24 November, 2024
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«Salvate la Chirurgia Toracica del Businco.» E’ l’appello dei malati oncologici e non solo. I medici del reparto altamente specializzato e dedicato interamente al trattamento di patologie toraciche benigne e maligne, di complicanze degli ematologici e dei traumatizzati, si oppongono al trasferimento del reparto di Chirurgia Toracica, dal Businco al Brotzu, per il rifacimento delle sale operatorie del Businco. I trasferimenti di reparti da un ospedale all’altro, è un déjà vu che in questi anni ha decretato la chiusura di interi ospedali. Moderne sale operatorie di grandi ospedali, inutilizzate per la chiusura di reparti, deve far riflettere.

Il trasferimento della Chirurgia Toracica di altissimo livello deve essere impedito. La sua funzione all’interno del Brotzu cesserebbe anche per incompatibilità con le emergenze legate al pronto soccorso. Far parte dello stesso presidio non implica trasferirsi nello stesso ospedale. Il rifacimento delle sale operatorie del Businco è possibile senza alcun trasferimento del reparto né di malati oncologici da operare. Basta una buona programmazione.

Decidere sulla Sanità oggi impone un cambio di paradigma che metta al centro delle scelte il diritto dei sardi alla salute. Gli appetibili fondi Pnrr hanno già indotto scelte sbagliate. L’uso spregiudicato di questi fondi per interventi in ristrutturazioni, sono stati talvolta persino estranei alla sanità. Per la febbre degli investimenti dei fondi Pnrr, è stato smantellato il Marino. A fine ristrutturazione, nessun reparto trasferito è rientrato nella propria sede. L’ospedale ha di fatto cambiato d’uso. I tre reparti di ortopedia non ospitano più né malati né personale sanitario. Per la dispersione della Traumatologia e la carenza di posti letto, i pazienti sono allo sbando.

E’ incomprensibile come il Brotzu, in piena crisi e con fuga di specialisti, possa accogliere reparti ben organizzati del Businco. Con lo stesso metodo del trasferimento, il Brotzu ha perso reparti di eccellenza multidisciplinari, come la Neuroriabilitazione e la Diabetologia, condannando all’abbandono i cerebrolesi e i diabetici con complicanze. Un dramma su cui non si è mai fatta chiarezza, né sono state date risposte alternative ai bisogni di cure dei malati.

Gli interventi strutturali sono possibili senza stravolgimenti del reparto. La sanità sarda non può rischiare lo smantellamento dell’unico ospedale oncologico della Sardegna e l’inevitabile implosione del Brotzu.

La Rete Sarda, chiede a chi governa la Sardegna e alla Direzione Generale G. Brotzu, la sospensione immediata della data di inizio dei lavori, al fine di evitare lo sciagurato trasferimento della Chirurgia Toracica del Businco e di porre fine al crescente caos tra i vertici dell’Azienda e i medici del Businco.

Claudia Zuncheddu

Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica

L’atto di violenza contro il medico Roberto Sollai, a cui va la solidarietà della Rete Sarda, deve scuotere la coscienza dei cittadini e delle istituzioni. In questi casi invocare solamente l’uso delle forze dell’ordine e addirittura dell’esercito, significa declassare il fatto a mero problema di ordine pubblico. Al di là dei riti di solidarietà, spesso di facciata, bisogna ragionare sulle cause del crescente fenomeno e porre rimedio. In soli cinque anni si registra un escalation di violenze di circa il 40% in tutt’Italia. I servizi di emergenza-urgenza, i reparti di psichiatria, le guardie mediche e i medici di base sono i primi bersagli. Secondo l’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza del personale sanitario, in Sardegna nel 2023 sono 138 gli episodi di violenza. Gli operatori coinvolti sono 199 di cui 139 donne. Dati preoccupanti, ma la soluzione del problema non è solamente di competenza del ministero degli Interni.
La mancanza di sicurezza in senso ampio, genera disagio e violenza. La prima sicurezza sul posto di lavoro per medici e infermieri è quella di rendere efficienti i servizi sanitari pubblici assumendo personale, garantendo eque retribuzioni e il rispetto della dignità professionale. La Sicurezza da garantire ai cittadini è quella di poter accedere alle cure.
E’ in questo concetto di sicurezza per tutti che può essere limitata e fermata la violenza contro i sanitari.
Lo smantellamento della nostra sanità pubblica, a cui la politica di fatto non pone rimedio, determina la fuga di medici e infermieri dal pubblico al privato, dalla Sardegna all’estero e ad altre regioni più organizzate. Basta con il mantra “non ci sono medici”, l’alibi che copre tutto.
La sicurezza degli operatori della sanità e quella dei malati si garantisce in modo prioritario tutelandone i diritti. Che ben vengano, nella giusta misura, le forze dell’ordine, ma la soluzione del problema non può essere principalmente nelle loro mani, a colpi di Ddl.

