Ricorre oggi, 12 novembre, il 18esimo anniversario della strage di Nassiriya. Il presidente della Regione, Christian Solinas ha ricordato oggi il maresciallo Capo della Brigata Sassari Silvio Olla e le altre vittime dell’attentato compiuto contro i militari italiani.
«Silvio Olla, giovane e coraggioso figlio della Sardegna – ha detto il presidente della Regione -, fu vittima, insieme ai colleghi, di uno degli eventi più tragici che hanno colpito le nostre Forze Armate. Altri due giovani militari della Brigata Sassari rimasero feriti.»
Il maresciallo Capo Olla aveva 32 anni, originario di Sant’ Antioco, figlio di Ruggero un maresciallo dell’Esercito e fratello di un carrista, Francesco, oggi generale di Divisione e comandante dell’Esercito in Sardegna.
«Desideriamo onorare la sua memoria con profondo rispetto e con gratitudine – ha concluso il presidente della Regione -, e ricordare in lui tutte le vittime delle Forze Armate impegnate nelle missioni di pace in varie parti del mondo.»
A Nassiriya furono 19 le vittime italiane: 12 carabinieri: Massimiliano Bruno, Giovanni Cavallaro, Giuseppe Coletta, Andrea Filippa, Enzo Fregosi, Daniele Ghione, Horacio Majorana, Ivan Ghitti, Domenico Intravaia, Filippo Merlino, Alfio Ragazzi, Alfonso Trincone; 5 militari: Massimo Ficuciello, Silvio Olla, Alessandro Carrisi, Emanuele Ferraro, Pietro Petrucci; 2 civili: Marco Beci, Stefano Rolla.
I consiglieri della coalizione di minoranza composta dai rappresentanti di Articolo Uno e Movimento 5 stelle hanno depositato al protocollo del comune di Carbonia quattro mozioni e un’interrogazione, che verranno presentate e discusse al primo Consiglio comunale utile. Le mozioni riguardano i temi della sanità, dell’ambiente, della partecipazione, del settore agroalimentare e turistico.
«Con la mozione sulla sanità – si legge in una nota – chiediamo la convocazione di un Consiglio comunale aperto alla presenza del presidente della Regione Christian Solinas e dell’assessore della Sanità Mario Nieddu, perché si discuta urgentemente della situazione disastrosa della sanità nel nostro territorio e nel nostro comune, dell’assenza dell’hub vaccinale e della necessità che, in caso di eventuali processi dovuti a carenze o negligenze da parte della struttura sanitaria, il nostro Comune si costituisca parte civile a tutela degli utenti.»
La mozione sull’ambiente chiede all’Amministrazione comunale di partecipare al bando del MITE, perché la città si doti di un eco-compattatore per la raccolta delle bottiglie di plastica.
La mozione sulla partecipazione chiede l’impegno per la modifica dello Statuto comunale, propedeutica all’approvazione del nuovo regolamento per l’attivazione della nuova Commissione sulle pari opportunità, che sia aperta a tutti i soggetti potenziali oggetto di discriminazione, al fine di rimuovere tutti gli ostacoli che costituiscono discriminazione diretta o indiretta nei confronti di donne, disabili, bambini, anziani, stranieri e della comunità LGBT.
La mozione sul settore agroalimentare chiede che la Giunta ed il Sindaco si impegnino ad istituire una DeCo, un marchio di riconoscibilità per i prodotti agroalimentari (e non solo) del nostro territorio.
I consiglieri di Articolo Uno e Movimento 5 Stelle, infine, hanno preparato un’interrogazione «in merito all’affissione di un manifesto anonimo recante notizie false sui casi di coronavirus che riteniamo offensivo per tutte le vittime della pandemia. Questi atti rappresentano lo spirito con il quale la nostra coalizione si presenta nel dibattito consiliare: una opposizione propositiva e attenta ai temi importanti per la crescita della nostra città e del territorio».
