22 December, 2024
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Identità, nazioni e minoranze nell’Europa di ieri e di oggi, per capire come sono nate alcune situazioni di crisi che ancora agitano il vecchio continente. Si tratta di eredità del crollo degli Imperi centrali, usciti sconfitti dalla Prima guerra mondiale. L’Europa dopo un secolo rimane un sogno? È stato questo il tema della seconda giornata del convegno “L’Asinara isola d’Europa”, organizzato dal comune di Stintino al Museo della Tonnara e dedicato alla storia dell’Europa e in particolare al centenario della conclusione della Prima guerra mondiale. Dopo la giornata di venerdì sul “caso Asinara” e sui risultati raggiunti nella ricostruzione delle vicende che videro l’isola diventare un grande campo di accoglienza e prigionia, sabato 17 novembre è stato analizzato il tema della nascita degli stati-nazione in Europa dopo la Grande Guerra.

In apertura, il sindaco Antonio Diana è ritornato sul tema dei prigionieri austroungarici e dei profughi serbi sull’Asinara. «Su 27mila persone si salvarono in 21mila. Le autorità non solo sanitarie riuscirono a contenere il contagio delle malattie. Credo sia importante sottolineare quel grande sforzo». Il colonnello Giuseppe Levato, vicecomandante della Brigata Sassari, ha portato i saluti del comandante, il generale Andrea Di Stasio. «La Brigata Sassari nella Prima guerra mondiale è stata la brigata più decorata dell’esercito italiano. Oggi occorre parlare alle giovani generazioni, affinché capiscano l’importanza del vivere insieme in Europa». Alain Pasqualini, in rappresentanza della Regione Corsica, ha messo in evidenza che «l’Europa oggi è come un’isola, minacciata da epidemie non più sanitarie ma ideologiche. Occorre battersi per un’Europa dei popoli, anche di quelli senza stato, come i sardi e i corsi o i catalani. Abbiamo bisogno di un’Europa pacifica e democratica. Ecco perché non dobbiamo dimenticare le lezioni della Prima guerra mondiale».

Spazio quindi alle relazioni. Sui prigionieri di guerra in Sardegna, non solo confinati sull’Asinara, è intervenuto Giorgio Madeddu, del Comitato sardo centenario Grande Guerra. «Grazie ai documenti dell’Archivio dello Stato maggiore dell’esercito e di altri archivi, tra cui quelli comunali, è stato possibile ricostruire l’arrivo dei prigionieri, suddivisi in reparti che riprendevano i nomi dei piroscafi. Ma furono subito classificate anche le nazionalità. L’Asinara anticipa quello che poi avviene in Europa con la disgregazione degli imperi centrali e l’emergere dei popoli e delle nazioni prima comprese nell’Impero austro ungarico – ha esordito Giorgio Madeddu -. In Sardegna non c’era però solo l’Asinara. Un altro campo di concentramento era presso la miniera di Monte Narba nel comune di San Vito, destinato solo agli ufficiali. Ma i prigionieri erano anche impiegati nel lavoro. Dai primi mesi del 1917 numerosi paesi sardi ospitarono decine di prigionieri di guerra “concessi” per interventi di forestazione, per lavorare in miniera o in grandi opere civiche». Un’altra storia rimossa e da ricostruire riguarda gli internati civili: un nome conosciuto è quello di Amelie Posse Brazdova, che raggiunse il marito ceco nel 1916 e che raccontò queste vicende in “Interludio di Sardegna”.

