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Un summit così importante con il top della sanità italiana non si vedeva dagli anni ’80, quando con la 833/78 nasceva il Servizio sanitario nazionale: e già questo è indicativo dell’importanza di questo momento storico per l’Ssn. Un evento che ha richiamato l’attenzione di ben due ministri – quello della sanità Giulia Grillo e quello degli affari regionali Erika Stefani, che è intervenuta di persona – a dimostrazione dell’importanza di questo summit che per due giorni ha visto tavole rotonde su temi che hanno affrontato nuovi modelli tra il finanziamento del sistema e la crescita economica, i problemi e le soluzioni delle liste di attesa nei sistemi europei, la gestione della cronicità, governare il cambiamento, l’autonomia delle regioni e la scelta dell’innovazione terapeutica, le modalità del circolo di benchmarking. Presente il Gotha della sanità italiana, rappresentanti delle istituzioni nazionali e regionali, della sanità italiana, i dirigenti responsabili di importanti centri di studio e delle principali società medico-scientifiche, nonché delle associazioni di categoria e dei pazienti. E al meeting di motore Sanità sono state gettate le basi del nuovo cambiamento, dell’indispensabile intervento di manutenzione di cui oggi, a quarant’anni dalla sua istituzione, il Servizio sanitario nazionale ha bisogno. E proprio dal summit di Motore Sanità sono uscite indicazioni e prese di posizione ufficiali che grazie alla sapiente regia del direttore generale della sanità della regione veneto Domenico Mantoan sono state raccolte in un ‘decalogo’. «Anche l’innovazione tecnologica e terapeutica non può prescindere dall’innovazione nella gestione dei pazienti – ha sottolineato Domenico Mantoan nelle sue conclusioni -. Il Veneto vuole perseguire queste sfide per i pazienti oncologici sviluppando un progetto di delocalizzazione delle terapie anche con il coinvolgimento dell’industria perché è responsabilità di tutti contribuire a questo cambiamento».
1 – La sanità italiana tra le prime quattro del mondo, ma è percepita malissimo
Tutti d’accordo che l’assistenza sanitaria in Italia è tra le migliori del mondo – addirittura l’ultima classifica di Bloomberg ‘Health Care Efficiency’ la colloca al 4° posto dopo Hong Kong, Singapore e Spagna – eppure la sanità in Italia è descritta male e percepita ancora peggio dai cittadini. Bisogna dire ai cittadini la verità, e cioè che abbiamo tutti dei diritti ma anche dei doveri.
2 – A 40 anni di età il Servizio sanitario nazionale ha bisogno di ‘manutenzione’
Oggi ci sono problemi diversi da quelli del 1978, quando l’Ssn è nato, ed è quindi necessaria un’opera di ‘manutenzione’ che preveda di ridisegnare competenze, incarichi e che affronti problematiche 40 anni fa non prevedibili. O, comunque, non in questa misura, tipo la cronicità.
3 – Il numero dei professionisti è sottodimensionato
Abbiamo oggi carenza di professionisti – medici e non – perché li paghiamo troppo poco, sia a livello territoriale con zone del paese che vedono una carenza organica di medici, sia a livello ospedaliero. E molti preferiscono prendere altre strade.
4 – Modificare e aggiornare le competenze dei professionisti della salute
Abbiamo sentito Regioni, come il Trentino Alto Adige, che stanno partendo con un percorso di affidamento alle ostetriche delle gravidanze a basso rischio (che rappresentano più o meno il 90 per cento delle gravidanze) e si stanno organizzando sul territorio. Ecco quindi anche il problema di modificare i compiti delle diverse professioni sanitarie, valorizzando il personale tramite maggiori remunerazioni e nuove competenze.
5 – Affrontare l’emergenza cronicità
E’ la vera emergenza cui dobbiamo far fronte immediatamente, in previsione del fatto che si trasformerà in un problema prioritario negli anni futuri, in una società che invecchia sempre più. Se una persona con patologia cronica è per definizione una persona affetta da una malattia di lunga durata, tendenzialmente lunga quanto la vita del soggetto, è chiaro che la cronicità è destinata ad assorbire progressivamente sempre maggiori risorse economiche, ma è anche l’oggetto di sempre maggiori ricerche che inevitabilmente svilupperanno, in una positiva ottimistica visione razionale, soluzioni tecnologiche sempre più avanzate ed efficaci. Bisogna quindi studiare subito, accanto a nuove forme di assistenza, percorsi che differenzino in maniera chiara urgenza e cronicità.