«Allo stesso tempo saremo una forza di opposizione ferma e decisa, aperta a discutere sui temi che riteniamo condivisibili ma indisponibile a diventare la ruota di scorta della maggioranza qualora si dovessero palesare problemi al suo interno, come intravisto in questi ultimi giorni – concludono i consiglieri di Articolo Uno e M5S – . Il sindaco di Roma, città ben più complessa della nostra, per comporre la giunta, ha impiegato quasi la metà dei giorni di quelli impiegati dal sindaco di Carbonia: si sono iniziate a manifestare quelle profonde divergenze politiche all’interno della maggioranza che noi avevamo già evidenziato da tempo e che sono state il motivo per il quale abbiamo deciso di percorrere strade alternative. Auguriamo alla giunta il miglior lavoro possibile per la città, e proprio perché vogliamo lavorare allo stesso fine, faremo un’opposizione costruttiva, ma che non farà sconti di alcun tipo, laddove l’azione politica non perseguisse l’interesse collettivo.»
E’ durissima la presa di posizione della Giunta comunale di Sant’Antioco, guidata dal sindaco Ignazio Locci, per il mancato inserimento del porto di Sant’Antioco nell’Autorità di sistema portuale del Mare di Sardegna. Ieri ha deliberato la richiesta ufficiale al presidente della Regione, Christian Solinas, per l’avvio dell’iter d’ingresso nel sistema portuale.
«Il presidente della Regione Sardegna avvii l’iter amministrativo che consenta al porto di Sant’Antioco di rientrare nell’Autorità di sistema portuale del mare di Sardegna, quale giusto riconoscimento all’importanza strategica rivestita dallo scalo di Sant’Antioco, anche in termini di sviluppo dell’intero territorio circostante.»
Il sindaco Ignazio Locci sottolinea che si tratta di una richiesta legittima, avanzata a più riprese, che oggi, di fronte al silenzio reiterato della Regione Sardegna, assume la forma dell’atto di Giunta.
«Attualmente – spiega il sindaco Ignazio Locci – il nostro è l’unico scalo isolano fuori dall’ambito del sistema portuale di Sardegna. Sistema che, riconosciuto tra i migliori in Italia per la sua capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati, da ieri potrà peraltro beneficiare di oltre 500 milioni di euro per una serie di interventi da eseguire nella rete dei porti sardi, eccezion fatta per quello antiochense. Ormai, di fronte all’attuale scenario, non ha alcun senso che il porto di Sant’Antioco resti fuori dall’Autorità di sistema e continui a rimanere sotto l’egida della Regione Sardegna: questo crea una discriminazione tra territori non più tollerabile. Lo scalo antiochense riveste un ruolo fondamentale per tutto il Sud Ovest della Sardegna. Basti pensare che il Comune di Sant’Antioco, nonostante non sia di sua competenza, costantemente anticipa risorse ed esegue lavori di manutenzione nelle aree portuali, mentre dall’altra parte si investono 500 milioni di euro. Questo non è accettabile.»
L’Amministrazione comunale, peraltro, a conclusione di un iter durato anni, nel 2019 ha approvato la presa d’atto della “Variante al Piano Regolatore del Porto”, che prevede la suddivisione delle aree portuali salvaguardando l’attività della pesca, la produzione commerciale e concedendo ampi spazi alla cantieristica e ai posti barca da diporto, nonché ai servizi che faranno dal collegamento al centro urbano.
«Questo perché è sempre stato nostro intendimento assicurare un futuro all’insegna dello sviluppo economico alle aree portuali di Sant’Antioco, che passi per una loro riconversione attraverso la valorizzazione del comparto turistico e lo sviluppo della cantieristica, senza dimenticare la pratica professionale della pesca e la residuale attività dell’industria del sale – conclude Ignazio Locci -. Ma per realizzare tutto questo occorre che la Regione faccia la sua parte ed elimini questo vero e proprio gap strutturale tra il porto di Sant’Antioco e le restanti realtà sarde: il passaggio al sistema regionale garantirebbe lo sviluppo turistico del territorio, favorendo anche il traffico marittimo.»
L’incertezza ancora presente sul futuro del progetto di rilancio produttivo dell’Eurallumina, preoccupa le organizzazioni sindacali di categoria Filctem-CGIL, Femca-CISL e Uiltec-UIL.