Claudia Zuncheddu

Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica

I medici per l’ambiente di Isde a Nuoro per un faccia a faccia, a tante voci, con la presidente della Regione Todde. Tra i sette ospiti, a porre domande sulle emergenze sarde, c’era il presidente di Isde Sardegna Domenico Scanu.
Alle domande su lavoro, scuola, sanità, trasporti, edilizia abitativa, le risposte della presidente sono state ampie, fluide e generose con lo stesso piglio della campagna elettorale. A suscitare un palese nervosismo della presidente sono state le domande precise e circostanziate del presidente di Isde Sardegna.
I quesiti sulla questione energetica tra la speculazione sulle fonti rinnovabili e un allungarsi dei tempi sino al 2040 per la decarbonizzazione, hanno prodotto nelle risposte della presidente una palese incertezza. Ma è nella sua città, che ha dichiarato di voler per chiarire, una volta per tutte, che per quanto concerne il Decreto Draghi 199 del novembre 2021, lei come Viceministra dello sviluppo economico non avrebbe avuto alcuna delega all’energia.
Sono del 03 maggio 2022 le sue dichiarazioni alla giornalista G. Ferraglioni: “Per ora abbiamo lavorato sui primi decreti energia allo scopo di accelerare i percorsi di autorizzazione degli impianti e di liberalizzare la costruzione dei pannelli…. Così come si sta pensando a un commissario per gli impianti di rigassificazione (che serviranno anche a convertire il gas naturale liquido importato, ad esempio dagli USA, ndr) allo stesso modo dovremmo avere un commissario per le rinnovabili”.
“…Se già spostassimo la produzione di energia elettrica sulle rinnovabili, allora avremmo grandi risparmi. Investire come dei matti sul rinnovabile ci aiuterebbe a essere molto più resilienti davanti all’impennata del gas”.
Ma quell’ ”investire come matti” per i territori sardi oggi significa un disastro senza precedenti.
La moratoria della presidente Todde, da donna di Stato a presidente della Regione Sardegna, non tutela i territori sardi se non si bloccano i procedimenti autorizzativi. Associazioni scientifiche, comitati territoriali e la stessa stampa sarda devono essere ascoltate dalla politica.
Nel groviglio di contraddizioni tra politiche della Regione Autonoma allo sbando con il sacrificio della Sardegna in nome dell’interesse nazionale, si ripropone la necessità di ridefinire i rapporti e le competenze tra lo Stato e la Sardegna. Ma l’emergenza impone alla Regione una corsa contro il tempo usando subito gli strumenti oggi a disposizione. Se Ambiente e Paesaggio sono di competenza dello Stato, è anche vero che non si può ignorare che l’Urbanistica, come già detto, è di competenza della Regione, anche se non può esistere Urbanistica senza Ambiente e Paesaggio.
Claudia Zuncheddu – presidente Isde Cagliari

La Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica sostiene lo sciopero dei Medici di Medicina Generale della Sardegna, indetto dal Sindacato Medici Italiani per il 25 e 26 ottobre.
La sanità è al collasso. E’ da oltre un decennio che manca una programmazione regionale per la Medicina di base. I lunghissimi tempi per l’attribuzione delle titolarità in questi anni, hanno fatto sì che accrescessero le sedi vacanti privando numerose comunità sarde dell’assistenza primaria.
La politica investe in nuovi servizi (ASCOT) depotenziando la Medicina di base, le Guardie mediche e la qualità dell’assistenza. E’ di fondamentale importanza continuare a garantire ai cittadini il diritto di scegliere il proprio medico, un diritto sul quale si fonda il rapporto fiduciario medico-paziente.
La carenza dei medici di famiglia non si risolve portando il limite degli assistiti da 1.500 a 1.800, né con le Case di comunità, con la minaccia di chiusura delle Guardie mediche e ancor meno lasciando spazio ad ambulatori di quartiere privati.
La prima emergenza è la carenza di personale sanitario, eppure nulla si fa per formare nuovi medici e per prevenire la fuga, dal sistema sanitario pubblico e spesso dalla Sardegna, di quelli già formati.
Il sovraccarico di burocrazia, le condizioni di lavoro disumane, il mancato adeguamento degli stipendi rispetto all’Europa e alle altre regioni d’Italia, nonché la mancanza di agevolazioni che consentano l’accesso nelle sedi carenti più disagiate, fanno sì che i pochi medici formati seguano altri percorsi.
Per l’inadempienza della politica, in materia sanitaria, intere comunità sono in stato di abbandono.
La riorganizzazione della Medicina territoriale ha un ruolo centrale nell’ambito della riprogrammazione del sistema sanitario pubblico. Ma se non si affronta il problema della carenza di personale sanitario e della sua valorizzazione in termini economici e di salvaguardia della dignità professionale, non ci sarà soluzione.
Il medico di Medicina generale per il sovraccarico di lavoro, necessita di spazi e tempi per ulteriori competenze assistenziali. Necessita di figure professionali preparate a coadiuvare e portare avanti aspetti burocratici, organizzativi e assistenziali che fanno parte della complessità del lavoro.

