22 November, 2024
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Serata a stelle e strisce e all’insegna delle chitarre, a Narcao, per il ventisettesimo festival internazionale Narcao Blues. A surriscaldare per primo le valvole degli amplificatori sul palco di piazza Europa, con inizio alle 21.30, sarà il blues rock di Eric Sardinas, un piacevole ritorno per il pubblico del festival, a distanza di undici anni dalla sua precedente apparizione nel paese dell’alto Sulcis. Classe 1970, noto per l’uso della chitarra resofonica (strumento nato negli Stati Uniti d’America alla fine degli anni Venti, ad opera dell’emigrante slovacco John Dopyera) e per il suo stile originale condito dalle sue teatrali esibizioni dal vivo, il musicista di Fort Lauderdale ha la caratteristica di suonare lo strumento come ogni chitarrista destrorso, nonostante il suo forte mancinismo, elemento che ha contribuito e non poco alla formazione della sua originale tecnica e del suo stile. Tra i generi più influenti nello sviluppo della sua personalissima cifra stilistica ci sono il gospel, la musica della Motown e il R&B, che l’hanno spinto alla ricerca degli intensi suoni acustici del profondo sud degli Stati Uniti. Charley Patton, Son House, Robert Johnson, Skip James, Bukka White, Big Bill Broonzy, Elmore James, Muddy Waters e Fred McDowell sono invece tra gli artisti che più l’hanno influenzato. È del 2014 il suo ultimo disco, “Boomerang”, pubblicato dalla Jazzhaus Records. Ad affiancare Eric Sardinas (chitarra e voce) sul palco di piazza Europa ci saranno Paul Loranger al basso e Demi Lee Solorio alla batteria. 

Alle 22.30 il secondo set vedrà sotto i riflettori del festival Otis Taylor, in esclusiva al Narcao Blues, unica data in Italia, con Mato Nanji alla chitarra, Todd Edmunds al basso elettrico e Larry Thompson alla batteria. Cantante, compositore e polistrumentista (suona la chitarra, il banjo, l’armonica e il violoncello), Otis Taylor è considerato uno degli artisti di spicco della New Wave del blues americano e tra i più innovativi degli ultimi vent’anni. Nato a Chicago nel 1948 e cresciuto a Denver, ha iniziato a suonare da giovanissimo, ma si è allontanato a lungo dalle scene musicali per farvi ritorno in pianta stabile solo a metà anni Novanta (il suo primo disco è del 1996). Definito dall’autorevole rivista Guitar Player come il più importante bluesman ai giorni nostri, vanta collaborazioni prestigiose (con il chitarrista inglese Gary Moore, l’armonicista statunitense Charlie Musselwhite e la pianista giapponese Hiromi Uehara, tra gli altri), ed è stato nominato più volte ai Grammy come miglior artista blues e migliore polistrumentista. Da sottolineare il lavoro svolto nel suo tredicesimo album in studio, “My World Is Gone” (Telarc International, 2013), che rimarca ancora una volta la grande duttilità e originalità di Otis Taylor nel riuscire a muoversi con disinvoltura e grande classe attraversando jazz, rock, funk e tanti altri generi, andando a creare un ibrido definito “trance blues”, spina dorsale dei suoi crudi racconti di lotta, libertà, desiderio, conflitto e, naturalmente, amore. È del febbraio di quest’anno la sua più recente testimonianza discografica, “Fantasizing About Being Black”, che lo conferma come una delle voci più autentiche e attente del blues contemporaneo. 

Spenti i riflettori sulla piazza Europa, la musica continua, come sempre, nello spazio dopoconcerto in località Santa Croce con i Superdownhome, al secolo Henry Sauda (voce, chitarra acustica, Diddley Bow ed armonica) e Beppe Facchetti (cassa, rullante, tambourine e crash), duo profondamente legato alle tradizioni, ma proiettato anche verso spazi personali e contaminati da tutto quello che è il moderno folk europeo che fa da substrato al blues rurale.

Domani, sabato 22 luglio, il festival vivrà la sua ultima serata, con gli italiani T-Roosters ed il camerunese Emmanuel Pi Djob, protagonisti sul palco centrale di piazza Europa; protagonista invece del dopoconcerto il Bad Blues Quartet, formazione cagliaritana che, per l’occasione, presenterà al pubblico il suo nuovo disco.