Qualche giorno fa si è tenuto un incontro tra le stesse organizzazioni sindacali e la società Eurallumina, conclusosi con un verbale di riunione.
«Esprimiamo forte preoccupazione per quanto comunicato dalla società in merito al futuro dei piani la cui attuazione è strettamente collegata al processo autorizzativo in corso – scrivono in una nota Francesco Garau ed Emanuele Madeddu della Filctem Cgil, Nino D’Orso e Vincenzo Lai della Femca Cisl e Pierluigi Loi della Uiltec Uil -. Processo che viaggia seguendo due strade: una regionale relativa alla procedura Paur e uno nazionale legato all’approvazione del Dpcm (previsto per lo scorso gennaio ed oggi quasi fuori tempo massimo). Il tempo dell’attesa, siamo convinti, è terminato. E’ necessario che tutti gli atti necessari per determinare e chiudere questa vertenza siano compiuti in tempi molto rapidi.»
«La Sardegna ha occupato un ruolo importante nello scenario industriale nazionale ed internazionale – aggiungono -. La filiera dell’alluminio è stata dichiarata strategica e c’è stato un impegno significativo per far sì che i vari passi fossero compiuti. Oggi però il primo anello di questa filiera rischia di rompersi, generando una reazione a catena. Chiediamo al presidente della Regione Christian Solinas un intervento immediato e significativo al fine di definire una volta per
tutte questa vertenza che dura ormai da troppi anni.»
«Appare incomprensibile il silenzio della sottosegretaria Alessandra Todde che oramai da tempo non dà risposte sulla vertenza dopo una fase iniziale di iperattivismo, impegni presi e non rispettati – concludono i rappresentanti sindacali -. Sia chiaro, davanti a questa situazione le organizzazioni sindacali non resteranno a guardare. Già dai prossimi giorni attiveremo tutte le iniziative necessarie per sostenere questa vertenza e far sì che il primo anello della filiera dell’alluminio possa essere riattivato.»
Oggi, 23 settembre 2021, vi è stata ad Iglesias una manifestazione popolare contro il tradimento dei LEA ( i Livelli Essenziali di Assistenza), garantiti dallo Stato ai cittadini.
Un qualche “scienziato pazzo”, uscito da un incubo, ha inserito il territorio del Sulcis Iglesiente in un marchingegno che ci sta respingendo nel passato. Il “passato” deve essere conosciuto, sopratutto nelle sue atrocità, allo scopo di non farlo rivivere.
Nel 1700 il filosofo britannico Edmund Burke formulò un aforisma di saggezza che dice: «Chi non conosce la Storia è condannato a ripeterla».
La frase di Burke ha fatto il giro del mondo e si trova scritta, in trenta lingue diverse, in un monumento nel campo di concentramento di Dachau.
Filosofi e scrittori, grandi e piccoli, hanno scritto libri sull’aforisma di Burke. Due anni fa è stato ripreso in un libro dallo scrittore filosofo George Santayana che ha scritto contro quelli che “non sanno ricordare il passato”, e pochi giorni fa lo stesso concetto è stato ripreso dalla scrittrice sarda Dolores Deidda (“La signora della stazione”), che racconta la saga di una famiglia di Serri tra le due guerre mondiali ed il primo dopoguerra. La scrittrice vi riporta la grande storia a cui sono collegati fatti di vita famigliare variamente influenzati dal fascismo, dalle guerre, dalla cultura tradizionale contadina, e dalla nuova modernità della città.
