24 November, 2024
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I sindaci del Sulcis Iglesiente si sono riuniti questa mattina a San Giovanni Suergiu, per discutere della grave crisi sanitaria che sta investendo il territorio. È dal 2017 che i primi cittadini dei Comuni del Sulcis evidenziano le criticità dovute alle chiusure e alle sospensioni dei servizi sanitari ospedalieri territoriali. Non ultima, arriva la chiusura, entro il mese di giugno, del servizio di diabetologia nei poliambulatori di San Giovanni Suergiu, Calasetta, Narcao e Santadi. Sospesi, ridotti o addirittura trasferiti anche gli screening territoriali e alcuni servizi ambulatoriali mentre le dotazioni medico-infermieristiche risultano sofferenti per la ridotta turnazione e le mancate assunzioni.
In questo periodo post Covid-19, la situazione si è resa ancora più evidente, sebbene i sindaci dei vari Comuni si auspicassero invece una ripresa e una maggiore sensibilità verso queste problematiche, da parte delle istituzioni. Sensibilità che invece non c’è stata.
Riprende, dunque, la protesta dei primi cittadini, in concomitanza con la discussione, in Consiglio regionale, proprio della Riforma del sistema regionale sanitario.
La conferenza stampa che questa mattina si è svolta presso il Poliambulatorio di San Giovanni Suergiu è solo la prima di una serie di proteste itineranti che i sindaci dei vari Comuni hanno deciso di mettere in atto.
«Una battaglia che abbiamo iniziato nel 2017 spiega il primo cittadino di Perdaxius, Gianfranco Trullu – Sembrava che si fosse risolto tutto, invece la situazione sta precipitando, anche a causa del Corona Virus. Si tratta di problematiche di carattere oramai ordinario, ovvero dell’eliminazione di servizi in modo quasi indifferente. Ci opponiamo a questo. Abbiamo ideato questa battaglia per la sanità, nel nostro territorio, a favore dei nostri cittadini.»
L’Unione dei Comuni del Basso Sulcis chiede da tempo uno sguardo più attento verso i servizi sanitari territoriali, in modo da agevolare anche la deospedalizzazione e la domiciliazione dei pazienti più deboli.
«Chiediamo di portare a termine la riorganizzazione ospedaliera sottolinea Ivo Melis, sindaco di Masainas e presidente dell’Unione dei Comuni del Basso Sulcis -. Chiediamo di avere una giusta efficienza negli ospedali e nell’intero territorio, perché solo in questo modo si può sopperire all’esigenza dei pazienti. Tanto più in questo periodo di Corona Virus, in cui l’efficienza è ancora più essenziale. Non abbiamo ancora visto la riorganizzazione generale degli ospedali e del territorio, quindi premeremo per avere un incontro urgentissimo con la Regione.» 
La Conferenza socio sanitaria del Sulcis Iglesiente ha richiesto più volte attenzione alla Regione verso i servizi ambulatoriali e ospedalieri. «Come Conferenza territoriale, abbiamo chiesto attenzione verso la medicina di base e quindi verso quella territorialesottolinea Paola Massidda, sindaca di Carbonia e presidente della Conferenza socio sanitaria del Sulcis Iglesiente -. Occorre, come prevede lo stesso decreto legge bilancio, che la medicina del territorio sia rafforzata, soprattutto in questo periodo. La sanità deve essere vicina al cittadino per contrastare il pericolo di una nuova diffusione del Covid. Invece, nonostante i rischi appena passati, gli ambulatori territoriali, anziché essere rafforzati, chiudono. Per quanto riguarda la diabetologia, il nostro territorio è uno dei più colpiti, col tasso più alto di malati diabetici. Non possiamo rinunciare a questi ambulatori. San Giovanni Suergiu, Narcao, Santadi e Calasetta  vedono la chiusura di questi ambulatori. Per cui, mandiamo avanti questa iniziativa di vicinanza e di informazione dei cittadini perché siamo stufi di scrivere a una Regione che non risponde.»
I Sindaci, quindi, si uniscono per denunciare e lamentare questi tagli indiscriminati ai servizi sanitari territoriali e alla venuta meno delle visite diabetologiche. La Sardegna vanta il triste primato, a livello europeo, di malati di diabete.
«La Federazione Rete Sarda Diabete ha lanciato spesso appelli – precisa Riccardo Trentin, presidente della Federazione -. Il Sulcis Iglesiente è l’area geografica col più alto tasso di incidenza di diabete di tipo secondo, per cui i servizi vanno ripartiti e distribuiti in maniera capillare su tutto il territorio. I diabetologi vanno in pensione ed è necessario che vengano sostituiti e gli organici rimpinguati. Il problema è davvero importante. Un altro aspetto grave è il diabete di tipo 1. Noi siamo l’area geografica, a livello mondiale, con la più alta incidenza di questo tipo di diabete, che si annovera tra le malattie autoimmuni. Per questo motivo, anche l’aspetto pediatrico è da considerarsi strategico. È vero che in questa “Fase 2” si sta cercando di riorganizzare il sistema ma né la telemedicina né la teleassistenza sono sufficienti per gestire queste problematiche. Oltretutto, occorre che la telemedicina venga strutturata come prestazione sanitaria. La Sardegna ancora stenta ad allinearsi a tutto il resto d’Italia. Queste prestazioni, nella nostra regione, non sono ancora riconosciute.»
Federica Selis

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L’ex centrale elettrica di Santa Caterina, monumento storico di quello che fu uno dei simboli dell’industrializzazione del Sulcis Iglesiente, si affaccia sul lato orientale della laguna di Sant’Antioco, all’interno del territorio comunale di San Giovanni Suergiu.