Bartolomeo Fineo, del Laboratorio di Storia di Rovereto, ha invece ricordato le vicissitudini dei soldati trentini inquadrati nell’esercito austroungarico, italiani di lingua ma sudditi di Francesco Giuseppe. Un ritorno sofferto a casa fu quello di 4mila ex prigionieri in Russia: diventati cittadini italiani dopo la guerra finirono nella missione in Estremo Oriente, in Cina. Alcuni si scontrarono con altri ex commilitoni che nel frattempo si erano arruolati nell’Armata Rossa. Filippo Sallusto, dell’Università di Cassino, ha ricostruito la situazione politica nei Balcani, le tensioni già presenti nella seconda metà del XIX secolo, i rapporti con l’Albania e con la Serbia. La memoria dei prigionieri ungheresi nell’isola dell’Asinara è stato il tema dell’intervento di Gabor Margittai (Külső Magyarok – Media Provider per le minoranze ungheresi all’estero), che ha illustrato il progetto “I soldati fantasma dell’Asinara” contro l’oblio e l’occultamento.

Didier Rey, del Laboratorio Lisa dell’Università di Corte (Corsica), ha analizzato le battaglie ideologiche sul numero di caduti corsi nella Prima Guerra Mondiale, sopravvalutati numericamente in chiave patriottica francese fino a 48 mila (numero irreale se solo si pensa che nella Grande Guerra furono 50 mila i corsi mobilitati nell’esercito francese), oggi si è tornati ad una cifra realistica di 10-12mila.

Un’altra nazione senza stato è la Catalogna. Joan Elies Adell Pitarch, dell’Istituto delle Lettere Catalane (Generalitat de Catalunya), ha richiamando in apertura del suo intervento quanto avvenne al termine della Grande Guerra: già allora un gruppo di catalani si appellò al presidente americano Wilson chiedendo l’applicazione a loro favore del principio di autodeterminazione dei popoli.

Completamente diversa invece la situazione dei tedeschi dei Sudeti, nel 1910 tre milioni e 252 mila, oggi ridotti ad appena 19 mila, ha detto Richard Neugebauer (Bohemia Troppau – rappresentante della minoranza tedesca in Boemia e Slesia) soffermandosi sulla disparità tra contadini di lingua tedesca e ceca in Boemia come una una delle cause del crollo dell’Impero Asburgico; mentre Marinella Lorinczi ha illustrato l’origine dell’espressione minoranza nazionale, un concetto, e al contempo un problema, che appare proprio subito la Prima Guerra Mondiale. L’ultimo intervento è stato di Johan Maggman, esponente del Fuen, l’Unione federale delle nazionalità europee, appartenente alla minoranza linguistica svedese in Finlandia.

A chiudere il convegno l’intervento in video di Tamara Scheer (Istituto di Storia dell’Europa Orientale dell’Università di Vienna) e la proiezione del documentario “I prigionieri dell’Asinara” di Gàbor Margittai e Anita Major.

L’appuntamento di Stintino è arrivato a coronamento di un lungo percorso, avviato dall’amministrazione comunale stintinese nel 2013 con il progetto per le “Commemorazioni di pace: i profughi serbi e i prigionieri austroungarici nell’isola dell’Asinara durante la prima guerra mondiale”, avviato in occasione del centenario della Grande Guerra. Un progetto che assieme al comune di Stintino, capofila dell’iniziativa, vede coinvolti anche il comune di Porto Torres, il Parco nazionale dell’Asinara, l’Università di Sassari, Dipartimento di Microbiologia diretto dal professor Salvatore Rubino, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri e la collaborazione della Camera di commercio del Nord Sardegna e della Fondazione di Sardegna.

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Studi, libri e documenti inediti, testimonianze che raccontano la storia dell’Asinara, dei profughi e dei prigionieri che sull’isola trascorsero gli ultimi, tristi anni del primo conflitto mondiale. In 27mila arrivarono, trasportati con le navi da Valona dopo la lunga marcia della morte partita dalla Serbia, e in oltre 7mila trovarono la morte nei campi allestiti tra le pianure e le colline dell’isola.

Sono stati tanti e di profondo interesse i contributi arrivati venerdì, in occasione della prima giornata del convegno “Asinara isola d’Europa”, organizzato dal comune di Stintino, al Mut di via Lepanto e che si concluderà oggi, 17 novembre. L’appuntamento arriva a coronamento di un lungo percorso, avviato dall’amministrazione comunale stintinese nel 2013, in occasione del centenario della Grande Guerra, con il progetto per le “Commemorazioni di pace: i profughi serbi e i prigionieri austroungarici nell’isola dell’Asinara durante la prima guerra mondiale”.

