquisito, tuttavia, quando esplose il focolaio di Carloforte non avevamo ancora un nostro strumento diagnostico in funzione.

Qui entra in gioco la genialità del sindaco Salvatore Puggioni. Non so come abbia fatto a riuscirci. Quando prese coscienza che in pochi giorni si era passati da 3 a 9 casi di Covid-19, ha messo in moto
una macchina complessa che ha utilizzato lo schema della “3T” degli Americani, usato dal professor Andrea Crisanti a Vò Euganeo. Ha sottoposto a screening di massa, con tampone faringeo, oltre 800 persone ed ha rilevato l’esistenza di ben 21 casi positivi fino ad allora insospettabili. Quindi ha coinvolto tutte le cittadine del circondario inducendo uno screening tra tutti coloro che, teoricamente, potevano essere entrati in contatto con il primo “gran diffusore” di virus che provocò il focolaio. Ha vinto.
Una volta individuato l’avversario. l’ha isolato mettendo al sicuro tutti. Questo fantastico esempio è da indicare a tutti i Sindaci del Sulcis Iglesiente. Se tutti mettessero in campo i talenti per cui vennero eletti, sicuramente scopriremmo che sono tutti titolari anche di una genialità sanitaria che alla fine salverà la nostra Sanità dal degrado a cui la programmazione politica passata e presente l’ha condannata.
I complimenti di questo giornale a Salvatore Puggioni sono sicuramente piccola cosa rispetto a quelli che ha ricevuto da Barbara Serra, la giornalista dell’emittente televisiva Al Jazeera di Londra, quando l’ha dichiarato “migliore di Boris”, ma sono altrettanto meritati.

Mario Marroccu