Entrata in funzione nel 1939, un anno dopo la fondazione della vicina Carbonia, è stata utilizzata fino al 1963, per poi chiudere definitivamente due anni dopo.

Fu proprio grazie all’avviamento del Bacino Carbonifero del Sulcis e all’utilizzo del vicino porto di Sant’Antioco che, la Società Mineraria Carbonifera Sarda, decise di costruire questa grande centrale termoelettrica. Il 1939 fu l’anno della sua inaugurazione, e la sua principale fonte di approvvigionamento era il carbone polverizzato ricavato dalle miniere del Sulcis.

Si componeva di quattro corpi di fabbrica, che custodivano i generatori di vapore, gli alternatori e i distillatori di acqua marina.

Enormi vasconi e una linea di canali, ancora evidenti, servivano a raccogliere e convogliare negli impianti l’acqua salmastra, indispensabile al funzionamento della struttura, che veniva prelevata direttamente dalle acque lagunari, su cui la centrale si affacciava. Il carbone che la alimentava veniva, invece, introdotto all’interno di due mulini, nei quali avveniva la macinazione, attraverso dei carrelli scorrevoli su rotaie,.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, la centrale rappresentò un importantissimo centro di fornitura elettrica non solo per il Sulcis ma per l’intero cagliaritano, grazie ad un complesso collegamento in rete. Sempre nello stesso periodo storico, vide il dislocamento, nei suoi piazzali, di una batteria per la contraerea, formata da quattro mitragliatrici pesanti.

Terminata la guerra, dopo il 1950, la Centrale fu attrezzata di una quinta caldaia.

Allo stato attuale, la struttura appare ancora imponente e dotata di un’architettura estremamente affascinante, tanto da essere diventata meta privilegiata di appassionati dell’urban exploration.

Nel corso dei decenni sono stati presentati diversi progetti, non legati al campo dell’industria, per una possibile riqualificazione dell’area, ma i fondi necessari alla sistemazione del complesso frenano gli entusiasmi.

Il comune di San Giovanni Suergiu, a cui l’ex Centrale appartiene per territorio, non perde le speranze.

«E’ sicuramente una bellissima eredità che abbiamo avuto e che il nostro Comune possiedeafferma Elvira Usai, sindaco di San Giovanni Suergiu -. È un gioiello da valorizzare, da riportare in auge, vista la sua fama storica e di archeologia industriale. In questi primi cinque anni, ci siamo dati il tempo di pensare a come poterla rivalorizzare e a cosa poter fare di questa bellezza architettonica. Ovviamente, è un obiettivo molto importante da raggiungere, e quindi abbiamo la necessità di verificare tutte le fonti di finanziamento possibili sia in Regione che al Ministero, per poter avviare una fase progettuale degna di questo nome e dello stesso contributo storico che abbiamo ereditato.»

Intanto, la struttura resta affacciata, su quella laguna a cui porta anche un certo risalto, pregna della sua fama e del suo fascino storico, sempre pronta a farsi ammirare dal visitatore di passaggio così come dall’appassionato di edifici storici abbandonati.

Federica Selis

 

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È ripresa la pesca del tonno a Carloforte. Tra una pausa e l’altra, concessa dal forte vento delle scorse settimane, si sta svolgendo, nelle acque antistanti l’Isola di San Pietro, la tradizionale mattanza, che ormai da secoli caratterizza l’isola dell’arcipelago sulcitano. La pesca abbondante ha soddisfatto la richiesta della filiera anche per quest’annata ma, soprattutto, non ha deluso le aspettative dei tonnarotti e del Rais Luigi Biggio. A dispetto della particolarità di questo maggio post Covid-19, chiediamo proprio a quest’ultimo, come stia andando la stagione di pesca. «Abbastanza bene, nonostante le varie restrizioni risponde il RaisLa stagione è come una stagione normale, va benissimo. Continuiamo a fare sia le gabbie che la mattanza. Quest’anno però faremo qualcosa di più sul mattanzato.»

Certo, la crisi nel mercato delle vendite si è fatta sentire, con i ristoranti che ancora non hanno del tutto riaperto, ma in tonnara, a Carloforte, la filiera prevede anche la lavorazione del pescato. «La nostra lavorazione del tonno prevede un metodo molto particolare. Ci mettiamo molta cura, stando ben attenti a non farlo riscaldare. In questo abbiamo imparato dai giapponesi.»

Il mercato giapponese è anche quello più importante, per questo tipo di prodotto, che vanta una tradizione pluricentenaria. «Carloforte, come Portoscuso, è un posto dove il tonno si mangia e si consuma quotidianamenteconferma Luigi Biggio -, soprattutto in questo periodo.»

La pesca, quest’anno, ha coinvolto una trentina di pescatori, coordinati e diretti dal Rais, ma il lavoro del tonnarotto non si ferma al solo periodo della mattanza: durante l’arco dell’anno, è infatti necessario fare manutenzione sia alle barche che alle attrezzature. «Di queste mansioni ci occupiamo sempre noi – prosegue il Rais Luigi Biggio -, quindi il nostro lavoro è continuo.»

