21 November, 2024
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Per l’8 Marzo ricordiamoci di un giovane donna, Federica Pilloni, cernitrice, rivoluzionaria e femminista! Federica Pilloni fu protagonista delle rivolte popolari di Gonnesa e di Bacu Abis, fu uccisa dai gendarmi dell’esercito regio mentre sventolava un drappo rosso simbolo del lavoro e del riscatto sociale. Tutto ciò accadde nei moti di Gonnesa del maggio 1906, che fu un mese di lotte in Sardegna e della rivolta popolare dovuta alla crescita dei prezzi degli alimenti. Una rivolta spontanea che si estese in tutti i centri principali dell’isola.

Nel Sulcis, specialmente a Gonnesa, per sedare le dure proteste, fu impiegato addirittura l’Esercito. Era il 21 maggio, una data passata alla storia e che ancora oggi viene ricordata per via dell’alto tributo di sangue versato da chi si ribellò rivendicando il diritto di sfamare i propri figli. Pagarono con la vita Giovanni Pili e Angelo Puddu. Con loro la giovane Federica Pilloni, uccisa dal piombo dei gendarmi perché sventolava un drappo rosso, simbolo del lavoro e del riscatto sociale. Gli scioperanti, in maggioranza minatori e lavoratrici delle miniere, presero di mira le cantine gestite dalle società minerarie, simbolo dello strozzinaggio operato dai datori di lavoro. Gli operai venivano obbligati dai padroni al rispetto del vincolo del “Ghignone”, il buono d’acquisto che si poteva utilizzare solamente nei negozi dei proprietari delle miniere, dove si vendeva la merce a prezzi più alti. Merce scadente e cara che portava i minatori all’indebitamento e al ricatto giornaliero, pena il licenziamento e l’inclusione nelle famigerate liste nere che negavano la possibilità di essere assunti negli altri cantieri.

Per alcuni giorni a Gonnesa e dintorni divampò una vera e propria battaglia. Dopo il tragico episodio di sangue, la rabbia scoppiò e si impadronì della folla. Con disordini anche nei cantieri dei villaggi vicini. Ma le forze di polizia ebbero la meglio e per i rivoltosi ci furono punizioni e rappresaglie. Le società minerarie procedettero al licenziamento di centinaia di lavoratori, a cui seguirono gli arresti di massa: 103 minatori furono portati nel penitenziario di Iglesias, per poi essere trasferiti nel carcere cagliaritano di Buoncammino in attesa del processo, che si svolse nel novembre dello stesso anno. Chiedevano pane, latte e generi di prima necessità. Quei moti portarono all’attenzione generale la situazione gravissima e le condizioni di vita al limite della civiltà in cui erano costrette a vivere la maggior parte delle famiglie delle aree minerarie. Molti di quei lavoratori furono scagionati, mentre i condannati subirono pene molto inferiori rispetto alle richieste dell’accusa. Quel maggio del 1906 diede il là al Parlamento italiano per varare un disegno di legge che istituì una commissione d’inchiesta con il compito di indagare sulle condizioni dei minatori sardi.

Le cronache dell’epoca sono abbastanza scarne, ma i fatti di quel maggio sono ben conservati nella memoria collettiva di quei territori, oltre che nei racconti popolari e in alcune poesie a ottave dei poeti improvvisatori sardi. Quella sommossa popolare di 118 anni fa, il ruolo delle donne in testa ai cortei, l’assalto alle cantine e ai forni, ebbero un ruolo importante nella storia del movimento dei lavoratori dell’isola e ancora oggi sono ricordati ogni anno.

Mauro Pistis

La chiamavano “Primavera del 1906”, solo che oltre alla fioritura stagionale crescevano i morti ammazzati per la repressione delle lotte contro il “Caro Pane”. In 12 caddero fra Cagliari (2), Villasalto (5), Gonnesa e Nebida. Nel Sulcis persero la vita in 5: 3 a Gonnesa fra i quali una donna e 2 a Nebida. Persone che lottavano per la sopravvivenza delle famiglie perché con i salari per 12 ore di lavoro, che è il caso di ricordare erano di 2/3 lire per gli Op. Specializzati; 1.60/ 2 lire per i Manovali; 0.60/1 lira per Donne e Ragazzi, dai quali venivano decurtati affitto casa, servizio sanitario, strumenti di lavoro, l’usura degli stessi, oltre a debiti vari rispetto alla fantasia e servizi del datore di lavoro. Redditi con i quali era praticamente impossibile sfamare la famiglia, con il pane che costava 0.30 lire, la pasta 0.60, il formaggio 2 lire e la carne 1.65.

In più vigeva la formula dei ghignoni o buoni spesa, che imponevano di fatto l’acquisto dei generi di prima necessità nei negozi dei padroni delle Miniere che imponevano prezzi più alti e merci più scarse.

Da qui la significativa poesia di Salvatore Poddighe: «Cosa ha inventato il ricco furbone per operare il furto perfetto? Apre di alimentari una rivendita e vende a credito e in contanti. Incassa il salario del Lavoratore e pure gli interessi perché è il Gestore. Gestisce a meraviglia i suoi affari, paga il salario con gli alimentari».

Nel mese successivo, precisamente il 29 giugno del 1906 nasce la CGIL. 40 anni dopo e due guerre mondiali, si avvia il processo che porta alla scrittura della Carta Fondamentale dello Stato e non è certo un caso se a definirla ci sono tutte le forze politiche e del sindacato che trae forti origini dalle lotte organizzate e dai martiri del nostro territorio.

Ce ne sono voluti altri 24 per ottenere i diritti di cittadinanza anche all’interno dei posti di lavoro, con l’approvazione della Legge 300. Lo Statuto dei lavoratori frutto di mille battaglie che partono dal nostro territorio che oggi più che mai, come la nostra Costituzione, bisogna difendere perché per gli attacchi ai diritti non si usa più il fucile ma ben altre e più infide pratiche politiche.

Onorare queste ricorrenze e tramandarle nel tempo è sempre più importante, perché la storia e i fatti insegnano che niente è conquistato per sempre e soprattutto perché la loro morte rimanga ad alto riconoscimento e monito, del loro sacrificio contro i soprusi; ma anche ad esempio dell’impegno, rischi, fatica e dell’unità da profondere per gli interessi collettivi, del Bene Comune e di quello di ogni individuo: Uomo, Donna, Ragazzi e Anziani.

Onore ieri, oggi, domani e sempre a Federica Pilloni, Antonio Puddu e Giovanni Pili di Gonnesa; Carlo Lecca, Efisio Ariu di Nebida.

Roberto Puddu

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Per il Sulcis Iglesiente Maggio è un mese di ricorrenze di grandissima rilevanza per quanto riguarda avvenimenti che hanno tracciato la sua Storia e insieme anche il ricordo di Grandi Uomini e donne, lavoratori, lavoratrici, attivisti sindacali e politici che hanno avuto un ruolo che rimane indelebile nel tempo.

Il 7 maggio del 2006 la prematura scomparsa di Sergio Usai, amatissimo ex segretario generale CGIL Sulcis Iglesiente, in un tragico incidente che con lui ha portato via un imprenditore di Carbonia, Carlo Cancedda.

Un fatto recente che anticipa di pochi giorni il ricordo dei Moti di Iglesias dell’11 maggio del 1920, con 5 minatori Raffaele Serrau, Pietro Castangia, Emmanuele Cocco, Attilio Orrù, Efisio Madeddu, Salvatore Melas e Vittorio Collu, uccisi nella piazza del Municipio ad opera delle forze dell’ordine, chiamate dai Padroni delle miniere per sedare la rivolta in atto per migliori condizioni di lavoro e per una vita più dignitosa. Fatti terribili, di cui quest’anno ricorre il centenario che è stato fortemente limitato nelle celebrazioni, per la situazione di lockdown dovuto alla Pandemia.

Si prosegue con i moti di Gonnesa e Nebida del 1920, che nel 1970 corrisponde all’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, e il 21 maggio del 1906, dove a capo della rivolta popolare c’era una donna, nei quali per la lotta del caropane persero la vita Federica Pilloni, Giovanni Pili, Angelo Puddu, Efisio Ariu e Carlo Lecca.

Infine, il 30 maggio del 2014, la scomparsa dopo una lunga e debilitante malattia, dell’on.le Daverio Giovannetti.

Per molti di noi “Su segretariu”, per il suo lunghissimo operato prima nella Federazione dei Minatori, di cui è stato segretario generale dal 1958 al 1964, quando ha assunto il ruolo di segretario generale della Camera del Lavoro della provincia di Cagliari (che aveva sede ad Iglesias), fino al 1968, per poi essere eletto nel 1970 (ed il 20 maggio di quell’anno ricorre la nascita dello Statuto dei Lavoratori), segretario generale della CGIL della Sardegna. Incarico che ha lasciato per la candidatura alle elezioni politiche nel 1972, nelle quali è stato eletto senatore della Repubblica nelle file del PCI. Ruolo nel quale è stato poi rieletto per altre 2 legislature, terminando quell’esperienza istituzionale nel 1983.

Della sua lunga attività prima nel sindacato e poi al Senato, rimangono tantissimi passaggi memorabili che possono essere riassunti nella sua grande determinazione e nel suo  operato negli anni delle durissime lotte per la dignità di lavoratrici e lavoratori nel luogo di lavoro; dell’equità del salario; per la salvaguardia del settore minerario; il periodo caldissimo della fine di quel ciclo con l’avvento dell’industria e, infine, l’inizio della sua crisi.

Un Uomo che ha vissuto 70 anni di lotte; la Guerra; gli sfruttamenti; le repressioni; la liberazione; la rinascita ed i cambiamenti fra il privato, il pubblico e viceversa; il Piano del Lavoro della CGIL di Di Vittorio e tanto, davvero tanto altro. Con soddisfazioni, rammarichi, anche delusioni, di cui ha lasciato traccia con i risultati e con i suoi scritti.

Nella sua carriera ha incrociato grandi uomini e donne, minatori, tecnici, titolari di società, sindacalisti, politici, rappresentanti delle istituzioni.

Per tutti, credo sia il caso di citare Luciano Lama, per il forte legame, per lo stesso anno, il 1970, della loro elezione, Giovannetti segretario generale regionale, Lama segretario generale nazionale, perché anche lui è stato eletto senatore e, infine, perché ci ha lasciato nel mese di maggio: precisamente il 31/05/1996.

“Su Segretariu” ha pubblicato 3 libri che narrano parte di quella storia, che rispondono a quanto hanno scritto di lui e su quei fatti, altri sindacalisti, studiosi, storici, giornalisti, come Marco Corrias (coadiuvato da Franco Farci) nel suo “Pozzo Zimmerman”, nel quale racconta fin nei particolari l’inusuale battaglia dei minatori che occuparono il Municipio di Fluminimaggiore, trattenendo forzatamente 2 sindacalisti arrivati da Iglesias, il Sindaco, il Prete ed il già senatore Daverio Giovannetti: «Un personaggio noto a Flumini (…) perché molti anni prima era stato minatore e sindacalista. E che sindacalista. Una specie di leggenda vivente (…) intelligente e intransigente, sempre primo nelle battaglie più difficili con i dirigenti che avevano nei suoi confronti un misto di paura e rispetto. Il senatore non riusciva a capacitarsi che gli operai, figli di compagni di tante battaglie lo volessero rinchiudere in una stanza insieme». 