Fra i tanti episodi, ve n’è uno da cui si può desumere lo stato dell’organizzazione sanitaria del tempo. Alla “signora della stazione”, nel 1940-42, accadde di dover assistere, come levatrice, una passeggera del treno che veniva da Sorgono diretto a Cagliari. La stazione si trovava a Corte, una località a pochi chilometri da Desulo, da Atzara e da Tonara. Il motivo per cui la gravida a termine viaggiava tutta sola per Cagliari era dovuto alla necessità di consegnarsi nelle mani degli Ostetrici specialisti dell’Ospedale Civile San Giovanni di Dio in quanto nel suo territorio non esistevano Ospedali attrezzati. Il motivo del viaggio della speranza era da ricercarsi in un sua malformazione del bacino che avrebbe ostacolato un parto naturale. La donna sapeva benissimo che, se non fosse riuscita a partorire, il bambino si sarebbe incastrato nel canale del parto e lei sarebbe morta assieme al figlio. Questo era il destino di tutte le donne che non riuscivano a partorire naturalmente. La poveretta stava tanto male che non sarebbe mai arrivata a Cagliari. Venne fatta scendere e fu accompagnata nella casa di Eva (la signora che dirigeva la stazione) dove miracolosamente avvenne un parto regolare e mamma e bambino si salvarono.
Questo racconto fa entrare la micro-storia della stazione ferroviaria di Corte nella Grande Storia dell’Umanità.
In quegli anni, a Carbonia, esisteva un ospedaletto in piazza Cagliari, destinato all’assistenza dei minatori per gli incidenti in galleria e, per necessità, venne messo a disposizione anche della popolazione. Allora era giovanissimo medico il dottor Renato Meloni che era chirurgo generale e, in quanto tale, si intendeva anche di ostetricia. Il primario era il professor Ignazio Scalone, patologo chirurgo esperto in chirurgia del cervello per causa traumatica; era esperto in tecnica chirurgica per ferite da guerra del cranio e del cervelletto. L’esperienza l’aveva acquisita al fronte della Prima Guerra Mondiale. Era il chirurgo adatto per assistere i frequenti traumi cranici che avvenivano in miniera a causa del franamento di massi sulla testa degli operai. Chirurghi di questo genere erano idonei ad operare il cesareo, quindi il Sulcis era sicuramente più fortunato, dal punto di vista sanitario, della popolazione del centro Sardegna. Simile fortuna toccava anche ad Iglesias dove operava un ospedale che secondo le cronache del tempo, già nel 1904, in occasione della rivoluzione operaia di Buggerru si occupava di chirurgia complessa.
Nel 1904, ad Iglesias, non si eseguiva ancora il parto cesareo perché quella tecnica era stata ideata da poco e non era ancora stata standardizzata sul territorio nazionale. Infatti la tecnica del cesareo classico venne sistematizzata nell’anno 1900 dal dottor Luigi Mangiagalli di Milano. In realtà il primissimo cesareo venne eseguito a Pavia nel 1876 dal dottor Bianchi Porro, maestro di Mangiagalli. Ma la tecnica di Porro era distruttiva per l’apparato riproduttivo femminile.
Fino all’avvento del taglio cesareo messo a punto dagli italiani le donne morivano in tutto il mondo; nulla le poteva salvare da un parto distocico, né i soldi né il potere. E’ stata recentemente pubblicata una serie televisiva dedicata alla vita della zarina di Russia Caterina la Grande. La ricostruzione storica è accuratamente documentata. In un frammento del film si vede chiaramente l’immagine della giovane moglie dello Zar Paolo I adagiata su un tavolo autoptico, nuda e totalmente eviscerata. Accanto era adagiato il cadavere del neonato. La donna aveva avuto una buona gravidanza ma un parto impedito da un’anomalia del bacino. Nonostante lo stuolo di medici reali indaffarati per salvare la regina ed il principino, la poveretta era comunque morta. Appena spirata le era stato aperto l’addome e l’utero per estrarne il bambino forse ancora vivo. Ma fu tutto inutile. Era già morto.
Era l’anno 1793, l’anno in cui due donne monarca reggevano due imperi: Elisabetta prima d’Inghilterra e Caterina la Grande di Russia. Eppure non bastava essere regine per salvarsi dal destino mortale di un parto distocico.
In quell’anno 1793 Giorgio Washinghton governava gli Stati Uniti d’America e dopo breve tempo moriva per un salasso eccessivo di sangue praticato per curare una faringite febbrile.
Nello stesso anno Robespierre decapitava la regina Maria Antonietta e Luigi XVI.
