11 May, 2025
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La mostra “I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer”, che si svolge attualmente a Cagliari, richiama tra l’altro il legame tra Berlinguer e la Sardegna.

Proprio per dare un significato a questo legame, può essere utile leggere l’articolo che Ugo Baduel, giornalista di riconosciuto prestigio professionale, scrive per informare su due importanti comizi tenuti dall’allora segretario del PCI, a Carbonia e a Cagliari, rispettivamente l’8 e il 9 giugno 1974, durante la campagna elettorale per le elezioni regionali. Il testo giornalistico è accompagnato da commenti interpretativi sulle parole di Berlinguer e sulle notizie di contesto che l’autore offre al nostro presente per conoscere luoghi e tempi e modi in cui pensiero culturale e politico di Berlinguer si è diffuso, diventando condiviso e popolare. Iniziamo dal testo di questo articolo facendolo seguire da ricordi personali su Berlinguer, non celebrativi ma impegnativi, che il confronto con le sue parole incoraggiava e incoraggia ancora. L’articolo di Ugo Baduel, comparve su L’Unità del 10 giugno

Berlinguer a Carbonia e a Cagliari

Dalla Sardegna una riprova del malgoverno DC – Rompere il vecchio sistema di potere, conquistare una nuova direzione politica – Senza i comunisti non è possibile raggiungere l’obiettivo del rinnovamento dell’isola nell’interesse di tutto il Paese – CAGLIARI, 9 giugno

«Carbonia è un nome ben presente nella mente di tutti i lavoratori, in Sardegna e fuori della Sardegna. Tutti hanno nella memoria le tante e gloriose lotte proletarie e popolari che da anni, e fino all’ultimo sciopero di pochi giorni fa, hanno segnato il cammino – ora vittorioso, ora sfortunato – dei lavoratori del Sulcis Iglesiente in difesa dell’occupazione, contro il carovita, per la ripresa delle attività estrattive nelle miniere di carbone e per lo sviluppo delle altre attività minerarie e metallurgiche. Il segretario generale del partito.»

Enrico Berlinguer, ha cominciato con queste parole ieri sera, nella piazza di Carbonia, il suo discorso che è il primo del viaggio elettorale in Sardegna: un punto di partenza significativo. Dietro al palco, sulle mura del palazzo comunale, spiccava in rosso la scritta: «Brescia: fascisti assassini»; su un palazzo vicino, più sbiadita dal tempo un’altra scritta: «Carbonia non deve morire». Due autentiche dichiarazioni politiche che rappresentano la migliore descrizione di Carbonia e della sua vicenda. Il comune, retto da anni da un’amministrazione di sinistra, con il sindaco, compagno Coco, operaio comunista, perseguitato e incarcerato durante il fascismo, che la rappresenta fin dal dopoguerra. Città «rossa» quindi, e città operaia, antifascista con tanto più accanimento in quanto fu tutta, praticamente, concepita come un’opera del regime, trionfalistica e «mussoliniana» anche nella topografia, nella piazza sterminata e sproporzionata, nei palazzi «littori» del 1938, anno di fondazione della città. E insieme zona di crisi profonda da oltre vent’anni, esempio emblematico del deterioramento costante della situazione di tutta l’isola. Qui, nel 1950, c’erano 50 mila abitanti e i minatori e operai erano 18 mila. Venticinquemila abitanti sono emigrati da allora e oggi Carbonia ha 31 mila abitanti, 600 dipendenti precariamente occupati nelle miniere di carbone passate da alcuni anni all’ENEL e oggi in smobilitazione, meno di tremila operai negli impianti metalliferi (estrazione e lavorazione di piombo, zinco, alluminio) in pesante crisi, l’agricoltura in sostanziale abbandono. Ma, intanto, come ha ricordato il compagno Coco ieri sera presentando il compagno Berlinguer alla piazza affollata l’EFIM, ente pubblico, ha stipulato un contratto con una miniera carbonifera nel Sud Africa, infischiandosene del carbone sardo. La manifestazione, i cartelli che hanno accolto ieri Berlinguer, denunciavano appunto questa crisi e rappresentavano la ferma volontà di impedire che – come diceva la scritta – «Carbonia muoia». Una piazza piena di ragazzi e di anziani (manca, come sempre nelle zone di emigrazione, una larghissima fetta della generazione di mezzo): giovani e giovanissimi, ragazze a fianco di donne anziane, alcune nel costume nero tradizionale. Un pubblico dicono i compagni di Carbonia, molto nuovo rispetto a poco tempo fa, soprattutto per quanto riguarda ragazze e donne anziane: «Le ha tirate fuori in buona parte la campagna per il referendum», dicono. E a Carbonia i «no» sono stati il 72%.

Ieri a Carbonia, oggi a Cagliari nella piazza Garibaldi, gremita di folla dove Enrico Berlinguer è stato presentato dal segretario della federazione compagno Atzeni. Il discorso sulla Sardegna, sul tipo di sviluppo che s’impone per l’isola se non si vuole vederne naufragare le prospettive, è stato al centro dei due comizi del segretario del partito che ha anche affrontato poi questioni di politica generale, il tema della lotta al fascismo, quella della situazione complessiva italiana segnata da un lato dalla vittoria dei «no» nel referendum a da una grande spinta democratica delle masse, e dall’altro dalla grave crisi economica e sociale di cui sono responsabili i governi di questi anni e – come Berlinguer l’ha definita – la «piovra» del potere clientelare della DC, corrotto e corruttore, che soffoca, come la Sardegna, il Mezzogiorno e tutto il Paese.

Nodo centrale dello sviluppo della Sardegna, e quindi tema dominante delle elezioni regionali, è la legge 509 che sostituisce il vecchio piano di rinascita. Con l’approvazione ormai definitiva da parte del Parlamento della 509 – ha detto Berlinguer – si è delineato per la Sardegna un programma di trasformazione economica che potrebbe – se ben attuato – correggere gli errori e i fallimenti passati e avviare la Sardegna sulla via di una rinascita reale. Noi comunisti – ha aggiunto Berlinguer – per primi e da lungo tempo abbiamo affermato la necessità di una seria programmazione regionale, abbiamo svolto una critica tenace e radicale al modo in cui veniva applicata la legge precedente, al modo dispersivo o corruttore con cui venivano distribuite le ingenti somme a disposizione della Regione e per primi abbiamo sostenuto che il problema centrale della Sardegna era quello della trasformazione agraria. Per lunghi anni, invece gli altri partiti hanno alimentato l’illusione che si potesse dirigere uno sviluppo reale dell’economia, attraverso regali e elargizioni ad alcuni gruppi monopolistici o sparsi, senza altro criterio che quello clientelare. Poi però – ha detto Berlinguer – hanno parlato i fatti, dimostrando che per quella via nemmeno si avviava la soluzione dei veri problemi di fondo della Sardegna che sono: la trasformazione agricola e pastorale; un’industrializzazione diffusa e articolata, capace di creare un’effettiva e sensibile offerta di posti-lavoro; la creazione di servizi sociali adeguati nei settori della scuola, della sanità, dei trasporti. La via che si volle intraprendere, invece ha portato solo – come era prevedibile all’abbandono di grandi risorse materiali e umane, all’emigrazione (che in venti anni ha fatto toccare la drammatica cifra di 300mila unità), alla crisi profonda delle città e delle campagne. Per anni e anni – ha aggiunto Berlinguer – con lotte sindacali e popolari, con battaglie politiche, con manifestazioni di grande valore come la giornata di lotta della Sardegna del 29 gennaio scorso, sono stati indicati i giusti obiettivi per lo sviluppo della regione, che effettivamente mezzi e forze andavano concentrati e non dispersi in mille rivoli, indirizzati a un’opera di trasformazione dell’intera Sardegna e non a uno squilibrato sviluppo di «poli» monopolistici. La cosa importante e nuova – ha sottolineato Berlinguer – è che a questo punto anche fuori dell’isola si comincia a comprendere che la Sardegna (e tutto il Mezzogiorno) non sono zone da «assistere» ma sono zone che devono essere trasformate nell’interesse generale del Paese.

Berlinguer ha quindi spiegato quanto qualificanti siano i punti di connessione, in questo momento, fra un organico e pianificato sviluppo di alcuni settori chiave della Sardegna (e del Sud) e la crisi economica che il Paese intero sta attraversando. Il deficit della bilancia internazionale dei pagamenti – ad esempio – è dovuto in larga parte alla necessità di massicce importazioni di carne: è evidente dunque che uno sviluppo dell’allevamento e della zootecnia in Sardegna, potrebbe avere una benefica incidenza su un grave fattore della crisi economica nazionale. Lo stesso può dirsi per le fonti di energia di cui oggi l’Italia ha fame, mentre in Sardegna quelle esistenti sono abbandonate, come dimostra anche il caso di Carbonia. Il popolo sardo può dare dunque un contributo importante – ha detto Berlinguer – a una svolta reale nella politica nazionale: ma può darlo solo – ecco il punto – se il governo dell’Isola sarà nelle sue mani. Questa è la vera questione in gioco il 16 giugno, la questione politica. Ci sono da anni le idee, ci sono le forze per rinnovare la Sardegna: oggi possiamo aggiungere che c’è anche uno strumento che legge nuovo, la 509. Che cosa è mancato allora, che cosa manca? Manca l’elemento decisivo: una direzione politica per realizzare quelle idee, un potere che sappia fare leva e che sappia fondarsi sulle forze più avanzate, che abbia la capacità, la forza, l’autorità, i consensi che sono necessari per avviare una grande impresa come la rinascita della Sardegna. Dunque – ha esclamato il segretario generale del PCI – il problema è quello del governo dell’isola, di un governo che sia l’espressione dell’unità del popolo sardo, che sia fondato sulla collaborazione di forme democratiche e progressiste. Se questa svolta non si realizzerà – ha detto Berlinguer – non possono esserci garanzie che i fondi – insufficienti ma comunque considerevoli – della 509 siano utilizzati in modo diverso dal passato; e sarà un nuovo fallimento, saranno nuove delusioni.

Berlinguer ha ricordato i risultati, sotto gli occhi di tutti, dati dalle formule di governo sperimentate in cinque anni; la instabilità cronica di quei governi (otto o nove crisi, ben tredici presidenti dal ‘69 a oggi). Occorre quindi cambiare radicalmente la formula di governo, ma occorre qualcosa di più importante, e cioè un nuovo modo di governare che rompa il vecchio sistema di potere, che esprima un governo per il popolo con il popolo, ma che non potrà mai essere tale se si continuerà a voler escludere la grande forza del PCI. Tutto il resto è piccolo cabotaggio politico, ha aggiunto Berlinguer. Non convince, ad esempio, la posizione del PSI che, da un lato, critica l’azione delle Giunte passate delle quali peraltro ha fatto quasi sempre parte, ma poi riduce tutto al puro obiettivo di mutare i rapporti di forza fra la DC e lo stesso PSI nell’ambito di quella stessa formula che ha dato così fallimentari risultati. Ridurre tutto al problema di un assessore in più nel governo regionale, significa voler eludere la questione di fondo. Il problema – ha ribadito Berlinguer – è ben altro: si tratta di aprire un capitolo del tutto nuovo, di lasciare cadere le passate preclusioni, di dare al governo dell’Isola una forza e una autorità che nessun governo regionale ha mai avuto in venticinque anni. E per rendere possibile questo, noi comunisti non diciamo che «solo noi» possiamo realizzare un simile obiettivo, ma diciamo che esso non può in alcun modo essere raggiunto «senza di noi», che siamo, lo si voglia o no, la forza che raccoglie la fiducia della parte più avanzata dei lavoratori. Il voto del 16 giugno deve essere tale da fare avanzare in questa direzione nuova la Sardegna.
Deve quindi essere in primo luogo un voto che colpisca duramente il Movimento sociale italiano, riaffermando così i valori pregiudiziali della difesa e dell’autonomia regionale e della democrazia insidiata. Deve essere un voto che ridimensioni la DC, il cui strapotere è la ragione prima del corrotto sistema clientelare, degli sprechi, dei fallimenti passati. Un voto che crei nuovi rapporti di forza e, in primo luogo, che dia più forza al PCI. Dare più voti al PCI – ha aggiunto Berlinguer – significa indicare chiaramente la direzione verso cui si vuole andare, significa dare un aiuto politico per liberare e far contare di più in tutti i partiti le forze migliori oggi invischiate nel gioco di potere e schiacciate dall’arroganza democristiana. Dare fiducia al PCI significa – ha concluso per questa parte del suo discorso Berlinguer – darla a un partito diverso dagli altri, un partito la cui avanzata è necessaria per rigenerare anche gli altri partiti, per aprirli al dialogo e alla collaborazione; significa infine rendere non più rifiutabile una diversa maggioranza alla direzione della Regione. Per realizzare questo obiettivo il 16 giugno, serve lo sforzo e la convinta adesione, non solo dei comunisti, ma di tutte le forze che sono state le protagoniste della vittoria del «no» il 12 maggio: operai, intellettuali, ceti intermedi delle città e contadini, giovani, donne. Il momento è difficile e il 16 giugno è una grande occasione per il popolo sardo. Occorre non sprecarla.

