3 December, 2024
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Tenere in ordine i conti pubblici sanitari è materia molto difficile ed è riservata agli specialisti; ma c’ è una materia, molto più complessa, ed è il benessere sociale globale. Questa è materia dei politici. Materia ancora più difficile è quella riservata al cittadino il quale ha il compito di controllare il servizio pubblico ma che, essendo privo delle conoscenze tecniche, basa il suo giudizio sulle esperienze della vita quotidiana. Queste sono tre linee di pensiero che spesso corrono parallele e non si incontrano mai. Il cittadino ammalato non è interessato ai “numeri” che vengono dichiarati dagli specialisti di contabilità pubblica, mentre è molto interessato a non diventare un numero senza nome nel bilancio di previsione o consuntivo di un Ente pubblico.
Facciamo alcuni esempi tratti dall’esperienza quotidiana per imbastirvi poi un ragionamento amministrativo.
Prendiamo il caso di due cittadini, realmente esistenti, che raccontano ciò che segue.
Primo caso. Il Medico di Base chiede una “Angio TAC” del cranio per un paziente perché ha il sospetto che esista un problema circolatorio nel suo cervello. Il paziente si rivolge al CUP che provvede a fissargli un appuntamento in una data che comporta 5 mesi d’attesa. Il nostro paziente, avendo disponibilità economica ed essendo molto preoccupato, si rivolge ad uno studio di radiologia privato e ottiene l’esame immediatamente. Il referto dello specialista attesta la presenza di una vasta emorragia subaracnoidea. Si tratta di un’ampia raccolta di sangue (ematoma) nello spazio tra volta cranica e cervello. Dato che la scatola cranica è fatta di osso inestensibile, le forze di schiacciamento prodotte dall’ematoma si scaricano tutte sul cervello danneggiandolo. Se non si provvede subito a svuotare chirurgicamente l’ematoma succede che la corteccia dell’encefalo va in atrofia e il paziente finisce in coma. Si chiama “coma apallico” ed è il tipo di coma che colpì la povera Eluana Englaro, la ragazza che divenne famosa nel 2009 perché il suo fu uno dei primi casi di eutanasia in Italia.
Questa sarebbe stata la sorte del nostro paziente ma, avendo egli una buona disponibilità economica, si salvò con un immediato intervento neurochirurgico seguito alla TAC tempestiva.
Se avesse optato per accettare i 5 mesi d’attesa oggi avremmo un’altra Eluana Englaro.
Secondo caso. Tratta di un paziente che recentemente si è rivolto al CUP per prenotare una colonscopia.
Si sa che questo esame viene eseguito soprattutto quando si sospetta l’esistenza di un tumore maligno del colon. Ha ottenuto la prenotazione per aprile 2025. E’ noto che il ritardo della diagnosi di tumore (19 mesi) non è compatibile con la speranza di guarire dal cancro. Anche in questo caso il paziente ha provveduto a rivolgersi privatamente ad una clinica per ottenere immediatamente l’esame. Nel caso in cui la colonscopia dimostrasse la presenza di un tumore la precocità della diagnosi gli varrebbe il vantaggio di potersi salvare la vita.
Anche in questo secondo caso il Sistema sanitario pubblico non ha concesso al paziente la possibilità di curarsi secondo il dettato dell’articolo 32 della Costituzione. Da questi due esempi si desume che dare l’assistenza in ritardo equivale a non darla e che il principio dei L.E.A. (Livelli Essenziali di Assistenza), nel modo in cui viene applicato, ha fallito. Non basta l’enunciato della legge a darci la sicurezza delle cure perché manca il “controllore” che ne accerti l’applicazione.
Con questa premessa si può già immaginare cosa potrebbe avvenire con i futuri L.E.P. (Livelli Essenziali di Prestazione). Con il termine “Prestazione” si intendono tutte le prestazioni tipiche del servizio pubblico che vanno dalla Istruzione, ai Trasporti, alla Sanità, alla Giustizia, etc…
Dei LEP si fa un gran parlare da quando è in itinere il disegno di legge sull’“Autonomia Differenziata” delle Regioni. Si tratta di un provvedimento che promette alle regioni più svantaggiate la garanzia che verranno mantenuti sempre i “livelli essenziali di prestazioni” per i loro cittadini. Le prestazioni, contenute in un elenco che è in fase di compilazione, sarebbero vigenti nel caso in cui si consentisse alle Regioni ordinarie di gestire autonomamente la propria spesa pubblica. A tal fine queste regioni (le più avvantaggiate economicamente) utilizzerebbero i fondi raccolti con le tasse della stessa Regione come fondi propri; con quei fondi esse gestirebbero i servizi pubblici indipendentemente dallo Stato. In sostanza i servizi pubblici che oggi sono garantiti dallo Stato non sarebbero più statali ma passerebbero sotto la gestione autonoma di ciascuna Regione. Le attuali 5 Regioni autonome continuerebbero a gestirsi con i propri modesti fondi e vedrebbero ridursi il fondo perequativo statale.