Tentava di andare via e la sua mole quasi glielo permetteva, fino a che alcuni gli urlarono «non ti dimenticare Daverio Giovannetti, che i minatori ti hanno comprato le scarpe perché tu potessi fare il sindacalista, quando venivi a piedi a Montevecchio». Non si sa se fu quella frase ma il Senatore rientrò nella stanza e ci resto fino alla fine della vertenza che, anche grazie al suo contributo, ebbe un esito positivo.

Da sindacalista e da segretario, come ricordato da Marco Corrias (oggi sindaco di Fluminimaggiore), era più che rispettato sia dalle controparti che dai vertici della CGIL nazionale, per la sua capacità nella trattativa, nell’organizzazione delle rivendicazioni e mobilitazioni che non si fermavano certo al contingente ma che badavano alla costruzione di politiche di lungo periodo e nel guardare in faccia la realtà delle cose. A partire dal fatto «che le miniere si esauriscono, hanno una fine, i giacimenti non si ricostituiscono ed i minerali, una volta strappati alla terra, non si riproducono», come scrive nel suo libro “E le sirene smisero di suonare”.  Un libro da leggere e rileggere per capire meglio l’epoca in cui ha operato il Giovannetti sindacalista ed il Giovannetti senatore. Con i colleghi onorevoli che, non a caso, l’avevano ribattezzato “il Minatore d’Italia”.

Un libro, scritto nel periodo in cui era già colpito dalla malattia e che contiene, dunque, ancora più sofferenza nel raccontare le vicissitudini di 70 anni di lotte, analisi, produzione sindacale e politica nel quale ricorda, orgogliosamente, come la battaglia per l’eliminazione delle gabbie salariali partì, fu pensata ed organizzata proprio dalla CGIL della Sardegna. E ricorda bene «la paradossale ostilità della FIOM di Bruno Trentin, perché convinta che la sua eliminazione avrebbe creato scompensi con gli industriali che non avrebbero più investito nel mezzogiorno, come se lo avessero fatto fino a quel momento».

Una lotta della Sardegna principalmente mineraria, che fece strada con scioperi regionali e conquistando i primi accordi, che poi si estese e pian piano diventò di tutti a seguito di un altro forte episodio, che avvenne in un convegno organizzato dalla CGIL a Napoli, per discutere sulle sue strutture meridionali.

Il clima era teso perché non vi era grande convinzione sul portare avanti quella rivendicazione, finché in quella tribuna «un rappresentante della Sardegna dichiarò, che se non veniva presa una forte decisione, nell’Isola si sarebbe dovuto dar ragione a chi sosteneva che la CGIL non comprendeva il problema perché il più meridionale della segreteria nazionale era bolognese». Fu una dichiarazione pesante e certamente ingenerosa, quanto provocatoria, ma fu utile perché provocò la giusta scossa e da quella riunione scaturì la decisione di iniziative nazionali di lotta che poi portarono il risultato rivendicato.

Ma “Su segretariu ” nato e cresciuto nelle grandi lotte del settore minerario che lo hanno permeato nella sua lunga attività, ha utilizzato questa sua formazione per ragionare nei termini generali sul lavoro, sui diritti, sulla dignità, sui temi dello sviluppo equilibrato fra i vari settori dell’economia. E, allo stesso tempo, attento cultore dei processi innovativi, nelle produzioni, nella politica e nella cultura. Il tutto, con una verve critica sul capitalismo quanto sul privato e ancora di più sul pubblico.

Ci ha lasciato 6 anni ad oggi, ma chi ha avuto il piacere e l’onore di conoscerlo, sia direttamente che nei racconti dei compagni, dei colleghi, dei suoi famigliari e dei suoi libri, sa bene che il suo lavoro e il suo pensiero, testardo ma sempre propenso al confronto, all’innovazione e rispettoso delle diverse opinioni, è un patrimonio di tutti gli uomini e le donne del Sulcis Iglesiente, della Sardegna e del Paese.

Roberto Puddu