24 November, 2024
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Estate all’insegna della musica di qualità, a Sant’Antioco. Si rinnova anche quest’anno, per la seconda edizione, l’appuntamento dedicato al grande jazz con il “Sulky Jazz Festival”, al via dal 18 luglio fino all’11 settembre.
La prima edizione del 2019 aveva visto l’esibizione di grandi nomi, tra cui la violinista Anna Tifu, e aveva riscosso un enorme successo di pubblico.
A breve il programma completo della manifestazione 2020.
Federica Selis

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A Buggerru si combatte da anni per riuscire ad avere il depuratore. Fino al 2012 il paese, circa 1.100 abitanti, aveva un impianto di pretrattamento che sarebbe poi dovuto essere sostituito da un depuratore vero e proprio, realizzato dal Comune. Il progetto venne bloccato in seguito ad alcune frane che interessarono l’area dell’ex laveria mineraria, a ridosso del costone roccioso dove si sarebbe dovuta posizionare la struttura. A quel punto, anche la zona in cui sorgeva l’impianto di pretrattamento venne dichiarata inagibile e fu vietato persino ai tecnici l’avvicinamento.
Una serie di serrati confronti sono avvenuti, negli ultimi anni, tra Abbanoa e l’attuale amministrazione, per portare all’individuazione di un punto strategico dove costruire il nuovo depuratore, di cui Buggerru ha urgente bisogno.
«Sono 4 anni che auspichiamo la risoluzione di questo annoso problema dichiara la sindaca Laura Cappelli -. L’ultima riunione insieme ad Abbanoa è avvenuta a fine febbraio. In quella sede il comune di Buggerru ha richiesto che vengano esposte due soluzioni da portare alla cittadinanza. Queste due soluzioni interesserebbero l’area portuale e la zona artigianale. Attualmente però entrambe le zone sono fortemente vincolate. Per la prima, essendo sulla costa, si dovrebbe chiedere una deroga al PPR. Inoltre, su entrambe, c’è un vincolo PAI (Piano per l’Assetto Idrogeologico n.d.r.).»
Abbanoa conferma, attraverso una nota stampa, gli avvenuti confronti con l’amministrazione buggerrese e la volontà di venire a patti con una soluzione, in tempi brevi.
Nella nota rilasciata dall’ente idrico si legge: «Abbanoa ha già aggiudicato l’affidamento dei servizi di progettazione, geologia, coordinamento della sicurezza, direzione lavori, contabilità ed eventuali procedure espropriative per la costruzione del nuovo impianto di trattamento dei reflui, al servizio del centro abitato. Il progetto è ora all’attenzione degli uffici regionali, per le necessarie autorizzazioni relative al piano paesaggistico regionale. È passaggio fondamentale che porterà nei prossimi mesi a bandire la gara anche per la realizzazione dell’importante opera, per la quale Abbanoa investirà oltre 3 milioni di euro. Abbanoacontinua ancora la notaha avviato un serrato confronto che ha portato all’individuazione di un nuovo sito nell’area portuale, alla realizzazione dello studio di fattibilità e all’ottenimento dei finanziamenti da parte di Egas e Regione. Il nuovo impianto sorgerà in un’area sicura e sarà dotato di tutte le caratteristiche tecniche per depurare i reflui, eliminando tutte le sostanze inquinanti.»
Ci si auspica, a questo punto, che l’opera possa essere realizzata in tempi brevi. «Noi lo auspichiamo perché è un problema veramente importante e ne va dell’igiene e della salute pubblica – conclude la sindaca Laura Cappelli -. Ci vogliamo proporre come un comune turistico, una meta turistica, quindi il depuratore è un tassello troppo importante.»
Federica Selis

