Il fondo d’autore di Enrico Costa è stato presentato alla Biblioteca Universitaria di Sassari.
[bing_translator]
Le carte parlano e rivelano molto dei loro autori e del contesto in cui hanno operato, anche a distanza di oltre un secolo. È esemplare il caso del “Fondo Enrico Costa”, presentato nei giorni scorsi a Sassari durante la giornata di studi organizzata dal Circolo Culturale Aristeo d’intesa con la Biblioteca universitaria, nei cui locali ha avuto luogo l’iniziativa.
«Quello del Costa è uno dei pochi fondi d’autore presenti in Sardegna, certamente uno dei più significativi – ha spiegato Simonetta Castia, presidente di Aristeo -, comprende un ricco ed eterogeneo complesso di documenti, oggetti e immagini, come da tradizione: note e appunti biografici, epistolari, album fotografici, opere giovanili mai pubblicate in vita, abbozzi letterari, materiale a stampa e tanti altri elementi che mostrano, in maniera viva e sorprendente, lo spirito multiforme di un grande intellettuale sassarese negli anni della Belle Epoque, una fonte insostituibile per la ricostruzione del suo profilo biografico e del contesto in cui operò.»
A conclusione delle attività messe in campo per i 110 anni dalla morte dello scrittore, giovedì sera si è assistito a un viaggio emozionante, che ha restituito attraverso scritti e immagini, i particolari della vita familiare e professionale di “Enrichetto” e della sua amata città.
«Un Leonardo sassarese», lo ha definito Angela Mameli, vicepresidente della Fondazione di Sardegna, che nell’intervento di apertura ne ha indicato l’aspetto poliedrico, pedagogico (nell’orientare Sassari verso il recupero dei valori di impegno civile e ricchezza culturale del tempo), mentre la direttrice della Biblioteca, Viviana Tarasconi ha introdotto la presentazione del “Fondo” acquisito tra il 2012 e 2013 dalla stessa biblioteca, con l’auspicio di ulteriori accrescimenti.
A illustrare in maniera dettagliata il complesso documentario è stata Simonetta Castia, che ha ricordato come il fondo abbia potuto sopravvivere grazie all’interessamento dei figli Maria e Guido, e ne ha evidenziato la dimensione ancora virtuale nella sua totalità, perché suddiviso tra le collezioni presenti nelle diverse istituzioni e quelle private.
In biblioteca sono conservate la maggior parte delle testimonianze, dalle lettere, agli autografi alle rare fotografie. I tre ritratti più rappresentativi ne mostrano le sembianze da quindicenne, trentenne e, infine, in età avanzata. Una figura, quest’ultima, che ha ispirato la sagoma per il monumento dedicatogli in Piazza Fiume proprio un anno fa.
Simonetta Castia ha illustrato la collana “Scritt’Inediti”, appena arricchitasi di due nuovi volumetti (“Memorie” e la riproduzione anastatica di “Storia di un gatto”), e che proseguirà nel 2020 con diverse altre produzioni, dai racconti-guida ai diari di viaggio all’album dei giudici turritani.
Sugli aspetti della dimensione familiare e sui frammenti di vita si è concentrato l’intervento di Stefania Bagella, che ha rievocato l’identificazione della casa natale in corso Vittorio Emanuele 142 (oggi 112) presa in affitto dal padre Domenico (qui Enrico nacque nel 1841), alla dimora di sua proprietà, la casa in cui visse sino alla morte, che dopo le accurate ricerche del 2009, è stata individuata in una palazzina di via Cavour. La passione per la musica accomunava lo scrittore con tutta la famiglia (il nonno Giovanni Battista era un suonatore di clarino e contrabbasso): passione che sarebbe stata suggellata dal sodalizio con il cugino Luigi Canepa. E ancora il fresco e straordinario corredo di foto, specie quelle di vita familiare, come quella in cui la moglie e i figli posano per gli scatti fatti nel retrostante cortile dell’ultima dimora, tipico degli edifici del periodo umbertino. È dalla dimensione pubblico-privata dell’album “Le ore d’ozio” che emerge, invece, la rete di relazioni intessute in quegli anni.
Ciò che colpisce dell’attività di archivista è invece la presenza delle sue tracce un po’ ovunque all’interno della sezione antica dell’archivio storico comunale, composta da un ammontare di circa cento faldoni, che prima di essere trasferiti a Palazzo Ducale erano custoditi nella soffitta di Palazzo di Città. Come ha spiegato Carla Merella, nuova responsabile dell’Archivio storico comunale di Sassari, si ha l’impressione che nessun documento sia sfuggito all’attenzione del diligente archivista, che commentava i documenti con i segni, inconfondibili, della matita blu e rossa. Tra i documenti contrassegnati spiccano il Libro delle ordinazioni (del 14 agosto 1541, prima attestazione sulla discesa dei candelieri) e il Codice latino degli Statuti sassaresi, che riporta la famosa nota autografa sull’errore di Pasquale Tola. Quindi gli inediti appunti sulla storia monumentale del camposanto di Sassari, descritti con una incredibile minuziosità. A dare un ulteriore tocco di originalità è l’accostamento di una scrittura molto piacevole, quasi una sorta di racconto familiare, a una schedatura tanto razionale ed esaustiva delle carte ritrovate e del loro stato di conservazione.
Un archivio d’autore impareggiabile che, come ha sottolineato la paleografa Valeria Schirru, finisce per diventare uno scrigno delle memorie e una palestra letteraria e che, come è stato evidenziato dalla stessa studiosa, è meritevole di uno studio attento e multidisciplinare.