Claudia Zuncheddu

Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica

Si ventila la minaccia del trasferimento del Centro di Salute Mentale dal Santa Barbara di Iglesias a Carbonia.
Una partita di ping pong senza fine, per i servizi sanitari sballottati tra i due grandi centri del Sulcis Iglesiente. La minaccia del trasferimento del CIM dalla sede storica di Iglesias, a Carbonia, accresce il disagio e le preoccupazioni dei pazienti e delle famiglie. Non sono ben chiare le ragioni della chiusura del servizio a Iglesias e del destino dell’ospedale Santa Barbara. Di certo in questi anni il trasferimento anche di interi reparti, da un ospedale all’altro, ha implicato la chiusura dei servizi da una parte e l’implosione da sovraccarico dall’altra, con compromissione dell’assistenza sanitaria ai malati.
Ma a danno si aggiunge danno. Si continua a ignorare la grave carenza di personale sanitario per un servizio così sensibile e per la vasta area territoriale che il CIM di Iglesias copre, da Nuxis, a Narcao, a Portoscuso, a Iglesias, a Carbonia.
Dei tre psichiatri del CIM, sono rimasti in due ad essere operativi. A seguito di una pesante aggressione da parte di un malato, uno degli specialisti è in malattia. Dei due psichiatri in servizio, per uno di essi è imminente il pensionamento.
A completare il fragile staff del servizio psichiatrico del CIM di Iglesias, sono due psicologhe, quattro infermieri, tre educatori, tre tecnici per la riabilitazione psichiatrica. Un personale assolutamente insufficiente per garantire l’assistenza di malati sia nella sede ambulatoriale che a domicilio.
Ad accrescere le preoccupazioni è il rischio che il Centro di salute mentale del Sulcis Iglesiente segua il destino di estinzione dei servizi psichiatrici dai territori ai grandi ospedali, a partire dalla neuropsichiatria infantile.
Rita Melis – Coordinamento del Sulcis Iglesiente della Rete Sarda
Claudia Zuncheddu – Portavoce della Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica

Dopo anni di tagli al CTO di Iglesias e al Sirai di Carbonia, tra chiusure e mancate aperture di servizi nuovi e ben organizzati, con la logica di concentrare i servizi sanitari in un ospedale unico, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. I due ospedali sono in parte chiusi e in parte implosi, con due Comuni messi l’uno contro l’altro per l’accaparramento dell’ospedale unico, secondo i piani della politica di questi anni.
Ciò che la politica ignora è che il vastissimo territorio del Sulcis Iglesiente, necessita dei due ospedali efficienti, con una razionalizzazione dei servizi, tale da evitare inutili doppioni di reparti. Ai politici a poco è servito l’effetto della chiusura del Pronto Soccorso del CTO in certi periodi, con l’implosione del Servizio di Emergenza Urgente del Sirai.
L’incapacità della politica a gestire la Sanità, lo conferma ancora oggi l’assessora della Politiche sociali Angela Scarpa del comune di Iglesias, con la proposta di «programmazione di tutte le iniziative necessarie per destinare l’ex Casa Serena, nel centro di Iglesias, all’ospedale unico».
La Rete Sarda ritiene scellerata questa proposta. Ancora una volta si ignorano le esigenze sanitarie del territorio, le difficoltà nei tempi, nei costi e nella riorganizzazione di un nuovo ospedale, con la chiusura dei due colossi della Sanità del Sulcis Iglesiente, benché in sofferenza per i tagli e la carenza di personale.
La Sanità non può essere oggetto di “guerre di campanile” per l’accaparramento dell’ospedale unico, dietro le cui ristrutturazioni o costruzioni ex novo si celano solamente interessi di natura edilizia.
La Rete Sarda ribadisce gli anomali orientamenti di investimento del Pnrr per la “Missione 6 Salute”: investimenti in infrastrutture e in tecnologia. Quindi ancora mattoni e cemento. Non un cenno alla carenza del personale sanitario. La Sanità in Sardegna necessita di medici e di infermieri senza i quali la stessa tecnologia non può funzionare.
Non vorremmo che dietro i 15,63 miliardi del Pnrr, di cui una parte da destinare alle infrastrutture, si celassero forti interessi edilizi in nome della Sanità.
Claudia Zuncheddu – portavoce Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica
Rita Melis – Coordinamento della Rete Sulcis Iglesiente