6 – Risolvere il problema delle liste di attesa
E’ un problema molto sentito, ma abbiamo dimostrato che in alcune regioni – come il Trentino Alto Adige o il Veneto – se ci si lavora con attenzione il problema della lista d’attesa si può risolvere: è indispensabile coinvolgere i pazienti e fargli comprendere che non si può avere tutto subito, che accanto ai diritti esistono anche dei doveri di precedenza terapeutica, che quindi va dato peso ad un diverso ‘indicatore di attesa’ nel ruolo del Servizio sanitario nazionale e di garanzia dei Lea. E’ altresì fondamentale agire sulla domanda attraverso politiche dell’appropriatezza clinico-prescrittiva e attraverso codici di priorità. Importante anche agire sull’offerta aumentando la capacità produttiva, attraverso l’estensione degli orari e dei giorni, con la creazione di percorsi di garanzia, con la presa in carico dei cronici da parte delle strutture senza che il paziente ritorni ogni volta al Cup. E, non ultimo, ipotizzare anche di aumentare i canali di prenotazione. Le esperienze europee ci insegnano che il problema non è solo economico ma anche di sistema ed organizzativo essendo il modello Beveridge più penalizzante del Bismarck.
7 – Necessarie modifiche a livello legislativo
Poiché, come detto, il Servizio sanitario nazionale ha bisogno di ‘manutenzione’, è indispensabile prevedere quanto prima un decreto legislativo nazionale di modifica dell’attuale 502-517. Poiché lo Stato non riesce, per mille motivi, a farvi fronte, una serie di Regioni hanno cominciato a dire ‘noi ci arrangiamo da soli’. La cosa nuova di questo momento particolare è che tutti sono d’accordo su dove si devono mettere le mani (nessuno ha detto che questo non sia vero), ma ancora non su chi debba farlo.
8 – Prevedere l’avvio della cosiddetta ‘autonomia differenziata’
La ministra Stefani ha detto che entro ottobre presenterà al parlamento il disegno di legge sull’autonomia ‘differenziata’: questo significa che le Regioni a statuto speciale, debbono passare attraverso un continuo confronto con lo Stato. E ha aggiunto: «Il mio ministero, che è un ministero ‘burocratico’, diventerà un ministero ‘dinamico’, e dovrò avviare una sezione che si occupi di autonomia differenziata. Oggi non esiste, quindi dovrò pensare a dirigenti e funzionari che capiscano cos’è l’autonomia ‘differenziata’ e parlare con amministrazioni regionali che a loro volta grazie a questa ‘autonomia differenziata’ portino a casa dei risultati che comunque devono garantire LEA in equità, perché stiamo parlando della sanità. Autonomia differenziata non significa che lo Stato viene messo da parte e che le regioni si organizzano ognuna come crede, ma che ognuna ha la possibilità di adeguare offerte e servizi secondo le proprie disponibilità ed esigenze».
9 – Coinvolgere i cittadini
Nel corso della Summer School è emerso in modo chiaro che è assolutamente indispensabile imparare a comunicare con i cittadini, a coinvolgerli e a far loro capire la responsabilizzazione necessaria per migliorare i servizi. E ormai una ‘consapevolezza dei tecnici’ quali noi siamo, e bisogna apprendere i meccanismi di una narrativa, da parte di chi rappresenta i cittadini, che ci consenta di comunicare con loro e di coinvolgere i cittadini.
10 – Intervenire sui fondi integrativi
In questo momento di ‘fragilità economica’ non è detto che i fondi integrativi debbano permanere così come sono oggi: in questo momento stanno (in gran parte) producendo una sorta di ‘consumismo sanitario’ e vanno assolutamente regolamentati. Il sistema sanitario è sottofinanziato e dato i dati del MEF per il finanziamento futuro è utile implementare ma normare i fondi integrativi e le mutualità sociali per arginare l’output of pocket.