Interpretazioni dei discorsi di Enrico Berlinguer a Carbonia e a Cagliari
Nel giugno del 1974, Enrico Berlinguer sceglie di aprire la campagna elettorale per le regionali sarde a Carbonia. Non si tratta di una decisione casuale, ma di una scelta profondamente politico-simbolica che richiede riflessioni pertinenti. Carbonia, fondata nel 1938 dal regime fascista come città del carbone, porta ancora i segni di quell’origine autoritaria, ma nel secondo dopoguerra diventa una delle roccaforti della sinistra operaia. È in tale trasformazione democratica che Berlinguer trova il punto di partenza per una riflessione che va oltre la Sardegna, toccando il cuore della questione meridionale, del sottosviluppo e del futuro del Paese.
I discorsi di Enrico Berlinguer a Carbonia e Cagliari del giugno 1974 offrono nell’articolo un testo complessivo politicamente denso, culturalmente radicato nel contesto storico, sociale ed economico della Sardegna e dell’Italia dell’epoca, ma anche proiettato in un futuro di cambiamento. Si prestano a più livelli di lettura.
Sul piano strettamente politico, Berlinguer parla in una Sardegna e in una Italia che è in pieno fermento post-referendario: il 12 e il 13 maggio c’era stato il referendum sul divorzio, vinto con la netta affermazione del “no” all’abrogazione. Questo è lo sfondo di una regione e di un paese in cambiamento, dove il Partito Comunista Italiano, con la guida di Berlinguer, si pone come protagonista del rinnovamento democratico. In Sardegna, Berlinguer si inserisce nella campagna elettorale regionale per le elezioni del 16 giugno, proponendo una rottura netta con il potere democristiano, accusato di clientelismo, inefficienza e corruzione. Il quadro primario di riferimento politico-istituzionale è la legge del 24 giugno 1974, n. 268 che riguarda il rifinanziamento del Piano di Rinascita. Rappresenta un punto di svolta per l’economia sarda, ma secondo Berlinguer manca la volontà politica e la capacità di governo per attuarla efficacemente.
La Sardegna è raffigurata da Berlinguer come emblema di crisi e di congiunte potenzialità. È rievocata come zona abbandonata, emarginata, devastata dall’emigrazione, con un’economia mineraria e agricola in declino, vittima di scelte sbagliate e sviluppo squilibrato. L’Isola è descritta, inoltre, come ricca di risorse e potenzialmente decisiva per il Paese: miniere, energia, zootecnia. Tali risorse rimangono inerti e abbandonate, mentre si importa carbone dal Sudafrica e carne dall’estero. Carbonia in particolare è il luogo drammatico, pratico e simbolico, di questa contraddizione: città operaia e antifascista, fondata dal fascismo ma trasformata democraticamente dalla lotta dei lavoratori. Carbonia riassume la Sardegna abbandonata, ma anche resistente e viva per la democrazia popolare antifascista in un periodo buio di attentati e di trame nere.
L’articolo di Ugo Baduel è costruito con grande sapienza narrativa ed è necessario percorrere tutti i lati dell’immagine poliedrica che egli offre per coglierne l’insieme. Il primo elemento di democrazia riguarda il rapporto tra il fascismo e l’antifascismo, le memorie e l’attualità. La presenza del sindaco Pietro Cocco il quale, incarcerato e confinato dal fascismo, introduce il comizio di Berlinguer, conferisce profondità di memoria storica all’attualità che compare nella scritta «Brescia: fascisti assassini», con il richiamo all’attentato di Piazza della Loggia nel maggio del 1974. Il discorso di Berlinguer, che lega la Sardegna alla lotta antifascista nazionale, è situato dal giornalista in un contesto assai eloquente e fortemente significativo che lega passato, presente, futuro, con i loro rischi democratici bisognosi di nuove sicurezze antifasciste, come mostra Carbonia. Le scritte sui muri della città diventano narrazione, visiva e popolare, della sua storia democratica che danno nuove voci alle pietre e alla stessa planimetria fascista della piazza e della città autarchica. Carbonia, fondata nel 1938 come “città del carbone” dal regime fascista, è emblematica della contraddizione italiana: da un lato il simbolo della pianificazione autoritaria e del corporativismo fascista, dall’altro una città che nel dopoguerra si è trasformata in roccaforte antifascista e comunista. Berlinguer coglie questo aspetto paradossale per sottolineare la capacità del popolo di riappropriarsi del proprio destino, rovesciando il senso originario imposto dalla dittatura. Le scritte sui muri «Brescia: fascisti assassini» e «Carbonia non deve morire» diventano una narrazione visiva potente, che unisce la lotta antifascista del presente sia alle memorie del passato, lontano e vicino, e sia al futuro di vita durevole che la città rivendica. Carbonia non deve morire, di fatto, volge l’interdizione al morire scritta sui muri esprimendo in tal modo un’affermazione di vita, sostenendo un preciso voler vivere che aveva una particolare risonanza nei corpi e nel suolo della città. Nell’esperienza lavorativa il voler vivere e il saper vivere dei minatori era la posta dei quotidiani rischi del sottosuolo. Tali rischi erano superati quando, insieme ai minerali, essi producevano spazi e tempi di lavoro resi sicuri per sé e per altri. Carbonia come luogo che vuole vivere e far vivere chi la abita traeva forze culturali da mortali esperienze risolte dai minatori, ma anche dalle donne che l’avevano fatta diventare città governando a lungo e in modi vari precarie sussistenze, perfino con cruciali attività procurative di risorse selvatiche, dati i salari insufficienti per vivere. Nel discorso politico di Berlinguer Carbonia è una città ferita, ma democraticamente viva e vitale. Nel resoconto giornalistico la vivace presenza di giovani nella piazza dice nuovi bisogni di una società locale che si vuole moderna per un futuro sicuro. Carbonia, pertanto, è il luogo pratico e simbolico di un antifascismo non retrospettivo, ma di un oggi che vuole assicurare un domani di vita egualmente condiviso.
L’immagine che Berlinguer tratteggia di Carbonia è emblematica e potente: una città che si svuota, che ha perso quasi 20.000 abitanti in trent’anni, segnata dalla crisi delle miniere, dall’abbandono industriale, dalla scomparsa delle prospettive, nonostante il recente passaggio delle miniere all’ENEL. Carbonia è luogo pratico e simbolico della de-industrializzazione in corso. L’inversione di questa tendenza riguarda non solo la città, ma l’Isola, il Meridione e l’Italia.
La prospettiva di un futuro vitale, democraticamente condiviso, riguarda nell’immediato Carbonia specialmente come luogo pratico e simbolico di una nuova rinascita economica della Sardegna, di cui Carbonia costituisce un nodo centrale. La deindustrializzazione del Sulcis-Iglesiente è presentata da Berlinguer con una fotografia drammatica ma lucida: in trent’anni Carbonia passa da 50.000 a 31.000 abitanti; le miniere si svuotano, le industrie chiudono, l’agricoltura è in abbandono. Il caso emblematico del contratto stipulato dall’ente pubblico EFIM con il Sud Africa – mentre si smobilitano le miniere locali – è una denuncia forte dell’assurdità delle politiche industriali. Qui si prefigura il concetto moderno di sovranità economica e valorizzazione delle risorse locali, temi più che mai attuali. Uno degli effetti più gravi della crisi economica sarda, secondo Berlinguer, è l’emigrazione di massa e la desertificazione sociale. In 20 anni, 300.000 persone lasciano l’isola. La generazione di mezzo è “assente”, e questo svuota il tessuto sociale e produttivo: le piazze piene di anziani e giovani non sono solo una fotografia del comizio, ma il simbolo di una rottura del ciclo vitale di una società. Egli propone un modello di sviluppo non più legato a “poli industriali” autocentrati e inespansivi, ma un sistema integrato, diffuso e radicato nel territorio, che connette agricoltura, zootecnia, energia locale, servizi pubblici. La nuova legge per la Rinascita, Legge 509 del 1974, è vista come uno strumento potenzialmente valido, ma inutile senza una seria politica di programmazione regionale che modifichi il modo dispersivo e corruttore che ha distribuito ingenti risorse, senza affrontare il problema centrale per la Sardegna della trasformazione agraria, e senza un cambiamento politico alla guida della regione. Le locali risorse combustibili e minerarie offrivano importanti punti di connessione di tale innovativa integrazione per una reale rinascita della Sardegna, indicando che il Meridione non era luogo da assistere, ma da valorizzare inclusivamente in ambito nazionale. Carbonia è luogo pratico e simbolico di vera rinascita della Sardegna.

La Sardegna, nei due discorsi di Berlinguer, diventa un laboratorio di analisi del “divario interno” italiano, tra Nord e Sud. Uno dei passaggi più duri è quello in cui Berlinguer definisce il potere della Democrazia Cristiana una «piovra clientelare, corrotta e corruttrice». È una critica senza mezzi termini a un sistema di potere parassitario, che distribuisce risorse non per sviluppare, ma per comprare consenso. Egli contrappone a questa degenerazione politica una visione di governo regionale come strumento collettivo di trasformazione sociale, in cui legalità e programmazione sono centrali. Berlinguer esprime una posizione lucida: la legge 509 rappresenta una possibilità concreta di rilancio per la Sardegna, ma solo se sarà applicata con criterio e senza ripetere gli errori del passato. Il vecchio Piano di Rinascita – nato con buone intenzioni – è stato dilapidato da gestioni inefficienti e frammentarie. La 509 diventa quindi il banco di prova di una nuova politica economica, orientata alla trasformazione e non all’assistenza, secondo un nuovo modello di sviluppo per la Sardegna. La Sardegna non può più essere pensata come “zona da assistere”, ma come territorio da valorizzare per l’intero Paese. Tale approccio è sorprendentemente moderno: inclusivo, territoriale, sostenibile. Prefigura concetti oggi fondamentali come la coesione territoriale e lo sviluppo equo. Il Mezzogiorno come risorsa, non come zavorra. Berlinguer rompe uno stereotipo radicato: il Sud come peso per il Nord. Al contrario, afferma che il rilancio del Mezzogiorno è interesse dell’intera nazione. Cita due esempi: la crisi energetica, a cui la Sardegna può contribuire con le sue risorse fossili in abbandono, e l’alimentazione a cui l’allevamento sardo può dare sostegno per ridurre le importazioni di carne. Carbonia è luogo pratico e simbolico di un nuovo meridionalismo per una nazione coesa.
La Sardegna, insomma, non è periferia. Anzi è posta al centro della politica economica nazionale, essendo situata da Berlinguer in una visione nazionale integrata. Cruciale rimane la mancanza di un governo regionale nuovo, popolare, progressista. Berlinguer denuncia l’instabilità cronica della politica sarda che ha dato 13 presidenti in 5 anni e propone una rottura con il passato. Serve una maggioranza stabile e autorevole, fondata sull’unità popolare e su una base realmente progressista, che non può escludere il PCI. Il messaggio è chiaro: o si cambia davvero, o si ripeteranno gli stessi fallimenti. Berlinguer accusa il PSI di doppiezza perché mentre critica i governi passati, non ne rompe davvero gli schemi, cercando solo di guadagnare un assessore in più. Egli critica la politica del piccolo cabotaggio, incapace di visione e di coraggio. In questa parte emerge anche l’indignazione verso le ambiguità riformiste, che non rompono con la DC ma la subiscono.
Il tema della rinascita della Sardegna, partito da Carbonia, assume toni quasi epici. Berlinguer usa il linguaggio della rigenerazione, della rinascita morale e politica. Incoraggia a dare fiducia al PCI, in quanto partito diverso dagli altri, «un partito la cui avanzata è necessaria per rigenerare anche gli altri partiti». Il cambiamento richiesto non è tecnico, ma etico-politico e strutturale-istituzionale. I suoi discorsi hanno un carattere inclusivo e mobilitante. Egli non parla solo ai comunisti, ma a tutti coloro che hanno votato “no”: giovani, donne, ceti intermedi, contadini, intellettuali. Il PCI viene presentato non come un partito settario, ma come forza inclusiva, indispensabile per il cambiamento: «Non diciamo che solo noi possiamo farcela, ma che senza di noi non è possibile». Il suo discorso è venato da ispirazioni di egemonia etico-culturale gramsciana: orientare conoscenze e coscienze verso nuovi valori etico-politici per acquisire la direzione politica di un blocco socio-politico più ampio, rigenerato e rigenerante in consenso e autorevolezza.
Carbonia è luogo pratico e simbolico di rigenerazione democratica per il futuro. Il ritratto della crisi economica sarda che Berlinguer offre è lucido e impietoso. Le miniere chiudono, l’agricoltura è in crisi, i giovani partono. A vent’anni dal Piano di Rinascita, il saldo è negativo. Si preferisce il profitto immediato all’investimento strategico sul territorio. È un capitalismo miope, incapace di valorizzare le risorse nazionali. La Sardegna, terra ricca di potenzialità, viene trattata come marginale, dimenticata, quando non sfruttata.
Ma la crisi non è solo economica: è anche e soprattutto sociale. I sardi emigrano, le famiglie si spezzano, i paesi si svuotano, le generazioni si separano. La Sardegna perde la sua “generazione di mezzo”, quella che lavora, produce, costruisce futuro. Il paesaggio che Berlinguer osserva è fatto di vecchi e bambini: una società che rischia di non rigenerarsi più. L’emigrazione, da scelta, è diventata necessità. E questa necessità è la sconfitta di una Repubblica che, a trent’anni dalla Liberazione, non ha ancora garantito uguaglianza di opportunità a tutti i suoi cittadini.
Un elemento di rottura, però, esiste. Ed è la nuova partecipazione femminile. Berlinguer la legge come un’eredità del referendum sul divorzio: le donne non sono più silenziose spettatrici della politica, ma soggetti attivi. A Carbonia, nel comizio del 1974, la presenza femminile di differenti generazioni è forte e visibile. Questo dato, che oggi potremmo dare per acquisito, allora costituiva una rivoluzione politico-culturale. Il voto delle donne non è più solo opinione privata: è azione pubblica, coscienza civile, scelta autonoma. La Sardegna, spesso vista come periferica, anticipa un cambiamento profondo nella società italiana.
Il bersaglio principale della critica di Berlinguer è la Democrazia Cristiana, descritta come «una piovra clientelare, corrotta e corruttrice». Parole dure, che però descrivono con precisione un sistema politico bloccato, che distribuisce potere non in base al merito o alla progettualità, ma in base all’appartenenza. La politica, da strumento di trasformazione, è diventata meccanismo di conservazione. Le risorse pubbliche sono usate per mantenere consenso, non per costruire sviluppo. Berlinguer propone un’alternativa: una politica etica, orientata al bene comune, fondata sulla partecipazione popolare.
Nel suo discorso, Berlinguer riconosce che la nuova legge di Rinascita rappresenta una possibilità concreta per il rilancio della Sardegna. Ma l’entusiasmo è temperato dalla consapevolezza: il rischio è che, come il Piano di Rinascita, venga svuotata di senso da una cattiva gestione. Serve programmazione, visione, controllo democratico. E serve soprattutto una politica che abbia il coraggio di rompere con i meccanismi che hanno prodotto il fallimento precedente.
Berlinguer non si limita alla denuncia: propone un modello alternativo di sviluppo. Non più assistenzialismo, ma valorizzazione del territorio. Agricoltura, allevamento, industria leggera, servizi pubblici: tutto deve concorrere a costruire una società più equa e moderna. L’idea è quella di una trasformazione strutturale, in cui il lavoro non sia più merce rara ma diritto garantito. Una delle intuizioni più moderne di Berlinguer è il rovesciamento della prospettiva sul Mezzogiorno. Il Sud non è una zavorra, ma una risorsa. La crisi energetica e alimentare degli anni Settanta lo dimostra: la Sardegna può produrre energia, carne, latte, conoscenza. Ma ha bisogno di investimenti, non di elemosine. In questa visione, il rilancio del Sud non è una concessione solidaristica, ma un interesse nazionale. Berlinguer è consapevole che senza un cambiamento radicale nella guida della Regione Sardegna, nessuna riforma sarà possibile. La sua proposta è chiara: serve una maggioranza popolare, progressista, onesta, fondata su un progetto comune e sulla partecipazione del Partito Comunista Italiano. Non è solo una questione di numeri: è una questione di credibilità. Senza un cambiamento di rotta, si rischia di affondare ancora una volta. Berlinguer denuncia la strategia del PSI: criticare la DC, ma senza rompere davvero con essa; chiedere rinnovamento, ma solo per ottenere più posti di potere. È una critica alla politica del compromesso senza progetto, che finisce per perpetuare l’esistente. Nel finale del suo discorso, Berlinguer rivendica tenacemente il ruolo governativo del PCI. Non come partito egemone, ma come forza necessaria per il cambiamento. «Non diciamo che solo noi possiamo farlo, ma diciamo che non si può farlo senza di noi». È una visione politica fondata sulla responsabilità, sull’etica pubblica, sulla coerenza. Il PCI non chiede voti per sé, ma per una prospettiva di giustizia, equità e sviluppo.
I discorsi di Berlinguer sono un esempio magistrale di comunicazione politica radicata nel territorio e nella storia. Egli collega le sofferenze personali e locali a problemi strutturali nazionali, offrendo una visione alternativa e unificante. Acquisisce la memoria, l’orgoglio popolare e la sofferenza sociale come forze per mobilitare consensi verso un cambiamento democratico. Non si limita alla denuncia, ma espone un progetto politico con un campo differenziato di valori culturali, economici, sociali, e una visione complessiva specifica, chiara e strutturata, pur nella consapevolezza delle difficoltà.
Nella configurazione delle relazioni politiche che Berlinguer prospetta nel suo discorso si intravede il “compromesso storico” come grande alleanza democratica che include il PCI nel governo, con responsabilità e potere per rinnovare lo Stato e la società italiana. Si scorge, inoltre, la “diversità” rigenerativa del PCI che si offre per aprire un capitolo del tutto nuovo, a partire dalla Sardegna, con una profonda rigenerazione di valori democratici nella società e nel governo dello Stato, in tutte le sue articolazioni. Egli rivolge il suo discorso non solo ai comunisti, ma a tutte le forze che il 12 maggio sono state protagoniste del “no” al referendum sull’abrogazione del divorzio: operai, intellettuali, ceti intermedi delle città e contadini, giovani, donne, affinché la grande occasione delle elezioni regionali, il 16 giugno, non sia sprecata. La sorprendente presenza femminile di differenti generazioni nel comizio di Carbonia, sottolineata dal giornalista come frutto della mobilitazione per il referendum sul divorzio del 1974, con il 72% di “no” a Carbonia, mostra una Sardegna tutt’altro che conservatrice in cui le donne, in particolare, si presentano come nuovo soggetto politico di cambiamento democratico.
Il discorso di Berlinguer a Carbonia è assai importante. Offre una sintesi del suo pensiero che si svolgerà nel corso del tempo e delle occasioni, con varie versioni e finalità politiche: dal “compromesso storico” alla “diversità” come insieme di pratiche politiche alternative al degrado democratico.
Il “discorso di Carbonia”, fatto da Enrico Berlinguer, non è solo un comizio elettorale. Per certi aspetti, appare come un manifesto politico. Per altri versi, offre una lezione di metodo. Per altri ancora, indica punti di vista e di visione democratica ben connessi. Berlinguer ci invita a guardare il presente con occhi lucidi per non rinunciare al futuro. Carbonia, per lui, è una città pratico-simbolica ferita, ma non vinta e ancora protesa verso la produzione di un futuro di equità e di sicurezza vitale. E proprio da lì, da una città che molti davano per finita, lancia un messaggio di impegno per rigenerare le vite della Sardegna e dell’Italia.
Perché, come dicevano quei muri, Carbonia non deve morire, deve vivere. Deve vivere per indicare percorsi vitali di luoghi, territori, persone nella democrazia delle sicurezze create e condivise equamente.

Il discorso di Berlinguer a Carbonia fra ricordi, lasciti e progetti

Non sono stata una fervente berlingueriana. Confesso. In primo luogo non condivisi la parte che egli ebbe nel 1969, come vicesegretario, nella radiazione dei compagni che diedero vita alla rivista “Il manifesto”. Sottoscrissi una lettera di protesta rivolta ai dirigenti del PCI. I compagni di Carbonia non furono espulsi. Si dice che Luigi Pirastu, nel Comitato regionale che ne discusse, sostenne che a Carbonia prevaleva una base stalinista. In realtà i firmatari della lettera, che sosteneva l’esperienza editoriale delle persone accusate di frazionismo, erano giovani e non stalinisti. Tuttavia, questa tesi fu accolta. Sarebbe interessante leggere il verbale di quella riunione. Non avevo condiviso neppure le ragioni che, Berlinguer segretario della FGCI nell’agosto del 1951, gli avevano fatto accostare Maria Goretti alla partigiana Irma Bandiera, come modello di autonomia femminile pagata con la vita. Mi fu difficile ingoiare l’adesione alla Nato, per quanto edulcorata da esigenze di riforma dall’interno, che emerse nell’intervista a Giampaolo Pansa del 15 giugno 1976. D’altra parte, ero così gramscianamente contraria ai comunismi realizzati da poter accettare una Nato da riformare. Non mi piacque neppure la scelta berlingueriana della parola «austerità», usata dal 1977 al 1983, per criticare privilegi, sprechi e consumismi eccessivi, coniugando la critica con una nuova giustizia morale e politica. Avrei preferito la parola “rigore”, anche in riferimento alle esigenze di riforme fiscali.

Quando Berlinguer giunse a Carbonia per il comizio, apprezzavo assai le scelte politiche di Berlinguer per connettere lo sviluppo della democrazia all’avvicinamento del socialismo in Italia e inEuropa. Vari pregi politici di Berlinguer avevano appannato quei miei dissensi, facendomelo sentire più vicino. Prima del suo comizio il gruppo dei comunisti eletti fu convocato nella stanza della Giunta per un incontro con Berlinguer. Ero presente a quell’incontro con Pietro Cocco, Vittorio Piano, Benito Labate, Gianfranco Fantinel, Maria Isabella Piras, Antonio Saba, Antonio Puggioni, Egidio Concu, Antonio Comina, Giuseppe Casula, Emilio Podda, Egidio Corrias, Salvatore Piras. Eravamo tutti in prima e seconda fila attorno a un grande tavolo. Berlinguer era affiancato da Antonio Tatò che prendeva appunti. Sarebbe assai interessante poterne avere accesso. Parlò soprattutto il sindaco Pietro Cocco, dando informazioni cruciali sulla vita della città. Non ricordo cosa farfugliai. Mi è rimasta assai forte la memoria dell’attenzione di Berlinguer che ascoltava e mi ascoltava. Riemerge ogni volta in cui noto dirigenti distratti quando dovrebbero ascoltare. Berlinguer sapeva ascoltare, oltre che parlare. Berlinguer sapeva anche vedere. Le donne, giovani e anziane, erano una presenza in parte nuova nel comizio che avveniva dopo la vittoria contro il referendum per l’abolizione del divorzio. Berlinguer le seppe vedere e seppe capirne l’urgente istanza di modernità, data la percentuale del 72 per cento a Carbonia che distanziava la media regionale del 55 per cento. Le compagne per allestire il palco avevano fatto prevalere il rosa e le gentili gerbere. Egli capì e disse un grazie per l’allestimento del palco. Fu ricambiato con un significativo mazzo di rose rosse che, a nome delle compagne, alla fine del comizio gli diede Luisa, giovane e bella che si era molto impegnata nell’allestimento del palco. Erano briciole di politica che, a quei tempi, erano anche briciole di poetiche. Briciole che nutrivano certi luoghi nel campo dei comunisti e della democrazia italiana: luoghi in cui le donne cercavano di distinguersi sia per le grandi controversie di genere, sia per marcare di sé perfino le qualità delle piccole e invisibili cose.

Eravamo allora orgogliose di essere donne comuniste. Alcune son diventate convinte di ogni svolta, giustificatrici di ogni calo elettorale, soddisfatte di ogni partecipazione governativa. Alcune sono diventate comuniste tristi. Altre, arrabbiate o rabbiose. Altre solo tenaci. Altre “libresche”, rintanate in rifugi letterari o filosofici, offerti anche da teorie di nuovi marxismi.
Credo che non vadano dispersi gli stimoli che la mostra di Berlinguer a Cagliari ha rinverdito o sollecitato. Credo che debba essere promosso un incontro per nuovi impegni di volontaria partecipazione democratica. Una via minima mi pare riguardare la materialità della nostra Costituzione formale, ovvero la realizzazione dei suoi principi. La Costituzione italiana non affronta tutti i problemi attualmente in campo: dall’intelligenza artificiale al fine vita e alla complessità delle questioni ambientali. Tuttavia, può essere un utile punto di partenza che richiama sia l’unità delle opposizioni democratiche, sia l’attuale governo che ha votato fedeltà alla Costituzione, sia le destre con il loro populismo che oscura il disfacimento del popolo impoverito, mentre subisce i privilegi dei vecchi e dei nuovi arricchimenti. Può essere utile, se si vuole.

Si vuole? E chi vuole? E come?

L’esposizione cagliaritana su I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer, se non vuole essere fine a sé stessa e aspira ad avere un seguito di iniziative, può mostrare e a dire assai di più. Può nutrire nuove aspirazioni democratiche. Può esprimere nuove volontà di dare un futuro a progetti di cambiamento egualitario, volontà che l’attuale crisi richiede e che la mostra smuove in ogni intima coscienza profondamente democratica.

Luoghi e parole di Berlinguer in Sardegna non appaiono tutti in mostra. Questo scritto nasce dall’esigenze di dare presenza a luoghi e a parole mancanti, senza esaurirsi in un completamento dell’esposizione. Sorge, infatti, dall’esigenza di un nuovo confronto con le parole di Enrico Berlinguer che incoraggiavano a rafforzare una vita in comune democraticamente condivisa e che la mostra, ora, spinge avanti e altrove.

Paola Atzeni

La sala blu del Centro culturale di Iglesias s’è riempita venerdì 14 marzo per la presentazione del libro “Per Enrico, per esempio – L’eredità politica di Enrico Berlinguer”, di Pierpaolo Farina, organizzata dal Centro Iniziative Culturali Arci di Iglesias, con il patrocinio del comune di Iglesias. Alla presentazione hanno partecipato Bianca Berlinguer, giornalista, figlia di Enrico, che ha collaborato con l’autore, al quale ha rilasciato un’intervista esclusiva pubblicata nel libro; il cardinale Arrigo Miglio, collegato da Roma; il sindaco Mauro Usai e l’assessora della Cultura del comune di Iglesias Claudia Sanna; Salvatore Cherchi, presidente della Fondazione Berlinguer. Hanno moderato gli interventi i giornalisti Giampaolo Meloni e Ottavio Olita.
Il cardinale Arrigo Miglio ha parlato del rapporto tra la Chiesa e il Partito comunista guidato da Enrico Berlinguer, in particolare ricordando monsignor Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, e il “compromesso storico” tra il PCI di Enrico Berlinguer e la Democrazia Cristiana guidata dall’indimenticabile Aldo Moro.
Bianca Berlinguer ha parlato del suo rapporto instaurato con il Sulcis Iglesiente da giornalista nei primissimi anni ’90, per documentare sul TG3, inviata dal direttore Sandro Curzi, le lotte dei minatori, facendo riferimento ad Antonio Calledda (presente in sala), allora segretario della federazione del PCI del Sulcis Iglesiente; del padre Enrico ha ricordato soprattutto il privato, quasi sempre oscurato dal ruolo politico e istituzionale.
Gli interventi si sono sviluppati intorno alla straordinaria statura politica di Enrico Berlinguer, un grande leader stimato anche dagli avversari, che a distanza di oltre 40 anni dalla sua scomparsa, continua a essere il leader politico più amato della storia repubblicana, ancora oggi portato ad esempio, anche da chi personalmente, per questioni anagrafiche, essendo nato dopo il 1984, non l’ha conosciuto, tra questi lo stesso autore del libro, Pierpaolo Farina, sociologo e saggista 36enne, fondatore del primo sito web a lui dedicato.
Al termine della serata, l’assessora della Cultura del comune di Iglesias, Claudia Sanna, ha consegnato a Bianca Berlinguer, come ricordo della città di Iglesias, una miniatura della Cattedrale di Santa Chiara d’Assisi.
Giampaolo Cirronis

Sono trascorsi 40 anni dalla tragica scomparsa di Enrico Berlinguer, avvenuta a Padova l’11 giugno del 1984 ed il suo ricordo e la sua eredità politica sono più vivi che mai. La sua figura e la sua azione a quasi mezzo secolo di distanza, hanno lasciato nella società italiana una traccia indelebile e sono divenute patrimonio comune di più generazioni, da preservare gelosamente.
A distanza di anni dalla sua morte, il suo pensiero politico, alcune delle sue intuizioni e la sua opera continuano ad influenzare il dibattito politico odierno, non mi riferisco esclusivamente al tema della questione morale e del progressivo degrado della funzione dei partiti nella società italiana, ma al suo impegno militante per il disarmo, per una politica di pace e di costruzione di un nuovo ordine mondiale; tema più che mai attuale, come dimostra l’orrore dei tanti conflitti e guerre in corso e la crisi delle relazioni internazionali tra le principali potenze mondiali.
La sua stagione sarà ricordata per la proposta politica del “compromesso storico” che non aveva la sola legittima aspirazione di superare “la conventio ad escludendum” nei confronti dei comunisti italiani, quanto contribuire all’allargamento della partecipazione democratica delle classi lavoratrici al governo del paese.
Come è noto questa strategia prende spunto da una riflessione sui tragici fatti del golpe militare fascista del Cile del settembre del 1973, ma anche dall’esaurimento della formula politica del centro-sinistra che aveva visto l’ingresso del PSI nell’area di governo nel corso degli anni ’60.
In questo percorso aveva incontrato in Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana, un interlocutore affidabile nella sfida per la costruzione di nuovi e più avanzati equilibri politici nel nostro paese, una prospettiva che si è interrotta con il rapimento e l’assassinio dello stesso Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, le quali (non da sole) hanno avuto come obiettivo principale interrompere un processo politico democratico che legittimava l’aspirazione di governo del paese da parte della sinistra italiana.
Per ragioni anagrafiche ho aderito al PCI neri primi anni della segreteria Berlinguer, proprio nel frangente in cui il partito avanzava al paese la proposta politica di “Austerità: occasione per cambiare l’Italia”, inviterei tutti a rileggere oggi, quelle tesi, con la mente libera dal pregiudizio che sovente accompagna il termine austerità, vi troveremo un’analisi e un’idea di cambiamento della società italiana che era propria di quelli che Andrea Mulas (autore di un bel libro su Allende e Berlinguer) definisce “i pensieri lunghi” di Enrico Berlinguer.
Gli anni ’70 sono ricordati come anni difficili soprattutto per la stagione delle stragi fasciste, della strategia della tensione, iniziata con Piazza Fontana nel 1969, l’Italicus, Piazza della Loggia a Brescia da un lato e dall’altro l’abisso in cui precipitò il paese con il terrorismo delle Brigate Rosse.
Va detto, inoltre, che quello degli anni ’70, fu un decennio particolarmente importante per il nostro paese, nonostante le difficoltà richiamate, furono anni fertili e di conquiste per il mondo del lavoro e di crescita per la democrazia italiana, cito ad esempio alcuni dei temi che avrebbero inciso in profondità nella vita civile e democratica dell’ Italia: la conquista dello Statuto dei Lavoratori, l’istituzione delle Regioni, il Decentramento Amministrativo, la Riforma della Sanità nel 1978 e sul piano dei Diritti Civili le Leggi su Divorzio e Aborto, una stagione riformatrice della quale oggi occorrerebbe recuperare, principi, metodo, memoria e insegnamento.
Mi è rimasta impressa nella memoria, una valutazione espressa da Enrico Berlinguer nel suo intervento al Comitato Centrale del PCI successivo al significativo arretramento elettorale alle elezioni politiche del 1979, nel quale rivendicava che l’azione condotta in questi anni dal PCI e dalle forze di sinistra, aveva contribuito ad introdurre nella società italiana, elementi di socialismo.
Una rivendicazione orgogliosa di un impegno coerente per lo sviluppo della democrazia e il progresso sociale e civile dell’Italia Repubblicana e dei risultati che avevano consentito un importante miglioramento delle condizioni di vita dei ceti più popolari del nostro paese.
A gennaio di quarant’anni fa, la sua ultima volta in Sardegna in un “tour de force” nelle quattro province sarde, di questa circostanza, vorrei raccontare alcuni momenti della sua visita del 1984 ai quali ho avuto occasione di assistere da vicino.
Il 1984 si presentava come un anno con scadenze elettorali importanti, si votava per il rinnovo del Parlamento Europeo istituito nel 1979 e si era prossimi al rinnovo del Consiglio Regionale della Sardegna che, avrebbe poi eletto, l’indimenticato Mario Melis a Presidente della Regione Sarda.
La visita del Segretario Generale del PCI era stata preparata con molta cura dalla segreteria regionale guidata da Mario Pani, ed ebbe inizio la mattina del 15 gennaio del 1984, con un comizio tenuto a Cagliari in Piazza della Costituzione, molto partecipato, e proseguì poi per diversi giorni nelle quattro province della nostra isola.
Ho avuto la fortuna e l’onore di poter partecipare a questa straordinaria esperienza e vorrei rendere con semplicità, una testimonianza personale.
A fine settembre del 1983 ero stato chiamato a sostituire Ugo Piano appena eletto sindaco di Carbonia, nel ruolo di funzionario della Federazione Comunista del Sulcis come responsabile dell’organizzazione e in questa veste fui incaricato dall’allora segretario della Federazione, Ignazio Cuccu – dolorosamente e prematuramente scomparso lo scorso 27 dicembre – ad occuparmi degli aspetti organizzativi relativi alla visita di Enrico Berlinguer nella Miniera di Seruci, prevista per la mattina del 16 gennaio 1984.
Nel pomeriggio del 15 gennaio Berlinguer arrivò a Carbonia per l’inaugurazione della nuova sede della Federazione in viale Arsia, dove fu accolto con grande gioia e partecipazione da una folla di militanti di tutto il nostro territorio.
L’incontro venne introdotto da Ignazio Cuccu segretario della Federazione, il quale annunciò nel corso della manifestazione, la decisione del Direttivo della Federazione di intitolare il Salone delle riunioni alla figura di Pio La Torre, assassinato dalla mafia, insieme al suo autista Rosario Di Salvo. Enrico Berlinguer nel suo intervento dedicò un pensiero significativo a questa decisione e disse a tutti i presenti, delle frasi particolarmente toccanti, che mi sono rimaste impresse: «Ricordatevi compagni, che con l’intitolazione di questa sala a Pio La Torre, state assumendo un compito particolarmente gravoso ed impegnativo».
Queste parole testimoniavano ancora una volta la stima politica e l’affetto umano per Pio La Torre, che aveva chiamato a collaborare con lui nelle segreteria nazionale del partito, ma anche un’esortazione severa a tutti noi ad onorarne il nome con la militanza e l’impegno politico quotidiano.
Conclusa la manifestazione si andò per la cena al Ristorante l’Olimpo che era un’ambiente ricavato nello stesso stabile dell’Albergo Centrale, prospiciente alla passeggiata della via Manno, a quei tempi il principale punto di ritrovo delle giovani generazioni di Carbonia; segnalo una circostanza che colpì tutti noi, alla vista di Enrico Berlinguer si levò un’onda di stupore, di attenzione e di meraviglia da parte della piazza: c’è Berlinguer! E’ Berlinguer! Segno che godeva di una grandissima popolarità ed affetto anche tra le giovani generazioni.
Non era stata questa la sua prima volta a Carbonia, c’era già stato da segretario nel 1974 per un comizio nella centralissima Piazza Roma introdotto dall’allora sindaco della città Pietro Cocco e ancor prima nel 1949 a Bacu Abis, quando ancora ricopriva l’incarico di segretario nazionale dei giovani comunisti e di questa visita, gli era rimasto impresso un ricordo preciso, quello di aver parlato dalla finestra di un’abitazione che dava su una piazza (Piazza Portoferrario) e che la manifestazione venne interrotta e dispersa da un’intervento delle forze dell’ordine  ricordo per inciso che in quel periodo la Polizia era guidata dal famigerato Commissario Giovanni Pirrone).
Devo aggiungere che la ricostruzione di Berlinguer coincideva alla perfezione con il racconto che mi avevano fatto i compagni più anziani della sezione di Bacu Abis.
La sera, non si trattenne a lungo per la cena e quindi una parte del gruppo dirigente della Federazione si trasferì con lui all’Hotel Panorama di Portoscuso che era stato pernottato per trascorrere la notte.
Sostanzialmente aveva voluto con se, il quadro dirigente di partito per pianificare la giornata successiva, che prevedeva due momenti di confronto in due realtà industriali molto importanti l’Alsar e la Carbosulcis, il primo curato da Tore Cherchi da poco tempo eletto al Parlamento per un saluto all’Azienda e i lavoratori, il secondo con i minatori incentrato sul tema del rilancio della produzione del carbone.
Avviò un confronto per affinare i temi e le risposte che avrebbe dovuto trattare nel suo intervento, chiese informazioni sulla situazione e sugli umori nelle aziende e tra la classe operaia, con cui si sarebbe dovuto confrontare.
Per me giovane dirigente di partito alle prime armi, fu una lezione politica indimenticabile, particolarmente istruttiva, di metodo, serietà, umiltà e di rigore.
La giornata del 16 mi riservò una sorpresa inaspettata, alle due iniziative menzionate Alsar e Carbosulcis, faceva seguito un incontro istituzionale con il comune di Iglesias, di cui ricordo oltre ad una festosa accoglienza un intervento particolarmente brillante del sindaco della città Paolo Fogu; l’impegno di Enrico Berlinguer proseguiva con una successiva tappa a Guspini e in tarda serata un incontro con i giovani al Liceo De Castro di Oristano, la giornata al seguito del segretario, per me si sarebbe conclusi ad Iglesias a fine mattina.
Ignazio Cuccu oltre a ricoprire l’incarico di segretario della Federazione era stato da poco tempo nominato responsabile regionale dell’Organizzazione di partito, mi comunicò che il pomeriggio saremo dovuti andare ad Oristano al seguito del segretario; l’incontro di Oristano con gli studenti fu molto intenso e partecipato, incentrato principalmente sui temi della pace e delle giovani generazioni. E’ divenuto poi famoso alle cronache per il finale, la cena in pizzeria con Enrico Berlinguer che accolse l’invito proposto da parte di alcuni studenti.
Sono stato testimone della circostanza e voglio dire la mia, Berlinguer appariva, agli occhi di tutti noi, abbastanza affaticato, quello di Oristano era il quinto appuntamento della giornata e quando alcuni dei ragazzi si avvicinarono per formulare ”il temerario invito”, furono “respinti” da Ignazio, preoccupato della stanchezza del segretario, ma i giovani non desistettero dal loro intento e provarono a sfondare con successo da un’altro fronte, ricordo Agostino Erittu, anch’egli componente della Segreteria regionale rispondere ai giovani, chiedetelo direttamente a lui, vedete se accetta?
«Onorevole Berlinguer verrebbe a mangiare una pizza con noi?» molto volentieri fu la risposta, concesse un’intervista ad un’emittente locale e poi si fini tutti da Catapano in pizzeria.
Anche in questa occasione mi colpì la sua capacità di dialogo e di ascolto, un interesse vero, sincero, non formale, la serata si concluse con una passeggiata notturna ad Oristano, accompagnati da Umberto Cocco allora segretario della Federazione, da Franco Sotgiu e da Mario Oggiano e dal suo segretario Tonino Tatò, mentre Ugo Baduel, al seguito si apprestava a redigere la cronaca della giornata per il quotidiano del partito: L’Unità.
Il giorno successivo lo attendevano diversi appuntamenti impegnativi, in particolare un’assemblea con gli operai di Ottana e successivamente un festoso incontro di popolo ad Isalle, una località di campagna tra Orune e Dorgali.
Ricordo che anche l’appuntamento con gli operai di Ottana fu preparato con un’attività istruttoria adeguata e in quella occasione furono espresse alcune preoccupazioni che poi si manifestarono nella giornata successiva, l’accoglienza ad Ottana fu se non fredda, abbastanza tiepida, iniziavano ad emergere anche tra quella classe operaia i segnali che avrebbero portato al grande balzo elettorale del Partito Sardo alle elezioni regionali del 1984, ma questa è un’altra storia.
Il viaggio di Berlinguer in Sardegna, si concluse con successo anche nelle altre due tappe, in Gallura e a Porto Torres.
La sua presenza nell’isola oltre ad aver contribuito al buon esito delle tornate elettorali, molto positive anche per il PCI, aveva assicurato un impegno corale del gruppo dirigente nazionale che venne onorato anche dopo la sua tragica e drammatica scomparsa.
Questo mio ricordo personale di Berlinguer in Sardegna e a Carbonia, non si è volutamente occupato degli aspetti politici della sua visita e delle sue principali implicazioni, non era questa l’intenzione, osservo e credo non valga soltanto per me che, se a distanza di 40 anni dalla sua scomparsa, sentiamo il bisogno di ricordarlo con questo trasporto, significa che ha lasciato un vuoto incolmabile, un segno indelebile nella coscienza e nell’animo di tutti noi.
Si tratta di un’eredità impegnativa, dati i tempi non semplice da coltivare, il mio auspicio è che possa proseguire una riflessione feconda sul suo pensiero e la sua opera a partire dai temi della pace e della necessità di un nuovo ordine mondiale, per il quale aveva speso la parte più importante delle sue ultime energie.
Questo ben al di là degli interessi di partito o di schieramento, il suo pensiero le sue battaglie, non appartengono solo alla sinistra di origine comunista, sono un patrimonio della democrazia del nostro paese, di tutti i democratici di questo paese, per questa ragione la sua lezione non va dimenticata ma riproposta con forza all’attenzione di tutti, soprattutto delle nuove generazioni.
Recentemente Corrado Augias nel corso di una puntata della sua trasmissione La Torre di Babele dal titolo: Cosa resta di Enrico Berlinguer, ne ha definito la fisionomia utilizzando le seguenti parole che riporto testualmente: «Se io dovessi chiudere da estraneo Berlinguer dentro un sostantivo, direi Etica».
Ecco, mi sembra una definizione molto felice e appropriata che riassume con grande efficacia la sua persona e la sua grande caratura politica e morale!

Antonangelo Casula

Nella foto di copertina, da sinistra: Antonangelo Casula; Mario Pani, segretario regionale del PCI nel 1984; Ugo Piano, Enrico Berlinguer; Ignazio Cuccu.

Martedì 5 settembre la Sala del Museo della Memoria e dei diritti Umani di Santiago del Cile, ha ospitato la proiezione del docufilm del regista sardo Marco Antonio Pani: “Ignazio, storia di lotta, d’amore e di lavoro”. Il film è stato prodotto dall’associazione Amici della miniera, in concorso con il Centro servizi culturali della Società Umanitaria Fabbrica del cinema di Carbonia, e con il patrocinio economico della Cineteca sarda, della Fondazione di Sardegna e il patrocinio della Fondazione Berlinguer.

La proiezione del film nella Capitale cilena segue la prima a Carbonia avvenuta il 5 novembre 2022, le successive a Sassari, Cagliari e in diversi altri centri della Sardegna e, infine, quella di Roma del 19 aprile 2023. Hanno partecipato alla proiezione i rappresentanti dell’associazione “Amici della miniera” Antonangelo Casula e Roberto Sanna.

L’evento, rientrava nelle iniziative programmate nell’ambito della ricorrenza del 50° anniversario del golpe fascista dell’11 settembre 1973, che ha abbattuto il governo democratico di Salvador Allende e schiacciato nel sangue il popolo cileno. Sono stati presenti alla proiezione, Autorità di Governo, della politica e della Cultura Cilena.

Di seguito, l’intervento integrale di Antonangelo Casula.

Ignazio Delogu e il Cile. Desidero porgere a nome dell’Associazione “Amici della Miniera” e dei Centri di Servizi Culturali della Società Umanitaria Sardegna un caloroso saluto a tutte le Autorità presenti, al presidente del Museo della Memoria e dei diritti umani di Santiago, la signora Marcia Scantlebury e a Javier Ossandon che è stato per noi un importante e insostituibile punto di riferimento per la realizzazione di questo evento.

Sono molto felice di essere oggi a Santiago con tutti voi per rendere omaggio alla figura di un combattente per la democrazia, la libertà dei popoli, di un amico e di un compagno, inteso nel senso più autentico della militanza politica e civile.

Il bellissimo docufilm scritto e diretto dal regista sardo Marco Antonio Pani, ne descrive la personalità poliedrica e di intellettuale cosmopolita.

Per definire la figura di Ignazio Delogu, occorre fare uso di una moltitudine di definizioni: è stato scrittore, giornalista, traduttore, linguista, storico, poeta e tante altre cose, è stato un grande italiano con l’orgoglio delle radici della sua terra d’origine, sardo e internazionalista come nella migliore tradizione gramsciana.

Era un uomo generoso e di grandi passioni, tra queste quella per la mia città, Carbonia, una città di Fondazione nata nel 1938 alla quale ha dedicato un importante libro sulla sua storia dal titolo: “Carbonia Utopia e progetto”, e una significativa attenzione lungo l’arco della sua vita con la realizzazione di più saggi e inchieste giornalistiche che aveva in un proposito di raccogliere in una pubblicazione alla quale avrebbe dato il titolo di: “Carbonia nel cuore”. Proposito che non si è realizzato per la sua dolorosa scomparsa.

Io però desidero soffermarmi su Ignazio Delogu e il Cile.

Il docufilm pone l’accento sul ruolo da lui svolto nella qualità di segretario esecutivo dell’Associazione Italia Cile negli anni successivi al golpe militare fascista guidato da Augusto Pinochet, 50 anni fa, l’11 settembre 1973, ma l’interesse, la passione, l’amore di Ignazio per il Cile, per il suo popolo, per i suoi artisti, per i suoi poeti, hanno un’origine più remota a partire dai primi anni ’50 del secolo passato.

Mi riferisco, innanzitutto, ad una passione autentica per la figura e l’opera poetica di Gabriella Mistral e di Pablo Neruda e per tutto l’universo della cultura cilena che conosceva e amava profondamente.

Della Mistral tra i tanti, vorrei citare un aneddoto al riguardo, Delogu, nel corso di un convegno tenuto a Nuoro nei primi anni ‘70, sottolinea l’originale parallelismo tra la Mistral e Grazia Deledda, una grande scrittrice sarda, insignita del Nobel per la letteratura nel 1926, partendo dalle motivazioni quasi coincidenti, che hanno portato all’assegnazione del prestigioso riconoscimento, nel quale viene evidenziata la straordinaria affinità tra le due e posta esplicitamente in relazione la personalità delle due grandi scrittrici. Cosa unica credo, nella storia delle motivazioni del massimo premio internazionale.

Nel caso di Neruda invece si trattava di un rapporto personale maturato negli anni. In un primo momento mediato dalle frequentazioni italiane di Neruda a partire dai primi anni ‘50 del secolo scorso, per divenire successivamente un rapporto più personale, Delogu ne dà ampiamente conto nei suoi scritti ed in particolare in un suo articolo pubblicato sul quotidiano del PCI L’Unità il 26 settembre del 1973, a pochi giorni dopo la sua scomparsa; curò inoltre la traduzione in italiano del suo libro di poesie “Incitamento al Nixonicidio” e pubblicò postuma, l’ultima raccolta di poesie del poeta a cui si diede il titolo “Elegia dell’assenza”.

Di quest’ultimo e delle modalità che ne hanno preceduto la pubblicazione, vorrei citare una sua testimonianza contenuta nel suo libro “Pablo Neruda e l’Italia”, cito testualmente: …«è probabile che per molte ragioni, politiche soprattutto, aveva una grande considerazione per i comunisti italiani – ma anche per ragioni culturali, lo abbia indotto a far giungere un messaggio, l’ultimo, proprio a loro, perché lo rilanciassero nel mondo. O forse qualcuno accanto a lui – il poeta Homero Arce, che per tanti anni fu il suo più fidato e intimo collaboratore – pensò di interpretarne il pensiero quando consegno a un italiano, che non conosco, quel dattiloscritto con correzioni di suo pugno, che la direzione del PCI ricevette qualche giorno dopo il golpe, quando ancora era incerta la sorte del poeta. Mi fu consegnato quella stessa notte da un Enrico Berlinguer insolitamente commosso, per stabilirne l’autenticità e curarne la pubblicazione. Era un libro di poesia dal titolo parzialmente incerto. Con l’ausilio di Volodia Teitelboin decidemmo di chiamarlo Elegia dell’assenza…»

La sua funzione nell’associazione Italia-Cile che era meramente politica, non si limito esclusivamente a questo, anche se ne fu assorbito principalmente, coltivò nel suo rapporto con gli esuli cileni in Italia, le sue passioni artistiche e letterarie, che divennero inevitabilmente anche delle grandi amicizie:

– con il grande pittore Sebastian Matta, Ignazio era anche un culture delle arti visive;

– con il gruppo musicale degli Inti Illimani, esule in Italia, con i quali attivò diverse forme di collaborazione, il 4° disco del gruppo “Hacia La Libertad” reca nell’interno della copertina, in calce: “Traduzione italiana dei testi a cura del Professor Ignazio Delogu”… sempre con Jorge Coulón curò la traduzione di un libro con i testi della Nuova canzone cilena e dell’America Latina, dal titolo “Inti Illimani canti di lotta, d’amore e di lavoro”, una definizione questa, che ha influenzato il regista Marco Antonio Pani nella titolazione del docufilm: “Ignazio, storia di lotta, d’amore e di lavoro”.

Altrettanto degna di nota mi pare anche la collaborazione a Roma, agli inizi degli anni ’80, con il laboratorio di poesia dei poeti esuli cileni denominato “ Maruri”. Il gruppo si riuniva presso la Libreria Croce ed era animato da eminenti figure della poesia cilena: Hernán Castellano-Girón, Eugenio Llona, Carmen Guastavino, Eduardo Banderas, Jorge Coulón, Marcos Cáceres, Odette Smith y Antonio Arévalo.

La sua attività politica contro le dittature, in difesa della libertà dei popoli, si è svolta in diversi paesi del mondo: la Spagna durante il periodo Franchista, la Grecia dei Colonelli per citarne alcuni, ma il suo rapporto con la vicenda cilena è stato certamente – non solo a mio giudizio -, il più intenso.

Il suo ultimo libro, pubblicato nel 2010: Parallelo Sud – sottotitolato Patagonia Tragica Terra del Fuoco e altri orizzonti, credo ne sia una significativa testimonianza.

Un piccolo aneddoto su questo libro: lo scrive in polemica con Daniele Del Giudice, uno scrittore italiano scomparso recentemente, autore di un romanzo Orizzonte Mobile, un libro dedicato alla Patagonia e al continente antartico. Delogu sviluppa una critica aspra e senza alcuno sconto nei confronti di Del Giudice e della interpretazione che dà di quel mondo… ma credo che intimamente Ignazio lo abbia scritto spinto dal bisogno di raccontare il “Suo” Cile, a partire dal profondo legame con il presidente Allende, a quello con Pablo Neruda e con tutto il popolo cileno che ha amato intensamente e dal quale, ne è una significativa testimonianza la manifestazione odierna, non è stato dimenticato.

Parallelo Sud è un omaggio alla figura di Salvador Allende, che gli aveva concesso il privilegio di visitare, ospite della Repubblica Cilena, la Terra de Fuoco. Con il presidente Allende, aveva fatto cenno ad una sua conversazione con Francisco “Pancho Coloane” nella quale gli suggeriva di visitare la Patagonia; il Presidente lo incoraggiò a visitarla con le seguenti parole: «E una terra stupenda mi confermò, sono stato Senatore per la Patagonia, ho molti amici laggiù. è opportuno che ci vada. Ha ragione Pancho: non puoi lasciare il Cile senza andarci, anche se so che tornerai».

Qualche giorno dopo Ignazio era già a Punta Arenas, ospite della compagnia di bandiera LanChile. Come nel suo stile, Delogu non si limita ad un resoconto di cronaca, il racconto è a mio giudizio una felice sintesi tra ricerca storica e romanzo, nel quale la lettura degli eventi si succederà attraverso una chiave epica, da Magellano a Catwin e tragica, come sottolineato nel titolo del suo libro, nel quale vengono ricordati i massacri dei popoli aborigeni, delle tribù degli Indios nativi a seguito della colonizzazione spagnola. Altrettanto efficace appare la descrizione dei luoghi, della loro bellezza selvaggia, da Punta Arenas a Capo Horn passando per lo stretto di Magellano.

Per Delogu il viaggio è per definizione avventura, ricerca, conoscenza, curiosità, sono queste, le stesse impressioni che riferisce nel suo girovagare al Nord della Cordigliera attraverso le strade polverose della carrettera di allora, in una dimensione che lo assorbe interamente sul piano intellettuale, umano e spirituale.

Non mi dilungo oltre per ragioni di tempo se non per dire che questo libro, pubblicato nel 2010 ad un anno dalla sua scomparsa, ha il significato di un testamento, un desiderio irrinunciabile di porre un suggello al rapporto con quella terra e con i tantissimi e tantissime persone con cui si era relazionato.

Mi avvio a concludere, in una fase del docufilm vengono scandite molto opportunamente alcune frasi estrapolate dal finale del libro Parallelo Sud, mi scuserete se le ripropongo, ma a me sembrano molto significative per descrivere il legame profondo che Ignazio Delogu aveva maturato con quella che riteneva a pieno titolo anche la sua patria, quella cilena, spero di riuscire a non essere sopraffatto dall’emozione nel leggerle:

Morto Salvador Allende, el Chico.

Morto Pablo Neruda, Pablo.

Assassinato a bastonate il suo amico-segretario, Homero Arce. Trafitto al cuore dalla baionetta assassina di un golpista Victor Jara, l’autore di Venceremos e di Te recuerdo Amanda.

E tanti altri nelle carceri, nei lager, nelle isole o precipitati nel Pacifico dagli aerei della Gloriosa Fuerza Aerea o massacrati sulle navi dell’Invicta Armada.

Se la patria è la terra dove sono sepolti i nostri morti, anche il Cile è la mia patria.

Questo è stato il Cile per Ignazio Delogu.

Antonangelo Casula

Domani 26 aprile, a Carbonia, dalle 17.30, al circolo culturale Euralcoop di piazza Marmilla a Carbonia, si terrà un dibattito pubblico sui temi legati all’ordinamento regionale della Repubblica, organizzato dalla Fondazione Enrico Berlinguer e dall’associazione Festival Premio Emilio Lussu, l’incontro prevede gli interventi introduttivi del sindaco di Carbonia Pietro Morittu e del sindaco di Carloforte Stefano Rombi.

Parteciperanno al dibattito, tra gli altri, Laura Cicilloni, rappresentante del sindacato scuola Cgil sud Sardegna e Mauro Esu, segretario provinciale Pd; Tore Cherchi e Gian Giacomo Ortu, autori della pubblicazione: “La deriva dell’autonomia differenziata. E la Sardegna?”

L’incontro sarà coordinato dalla giornalista Sara Vigorita.

Il 5 novembre 2022, a Carbonia, è stato presentato il film del regista Marco Antonio Pani dal titolo: “Ignazio, Storia di lotta, d’amore e di lavoro”, realizzato per iniziativa dell’associazione “Amici della Miniera” e dai Centri di Servizi Culturali della Sardegna della Società Umanitaria, con il contributo della Fondazione di Sardegna e in collaborazione con la Fondazione Berlinguer, la Sezione di Storia locale del comune di Carbonia, Sarditalianieuropei e altre importanti collaborazioni, ha inoltre goduto del patrocinio del comune di Carbonia che ne ha ospitato la prima proiezione al pubblico.

Il film è frutto di un lavoro di ricostruzione meticolosa di una personalità poliedrica, quella di Ignazio Delogu, nel suo rapporto con la Sardegna e con il mondo; un lavoro complesso che attraversa intensamente la seconda metà del Novecento e ne incrocia significativamente molti dei suoi più illustri protagonisti.

Il merito principale del lavoro di Marco Antonio Pani consiste nell’averci restituito nella sua interezza, la fisionomia di Ignazio intellettuale, attraverso i suoi percorsi di accademico, storico, linguista, giornalista, traduttore per citare alcune delle discipline nelle quali si è cimentato, nei suoi affetti di padre, marito, compagno e nelle sue molteplici amicizie coltivate nei diversi continenti.

Per approfondimenti sulle sue notizie biografiche, segnalo curate dallo stesso autore il link che segue: https ://docplayer.it/2617884-Ignazio-delogu-1-notizie-biografiche.html; sento però il dovere, seppure sommariamente, di sottolinearne brevemente alcuni tratti: laureato in Storia ha iniziato la sua carriera universitaria a Roma, poi a Cagliari e Roma come assistente alla cattedra di Lingua e letteratura ispano americana, a partire dal 1980 alla Facoltà di Lettere Università di Bari è stato professore incaricato di Lingua e letteratura spagnola. Dal 1993 a Sassari è stato titolare della cattedra di Lingua e letteratura spagnola della Facoltà di Lettere e, dalla sua nascita della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, incaricato della cattedra di Lingua e Letteratura Catalane e di Filologia romanza.

E’ stato un Funzionario del Partito Comunista Italiano e collaboratore del quotidiano l’Unità per il quale ha svolto l’attività di corrispondente dalla Grecia, dalla Spagna nel periodo buio della dittatura Franchista e dai paesi latino americani. Questa esperienza gli ha consentito di entrare in relazione e in molti casi di coltivare solide amicizie con molti dei protagonisti della scena mondiale del secondo novecento.

Inizia contemporaneamente l’attività di traduttore per conto della casa editrice Editori Riuniti e ne diventerà di fatto il principale interprete dei testi in lingua spagnola, a lui dobbiamo la conoscenza dei primi testi di Fidel Castro ed Ernesto Guevara sulla rivoluzione cubana, dell’importante produzione poetica e letteraria ispano latino americana, ad iniziare dall’opera di Federico Garcia Lorca, di Rafael Alberti, Josè Marti, Pablo Neruda, Gabriel Garcia Marquez, per citare alcuni dei più noti.

Con alcuni stabilirà un rapporto di amicizia duraturo, quello con Rafael Alberti fu un vero e proprio sodalizio e attraverso lui riuscì a condividere l’amicizia di un altro grande, Pablo Picasso, notevole fu anche il rapporto con Gabriel Garcia Marquez e Pablo Neruda. Di quest’ultimo pubblicò, tra le altre, postuma, l’ultima raccolta di poesie a cui diede il titolo: Elegia dell’assenza, compito assegnatogli da Enrico Berlinguer (circostanza che racconta dettagliatamente nel suo libro su Pablo Neruda e l’Italia).

Nel film, scorrono immagini che testimoniano di un impegno politico che lo vide impegnato a fianco dei po poli in lotta contro le dittature, prima in un ruolo apparentemente defilato che assume evidenza pubblica quando viene incaricato, a seguito del golpe fascista di Pinochet del 1973, come segretario responsabile della direzione dell’Associazione Italia Cile e, infine, in un divertente siparietto nelle immagini televisive che lo ritraggono a fianco di Enrico Berlinguer alla Conferenza di Madrid sull’Eurocomunismo nel 1977, in qualità di traduttore.

Nel film sono presenti le toccanti testimonianze degli esuli cileni in Italia, quella di Horacio Duran degli Inti Illimani e di diverse personalità del mondo della cultura e della politica, si sottolinea il rapporto di stima e di amicizia con il Presidente cileno Salvador Allende assassinato dai golpisti nell’assalto alla Moneda l’11 settembre del 1973.

Proprio al rapporto con Salvador Allende e la vicenda cilena, dedicherà una delle sue ultime fatiche letterarie: “Parallelo Sud – Patagonia tragica, terra del fuoco e altri orizzonti”.

Calato il sipario sulla dittatura fascista, la Repubblica Cilena gli assegnò l’importante riconoscimento dell’Ordine di O’Higgins (un corrispettivo della Legione d’onore della repubblica francese) e al centenario della nascita di Pablo Neruda fu uno dei sette italiani insieme a Giorgio Napolitano e altri cinque ad essere destinatario di una medaglia d’oro commemorativa, coniata in onore del grande poeta cileno.

Nel lavoro di Pani un capitolo è dedicato al suo rapporto con la Sardegna e le città sarde, Alghero dove nacque il 5 novembre del 1928, Usini e Sassari nelle quali trascorse l’infanzia e l’adolescenza e, infine, Carbonia una città che amava e alla quale ha dedicato molte delle sue energie di studioso e di cronista.

Ho conosciuto Ignazio Delogu nel 1978 ma il mio rapporto di personale amicizia con lui, inizia nel 1980, quando ritorna a Carbonia per un’inchiesta giornalistica realizzata per conto del quotidiano romano Paese Sera e dura ininterrottamente sino ai giorni della sua scomparsa, avvenuta a Bitonto (Bari) il 28 luglio del 2011.

Ignazio Delogu, a mio giudizio, è stato tra tutti gli intellettuali sardi, quello che ha dedicato a Carbonia e alle sue vicende, un’attenzione duratura e qualitativamente più significativa.

Il suo rapporto con la nostra città inizia da bambino, suo zio materno Nino Ghinozzi (un ufficiale dell’Aeronautica) lo porta con sé all’età di dieci anni, alla giornata di fondazione di Carbonia, avvenuta alla presenza di Benito Mussolini il 18 dicembre del 1938.

Rimane colpito, Carbonia appare anche agli occhi di un bambino come la città moderna per eccellenza nel panorama urbano sardo di allora, gli dedicherà nel tempo una lunga e curiosa attenzione.

Il suo primo contatto come giornalista risale ai primi anni ’60, già dai titoli che probabilmente non sono solo redazionali, si intravvede il segno delle sue frequentazioni romane, di Carlo Levi in particolare, la cifra stilistica dei suoi articoli è in piena sintonia con la stagione del neo realismo, l’inchiesta dal titolo “Un ritratto di Carbonia”, composta da quattro articoli è realizzata per conto della Nuova Sardegna ed i suoi titoli sono significativi:

Chiusi per anni i minatori ai “medaus” e le ragazze si rifiutavano di fraternizzare;

Dietro la facciata di un mercato fiorente il tentativo di mascherare una realtà squallida;

Nei ricordi, nei racconti amari e concitati la storia di una città che forse muore;

Prostitute, biscazzieri e osti improvvisati vivevano attorno all’esercito dei primi minatori.

Nel 1961 viene pubblicato sul Contemporaneo, un allegato alla rivista politico culturale del PCI Rinascita, un saggio da titolo: Ritratto di Carbonia, è un testo che pur prendendo spunto dall’inchiesta dell’anno precedente, è più meditato, è questo il primo momento in cui inizia a valutare seriamente l’idea di scrivere un libro sulla storia della città.

Realizza altre due inchieste, nel 1980 per conto di Paese Sera, quattro articoli e nel 1984 per conto della Nuova Sardegna, ma in queste circostanze l’attenzione si concentra sulla prospettiva economica, la riapertura delle miniere di carbone, di quelle del settore metallifero e sulle vicende del polo industriale di Portovesme che è, a quella data, il principale polo italiano di trasformazione dei metalli non ferrosi.

Sono questi, gli anni in cui decide finalmente, di dare corso all’idea di scrivere un libro sulla città, un lavoro meticoloso di ricerca presso l’Archivio di Stato a Roma e con frequenti visite a Carbonia per acquisire documenti dall’archivio del Comune.

Questa fatica, troverà successo con la decisione dell’Amministrazione guidata da Ugo Piano, di sostenerne la pubblicazione in occasione delle celebrazioni per il 50° anniversario della Città di Carbonia, viene dato finalmente alle stampe il suo libro: Carbonia – Utopia e Progetto, Valerio Levi Editore.

Si tratta del primo testo nel quale viene rappresentata compiutamente la pur breve storia della città e, soprattutto, in cui vengono svelati contesto e ragioni, per molti di noi ancora inedite, in cui matura questa scelta.

Non si limitò a questo, per i preparativi del 50° della città si rivolse all’amministrazione cittadina con molte sollecitazioni che riguardavano prevalentemente la sfera artistica e culturale.

Nel 1987 venne a Carbonia in compagnia di Costantino Nivola (che poi scomparve prematuramente l’anno successivo nel mese di maggio) proponendolo per un intervento sulla piazza, cito a questo proposito testualmente da una lettera inviata al Sindaco Ugo Piano: «Ti raccomando, in particolare, la collaborazione con Costantino Nivola. E’ un grande personaggio e una grande personalità di sardo, alieno da ogni retorica, ma straordinariamente sensibile e attento. La sua idea di un “muro gravido”, dai molti significati, in una piazza riportata in pristino e da lui magari, anche modificata, mi sembra quella giusta».

In un’altra missiva indirizzata a Pietro Cocco che presiedeva il Comitato per la celebrazione del 50° anniversario della nascita di Carbonia gli sollecitava un contatto con l’ingegner Valerio Tonini per la riedizione del suo romanzo sulla nascita della città “Terra del carbone”, mi pare importante renderne pubblico il giudizio in un passaggio della lettera: «Attorno al libro e alla sua presentazione sarà opportuno realizzare un convegno, chiamando alcuni critici e studiosi della letteratura realista e neorealista, della quale l’opera di Tonini è una vera e propria anticipazione».

Fu lui a mettermi in contatto con il Tonini nel 1991 per avere l’autorizzazione per la ristampa anastatica del romanzo e poiché questi, nella primavera del 1992 venne a mancare, fu lo stesso Ignazio a mettere a disposizione del Comune la sua copia, la copia n° 90.

Nel 1998, insieme a Natasha Pulitzer, contribuì alla realizzazione, in occasione della celebrazione del 60° anniversario della Città, di un convegno dal titolo: “Dalla città di fondazione alla rifondazione sostenibile della città, con un sottotitolo dall’Autarchia alla sostenibilità. Furono invitati Giorgio Muratore storico dell’Architettura, Rossana Bossaglia storico dell’Arte, Francesca Segni Pulvirenti soprintendente regionale, Pasquale Mistretta Rettore Magnifico dell’Ateneo cagliaritano e la marchesa Etta Carignani Melzi, figlia di Guido Segre, presidente dell’ACAI, un convegno al quale partecipò il compianto Antonio Pennacchi inviato della rivista Limes diretta da Lucio Caracciolo.

Sempre per i 60 anni di Carbonia, Ignazio fu ospite del circolo dei sardi di Brescia.

Faccio questi accenni, per sottolineare una passione e un attaccamento a Carbonia che è durato ininterrottamente sino alla sua scomparsa nel 2011.

Aveva in animo di scrivere un libro nel quale raccogliere le sue inchieste giornalistiche del 1960, 1980, 1984 e il saggio del 1961 e mi aveva comunicato la scelta del titolo a cui aveva pensato: “Carbonia nel Cuore”.

Il faticoso lavoro di raccolta dei documenti, i suoi articoli, la sua poderosa produzione letteraria e poetica, che hanno ispirato la realizzazione del film, saranno custoditi in un fondo a lui dedicato, presso la sezione di Storia locale del comune di Carbonia e analogamente, come è stato annunciato, le numerose interviste effettuate per la realizzazione del film, saranno custodite presso il Centro di Servizi Culturali – Fabbrica del Cinema della Società Umanitaria.

Si tratta di materiali importanti che saranno messi a disposizione di chi vorrà, secondo la propria sensibilità e interesse, studiarne ed approfondirne l’opera intellettuale.

Il film, nel mettere in risalto i molteplici interessi con i quali si è cimentato, dedica alla figura di Ignazio Delogu poeta, uno sguardo privilegiato, infatti si conclude proprio con una sua poesia dal titolo: A bortas mind’istracco, che in italiano significa A volte so-no stanco e che vi propongo nella sua trascrizione in italiano.

A volte sono stanco.

A volte sono stanco d’esser sardo, mi si seccano, gli occhi e le labbra mi si gonfiano e il cuore incomincia a saltare come puledro nel campo.

Allora penso a luoghi lontani, forestieri, città dove sono allegre le strade, notte e giorno c’è movimento e sempre ci sono cinema, teatri e gente che saluta e parla come da noi non succede mai.

Gente civile di buoni sentimenti. Me ne vado – dico – me ne vado in luogo lontano forestiero domani me ne vado e non ritorno più saluto zio Barore e Damiano e Tottoi e Michele e Billia e me ne vado senza neanche voltarmi. Mi sembra di sentirli seduti in piazza sui cantoni:

Stai partendo? In buon’ora… se resisti… Altri che te ne abbiam visto partire… Nel caso ritorna… magari di nascosto…

Noi sempre qui ci ritrovi… Me ne vado domani o forse dopodomani.

Stasera mi siedo sulla soglia con uno sguardo saluto i vicini senza una parola e all’alba vado via senza voltarmi.

Spero che sia buon tempo e che per la strada non trovi nessuno perché se vedo gente lo so, mi fermo a chiacchierare e non trovo più il coraggio di partire.

O dico che son già tornato a prendere qualcosa che avevo dimenticato… Ignazio Delogu

Questo testo, credo riassuma fedelmente il nostro proposito di ricordarlo con questo bellissimo docufilm: non lo lasciamo andare via, Ignazio resta con noi!

Antonangelo Casula

La Sala “Fabio Masala” della Fabbrica del Cinema, nella Grande Miniera di Serbariu, ha ospitato stamane la presentazione del progetto della nuova opera cinematografica del regista sardo Marco Antonio Pani, incentrata sulla figura di Ignazio Delogu, uno dei più acuti e prestigiosi intellettuali europei, italiani e sardi. Si tratta di un film documentario che vedrà la luce nel prossimo anno e del quale oggi sono stati anticipati il teaser ed i contenuti.

Il progetto di “Ignazio, storia di lotta, d’amore e di lavoro” è stato presentato questa mattina a Carbonia, nello Spazio Ex-Di’ Memorie in Movimento – La Fabbrica del Cinema nella Grande Miniera di Serbariu, alla presenza dello stesso regista, di Duilio Caocci, docente di Letteratura italiana e Letteratura sarda all’Università di Cagliari, Mario Zara, presidente dell’Associazione Amici della Miniera, Paolo Serra, direttore del CSC Carbonia della Società Umanitaria, Antonello Zanda, direttore del CSC di Cagliari della Società Umanitaria, Antonangelo Casula, ex Sindaco di Carbonia, Pietro Morittu, sindaco di Carbonia, e Mauro Esu della Fondazione Enrico Berlinguer.

Il film, ancora in fase di montaggio e post-produzione, nasce da un’idea dell’associazione Amici della Miniera che ha inteso promuovere un progetto che raccontasse la figura umana, politica e culturale di Ignazio Delogu.

Ignazio Delogu, nato ad Alghero nel 1928 e morto a Bari nel 2011, poeta, traduttore, storico e accademico, critico d’arte e cinematografico, curatore, scrittore, giornalista e corrispondente dall’estero, regista e sceneggiatore, è stato intellettuale tra i più poliedrici e complessi che la recente storia sarda abbia conosciuto. Non basterebbero mille pagine – è stato detto nel corso dell’incontro odierno – a raccontare e definire la figura di Delogu, fondamentale e importantissima per una parte significativa del territorio sardo e per tutta la Cultura regionale, nazionale e internazionale. L’intellettuale sardo non solo è stato impegnato politicamente, appassionato democratico e comunista convinto (per anni è stato uno stretto collaboratore di Enrico Berlinguer), amico di Salvador Allende e poi segretario dell’Associazione Italia-Cile ai tempi della dittatura di Pinochet, ma anche sodale e traduttore dei più grandi scrittori ispanici e latinoamericani della fine del ventesimo secolo.

Arricchito da dialoghi e interviste con personalità degli Atenei di Sassari e di Cagliari, con amministratori delle città di Carbonia e Sassari e con chi lo ha frequentato negli ambienti di cultura ispano-latino-americana, nei quali Ignazio Delogu ha maturato relazioni di elevato profilo e una produzione letteraria rilevante, il documentario è stato finanziato dalla Fondazione di Sardegna e dalla Società Umanitaria Sardegna, in collaborazione con la Fondazione Enrico Berlinguer e l’Associazione Sarditalianieuropei.

Il regista, Marco Antonio Pani, nato a Sassari nel 1966, è sceneggiatore, montatore e docente di regia cinematografica in attività dal 1992. Al suo attivo ha più di quaranta documentari e diversi corti e mediometraggi di finzione, oltre a soggetti e sceneggiature cinematografiche (il suo “Maialetto della Nurra” è stato premiato di recente alla 7a edizione del Babel Film Festival). Il film su Ignazio Delogu è un progetto che lo ha appassionato fin da subito.

«Il compito di circoscrivere nei confini temporali di un prodotto audiovisivo la vita, l’opera e il pensiero di un intellettuale così importante e, purtroppo per larga parte dell’opinione pubblica, ancora così sconosciuto, è stato tutt’altro che sempliceha detto Marco Antonio Pani -. La fase di ricerca ha comportato la realizzazione di ben 34 interviste, con testimonianze di peso come quella della scrittrice Maria Giacobbe, del fondatore degli Inti Illimani Horacio Durán, del poeta cileno Antonio Arévalo, del sottosegretario alla giustizia del Governo Allende, José Antonio Viera Gallo, e molti altri ancora. Ma – ha aggiunto Marco Antonio Pani – è, soprattutto, Ignazio Delogu a raccontare di sé attraverso le sue parole rintracciate negli articoli che scriveva, nelle prefazioni ai volumi che curava, nei saggi e nelle diverse registrazioni che ha lasciato. Ad aiutarlo nella narrazione saranno i tanti testimoni e la voce dell’attore Pino Porcu. Infine, una parte importante la avranno i materiali d’archivio, filmati e fotografici, ma anche i disegni e le animazioni dell’artista ogliastrina Stefania Lai e le musiche ispirate di Luigi Frassetto.»

«Ignazio Delogu, tra tutti gli intellettuali sardi, è stato quello che ha dedicato alla Città di Carbonia e alle sue vicende un’attenzione più duratura e qualitativamente più significativaha detto l’ex sindaco della città mineraria, Antonangelo Casula –. Il suo ultimo lavoro avrebbe avuto per titolo ‘Carbonia nel cuore’ ed era praticamente ultimato, quando la malattia lo ha strappato al suo lavoro e all’affetto dei suoi cari.»

«Ignazio Deloguha ricordato Antonello Zanda, direttore del CSC di Cagliari della Società Umanitariaè stato un grande intellettuale sardo impegnato su molti fronti: poesia e letteratura, politica, giornalismo, insegnamento, arte, cultura sarda. Pur tuttavia ritengo che la sua attività di poeta avesse una centralità che attraversava tutti i campi del suo impegno, investiti da una eticità che respirava nei suoi versi e ne disegnava il profilo esistenziale.»

«La potenza innovativa della poesia sarda e in sardo di Ignazio Deloguha evidenziato il professor Duilio Caocci si deve, oltre che al talento, alle feconde esperienze di lettore, di traduttore, di scrittore poliglotta, di intellettuale cosmopolita.»

«Ho conosciuto personalmente Ignazio Delogu nei primi anni di lavoro all’Umanitariaha ricordato Paolo Serra, direttore del CSC Carbonia della Società Umanitariama, ancora prima, attraverso la lettura di alcuni suoi lavori e soprattutto del suo libro ‘Carbonia: utopia e progetto’. Rimasi affascinato dalla sua figura, dalla sua grande passione e dai suoi molteplici interessi. Ecco perché quando Antonangelo Casula e l’Associazione Amici della Miniera mi hanno parlato della possibilità di organizzare un evento nel decennale della sua scomparsa, ho proposto la realizzazione di un film che testimoniasse il suo impegno e raccontasse le sue infinite sfaccettature. Proprio questo è stato il motivo che ci ha indotto, con grande soddisfazione, ad affidare il lavoro a Marco Antonio Pani.»

Allegate le interviste di Marco Antonio Pani e Duilio Caocci.

 

Verrà presentato alla stampa, venerdì 17 dicembre alle ore 10.30, nei locali dello Spazio Ex-Di’ Memorie in Movimento – La Fabbrica del Cinema nella Grande Miniera di Serbariu, a Carbonia, il teaser del film documentario “Ignazio, storia di lotte, d’amore e di lavoro” di Marco Antonio Pani.
Il film, ancora in fase di post-produzione, nasce da un’idea dell’Associazione Amici della Miniera che ha inteso promuovere un progetto che raccontasse la figura umana, politica e culturale di un grande intellettuale sardo: Ignazio Delogu.
Una figura fondamentale, poliedrica e importantissima per una parte significativa del territorio sardo e per tutta la Cultura regionale, nazionale e internazionale. Ignazio Delogu poeta, traduttore, Delogu storico e accademico, critico d’arte e cinematografico, curatore, scrittore e giornalista, regista e sceneggiatore, corrispondente. Non basterebbero mille pagine a raccontare e definire la figura di un intellettuale tra i più poliedrici e complessi che la recente storia sarda abbia conosciuto.
Arricchito da dialoghi ed interviste di personalità degli Atenei di Sassari e di Cagliari, di figure di Amministratori delle città di Carbonia e Sassari e di chi lo ha
frequentato negli ambienti di cultura ispano-latino-americana nei quali ha maturato relazioni di elevato profilo e una produzione letteraria rilevante, il documentario è stato finanziato dalla Fondazione di Sardegna e dalla Società Umanitaria Sardegna, in collaborazione con la Fondazione Enrico Berlinguer.
Alla conferenza stampa di presentazione interverranno il regista Marco Antonio Pani, Duilio Caocci, docente di Letteratura italiana e Letteratura sarda all’Università di Cagliari, il presidente dell’Associazione Amici della Miniera Mario Zara, il direttore del CSC Carbonia della Società Umanitaria Paolo Serra, il
Direttore del CSC di Cagliari della Società Umanitaria Antonello Zanda, Antonangelo Casula, exsindaco di Carbonia, Pietro Morittu, sindaco di Carbonia,
Mauro Esu della Fondazione Enrico Berlinguer e Antonello Cabras, presidente della Fondazione di Sardegna.

E’ stata inaugurata lunedì sera, a Carbonia, presso la sala del Circolo Soci Euralcoop, in piazza Marmilla, la mostra fotografica 1921-2021 – 100 anni il P.C.I. e la Sardegna, organizzata dalla Fondazione Enrico Berlinguer ed allestita con la consulenza e ricerca fotografica di Renato Brotzu.

La mostra sarà visitabile dal lunedì al sabato, dalle 9.30 alle 12.30  e dalle 16.30 alle 19.30. fino al 3 luglio.

Vediamo uno stralcio dell’intervento di presentazione fatto da Mauro Esu, uno degli organizzatori della mostra.

   

Dopo 76 anni dalla liberazione dell’Italia dal nazifascismo, anche quest’anno, in diverse città, è stata deposta da parte del primo cittadino e delle forze pubbliche, una corona ai caduti, per onorare la loro memoria.

A Carbonia, domenica 25 aprile, in tarda mattinata, si è svolta una breve cerimonia, a cui, visto il delicato periodo che si sta vivendo per la pandemia, aggravato da una realtà quotidiana immersa in una zona rossa da ormai oltre tre settimane, ha potuto presenziare solo una piccolissima parte della cittadinanza.

Nel primo pomeriggio, alcuni rappresentanti dell’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia) hanno depositato in piazza Roma e in diversi altri punti della città, un mazzo di rose rosse, come segno di forte partecipazione al momento che il mondo intero sta vivendo, in seguito alla sfortunata comparsa nella nostra vita del Covid-19. Ecco che, in alcuni luoghi della città, importanti per la commemorazione del 25 aprile 1945, sono apparsi come segno di sensibilità, mazzi di rose rosse. Oltre a piazza Roma, piazza Matteotti, via Gramsci, piazza Pietro Cocco, piazza Nadia Spano, piazza Enrico Berlinguer e piazza Martiri per la Libertà. La speranza, nel cuore di tutti, è che il 25 aprile 2022, possa essere commemorato nella più totale libertà.

Nadia Pische

nadiapische@tiscali.it