«Un progetto che nasce da lontano – ha detto il sindaco di Stintino, Antonio Diana – e che in questi cinque anni ci ha consentito di raggiungere un importate obiettivo: fare dell’Asinara un luogo di incontro tra popoli». Lo dimostrano, come hanno detto l’assessore della Cultura Francesca Demontis e gli studiosi Alberto Mario Carta e Aldo Panti nel ripercorrere le tappe di questo percorso di studi, i partecipanti che negli anni si sono succeduti ai convegni e agli incontri stintinesi sulla storia dell’Asinara. Tra questi ricercatori, esperti, docenti universitari, rappresentanti delle istituzioni locali, regionali, del governo italiano e dei Paesi europei e del Medio Oriente, il presidente della Repubblica di Ungheria e ambasciatori delle Nazioni che, a vario titolo, furono coinvolti in quei tragici eventi. Accomunati tutti dalla volontà di dare dignità e un volto a prigionieri e profughi di varie etnie e religioni, provenienti dai vari Paesi di un’Europa allora disgregata, «che – ha aggiunto il direttore del Parco nazionale dell’Asinara Pierpaolo Congiatu – furono seppelliti in terra straniera. Quando riusciremo a dare all’Asinara il titolo di terra d’Europa, allora, quei ragazzi riposeranno come fossero nella loro patria».

Le novità illustrate sono state tante, a partire dai documenti emersi dagli archivi pubblici e privati, «come quello – ha sottolineato Vittorio Gazale direttore dell’Amp Asinara – a disposizione di Filippo Sallusto, discendente dell’ufficiale Alberto Cappelletti che sull’isola raccolse, disegni, acquerelli, fotografie, novelle e articoli per il suo giornale che portava il nome di una località dell’isola: la gazzetta degli Stretti». E ancora, ha illustrato Gabriele Carenti, le ricerche del dipartimento di Microbiologia dell’Università di Sassari che, sotto la guida di Salvatore Rubino, ha ricostruito la vita dei prigionieri sull’isola, avviato il recupero di campioni biologici per lo studio del Dna e individuato le malattie (colera, tifo, tubercolosi e dissenteria) che uccisero oltre 7mila persone. E ancora gli studi e le osservazioni di tipo archeologiche portate avanti dal dipartimento di Storia, Scienze dell’uomo e della Formazione dell’Ateneo sassarese con docente Marco Milanese. E poi ancora le tante storie di uomini e donne legate a doppio filo con l’Asinara: a partire da quella del cappellano militare croato Gabro Cvitanovic, illustrata da Filip Hamersak dell’istituto Lessicografico di Zagabria. E poi le vicende giudiziarie di alcuni prigionieri sull’isola raccontata dalla ricercatrice Marisa Porcu Gaias. Quindi, come sottolineato dal ricercatore Giuseppe Zichi, l’attenzione della Chiesa per la questione umanitaria dell’isola dell’Asinara e, in considerazione delle diverse etnie presenti nei campi profughi, la necessita di avviare un dialogo interreligioso. E ancora le vicende dei prigionieri, degli internati e dei confinati austro-ungarici ricoverati nel manicomio di Sassari. Una raccolta di documenti – studiati da Giovanni Fiori della Soprintendenza Mibac per province di Sassari e Nuoro – che mettono in luce il cammino di malattia e dolore di una parte degli austro-ungarici transitati in Sardegna durante la Grande Guerra.

Il convengo prosegue anche oggi al MuT sul tema: “1918-2018 un secolo di sogno europeo: identità, nazioni e minoranze”.

Domani, domenica 18 novembre, invece, i protagonisti del convegno si sposteranno sull’isola dell’Asinara, per una visita ai luoghi della memoria.