Indipendentismo e oltre. Quali alleanze possibili per il Cambiamento? Il recente confronto politico tra un gruppo indipendentista e il centro sinistra, seppur legittimo, non può non tener conto del passato di chi ha governato la Sardegna e delle responsabilità sullo stato di sottosviluppo dell’Isola. Un bilancio dell’operato politico deve essere al centro del confronto.
Oggi la società sarda necessita di un cambiamento radicale se si ambisce ad una svolta sul piano sociale, economico e politico. Ciò non sarà possibile finché i rapporti di forza tra cambiamento e conservazione saranno a favore della conservazione. La svolta implica la rottura radicale di un sistema consolidato di poteri nelle mani di una élite sempre più oligarchica. Nessuna svolta è possibile se non si sconfiggono i potentati negli schieramenti che si alternano al governo della Sardegna e se non si liberano gli apparati pubblici dall’occupazione da parte dei partiti politici e delle loro clientele.
Le alleanze sperimentate in questi anni da indipendentisti, non hanno prodotto alcun sostanziale cambiamento per la Sardegna. La mia stessa esperienza alla XIV legislatura nel Consiglio della RAS, benché parte attiva del dibattito, non è riuscita a far sì che il cambiamento si affermasse. Le dinamiche di potere, anche nei piccoli partiti del centro sinistra e i tradimenti per eliminare le diversità politiche sono stati la costante.
Le coalizioni che si sono succedute negli ultimi tempi, non hanno permesso alla Sardegna di superare il sottosviluppo. Il cambiamento implica la rottura di un sistema di potere forgiato e consolidato nel tempo da una visione egoistica perpetuata dalla stessa classe politica sarda.
La Sardegna necessita di forme avanzate di autogoverno che arginino il progressivo svuotamento delle libertà e delle autonomie individuali e collettive. Le servitù e i soprusi aumentano in nome dell’interesse nazionale. Quindi le auspicate forme di autogoverno di ogni comunità non sono compatibili con la centralizzazione dei poteri, voluta da tutti i governi in Italia e dalla stessa RAS nei confronti delle collettività.
Oggi non basta aderire a un programma per scongiurare il pericolo di una nuova vittoria del sardo-leghismo. Non si tratta solamente di vincere le elezioni. Non è questo il modo per riportare al voto chi fugge dalla politica, dalle urne e dalla speranza di una svolta.
Per le elezioni regionali, le alleanze implicano accordi e mediazioni su temi di importanza vitale. Come conciliare un’alleanza sulla Sanità con chi ha concorso al suo smantellamento? Le scelte sul fronte energetico, industriale, ambientale, agropastorale, trasporti, rete stradale, sull’RWM che fabbrica bombe… fanno parte di un operato politico già espresso e che ha segnato le sorti dei territori e dei residenti.
La militarizzazione, non può essere oggetto di accordi elettorali per competenze e in assenza di un’autonomia forte e autorevole. Non lo è neppure la riforma dello statuto speciale, una panacea in ogni tempo per tutti i mali.
Un nodo da sciogliere è la modifica della Legge elettorale di cui destra e sinistra, a fine mandato e in campagna elettorale, hanno promesso per mai attuarla. Una legge che limita la libertà dell’elettore escludendo le minoranze politiche e costringendole ad annessioni opportunistiche per poter competere alle elezioni. Una legge che blinda il potere dei soliti noti con il disprezzo della democrazia e dei diritti di rappresentanza per tutti.
Nessuna alleanza è auspicabile con chi promuove la deriva centralista del potere e l’espropriazione delle competenze territoriali. Una reale svolta implica la decentralizzazione dei poteri, più libertà al cittadino, più autonomia decisionale ad ogni comunità.
Oggi quali alleanze possibili?
Sono in un nuovo percorso che aggreghi i fermenti di lotta dei territori, che unisca le diversità e le singole differenze che si sono espresse, organizzando liste elettorali dai Comuni alla Regione fuori da logiche già sperimentate. Questa è la grande sfida e unica speranza per i sardi.
La Questione sarda, non può essere risolta da chi ha concorso a determinarla.
Claudia Zuncheddu – Sardigna Libera