Carloforte e il tonno. Una tradizione plurisecolare che quest’anno deve fare i conti con le difficoltà della chiusura dei confini internazionali. Ma il binomio imprescindibile resta. «Assolutamente sì risponde il sindaco Salvatore PuggioniIl tonno per noi è sempre stato fonte di vita, di economia e fa parte della nostra storia e della nostra cultura. Per cui è fondamentale, sia dal punto di vista economico che sociale. È un po’ il simbolo della nostra comunità.
Un prodotto, il tonno, forza trainante dell’economia isolana, che vive principalmente anche di turismo. «Tanta gente viene esclusivamente per vedere la mattanza e gli impianti delle tonnare – prosegue Salvatore Puggioni -. E per gustare questo prelibato pesce. Il tonno rosso è conosciuto in tutto il mondo. Per noi ha un grandissimo valore morale, oltre che economico.»
La stagione è iniziata, comunque, nel migliore dei modi, grazie anche al sostegno di tutta l’Amministrazione. «Il lockdown è arrivato in un momento, i primi di marzo, in cui si lavorano le reti e si prepara il calare della tonnara – precisa il sindaco -. Abbiamo insistito perché per noi è fondamentale salvare la stagione di pesca, che vuol dire anche salvare la stagione dell’economia interna e quindi delnostro prodotto interno lordo.» Un prodotto interno importante, che rappresenta un’identità e un unicuum a livello internazionale. «Un unicuum che ci distingue come la capitale mondiale del tonno.»
Da ormai 18 anni, legato alla pesca del tonno rosso, a Carloforte, si svolge il Girotonno, manifestazione che quest’anno festeggia la maggiore età e che, da sempre, attira, nell’Isola di San Pietro, un numero impressionante di turisti e visitatori. Ma a causa del Corona Virus, l’evento è stato cancellato, con grande dispiacere dell’Amministrazione comunale e dei cittadini di Carloforte. «Rinunciare al Girotonno è stata una scelta molto dolorosa – sottolinea Salvatore Puggioni -. Purtroppo, però, da prendere, perché non si poteva pensare allo svolgimento di una manifestazione del genere in questo momento. Soprattutto, perché, per farla, servono le persone. Si tratta, d’altronde, di una manifestazione che non si può posticipare, perché basata su un alimento prelibato che, per essere servito nella maniera ottimale, deve essere consumato fresco.»
Girotonno vuol dire una boccata di ossigeno importante per tutte le attività produttive di Carloforte, ma l’Amministrazione non si perde d’animo e sta già predisponendo per l’edizione 2021. «Pensare già alla prossima stagione è importante, perché stiamo parlando di un evento a livello internazionale, in cui, tutti gli anni, vengono coinvolte nazioni da tutto il mondo e chef stellati. È sempre stato un fiore all’occhiello.»

Ma la cittadina sulcitana cerca di salvare la stagione 2020 con eventi che puntano ancora l’attenzione su quella che, il sindaco Salvatore Puggioni, definisce “la nostra icona“, ovvero il tonno rosso. «Partiremo con dei microeventispiega ancora il sindacoproprio perché attualmente ci rendiamo conto che lo storico non c’è più e quindi ci serve comunque qualcosa che coinvolga i turisti che verranno.» Turisti non solo intesi come visitatori d’oltremare ma sardi o dell’hinterland, che potranno godere di più possibilità di movimento e, quindi, scegliere, come meta per le vacanze, proprio l’Isola di San Pietro. Una battaglia che il sindaco Salvatore Puggioni vuole vincere anche a suon di agevolazioni sulle tariffe dei traghetti per i non residenti, auspicando che si possa presto parlare di una sorta di continuità territoriale anche a livello più locale. «Chiediamo la possibilità di una tariffa unica per chi è residente in Sardegnaconclude Salvatore Puggioni – perché è giusto che il popolo Sardo possa muoversi nelle isole così come nell’interno. Quello delle tariffe è un grosso handicap che dovremo cercare di colmare col tempo.”

Federica Selis

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Nella giornata di oggi, 25 maggio, due barchini, con a bordo 23 migranti provenienti dall’Algeria, sono stati intercettati, a circa 10 miglia dalle coste sud occidentali della Sardegna. Altri tre barchini, in avvicinamento alle coste sarde, sono stati bloccati dalla marineria algerina.
Dodici migranti, tra i quali si conta anche un minore, sono stati trasportati, in mattinata, al porto canale di Cagliari. Gli altri undici, tutti di sesso maschile e in buone condizioni di salute, hanno raggiunto, nel primo pomeriggio, a bordo del pattugliatore veloce PV7 “Paolini” della Guardia di Finanza, il porto di Sant’Antioco. Dopo i dovuti accertamenti sanitari, gli undici giovani sono stati trasferiti al centro di prima accoglienza di Monastir.
Si tratta del secondo sbarco, avvenuto a Sant’Antioco nelle ultime 48 ore, che ha visto impegnati, nelle operazioni di soccorso e salvataggio, gli equipaggi della Guardia di Finanza.
Nella giornata di venerdì, una donna, arrivata con altri 18 migranti, era stata trasportata all’Ospedale “Sirai” di Carbonia.