In quell’anno la Sardegna vide i tentativi dei francesi di invaderla, ma furono fermati dapprima all’istmo di Santa Caterina a Sant’Antioco e poi nella spiaggia di Quartu da truppe raccogliticce guidate dal notaio Vincenzo Sulis, A ciò seguì la cacciata del viceré piemontese dal Castello di Cagliari. In quell’anno a Cagliari non esisteva l’Ospedale civile ma vi erano perlopiù strutture caritative religiose destinate ad ospitare poveri e incurabili. Il Cesareo non si praticava e, anche in Sardegna, le donne gravide con anomalie del canale del parto morivano. Queste anomalie erano frequenti perché erano molto diffusi il rachitismo, la tubercolosi ossea, ed i deficit alimentari.
Bisogna precisare che esisteva una tecnica chirurgica che si eseguiva esclusivamente a mamma morta nel tentativo di estrarne il bambino che poteva essere ancora vivo.
Tutto il mondo cristianizzato si adeguava alla bolla papale emanata da Paolo V nel 1615. In essa si disponeva che nella circostanza di un parto distocico il medico stava in presenza fino alla morte della donna. Appena certificata la morte egli doveva procedere all’apertura dell’addome ed estrarne il bambino. Il prete doveva procedere all’immediato battesimo. In assenza del medico questa funzione chirurgica veniva assunta dalla levatrice. In assenza della levatrice la procedura doveva essere portata a termine del prete che, estratto il bambino, doveva affrettarsi a battezzarlo.
Poi nel 1876 il dottor Bianchi Porro di Pavia ebbe una illuminazione: eseguì l’asportazione dell’utero intero a “madre viva” per estrarne il bambino senza traumatizzarlo. La tecnica che aveva ideato non prese piede ma fu utile al suo allievo Luigi Mangiagalli per mettere a punto la sua nuova tecnica nel 1900.
Fino ad allora la prospettiva di salvezza per le donne di tutto il mondo era identica, sia che fossero delle povere popolane o potenti regine.
In quell’anno 1900 il dottor Luigi Mangiagalli dimostrò che con la sua nuova tecnica di cesareo, eseguito a “madre viva”, poteva salvare sia la madre che il bambino e consentiva di salvare anche l’utero per future gravidanze.
Questa lunga premessa serve a dimostrare quanto, fino a poco tempo fa, fosse terrificante il destino delle madri con difetti del canale del parto. Questo orrore si concluse in Sardegna negli anni a ridosso della Prima Guerra mondiale con la diffusione degli Ospedali territoriali. Fino ad allora l’assenza di una valida rete ospedaliera imponeva alle donne della provincia di imbarcarsi sul treno, in pieno travaglio, per arrivare a Cagliari dopo molte ore di viaggio.
La nascita degli Ospedali territoriali fu un miracolo. Da allora il terrore è cessato, ma un pericolo nuovo incombe: la destrutturazione degli Ospedali con la chiusura di reparti.
Nel Sulcis Iglesiente, nella ASL 7, sta avvenendo un fenomeno che ci sta respingendo nel passato. Si stanno impoverendo gli Ospedali sia di Medici che di Infermieri e strumenti.
A Carbonia, dopo la chiusura della Pediatria si è proceduto alla chiusura della Ostetricia e Ginecologia. E’ stata chiusa l’Anatomia Patologica impedendo la diagnosi immediata in corso di un intervento chirurgico programmato con l’intento di escidere radicalmente un tumore.
L’Emodinamica in Cardiologia è chiusa al 70 per cento e durante la sera, la notte, e nei giorni festivi non si possono operare gli infarti. Chi arriva in Ospedale fra le 8.00 e le 16.00 può essere operato. Chi ha l’infarto durante la notte o il sabato e la domenica e nei festivi deve essere trasferito a Cagliari e sperare che ci arrivi vivo.
La Radiologia è ridotta ai minimi termini sia in specialisti che in tecnici. Similmente avviene per la Dialisi. I sei Medici in organico sono ridotti a tre. Questo bassissimo numero genera eroi (i Medici) e pericoli (per i malati).