La stagione politica di Renato Soru rivisitata tredici anni dopo le dimissioni dalla presidenza della Regione Sardegna, quando il filtro del tempo trascorso consente riflessioni più equilibrate e forse meno parziali. Su questo s’interroga “Meglio Soru (o no)” La febbre del fare 13 anni dopo”, il libro di Massimo Dadea, che in quella Giunta fu assessore, la cui presentazione è in programma lunedì 24 aprile, dalle ore 17.30, al Centro culturale, in via Cattaneo, a Iglesias.
Che cosa è rimasto di un’esperienza di governo che ha rappresentato il più risoluto tentativo di modificare la realtà politica, culturale, sociale, economica e istituzionale dell’isola? Quanto di quel progetto, di quella idea di Sardegna è ancora attuale? Quale scenario si può aprire oggi alla luce del mutato ruolo della politica? Dopo il grande interesse suscitato nei precedenti incontri, di questo parleranno osservatori specializzati che quella stagione l’hanno vissuta da protagonisti, spesso critici e severi, o anche da spettatori.
Alla presentazione del libro, con l’autore dialogheranno il giornalista Ottavio Olita, la sociologa del lavoro Lilli Pruna, Claudia Zuncheddu, esponente dei medici per l’ambiente, Renato Soru e la deputata Francesca Ghirra (Verdi-Sinistra). Modererà l’incontro il giornalista Giampaolo Meloni. 

Al sindaco di Iglesias Mauro Usai

Egregio sindaco

A proposito della crisi della Sanità nel nostro territorio, Lei sostiene “di aver contestato ferocemente il governo di centro sinistra arrivando a scontrarsi ferocemente con il suo partito, anteponendo gli interessi della sua città (Iglesias) a quelli della sua parte politica”, per poi, ad un tiro di schioppo dalle elezioni regionali cambiare idea e tentare di riabilitare l’operato del suo partito.
Giusto per parlare di fatti e non di slogan, come Lei scrive pubblicamente a proposito di Sanità, La invitiamo a ripercorrere la storia dello smantellamento degli ospedali e di tutto il sistema sanitario pubblico in Sardegna. E’ un metodo utile per meglio individuare le responsabilità politiche ancor più in tempi di campagne elettorali.
La Rete Sarda ritiene non corretto tentare di ricostruire la verginità a parti politiche responsabili della distruzione della più grande conquista sociale del 900: il Sistema sanitario pubblico. Di fronte alla crescente mortalità, nessuno degli schieramenti politici che hanno governato in questi anni, può essere assolto. Non c’è campagna elettorale che tenga, signor sindaco!
Le ricordiamo che le lotte contro i tagli agli ospedali dei territori, Sulcis Iglesiente compreso, sono esplose sotto il governo Pigliaru – centro sinistra – XV legislatura.
L’asse Pigliaru/Arru/Moirano ha inaugurato in Sardegna lo smantellamento del Sistema sanitario pubblico con l’alibi della “riorganizzazione, razionalizzazione, accorpamenti, buchi di bilancio”. La Giunta Pigliaru ingaggiò il supermanager Moirano, sperimentato tagliatore di servizi sanitari. Nonostante il discusso operato nella Sanità pubblica piemontese, con un deficit di bilancio di 5,75 miliardi certificato dalla Corte dei conti per il 2015, Moirano erano atteso da tutto il centro sinistra sardo come un liberatore.
Di fatto Moirano giunse in Sardegna grazie ad un accordo tra il PD che governava la Sardegna e il PD che governava il Piemonte. Un pasticcio fatto in casa PD considerando che con l’imminente 65° compleanno, Moirano avrebbe trovato le porte chiuse nelle istituzioni di altre regioni. Solo in Sardegna tutto è possibile, basti pensare che mentre Moirano percepiva in Piemonte 100 mila euro all’anno, la Sardegna gli offriva il doppio, più un premio di produzione di 40 mila euro, per fare lo stesso lavoro. Più tagli più premi.
Una fortuna che sbalordiva lo stesso Moirano che dichiarò “qui è stato messo un bello stipendio, e siccome sono ligure… 200 mila euro lordi annui di base, fino a 240mila se centrerò gli obiettivi…” (Unione Sarda 4 ottobre 2016 pag. 3).
La giunta Pigliaru, abbracciò il neoliberismo. Adottò il DM70 (una mannaia evitabile per noi sardi). Il Decreto, figlio della Spending review del governo Monti, di cui il ministro della Salute Balduzzi ne fù ispiratore, è stata l’arma che ha consentito a Moirano di radere al suolo ospedali, personale sanitario, servizi sanitari territoriali e di minare il poco della Sanità pubblica che restava in piedi.
Sindaco Usai, l’operazione fu chiamata: “Piano di riordino della rete ospedaliera sarda”, quella che mi pare di capire che Lei oggi invochi.
Il superpagato Moirano, noto tra i “Balduzzi Boys”, adottò per la nostra Sanità le pratiche neoliberiste più spietate. In nome della Spending review soppresse servizi pubblici promuovendo la privatizzazione. Con il Mater Olbia, affare firmato dalla Giunta Pigliaru, benché fosse da tutti voluto, avanzano anche le multinazionali della Sanità.
Mentre tutto il sistema sanitario crollava, nel corso di un confronto/scontro tra Moirano e la Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica, Moirano declinò ogni responsabilità dichiarando di essere un tecnico al servizio degli ordini del Presidente e dell’assessore Arru.
Per lo spropositato pagamento di 240 mila euro all’anno, contro i 100 mila del Piemonte, la giunta sarda fu addirittura ripresa dal Governo, al quale Pigliaru rispose rivendicando la propria Autonomia (Autonomia naturalmente solo nello sperpero dei soldi dei sardi).
Molti ospedali crollarono sotto la legislatura del centro sinistra.
La Giunta sardo/leghista di Solinas, ringrazia la Giunta Pigliaru per il lavoro già fatto al posto delle destre e prosegue nella stessa disastrosa direzione.
Egregio sindaco Usai, al macabro spettacolo della nostra Sanità, mancava solo l’assalto delle “cavallette”: i soliti politici di destra e di sinistra che delle macerie della Sanità ne fanno oggetto per la propria campagna elettorale.
Claudia Zuncheddu, portavoce della Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica
Rita Melis, referente del Coordinamento del Sulcis Iglesiente della Rete