Federica Selis

 

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Il Movimento artigiani e commercianti liberi soffre ormai da anni di una crisi evidente. Movimento e partite IVA chiedono da tempo di mettere in atto interventi capaci di mantenere in vita le attività artigianali. In particolare, il comitato chiede di concedere, alle imprese, la possibilità di lavorare senza il vincolo della regolarità contributiva, il DURC, stabilendo la restituzione dei debiti pregressi non con rate fisse ma in modo proporzionato al fatturato.
Inoltre, chiede di ridisegnare una politica fiscale equa e capace di generare impulso produttivo anche con aliquote fisse e semplici da applicare. È importante destinare i finanziamenti per le aree svantaggiate, come il Piano Sulcis, per creare nuovi modelli di sviluppo, facilitando l’accesso ai crediti con regole fissate dallo Stato.
In questo momento, reso ancora più drammatico dall’obbligo di chiusura delle attività, causa Corona Virus, la crisi dei diversi settori si è fatta ancora più evidente. I titolari di partita IVA del Sulcis Iglesiente si sono riuniti e, attraverso una raccolta di firme, chiedono di essere ascoltati dal Presidente della Regione Sardegna Christian Solinas, sull’annoso problema della fiscalità di vantaggio. Più volte il Movimento ha chiesto degli incontri, ma il problema Covid ha rallentato ancor più il processo di ripresa. Le partite IVA hanno quindi deciso di far sentire la loro voce.

Il primo, a lanciare un appello diretto verso le istituzioni, è Ivan Garau, artigiano edile di San Giovanni Suergiu, portavoce del Movimento artigiani e commercianti liberi Sulcis Iglesiente. «Il presidente Solinas non può mostrare indifferenza di fronte a 4768 aziende che hanno aderito al primo bando della fiscalità di vantaggio del Sulcis. Saremo costretti a scendere in piazza per farci ascoltare.»

Paolo Benizzi, di Iglesias, titolare di un bar, spiega qual è il problema del suo settore, soprattutto, durante questa “Fase 2” del Covid-19: «In questo lasso di tempo lo slogan che è andato per la maggiore è stato: andrà tutto bene. Visto che noi oggi siamo qua, non mi sembra che stia andando tutto bene. Avremmo gradito un pò di considerazione in più dalla classe politica regionale, cosa che ovviamente non c’è stata, per cui chiediamo che il Presidente Solinas intervenga per tutto ciò che riguarda il secondo bando della fiscalità di vantaggio. Sarebbe una boccata d’ossigeno per l’intera classe lavorativa. Quindi, chiediamo al Presidente di intervenire immediatamente, prima che sia troppo tardi.»

Il problema, come ha sottolineato Paolo Benizzi, è legato anche al fatto che molti titolari d’azienda hanno personale dipendente. «Io ho 10 dipendenti. Ogni mese devo assicurare loro lo stipendio. Fino ad ora ci sono riuscito ma ad oggi non mi sento più in grado di promettere niente a nessuno. Questi 27mila euro della fiscalità di vantaggio sarebbero una grossa mano d’aiuto.»

Salvatore Cossu, di Iglesias, si occupa di torrefazione artigianale: «I miei clienti sono soprattutto bar e ristoranti. Vorrei mettere in evidenza il disagio che si è venuto a creare in questo periodo. Siamo a reddito zero. Da quasi tre mesi non incassiamo niente. Oggi è ancora più importante aderire al bando del Piano Sulcis perché le partite IVA hanno estremamente bisogno di questi soldi. Ci rivolgiamo a tutti gli operatori del settore. Partecipate, perché partecipare è di basilare importanza per tutto il tessuto economico del territorio. Aspettiamo le adesioni e ci rivolgiamo al Presidente Christian Solinas, in quanto Presidente di tutti i Sardi: deve ascoltarci. La nostra è una categoria molto importante, che dà lavoro a tantissime persone. Un danno economico per gli imprenditori è anche un danno per tutte le famiglie che ruotano intorno a questo settore. Lo Stato deve prenderci in considerazione, per il futuro del paese, e la nostra Isola deve creare sinergia. Ci dobbiamo aiutare fra noi».

Aldo Marcis, di Carbonia, titolare di una piccola impresa artigiana nel campo dell’edilizia, esprime malcontento ma, soprattutto, preoccupazione: «Abbiamo ripreso a lavorare dopo tre mesi di stop, in cui non ci hanno riconosciuto un aiuto importante, perché i 600 euro non possono bastare a chi, come me, ha spese molto più alte. Quindi, automaticamente, ci hanno condannati alla rovina. Stiamo pensando di dover abbassare la serranda e chiudere definitivamente.»

Pietro Massa, rivenditore di pietre ornamentali di San Giovanni Suergiu, chiede che ci siano più adesioni da parte delle partite Iva, in tutti i settori merceologici. «Le adesioni che stiamo chiedendo non sono altro che un affidamento di incarico che le imprese ci stanno dando. Devono essere timbrate e firmate personalmente. È quella la forza di fuoco, la potenza del movimento. Al momento abbiamo circa 1000 persone tra imprese e dipendenti ma aumentano di continuo. In questo indotto non contano solo le oltre 4.000 aziende che hanno già aderito alla fiscalità di vantaggio. C’è tutto quello che sta dietro: i dipendenti e le loro famiglie. I soldi ci sono ma la legge non viene applicata e non sappiamo il perché. Sono anni che stiamo aspettando.» Perché i finanziamenti continuano a restare bloccati. «Questi soldi sono per il Sulcis, per i comuni che avrebbero diritto alla fiscalità di vantaggio. Si parla di una trentina di milioni di euro che potrebbero essere anche di più, considerando che nel primo bando sono state inserite delle imprese che, nel frattempo, hanno chiuso. Quindi sarebbe necessario fare anche una revisione dei conti.»

Federica Selis

 

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I lavori di dragaggio del canale navigabile di Sant’Antioco proseguono senza sosta, salvo condizioni meteo marine o di correnti avverse.
Dopo diversi anni, infatti, si torna a pulire il tratto di mare situato tra l’isola sulcitana e la terra madre, che, per via delle correnti della laguna e della morfologia stessa del fondale, tende a insabbiarsi. Il sedime, molto scuro e melmoso, viene caricato sulla draga attraverso una benna, movimentata da una gru alta 25 metri, trasportato attraverso un pontone montato sulla coperta dell’imbarcazione e da lì scaricato all’interno di un’area, appositamente attrezzata e recintata, recuperata all’esterno del porto pescatori di Sant’Antioco.
I lavori dovrebbero durare circa 15 giorni ma, probabilmente, potrebbero protrarsi di qualche settimana. Dovranno interessare un lungo tratto di canale, riportando il fondale ad una profondità di 3 metri, tale da permettere la navigazione di diverse tipologie di imbarcazioni. La larghezza sarà portata a circa 20 metri e il percorso sarà segnato da pali in legno illuminati.

La curiosità dei cittadini, riguardo la grande imbarcazione e i lavori sul canale, è tanta.
Siamo saliti sopra la motonave Argo per conoscere più da vicino questo gigante di ferro, che, per alcune settimane, farà avanti e indietro nella laguna antiochense.
Il Comandante, Valerio Rasset, originario proprio di Sant’Antioco, ci ha accolti, mostrandoci il funzionamento dei macchinari, della cabina di pilotaggio e delle strumentazioni presenti sulla plancia di comando.
La prima cosa che colpisce l’occhio, appena si mette piede in plancia, è il bellissimo timone in legno. Viene difficile pensare che una motonave di tali dimensioni possa essere governata da lì e, infatti, il Comandante ci spiega che, in realtà, a governare la draga è un piccolo strumento sulla plancia.

«Abbiamo un timone che viene comandato sia con una pompa idraulica che con una levetta, chiamata “joystick” spiega Valerio Rasset -. Questo consente le manovre veloci. Abbiamo anche un pilota automatico, che funziona durante la navigazione: inseriamo i gradi e segue la rotta che gli diamo. Quindi manovra sul timone, cercando di compensare l’errore. Infine abbiamo il timone a mano, che funziona anche senza pompa idraulica. Se lo giriamo è un po’ più pesante. Diciamo che, in emergenza o in caso di black out, ci permette di far continuare la navigazione.»

Ma quanto pesa una draga di queste dimensioni?

«Il suo peso, da scarica, è di 496 tonnellaterisponde il Comandante. Possiamo caricarla fino ad arrivare ad un peso totale di 1100 tonnellate, a pieno carico. Fino a quel peso siamo ancora in sicurezza, come stabilità. Oltre, si crea il rischio di rovesciamenti.»

Quanto è gestibile quando ci sono venti o durante una traversata in mare aperto?

«È un po’ problematica perché è piatta sotto. Fino a un certo punto, anche come vento, si riesce a governarla, ma a una certa intensità di vento è necessario conoscere il mezzo, per cercare di prevenire i comportamenti, che non sono mai quelli che si pensa. Quindi, sono necessarie esperienza e molta attenzione. Perché può diventare imprevedibile e, a quel punto diventa necessario compiere diverse manovre. C’è anche da considerare il braccio della gru, che fa vela. Per quanto riguarda lo scafo, poi, abbiamo solo 2 metri di pescaggio e il fondo è piatto. E come se si guidasse una macchina sul ghiaccio. Se si gira troppo veloce, se ne va di traverso.»

Andando a soli 6 nodi, e con la forma particolare dello scafo, senza una prua atta a tagliare le onde, come prende il mare grosso?

«Il peggio è saltare le ondeci informa Valerio Rasset – Più che altro perché è lunga, quindi cavalca l’onda, non la salta.»

Per quanto riguarda le operazioni di dragaggio del canale di Sant’Antioco, dovrebbero essere tirati fuori dall’acqua 15 pontoni di sedime. I lavori termineranno una volta riempito il vascone attrezzato, all’uscita del porto pescatori.

«C’è poco fondointerviene il gruista, Luca Pili, di Oristano -. Il tanto da dragare è poco in un’area estesa.»

Ne approfittiamo per chiedergli quanto è complicato il lavoro che deve compiere.

«Il lavoro è complicato perché il materiale da dragare è di una bassa quota in un’area estesa – ci spiega sempre Luca Pili -, quindi dobbiamo spostarci più di una volta per fare un primo tratto di 500 metri e tirare su 1500 metri cubi di materiale. Perciò è abbastanza lungo e difficoltoso.»

C’è qualche tecnica particolare che l’addetto alla gru utilizza, per capire in quale punto deve calare di più?

«Sondo con la benna. Ho la quota sulla benna e mi accorgo dove ci sono 3 metri rispetto a dove ce ne sono 2,50.»

Infine, gli poniamo un’ultima domanda, ovvero dove, nella sua vita professionale, ricordi di aver trovato più difficoltà. La risposta arriva immediata.

«A livello di dragaggi, forse, quello di Sant’Antioco è il più complicato. Sempre per il discorso che il materiale è poco, in un’area estesa.»

Al termine della nostra visita, ci fermiamo qualche minuto a goderci il panorama di Sant’Antioco da questa visuale cosi inusuale. Infine, ringraziamo il Comandante Valerio Rasset per la sua ospitalità e per la gentilezza dimostrataci e riscendiamo a terra, per riprendere la nostra postazione di osservatori esterni, affascinati da questa grande e bella imbarcazione e dal suo lavoro di pulizia della laguna antiochense.

Federica Selis

 

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Il 2 aprile, il ponte che collegava la SP83 con il parcheggio per la spiaggia di Fontanamare, Gonnesa, è crollato, mentre transitava un camion della nettezza urbana. Per fortuna non ci sono state vittime ma l’accaduto ha creato scompiglio e disagio per il comune di Gonnesa e per gli utenti della spiaggia.
A distanza di poco più di un mese siamo tornati sul luogo del disastro per fare il punto della situazione.
I lavori di ripristino non hanno ancora preso avvio, le macerie sono ancora in loco e la zona è circondata dal nastro bianco e rosso, a cui sono appesi i cartelli che indicano che l’area è sottoposta a sequestro penale.
«Viene contestato lo stesso reato del ponte Morandi e c’è una denuncia contro ignoti spiega il sindaco di Gonnesa, Hansel Cabiddu -. Le operazioni di sopralluogo sono state coordinate dalla caserma dei carabinieri di Gonnesa. La giustizia sta facendo il suo corso.»
Sebbene la situazione appaia immutata da quel 2 aprile, in realtà, l’Amministrazione comunale sta compiendo i suoi passi. «Abbiamo inoltrato alla Regione un’ordinanza per rimozione dei detriti e un programma di rimessa in ripristino del ponteprosegue il sindaco -. Inoltre, ha chiesto un’ulteriore proroga di venti giorni all’ordinanza che ho concesso. Quel primo passaggio, al momento, è fermo a questa situazione.»
Ma c’è un altro problema fondamentale, dato dal crollo del ponte, ed è quello dell’impossibilità del raggiungimento della zona, da parte dei mezzi di soccorso.

«Ho scritto una nota al prefetto, nella quale mostravo tutta la mia preoccupazione, perché quella spiaggia, d’estate, è frequentatissima e non avere la possibilità di accedere al parcheggio, soprattutto per i mezzi di soccorso mare e per l’antincendio, per noi, è un problema preoccupante», spiega Hansel Cabiddu.

Ulteriore disagio è dato dal fatto che i fruitori si ritroverebbero a lasciare parcheggiati i loro mezzi lungo la provinciale. «È impensabile che questo accadasottolinea ancora il sindacoe che le persone possano raggiungere la spiaggia passando dal canale o dalle scalette.»
L’Amministrazione comunale di Gonnesa ha pensato ad un’interessante alternativa, che potrebbe accelerare i tempi per la fruizione del litorale. «Nella nota inviata al Prefetto ho chiesto la possibilità di sentire l’Esercito e, già alcuni giorni fa, ho accompagnato il Genio militare per un sopralluogo. Pensiamo ad un ponte militare carrabile, che possa essere provvisorio e possa garantire i servizi di cui ho già detto. Resta il fatto che dobbiamo sederci allo stesso tavolo con la Regione ed il Prefetto, per garantire in tempi rapidi una soluzione, anche temporanea.»
Intanto, il primo rebus da sciogliere riguarda chi si debba prendere l’onere della ricostruzione del ponte. L’infrastruttura, infatti, risulta inserita in un mappale, in cui sono presenti quattro enti locali differenti, tra cui Laore ed il Consorzio di Bonifica. Sia sul tema delle responsabilità che su quello di chi debba essere il soggetto deputato a ripristinare i luoghi e a autorizzare la costruzione del ponte, si fonda il problema più grosso.
La situazione potrebbe evolversi anche in una valorizzazione più ampia dell’area. Il sindaco Hansel Cabiddu vorrebbe muoversi anche in questo senso. «All’assessorato competente ho richiesto anche la possibilità, lungo il canale, di avere una o più passerelle per consentire il traffico pedonale o ciclabile. Anche sotto la visione della sicurezza, perché quel ponte era l’unica via d’accesso alla spiaggia. Sono cose che impattano relativamente col paesaggio, possono essere funzionali alla fruibilità dei luoghi e possono qualificare ancora di più il territorio.»
In ultima analisi, il primo cittadino di Gonnesa ritiene che, questa possa essere l’occasione per ripensare la viabilità di un punto strategico, sul litorale che va verso Nebida e da lì arriva fino a Buggerru e Fluminimaggiore. «Quella strada è stata concepita perlopiù in funzione delle imprese minerarie e poi è diventata altro, grazie soprattutto al panorama che vi si staglia. Stiamo parlando di uno svincolo che ha di fronte il Pan di Zuccheroconclude Hansel Cabiddu -. Quindi, può essere il momento buono per fare un ragionamento, a mio avviso, sulla riqualificazione di un tratto della viabilità provinciale che può essere una bella cartolina per chi transita da lì. Si tratta di un servizio di cui abbiamo bisogno per fare in modo che i nostri beni, la costa e il litorale, vengano fruiti in modo corretto. Bisogna mettersi a lavorare, perché adesso è il momento per non sbagliare più.»