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Non serviva il Covid per mettere in ginocchio molte aziende sarde. Per alcune di esse la sofferenza era in atto da tempo. Il virus è stato solo la battuta finale di una situazione economica già pesante. Sicuramente la pandemia è servita ad inasprire la crisi, ma nessun settore può ritenersi privilegiato, o avvantaggiato rispetto agli altri, quando la situazione è difficile già in partenza. Nel settore agropastorale e caseario lo sanno bene e da tempo, con la costante lotta per il prezzo del latte e i costi di filiera. Ma nei mesi scorsi anche la produzione ha dovuto subire una battuta d’arresto, causando una crisi ancora maggiore.
«Tutto il settore agricolo e agrituristico legato alle produzioni agricole ha avuto un crollo delle venditeafferma Diego Tidu, allevatore di Gonnesa e rappresentante Coldiretti Gonnesa -. Tutti i prodotti che andavano consumati in loco dai turisti, così così come dagli agriturismi o dai ristoranti, oggi sono fermi. Quindi chiediamo alla Regione o a chi di dovere un aiuto per fronteggiare quest’emergenza e poter andare avanti.»
È il momento di proporre delle soluzioni alternative, sempre che ce ne siano. Una proposta molto particolare arriva da Francesco Giganti, presidente dell’Associazione “Banco Alimentare e Culturale” di Carbonia.
«Noi crediamo nel tessuto economico della Sardegna. Abbiamo preso contatti con l’ambasciata americana a Roma. Ci hanno risposto immediatamente e si stanno creando i presupposti per cercare di aiutare e sostenere le imprese sarde. Il prossimo passoconclude Francesco Gigantisarà definire, nello specifico, come fare. Poiché negli ultimi 70 anni i Sardi hanno dato tantissimo agli Stati Uniti, noi chiediamo a gran voce, ai fratelli americani, di sostenerci in questa battaglia.»
Un tentativo, quello di Francesco Giganti, nato da una sua personale idea e che cerca il sostegno degli imprenditori isolani, strozzati dalla morsa di un disastro finanziario senza precedenti.
Ad aggiungere sale sulla ferita della già disastrosa crisi economica si è aggiunto un problema legato alla produzione delle mascherine. In periodo di pandemia ne servono illimitatamente e la produzione non basta a soddisfare la richiesta. Per sopperire alla mancanza, alcune aziende, anche sotto lo stimolo dato dallo Stato, hanno deciso di riconvertire la propria produzione in quella di mascherine, con l’obbligo, per alcune di loro, di acquistare i macchinari adatti. Per questa ragione, pochi mesi fa è nato il Consorzio Sardo Produzione Mascherine, che racchiude tutte le ditte impegnate in questa riconversione.
«All’interno del nostro Consorzio ci sono aziende sia del Sud che del Nord Sardegna, che producono mascherine in quantità industrialespiega Ciro Senis, titolare di un’azienda produttrice di divani, a San Gavino Monreale -. Abbiamo una capacità produttiva di 90 mila mascherine al giorno. Siamo stati accolti in Regione, all’Assessorato all’Industria, che ci ha promesso mari e monti ma fino a oggi non si è vista ancora nemmeno una commessa da parte della Regione.»
Soldi spesi invano, sulla promessa di una produzione industriale che non ha ancora portato a nulla.
«Durante il blocco dei mesi scorsi, queste aziende hanno subito un crollo delle venditeprosegue Ciro Senis -. Quindi ci siamo riconvertiti e messi a produrre mascherine. In seguito ci siamo consorziati per poter fornire la Regione Sardegna e la Protezione civile. Abbiamo ricevuto un sacco di promesse ma fino a oggi non è ancora arrivata una sola richiesta concreta, da parte di nessun ente.»
Il disappunto principale di Ciro e degli altri consorziati sta nel fatto che, per alcuni di loro, si è trattato di impegnarsi in investimenti di una certa portata, in cambio di promesse che non sono state mantenute. La speranza è che la situazione si sblocchi e le commesse possano arrivare nei mesi futuri.
Stessa sorte è toccata a Gabriele Concas, titolare di una ditta di Gonnesa che produce materassi.
«Ci hanno fatto riconvertire, con la promessa di poter essere d’aiuto alla popolazione, per via della scarsità di mascherine. Invece così non è stato. Terminata la produzione è andato tutto in fumo. Chi ha speso per fare la riconversione si è trovato con un investimento fatto ma nessuna commessa.  Quando la Regione spese 20 milioni di euro per un polo tessile a Olbia, ci disse che la nostra riconversione sarebbe stata d’aiuto per riprendere quell’investimento, invece non se ne è fatto nulla. Sono stati tutti molto entusiasti del nostro progetto però, ad oggi, non abbiamo ancora nulla in mano.»
Chissà se una risposta arriverà almeno da parte degli americani.