Tra le 8.30/9.00 del 21 dicembre un bimbo di 9 anni di Nuxis giunge al CTO di Iglesias con il 118 e accede direttamente al reparto pediatrico per difficoltà respiratoria. E’ un bambino fragile per una patologia autoimmunitaria diagnosticata a nove mesi.

Sottoposto alle indagini diagnostiche, i medici contattano la Rianimazione del Brotzu, ma nel reparto per i trattamenti di eccellenza in regime di urgenza non c’è posto e non si ricovera. Il bimbo si aggrava.

In nessuna Rianimazione sarda si trova un posto letto. I pediatri del CTO e il primario anestesista non si arrendono e contattano ospedali della penisola. Solamente a Padova c’è disponibilità per il ricovero.

Il bimbo, con un Falcon 50 dell’Aeronautica militare, accompagnato dal primario anestesista, raggiunge Bologna e poi in ambulanza giunge a Padova intorno alle 4.00 del mattino del 22 dicembre, giusto in tempo per essere soccorso e stabilizzato.

In Sardegna la vita è sempre più appesa a un filo. Se nella penisola i posti letto di terapia intensiva pediatrica sono 3 per milione di abitanti, quindi ben al di sotto degli 8 posti della media europea, in Sardegna la Rianimazione pediatrica non esiste proprio. L’ospedale Brotzu è punto di riferimento regionale con due posti letto per l’età pediatrica, ma all’interno della Rianimazione generale. Per garantire i migliori risultati i bambini devono essere assistiti in unità di terapia intensiva pediatrica e non in quelle per adulti dove le competenze non sono le stesse.

Il caso, uno fra tanti, ribadisce l’assenza di una visione globale della gestione della Sanità. Manca una programmazione e non si investe sui bambini.

La Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica denuncia l’inadeguatezza delle istituzioni deputate a gestire la Sanità in Sardegna e invita le istituzioni di competenza ad una maggiore vigilanza sui diritti dei malati e sui doveri degli apparati politici e burocratici, dagli assessorati alle Asl.

Claudia Zuncheddu

Portavoce Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica