Grande partecipazione alla Caserma La Marmora per l’incontro sulla “Violenza domestica” organizzato dall’associazione culturale Ammentu.
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«Per abbattere il fenomeno della violenza domestica occorre fare prevenzione puntando su una maggiore specializzazione e un miglior coordinamento di tutti gli operatori. Se continuerà ad essere affrontato a macchia di leopardo ci si dovrà confrontare ancora con tantissime vittime.»
Ne è convinto l’ex comandate dei RIS di Parma Luciano Garofano, a Sassari per il convegno “Relazioni violente e vittime in ambito domestico” organizzato dall’associazione culturale Ammentu alla Caserma La Marmora, accogliendo relatori di altissimo profilo.
Dopo i saluti istituzionali del colonnello Giuseppe Levato in rappresentanza della Brigata Sassari e dell’avvocato Marco Palmieri in qualità di presidente della Camera penale “Enzo Tortora”, a introdurre i lavori è stato l’avvocato Roberto Vannini. Disarmanti i dati presentati dal generale Garofano di fronte a un pubblico numeroso e attonito.
Il numero dei femminicidi negli ultimi anni è rimasto pressoché invariato, ma le cifre presentano tutta la loro drammaticità in rapporto al costante decremento degli omicidi e dei reati in generale. Questo significa che non si riesce ad arginare il fenomeno, che colpisce trasversalmente tutti i ceti sociali. «Si sta abbassando inoltre l’età delle vittime», ha specificato Garofano, che ha menzionato i casi emblematici delle giovanissime Noemi e Desirée. La Sardegna si colloca al decimo posto tra le regioni italiane più colpite nel 2017.
Secondo l’ex generale dei Carabinieri, ora volto noto di Quarto Grado, la normativa sul femminicidio introdotta nel 2013 ha prodotto solo una leggera efficacia: sono aumentate le denunce e gli arresti e c’è stato un seppur minimo calo delle vittime. Ma la legge da sola non basta: sette donne assassinate su dieci avevano già presentato almeno una denuncia o chiamato il 118.
«Occorre fare prevenzione – ha specificato l’esperto -, da un lato attraverso l’educazione, in cui hanno un ruolo fondamentale la famiglia e la scuola; dall’altro puntando su una maggiore specializzazione, anche esclusiva, del personale destinato alle indagini sulle violenze, e costituendo una rete di coordinamento tra operatori, personale sanitario, investigatori e magistrati.»
Non si può scollegare da questi episodi il disagio giovanile, anch’esso in sensibile aumento, che talvolta si concretizza attraverso atti di cyberbullismo.
Tra i limiti della legislazione, ampiamente tracciati dal penalista sassarese Gabriele Satta, compare la mancanza di un disegno organico, dal momento che gli interventi normativi sono spesso mossi dalla forza del sentimento collettivo per situazioni emergenziali. Rilevanti in negativo sono le lungaggini processuali, che rischiano di vanificare gli strumenti di tutela delle vittime. Queste ultime, secondo il parere del legale, dovrebbero poter cristallizzare nell’immediato, davanti al giudice, la propria versione dei fatti, mediante l’incidente probatorio: «Più si accoglie in tempi stretti la versione della vittima, più la si tutela, e si tutela anche la genuinità dell’intero processo».
Ma in quali contesti nascono questi casi di violenza? Come ha spiegato la docente di psichiatria Alessandra Nìvoli, le cause sono molteplici, sono tanti i fattori che possono portare allo sfociare di comportamenti aggressivi: «Ciò che vediamo è solo la punta di un enorme iceberg, e la parte più sommersa rappresenta tutta la violenza psicologica a cui non sappiamo dare un nome, quella meno evidente ma più sottile e subdola, spesso non riconoscibile, che può arrivare sino all’istigazione all’autodistruzione, alla manipolazione perversa e all’annientamento psicologico del familiare». Nelle parole della docente, l’unico modo per riconoscerla è quello di parlarne, per questo gli incontri sul tema sono di fondamentale importanza.
Ma se c’è ancora tanto da fare, il cammino tracciato sembra essere quello giusto. Il procuratore aggiunto della Repubblica del Tribunale di Cagliari, Paolo De Angelis, ha ricordato come solo trent’anni fa la rete sociale arretrasse di fronte a questo tipo di problemi. Allora l’argomento non interessava a nessuno, non richiamava nessuna inchiesta, evento, convegno, mentre oggi è oggetto di studio, analisi, riflessione e formazione. La differenza sta nella percezione del fenomeno e nell’evoluzione culturale che, pur non essendo ancora completata, permette oggi di avere una sensibilità sociale fortissima contro la violenza domestica e contro la violenza di genere: «Quindi si deve intervenire con la repressione da un lato e con la prevenzione dall’altro, sviluppando maggiore consapevolezza e creando un sistema di rete che ben funziona quando tutti gli elementi collaborano».