Federica Selis
 

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Le regole sul distanziamento dei tavoli avevano portato ad un’idea di partenza non positiva a chi si occupa di ristorazione ed accoglienza. Nella realtà, la situazione si è rivelata differente e i locali sono spesso pieni, nonostante tutto, tanto che per le prenotazioni è talvolta consigliabile chiamare con largo anticipo.
Ma per chi si occupa di pescaturismo non è altrettanto semplice. Le barche dispongono di spazi ristretti ed i posti a tavola, a causa del distanziamento, non consentono di poter ospitare un numero di persone tale da riuscire a rifarsi nemmeno delle spese d’uscita. Non tutti, quest’estate, riaccenderanno i motori.
«Quest’anno, per quel che mi riguarda, sarà un anno in stand byafferma Mauro Pintus, comandante della “Alessandro P.” -. Io difficilmente farò pescaturismo. Le disposizioni non sono ancora abbastanza chiare. Soprattutto per quanto riguarda la ristorazione a bordo. Penso che sarà difficile tenere le persone distanti. Si dovrebbe magari rinunciare alla metà delle presenze. Quindi, sono più orientato sulla pesca, rispetto alla pescaturismo. Speriamo nell’anno prossimo.»
C’è anche chi, però, quando lo spettro del Covid non era ancora all’orizzonte, ha deciso di investire in una barca nuova. Come Antonello Vadilonga, comandante della “Nuova Antonina”. «Non si sa ancora nulla. Non sappiamo come comportarci. Se dobbiamo rispettare un metro di distanza, tanto vale che la barca rimanga ormeggiata. Abbiamo pochi posti già in partenza. Non abbiamo speranze per questa stagione.»
Di diverso avviso, Alessio Serra, della barca da pesca “I due Fratelli“, che ha deciso comunque di provarci, nonostante le limitazioni legate al Covid condizionino le scelte di tutti. «Di solito partiamo dal 15 giugno. Quest’anno siamo un po’ in ritardo. Comunque, siamo pronti a partire. Metteremo in atto il distanziamento a bordo, anche se sarà un problema tenere tutti a distanza di un metro gli uni dagli altri. Di solito ospitiamo 12 persone, quest’anno non avremo questa opportunità. Cerchiamo comunque di salvare il salvabile e recuperare il terreno perso.»
Il rischio c’è ma la stagione non appare terribile come si prospettava in primavera. Il numero di presenze nelle località di mare è molto inferiore rispetto a quello degli anni scorsi ma si spera in luglio ed agosto. Dopotutto, l’estate è appena agli inizi.
Federica Selis

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Una vecchia stazione dismessa da acquistare e trasformare in bed&breakfast. Un’attività imprenditoriale da lasciare ai figli, immersa in un ambiente bucolico, ad una manciata di chilometri dalla diga di Monte Pranu, a Tratalias. È ancora questo il sogno di Pino Mei e di sua moglie Antioca Lucia Garau, imprenditori del paese.
Pino Mei si è sempre occupato di turismo ma la sua idea era quella di riportare in vita una vecchia struttura abbandonata, per trasformarla in un’opportunità di lavoro per alcuni giovani del luogo.
Ma il suo sogno si è infranto contro le contraddizioni della burocrazia.
Pino, infatti, nel 2001 fa richiesta al demanio di poter acquistare l’edificio, in decadenza, della vecchia stazione di Tratalias. Aspetta due anni prima di ricevere risposta ma, finalmente, nel 2003 arriva la tanto attesa conferma.
«Nel 2001 chiesi al demanio dello stato che mi fosse venduta questa struttura e nella primavera del 2003 mi arrivò la risposta positiva racconta Pino MeiIn seguito, però, venni contattato nuovamente e mi
sentii dire che momentaneamente era accantonata l’idea della vendita e che avrei potuto prenderla in locazione per poter portare avanti i miei progetti. Solo successivamente, se si fossero presentati altri presupposti, me l’avrebbero ceduta.»
Pino Mei però, nel frattempo, fiducioso per la prima risposta positiva, propone il progetto per un bed&breakfast, che viene ritenuto valido. Gli erogano un finanziamento di 150mila euro, attraverso la legge 215, per l’imprenditoria femminile. Lui fa i lavori, rimette a posto la struttura. Le dà un aspetto, almeno esteriormente, rustico e al contempo elegante. Il sogno sta per realizzarsi, manca ancora la sistemazioni degli interni, che rimangono grezzi. Ma ecco che arriva la richiesta di accantonamento da parte del demanio. Pino Mei è costretto a restituire i soldi del finanziamento, perché il progetto non può più essere mandato avanti. I lavori si fermano.
«A quel punto ho dovuto subire anche i costi, non soltanto per prendere questi soldi ma anche per rimandarli indietro.»
Si va avanti, intanto, e Pino Mei fa un’altra richiesta di finanziamento, di circa 120mila euro, da erogare attraverso il Piano Sulcis. La struttura è grande, si sviluppa su tre livelli, per un totale di sette camere. In totale 20 posti letto. Può fare da volano al turismo locale, dare lavoro ad alcuni giovani del paese.
Pino Mei lotta da 20 anni con Comune, Regione e Demanio, perché si sblocchino questi passaggi burocratici. Adesso però pensa a quali saranno i prossimi passi da seguire.
«Ci rivolgeremo al Consiglio di Stato, perché il Tar ha sentenziato provvisoriamente di non poter ritenere accoglibile la richiesta. Chiaramente, hanno preso in considerazione solo le loro motivazioni ma non hanno considerato tutte le autorizzazioni che abbiamo avuto dall’inizio del progetto.»
Il sogno di Pino Mei è tutto racchiuso in un appello che rivolge al presidente Christian Solinas. «Al presidente della Regione potrei chiedere poco, dal momento che il bene, in questo momento, è di proprietà del Comune. Mi è stato dato in locazione per 30 anni. Però vorrei comunque avere giustizia per tutte le cose che ho avuto contro.»
 Federica Selis