Per quanto riguarda la Sanità, i due esempi clinici riportati all’inizio dell’articolo dimostrano la buona fede dello Stato che garantisce il Servizio ma non può erogarlo in un tempo ragionevole. Le stesse “liste d’attesa” sono la dimostrazione che l’assistenza sanitaria non viene mai rifiutata tuttavia essa è prigioniera dei numeri. Il numero fondamentale che governa il Servizio pubblico corrisponde alla quantità di danaro che serve per alimentare il Fondo Sanitario Nazionale. Il FSN (Fondo Sanitario Nazionale) viene costituito con i soldi raccolti con le tasse. Ogni cittadino, versando i contributi, matura un credito che gli verrà pagato sotto forma di di L.E.A. oppure di L.E.P.. Dato che tutti i cittadini contribuiscono equamente a formare il fondo sanitario nazionale ne consegue che tutti hanno diritto a goderne equamente. Ma proprio qui sta il punto. Da quel che si sente non tutti i cittadini ne godono equamente né all’interno della Nazione né all’interno della Regione. Esiste un meccanismo di suddivisione dei fondi da verificare.
La spesa sanitaria pubblica in Nord Europa equivale ad una somma pari a 4.000 euro per cittadino. La media europea equivale a 3.269 euro per cittadino. La media italiana equivale a circa 2.600 euro per cittadino. La media in Sardegna equivale a circa 2.100 per cittadino.
La differenza tra i finanziamenti sanitari di Europa, Italia e Sardegna è grandissima.
In Sardegna i fondi vengono distribuiti equamente per cittadino. Tuttavia, vi sono sperequazioni dovute ad anomalie nella distribuzione dei servizi nel territorio: scorrendo i bilanci delle ASL si nota che la ASL di Cagliari è in gran parte fornitrice di servizi sanitari per tutte le altre ASL sarde. Questi servizi non sono gratuiti; vengono acquistati dalle ASL provinciali che, essendo insufficientemente dotate di personale e di tecnologia, sono obbligate a diventare clienti di Cagliari. La nostra Asl del Sulcis Iglesiente spende circa 30 milioni di euro all’anno per pagare le cure ospedaliere in strutture extra ASL (che in genere sono a Cagliari). Tale somma viene prelevata ogni anno dal nostro fondo. La ASL di Cagliari invece non ha questa spesa obbligata, al contrario, oltre a conservare integralmente la quota ad essa riservata, ha anche un consistente incasso aggiuntivo annuale: glielo pagano le ASL vicine, soprattutto il Sulcis e il Medio Campidano. Con quell’incasso colossale che si aggiunge al fondo di ripartizione generale, la ASL cagliaritana può assumere altro personale e aggiornare il suo corredo tecnologico. Di fatto tale trasferimento di danaro si traduce in un trasferimento di personale, di alta tecnologia e di reparti ospedalieri che da noi vengono chiusi mentre lì vengono incrementati. Se quel fondo restasse nella nostra ASL, potrebbe consentirci di assumere personale medico, infermieristico e tecnologia e, soprattutto, ci farebbe abbattere le liste d’attesa. A tali fattori di debolezza economica che ci affliggono, fa seguito la scarsità di assistenza sanitaria di cui siamo tutti testimoni quotidianamente. Tenendo conto di questo calcolo si comprende perchè i due casi clinici raccontati all’inizio ebbero certamente la possibilità teorica d’ottenere il servizio richiesto (TAC e colonscopia), ma la ottennero a patto di accettare il loro inserimento in una enorme lista d’attesa che avrebbe vanificato la loro speranza di guarigione.
La coscienza pubblica e la politica regionale dovrebbero cimentarsi con questi numeri.
Contemporaneamente i nostri amministratori locali dovrebbero riottenere il potere di un reale controllo del funzionamento della ASL e del suo finanziamento. La loro funzione non dovrebbe limitarsi a valutare l’efficienza della macchina sanitaria locale ma dovrebbe consistere nel guidarla.
Le speranze di miglioramento purtroppo sono poche. La situazione storica è difficilissima soprattutto oggi che il Bilancio dello Stato soffre gravemente a causa dell’inflazione, dell’altissimo debito pubblico, dell’enorme problema demografico, del problema energetico ed ecologico, della richiesta degli industriali di fermare la spesa corrente (stipendi, pensioni, servizi pubblici essenziali) e non esiste un piano per una soluzione ideale.

Mario Marroccu