La Chirurgia Generale ha dovuto subire la chiusura dell’Endoscopia digestiva che è imprescindibile per l’individuazione della fonte di emorragie dal tubo digerente e la crescita dei tumori maligni (che possono trovarsi in tutto il percorso dall’esofago all’ano); per non parlare poi della riduzione dei posti letto resasi necessaria per la scarsità di personale.
Le stesse difficoltà soffrono l’Anestesia e la Rianimazione. Ne consegue la drastica riduzione delle sedute operatorie (una la settimana) per mancanza di Specialisti e Infermieri.
Ad Iglesias il disastro è immane. Oltre alla chiusura di servizi e alla riduzione dei posti letto, avverrà presto la messa in pensione del Primario di Chirurgia Generale. Con la sua uscita di scena quel reparto cesserà di funzionare.
Per effetto di questo insieme di carenze adesso esiste la pericolosissima condizione per cui l’Ostetricia di Iglesias è privata del supporto della Chirurgia generale. Supporto che è assolutamente necessario nel caso in cui un parto cesareo venga complicato dalla insorgenza di lesioni arteriose e viscerali mortali.
Questa coesistenza di deficit strutturali dovrebbe immediatamente indurre a riorganizzare con urgenza la Chirurgia generale con un Primario, oppure a trasferire la Ostetricia al Sirai di Carbonia dove è ancora libera l’antica sede posta al III piano. Così le pazienti operate in Ostetricia, in caso di complicazioni chirurgiche, verrebbero messe sotto la protezione della Chirurgia generale che è ancora bene organizzata ed è in grado di dare immediata assistenza in caso di patologie ginecologiche associate a malattie chirurgiche addominali, o urologiche o vascolari.
Le vicende politiche ed amministrative pubbliche che si sono succedute dal 1992 ad oggi hanno precipitato il territorio del Sulcis Iglesiente in un passato di oscurantismo sanitario che ci fa vivere in uno stato di pericolo incombente.
La facilità con cui siamo arretrati così pericolosamente fa supporre che questo degrado non sia solo derivato da incapacità amministrativa centrale ma anche da una assurda inconsapevolezza popolare di questi fatti.
E’ necessario ripartire dalla Storia passata e conoscere le atrocità in campo sanitario perpetrate nei secoli passati per capire quali strumenti abbiamo per non doverle rivivere.
Aveva ragione Edmund Burke: «Chi non conosce la Storia è condannato a riviverla» con tutti i suoi risvolti disumani. E’ necessario farsi promettere dai politici del futuro la restituzione di tutto il maltolto.
Oggi, a conclusione della enorme manifestazione popolare incoraggiata dalle componente dei pensionati di SPI CGIL, CISL, UIL, ad Iglesias, il sindaco Mauro Usai ha sintetizzato le ragioni della protesta in alcuni precisi punti:
1 – Il degrado degli Ospedali e della sanità territoriale.
2 – La sottrazione di personale sanitario a favore del centro Covid del Santissima Trinità, che dovrebbe rientrare immediatamente nei nostri Ospedali subito dopo la chiusura del Centro Covid cagliaritano.
Inoltre:
3 – ha dichiarato chiuso il tempo dell’invio di istanze a protezione della nostra sanità perché tutte le formalità procedurali presso le istituzioni regionali sono state già esperite. In mancanza di provvedimenti soddisfacenti si passerà a proteste direttamente nel capoluogo.
4 – Ha poi dichiarato testualmente: «E’ finito il tempo dei campanili, uniti saremo più forti».
5 – E ha concluso dicendo «Non ci interessa avere tre Ospedali non funzionanti; ce ne basta uno, ma che funzioni».
Tale discorso è stato tenuto in rappresentanza dei 23 sindaci del Sulcis Iglesiente, che hanno sottoscritto il “Patto per la Salute” formulato dai tre sindacati CGIL, CISL, UIL, e che è stato inviato al presidente della Giunta regionale Christian Solinas ed al Commissario dell’ARES Massimo Temussi.
Mario Marroccu