 

Sventata rapina la notte scorsa, intorno alle 23.00, in piazza Sella, a Iglesias. Un giovane, dall’apparente età di 25 anni, dichiaratosi residente a Piscinas, ha effettuato il furto di una borsa di una giovane mamma seduta su una panchina. Il rapinatore, dopo aver tentato la fuga per le scale che conducono al Castello Salvaterra, è stato inseguito da una quindicina di giovani che si trovavano in piazza Sella ed avevano assistito dall’episodio. Tra loro, Nicola, 35 anni, di Iglesias, che ha prontamente fermato il malvivente e recuperato la borsa, riconsegnandola alla proprietaria. Il borseggiatore è stato riaccompagnato in piazza dallo stesso Nicola, che è rimasto con lui, tenendolo sotto controllo, fino all’arrivo dei carabinieri. Il rapinatore, che appariva in evidente stato confusionale, è stato arrestato e condotto in manette presso la stazione dei carabinieri di Iglesias. Federica Selis

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Partiranno a breve i lavori di rimozione del relitto della Cdry Blue, la nave mercantile di 108 metri, arenatasi la notte tra il 21 e il 22 dicembre scorso sulla costa sud ovest dell’isola di Sant’Antioco, tra Portu Sciusciau e Capo Sperone.
Già da qualche giorno, sono arrivati al porto commerciale di Sant’Antioco il pontone, munito di gru, ed il rimorchiatore della Resolve Marine, l’azienda americana che dovrà occuparsi dei lavori di taglio e smantellamento del relitto della nave.
«Al momento si stanno approntando le apparecchiature a bordo per il successivo trasferimento sul sito della Cdry, per le operazioni di demolizione», dichiara Bernardo Camboni, manager della Seamar, la ditta di Cagliari, rappresentante in loco della Resolve Marine.
La demolizione seguirà tre fasi precise, come spiega ancora Bernardo Camboni: «Sono previste tre macro fasi. La parte “opera morta”, ovvero il taglio di tutta la parte che sta sopra la linea di galleggiamento, sarà divisa in due fasi. A cominciare da poppa, saranno tagliate tutte le infrastrutture fino ad arrivare a prua. Una volta rimossa la parte di opera morta verrà demolita la parte immersa, quindi stive e sala macchine».
Come avverrà questa operazione?
«Probabilmente la nave sarà riafflottata con dei galleggianti, per poter operare con più sicurezza e facilità.»
Il mercantile verrà “sminuzzato” in pezzi molto piccoli e si prevedono due possibilità di smaltimento: il trasloco diretto dal relitto al cantiere oppure un passaggio intermedio, con le parti che verranno trasportate al porto di Sant’Antioco e da lì spedite al cantiere di demolizione. Salvo condizioni meteo avverse, il pontone resterà accanto alla nave e rientrerà in porto una volta a settimana.
La Resolve Marine è tra le tre migliori aziende al mondo che si occupano di smantellamento navale. Tra i lavori più importanti di cui è stata protagonista ci sono quelli di recupero della Costa Concordia.
«Sono tre le aziende al mondo cosiddette “big”prosegue il manager della Seamar -. Tra queste c’è la Resolve. Quindi abbiamo il top del top. Si tratta di una ditta che ha una professionalità indubbia, nel merito di questo tipo di operazioni.» La previsione per la durata dei lavori è di circa due mesi. Saranno le condizioni meteo ad influire maggiormente sul processo.
«Si lavora d’estate proprio perché il tempo dovrebbe essere più favorevole rispetto all’inverno – prosegue Bernardo Camboni -. Anche perché la nave si trova in un’area aperta, verso il mare aperto, esposta ai venti predominanti da ovest e da sud-ovest.»
Il controllo a sostegno delle operazioni sarà effettuato dalla Guardia di Finanza. «Il servizio navale della Guardia di Finanza, quando richiesto dagli enti competenti, mette a disposizione il proprio naviglio, per porre in essere quelle che sono le attività richieste, a supporto di specifici eventiafferma il Capitano Stefano Sogliuzzo, comandante della Stazione Navale di Cagliari, che ci ospita a bordo del Guardiacoste “G204 Finanziere Garulli“, per un sopralluogo a distanza della Cdry Blue -. Qualora richiesto, siamo a disposizione come servizio navale, attraverso l’impiego di nostri mezzi navali e aerei. Questo, anche qualora ritenuto necessario, da parte di chi ha il compito di rimuovere la nave da questa posizione.»

Il tratto di mare interessato dai lavori sul mercantile, intanto, resterà interdetto al traffico marino e diportistico. «Interdetto non solo per la posizione della naveprosegue il comandante Stefano Sogliuzzo ma anche perché, in questo tratto, la costa è abbastanza particolare e ci sono dei punti in cui il diportista deve fare più attenzione durante la navigazione.»
Una navigazione resa pericolosa per via delle secche e degli scogli a pelo d’acqua, non visibili ad occhio nudo, soprattutto in circostanze come quelle che portarono il mercantile ad arenarsi sulla costa, durante una notte di forte burrasca. Condizioni meteo marine avverse non rendono il lavoro facile nemmeno agli uomini della Guardia di Finanza, che talvolta si trovano a risolvere situazioni di emergenza anche col mare in tempesta.

«Potete notare, anche con pochi centimetri di onda, quanto possa essere difficoltosa anche la semplice vita a bordo di un’imbarcazionespiega il Capitano Stefano Sogliuzzo -. Chiaramente, tutto ciò si va a complicare ulteriormente quando ci ritroviamo a dover operare in situazioni con mare ancora più formato e quindi con condizioni più critiche. Sicuramente non facilita l’operato degli uomini della Guardia di Finanza.»
Federica Selis

 

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Negli ultimi giorni, favoriti anche dalle buone condizioni meteo, sono aumentati gli sbarchi di migranti nelle coste sud della Sardegna. In particolare, in tre diversi momenti, sono arrivate, sulla costa di Porto Pino, un centinaio di persone.
Il pattugliamento a mare è affidato alla Guardia di Finanza, che attraverso mezzi navali e aerei, effettua le operazioni di controllo e monitora gli arrivi.
«Il servizio navale della Guardia di Finanza svolge un’attività molto intensa, soprattutto in questa zona particolarmente interessata dai fenomeni di migrazione afferma il capitano Stefano Sogliuzzo, comandante della Stazione Navale di Cagliari, che ci ospita sull’unità navale “G204 Finanziere Garulli”, un guardiacoste di 22 metri di stanza a Cagliari -. Nello specifico vengono eseguite delle attività cosiddette di “law enforcement”. Attraverso l’impiego dei mezzi navali si riesce a fare un’attività di interdizione dei traffici illeciti che porta al deferimento, verso l’autorità giudiziaria competente, dei cittadini extracomunitari, con il successivo sequestro sia del natante, quindi dell’imbarcazione utilizzata e del motore.»
Di assoluta importanza, anche visto il periodo delicato sul piano della salute, il controllo costante e quotidiano effettuato nei nostri mari.
Prosegue il comandante Stefano Sogliuzzo: «Cerchiamo di essere presenti in zona, ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette. Operiamo attraverso una cooperazione aeronavale, che prevede sia l’impiego di unità navali sia di elicotteri, con delle ricognizioni a medio e lungo raggio, in modo tale da monitorare eventuali traffici diretti verso le coste italiane. Cerchiamo di essere costantemente presenti per contrastare questo tipo di fenomeno».
Un lavoro di sinergie terra aria, quindi, ma a volte può capitare che siano i cittadini stessi a collaborare nell’individuare situazioni critiche con cui vengono a contatto. Come la segnalazione avvenuta, proprio ieri mattina, da parte di alcuni bagnanti, di un barchino con tre persone a bordo, davanti alla spiaggia di Porto Pino. L’allerta arriva immediatamente al guardiacoste “Finanziere Garulli”, che si trova poco distante dalla costa. Contemporaneamente, da una barca a vela in navigazione arriva la segnalazione di un barchino in legno, vuoto e senza motore, ritrovato alla deriva. Pare che i bagnanti a terra avessero visto la stessa barca a vela salvare le tre persone nel barchino, caricandole a bordo. L’equipaggio della motovedetta intercetta la barca a vela, abborda ed effettua i controlli. L’allarme è alto. Se la situazione è davvero quella descritta si potrebbe trattare di una condizione di pericolo. Ma quando la “Finanziere Garulli” accosta all’imbarcazione a noleggio, si trova di fronte ad una famiglia di quattro persone in vacanza. Nessun migrante disperso in mare e salvato dall’equipaggio ma solo un barchino alla deriva di uno sbarco avvenuto nei giorni scorsi. I militari accertano la situazione, effettuano i controlli dovuti e la barca a vela può riprendere il viaggio. Il livello di adrenalina torna normale ma l’equipaggio della “Finanziere Garulli” ha gestito l’emergenza con prontezza ed estrema preparazione.
Chiediamo al comandante Stefano Sogliuzzo come dovrebbero comportarsi i cittadini di fronte ad una situazione di avvistamento o di pericolo in mare.
«La Guardia di Finanza ha una vocazione sociale. Cerchiamo di garantire una sicurezza per far star tranquillo il cittadino. È chiaro che se ci fosse una circolarità informativa anche nei nostri confronti, qualora un bagnante intraveda qualsiasi tipo di attività ritenuta anomala, la Guardia di Finanza è a disposizione della collettività. Quindi aiuta e facilita il nostro operato.»
La “G204 Finanziere Garulli” è un’unità navale di 22 metri, dotata di due motori da 1.500 cavalli ciascuno, che possono raggiungere i 35 nodi di velocità massima. Con un’autonomia di 11mila litri di carburante, alla velocità di crociera di 25 nodi, il Guardiacoste può permettersi una navigazione continuativa di 24 ore. L’equipaggio a bordo è composto da 9 militari che, in caso di missioni più impegnative, possono essere integrati da altri 3 uomini, ognuno con una diversa specializzazione e una specifica mansione. La gestione del mare e delle emergenze è garantita da un’ampia strumentazione di bordo e da due radar.
Spiega il Capitano Stefano Sogliuzzo: «Siamo dotati di un radar di navigazione e di un radar di scoperta, maggiormente performante, per poter agganciare degli echi anche a distanze notevoli».
Le caratteristiche dell’imbarcazione aiutano ma a bordo la vera forza dell’equipaggio è l’affiatamento.
«Sicuramente la tecnologia e la struttura dell’imbarcazione facilitano l’operatoconclude il Comandante -. Ma quello che è più importante è sicuramente il fattore umano. È l’esperienza maturata dalle persone che sono presenti a bordo di queste unità navali, che svolgono con passione questo lavoro tutti i giorni e che quindi hanno maturato quella conoscenza sia del territorio ma soprattutto di un ambiente così particolare come quello marino.»
Federica Selis