Federica Selis

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Dopo il lungo periodo di lockdown, ci siamo ritrovati direttamente con l’estate alle porte. La stagione balneare rappresenta un punto focale dell’economia della Sardegna, irrinunciabile per gli operatori del settore. Quest’anno, però, la stagione appare più problematica, con i protocolli che stentano a diventare definitivi e la confusione riguardo le regole da seguire, per potersi spostare da regione a regione.
«L’estate è la stagione della nostra vita esordisce Luciano La Mantia, di Carbonia, gestore di uno stabilimento balneare nella spiaggia di Porto Pino -, perché dura appena tre mesi e, una volta terminati, dobbiamo aspettare l’anno venturo. Nonostante la particolarità di questa stagione 2020, dovuta alle restrizioni per il Covid, le richieste di prenotazione arrivano ugualmente. Le persone chiedono, vogliono venire – prosegue Luciano La Mantia -. Noi ci crediamo, ci scommettiamo, siamo fiduciosi e infatti siamo qui e stiamo già montando. Speriamo sia un’estate il più normale possibile.»
Non tutti i gestori di stabilimenti se la sentono ancora di approntare per la nuova stagione, nonostante le regolamentazioni, riguardo le distanze tra gli ombrelloni e i lettini, si siano ulteriormente modificate negli ultimi giorni.
«La situazione è appena cambiata, per fortunaspiega Giordano La Mantia, co-gestore dello stabilimento di Porto Pino -. La distanza tra un ombrellone e l’altro dovrebbe essere, ora, di 3,50 metri mentre prima si parlava di 5 metri. La cosa ci preoccupava. Ora, invece, secondo noi, ci sono i presupposti per lavorare abbastanza bene.»
Ovviamente, il discorso delle distanze diminuite aiuta ma è dovere dei fruitori stare attenti. Non sarà, comunque, un’estate all’insegna delle feste in spiaggia.

«Purtroppo, per ora, l’intrattenimento danzante, musicale, viene esclusoprosegue Giordano La Mantia -. Speriamo si trovi una soluzione anche per questo.»
Il tutto all’insegna del mantenimento della salute e della sicurezza delle persone.
«Per quanto riguarda la sanificazione, sarà fatta per ogni clienteprosegue Giordano La Mantia, che termina con una promessa -: ci vorrà un po’ più di impegno ma noi siamo pronti a prendercelo. Purché sia una bella stagione, siamo pronti a qualsiasi sforzo.»
Una parte della spiaggia di Porto Pino è, da ormai dieci anni, destinata ad area cani. Una spiaggia unica in Italia, precursore delle simili arrivate in seguito. Un esempio di accoglienza per i turisti provenienti da tutto il mondo, che viaggiano con i loro animali d’affezione. Questa sarà un’estate differente anche per loro.
«Questa stagione la prevediamo molto in salitaafferma Lucia Matta, che, come socia della Lega Nazionale per la Difesa del Cane, gestisce l’area cani -. Generalmente, in questo periodo, spaliamo per preparare la stagione. Quest’anno è tutto fermo, tutto immobile. Non sappiamo niente e non la prevediamo bene.»
Federica Selis

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Il comune di Siliqua affronta una grave emergenza abitativa. È dal 2017, infatti, che alcuni nuclei familiari sono in attesa dell’assegnazione di un alloggio popolare da parte di AREA, l’Azienda Regionale per l’Edilizia Abitativa.
«Si parla di famiglie che vorrebbero essere inserite in una graduatoria per l’assegnazione di alloggio popolare spiega Francesca Atzori, sindaco di Siliqua –. Attualmente, abbiamo in disponibilità poche abitazioni e abbiamo una graduatoria vigente che esiste dal 2011, quindi dovremo cercare di portare a esaurimento tale graduatoria e poter bandire un nuovo bando per assegnare i nuovi alloggi.»
Ma a mancare sono proprio le case. «C’è una grave carenzaprosegue il sindacoe, proprio per questo, l’amministrazione, da subito, ha avviato un tavolo tecnico con l’Agenzia Regionale AREA, che si è dimostrata molto disponibile, portando avanti diverse ristrutturazioni. Questo ha fatto sì che sia stato possibile assegnare già diversi alloggi da due anni a questa parte.»
Proprio per venire incontro sia alle esigenze di AREA che dei cittadini, l’Amministrazione comunale ha accolto la richiesta dell’Agenzia, concedendo un lotto di terreno di 144 mq, in zona PEP, per la costruzione di 8 nuovi alloggi di edilizia popolare. Questa soluzione porterebbe una boccata di ossigeno alle nuove richieste che stanno pervenendo.
«Ultimamente sono pervenute alcune richieste ancora più urgenti sottolinea Francesca Atzorie quindi l’amministrazione ha fatto richiesta alla direzione generale dell’assessorato ai lavori pubblici, al fine di poter assegnare, in regime di riserva, degli alloggi, seguendo i dettami dell’art. 14 della legge regionale n.13 del 6 aprile 1989, che permette di assegnare, in casi di estrema urgenza, tali alloggi abitativi.»
Tra le famiglie con estrema necessità di una casa c’è quella di Sara Mameli, 35 anni e 3 figli, che da tre anni aspetta l’assegnazione di un’abitazione, in regime di emergenza. «Attualmente, vivo in una casa che è stata venduta all’asta nel 2017 spiega Sara Mameli -. Il proprietario mi ha lasciato 3 anni di tempo per trovare un altro alloggio. Ho, quindi, come termine ultimo, il mese di dicembre 2020 ma non so dove andare.»