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Un’estate che parte con tutti i migliori presupposti, quella di Sant’Antioco. Dopo il successo del Natale 2019, l’Amministrazione comunale ed il Centro Commerciale Naturale accorpano di nuovo le forze e rimettono in sesto una stagione che sembrava destinata a non poter decollare. Lo fanno mettendo insieme una rete che aggiunge, ad una serie di nuove professionalità, gli sforzi di commercianti ed esercenti che, unendosi, permetteranno alla cittadina lagunare di mettere in campo soluzioni ideali per un turismo adatto a tutte le esigenze. Micro eventi, escursioni e, soprattutto, tanta attenzione verso la sostenibilità ambientale.
«Invece di star fermi, abbiamo pensato di salvare il salvabileafferma Giovanni Esu, presidente del Sulki CCN di Sant’Antioco -. Si parte con l’accelerata che si è data con il piano strategico, nel tentativo di costruire da subito un piccolo prodotto turistico, con tutta una serie di proposte esperienziali. Abbiamo provato a  contattare tutti gli operatori che già erano attivi. Partiamo dalle attività museali, per arrivare a quelle consolidate di pesca turismo, giri in barca, escursioni in quad e a cavallo. Insomma tutto quello che c’è sull’isola. Cercando di costruire nuove attività per dare anche nuovi stimoli.»
Sant’Antioco isola sicura, serena e sana, come esprime il motto che campeggia in molti punti cruciali della cittadina lagunare. Sicurezza affidata alla gestione di tutti i protocolli inerenti le norme sanitarie e che sono stati sottoscritti dagli operatori. La parte serena e sana affidata invece a tutto quello che è il patrimonio naturalistico dell’isola, che è stato coordinato e messo a sistema.
«Ci siamo occupati di formare delle guide turistiche, dando loro una preparazione anche per quanto riguarda le lingue straniereprosegue Giovanni Esu -, abbiamo creato delle esperienze e stimolato le attività a proporre delle cose nuove. Tutto questo è stato raccolto in un pacchetto che viene messo a disposizione del turista. Siamo pronti, col personale dell’Infopoint, a presentare e raccontare il territorio, impacchettando la vacanza in base a quelle che sono le esigenze del singolo turista.»
Un lavoro basato su metodi innovativi, anche attraverso schermate video che presentano tutte le attività che è possibile svolgere, con personale formato appositamente anche su quelle che sono le attenzioni dovute al rispetto della salvaguardia ambientale.
«I ragazzi sono capaci di trasmettere al turista l’attenzione che bisogna mettere nel rispetto del patrimonio naturalistico di Sant’Antiocodice ancora Giovanni Esu -. L’abbiamo fatto in accordo col Centro di Educazione Ambientale e apriamo con la capacità di costruire un piccolo prodotto turistico.»
Turismo sostenibile inserito in quella che è la nuova idea di turismo esperenziale, inteso come elemento di punta di un nuovo modo di fare accoglienza in maniera professionale, preparata e intelligente, investendo anche sulla formazione degli operatori.
«Una serie di esperienze continue, che si possono svolgere tutti i giorni. Microeventi da proporre e ripetere più volte, senza perdere mai di vista il messaggio che il paese vuole lanciare: l’isola del benessere, l’isola dove si può venire in sicurezza e godersi una bella vacanza, con tutta una serie di attività che possono riempire le giornate di permanenza di un turista.»
Si lavora con azioni precise, mirate, messe in campo dall’amministrazione con il contributo di un CCN che funziona. Una di queste azioni punta a rivalutare un altro aspetto importante dell’isola: il vino Carignano. Un’altra punta di diamante del territorio.
«Si tratta di un prodotto chiaro e identificabile, che può marchiare il territorioafferma ancora Giovanni Esu -. Strategicamente si tratta di un’azione molto interessante, perchè si lavora sulla promozione di un prodotto che può essere stimolato. Questo vuol dire recuperare il territorio, perché lavorare su una vigna non vuol dire limitarsi a lavorare sulla produzione, ma significa anche lavorare sull’esperienza che si può proporre in quel contesto. Vuol dire entrare nel territorio interno, recuperarlo e renderlo fruibile, riportando l’attenzione su quello che è un prodotto tipico.»
Un’estate ricca di proposte e di cultura, quindi, quella su cui la cittadina sulcitana si prepara ad investire.
Intanto, il primo dei cinque sabati dedicati a “Lo Sbaracco”, evento che vede le notti antiochensi illuminate dalle luci e dai colori delle animazioni e che ha per protagonisti i negozi aperti in notturna, ha ottenuto un grande successo. Ottima l’affluenza di pubblico, che ha approfittato delle promozioni proposte dai commercianti che hanno aderito all’iniziativa.

«È una manifestazione che ci hanno chiesto gli associati conclude il presidente del CCN -. Noi l’abbiamo sposata, promossa e realizzata. L’idea è quella di poter vedere la rinascita di questo paese, attraverso la partecipazione e la coesione di tutti.”

Federica Selis

 

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40 anni fa la strage di Ustica, che sconvolse l’Italia e cambiò per sempre il destino dell’aviazione civile nazionale. Quel 27 giugno del 1987, il volo IH870, della compagnia Itavia, partito dall’aeroporto di Bologna “Borgo Panigale” e diretto a Palermo “Punta Raisi”, interruppe improvvisamente il contatto radio con la torre di controllo di Roma “Ciampino” mentre sorvolava il Tirreno tra Ponza e Ustica. Diverse furono le ipotesi accampate sulle cause della sciagura, tra cui quella del posizionamento di una bomba a bordo, nella toilette dell’aereo, e di un possibile attacco terroristico. Ipotesi non convalidate dai ritrovamenti dei pezzi della fusoliera, che non confermarono la possibilità di un’esplosione in volo. In sede penale, e a scopo risarcitorio, fu accolta l’ipotesi che vedeva il DC-9 coinvolto in un terribile gioco di guerra, colpito in volo da un missile lanciato da un aereo NATO contro un MIG libico. Ancora oggi, tuttavia, non è stata chiarita la dinamica di quella che è considerata una delle più terribili tragedie aeree italiane, seconda solo a quella di Montagnalonga, e che costò la vita a 81 persone, tra passeggeri e membri dell’equipaggio. Mancano ancora troppe risposte a quella che fu una delle giornate più nere dell’ultimo quarantennio.
Oscar Piano, di Carbonia, era allora un dipendente Itavia e di quella giornata conserva un ricordo molto lucido.«Fu un giorno terribile. Anche perché 24 ore dopo l’incidente noi dipendenti sapevamo con certezza, tramite un consigliere del presidente dell’Itavia, che era stato un missile ad abbattere l’aereo.» Anche per il signor Oscar Piano ci sono alcuni punti che non tornano.
«Il comandante Domenico Gatti era uno dei migliori piloti, conosciuto come uno dei più pignoli. Inoltre, l’aereo veniva fuori dalle revisioni fatte in Alitalia, il che era indice di garanzia massima, secondo le politiche di allora. 81 vittime per giochi di guerra, sembrerebbe, anche se ancora oggi non si è accertato nulla. Pare che il missile fosse partito da un aereo decollato dalla nave francese “Clemenceau”, nel Golfo di Napoli.»
Francesco Cossiga, all’epoca Presidente della Repubblica, confermò di aver avuto informazioni riguardo questa ipotesi, in un’intervista rilasciata nel 2008.
Per quanto le aggravanti fossero state attribuite ad un fattore esterno alla compagnia aerea civile, chi ne fece maggiormente le spese furono i dipendenti Itavia.
«Purtroppo, il gioco politico e mediatico di allora ha infangato la memoria dei piloti, la dignità della compagnia e dei lavoratori che, in quella compagnia, lavoravano ricorda Oscar Piano -. Eravamo 1.200 dipendenti, la maggior parte dei quali concentrati tra gli uffici di Via Sicilia e Ciampino, a Roma, ed il resto sparsi per gli altri aeroporti italiani. Ci fu tolta completamente la dignità. Non ci fu dato alcun riconoscimento. Tranne a chi si adeguò alle leggi delle compagnie che li assorbirono. Nelle grandi città, come Roma e Milano, i colleghi ebbero la fortuna di poter andare a lavorare in altre aziende. Chi, invece, come me, lavorava in periferia, avendo famiglia da mantenere, dovette accettare quello che gli venne dato. Noi oggi chiediamo solo che ci venga riconosciuta la dignità che allora ci è stata tolta. Quello lo pretendiamo, perché abbiamo fatto grande l’Itavia.»
Oscar Piano ha un grande desiderio: «Vorrei tanto che il presidente Sergio Mattarella riconoscesse pubblicamente che i dipendenti dell’Itavia erano dei grandi lavoratori, dal primo comandante all’ultimo operaio. Hanno fatto grande la compagnia senza mezzi, con poche persone ma con grande fiducia nell’azienda. Per noi era una famiglia».
Federica Selis