Già nel 2017 Sara Mameli aveva inoltrato domanda sia alla Regione che ad AREA, ma da quest’ultima ancora nessuna risposta, sebbene la domanda sia stata accolta dalla Regione. C’è, quindi, il serio rischio di arrivare a gennaio senza un tetto sulla testa. «Tutto questo nonostante le promesse di AREAaggiunge Sara Mameli -, che mi ha comunicato che, appena le fosse pervenuta la richiesta di emergenza, avrebbe iniziato immediatamente i lavori di ristrutturazione.» Ma, da quel momento, nessuno si è più fatto sentire.
A questo punto cosa richiede l’Amministrazione comunale di Siliqua ad AREA?
«Ci farebbe piacere che AREA riprendesse a portare avanti i lavori che ha attualmente fermi, per quanto riguarda la ristrutturazione delle abitazioni che sono già disponibili per le utenze – risponde il sindaco Francesca Atzori e poi vorremmo che tenesse fede alle sue promesse di costruire dei nuovi alloggi nel comune di Siliqua.»

Federica Selis

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Si tratterà di una riapertura in autonomia, in cui saranno le Regioni a decidere. Coinvolti, stavolta, saranno bar e ristoranti, oltre a parrucchieri ed estetiste, ove non già riaperti. È ciò che trapela dal risultato della videoconferenza tenutasi tra il premier Giuseppe Conte, i ministri Francesco Boccia e Roberto Speranza e i governatori delle Regioni. Il presidente Giuseppe Conte accoglie, dopo un tira e molla durato giorni, le richieste dei diversi enti locali. La responsabilità ricadrà sui singoli Governatori, che decideranno anche in base alle esigenze del territorio. Il Governo manterrà, comunque, la facoltà di intervenire, con nuove restrizioni, in caso di aumenti dei contagi.
Entro venerdì, verranno rese note le nuove linee guida ed i protocolli da seguire. Intanto, il Comitato tecnico-scientifico, in collaborazione con i tecnici incaricati dall’INAIL, emana un documento sulle misure contenitive nel settore della ristorazione, affinché venga salvaguardata la salute di utenti e personale.
Innanzitutto, il distanziamento all’interno dei locali: la disposizione di tavoli e posti a sedere verrà rimodulata, in modo da garantire uno spazio di 4 metri quadri per cliente, per una distanza minima di 2 metri tra un tavolo e l’altro. Se si opterà per l’utilizzo di barriere in plexiglas, tale distanza potrà essere inferiore. Non si potrà sostare al banco, né per l’ordinazione del pasto da asporto né per prendere un aperitivo o un caffè, che andranno sempre consumati al tavolo. Per i ristoranti, quale strumento di prevenzione, è indicata la prenotazione. L’uso delle mascherine, all’interno dei locali, è sempre obbligatorio e sarà consentito toglierle solo durante la consumazione dei pasti. Non potranno essere forniti ai clienti menù cartacei ed i piatti del giorno verranno segnati su delle lavagne o si potranno consultare attraverso il sito web del locale. La sanificazione delle sale, delle toilettes e dell’arredamento, dovrà essere costante e clienti e personale avranno a disposizione prodotti igienizzanti per la pulizia delle mani. Il pagamento avverrà preferibilmente tramite contactless e le casse potranno essere isolate da barriere separatorie. Tutte le superfici dovranno essere sanificate al termine di ogni utilizzo. Il personale dovrà indossare, per tutto il tempo del servizio, la mascherina ed i guanti in nitrile.
Nuove regole sono previste anche per la riapertura delle spiagge e dei litoranei. Nelle spiagge ove sia presente uno stabilimento balneare, la distanza tra gli ombrelloni deve essere di 5 metri tra le file e di 4,5 metri lungo la stessa fila. Lettini e sdraio, senza ombrellone, dovranno essere posizionati ad almeno 2 metri l’uno dall’altro. Tale distanza, potrà essere inferiore solo in caso di utilizzo da parte di conviventi. Non si potranno effettuare giochi da spiaggia e le cabine potranno essere utilizzate
solo da persone appartenenti allo stesso nucleo familiare, o comunque co-abitanti.
All’arrivo in spiaggia, si dovrà indossare la mascherina, che si potrà togliere una volta raggiunta la propria postazione.
Per quanto riguarda, invece, le spiagge libere, si prevede la mappatura degli spazi. Verranno tracciati dei perimetri precedentemente misurati, calcolati in base allo spazio occorrente per il posizionamento di un ombrellone, di una sdraio o di un asciugamano. Gli spazi saranno possibilmente definiti da nastri.
Potrebbero essere previste delle turnazioni. Non sarà possibile sostare sulla battigia, onde evitare assembramenti. Le spiagge dovranno essere tenute costantemente pulite e sarà valutata la possibilità di affidarne la gestione ad associazioni di volontariato o a personale adeguatamente formato.

Diverse le reazioni sia contro che a favore di queste nuove regolamentazioni.

Federica Selis