22 December, 2024
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La storia del Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente è legata intimamente all’evoluzione dello spirito di appartenenza a questa terra. Per raccontarla, è necessario partire da lontano ed arrivare fino al 2020. Pazienza! E’ una rapida passeggiata un po’ letteraria e molto storica.

Il più antico “Popolo sardo” organizzato politicamente fu quello dei “Nuragici”. Tutto iniziò nel 1800 avanti Cristo. Nel 1100 avanti Cristo i sardi cessarono di costruire nuraghi e iniziarono a scomparire. Mistero storico. Fu a causa di un’epidemia? Oppure fu l’effetto di una crisi di mercato, perché si stava passando dall’età del bronzo a quella del ferro?
Al tempo dei nuraghi la Sardegna era totalmente popolate e dedita ad attività minerarie e metallurgiche. La densità delle sue torri sono il segno certo che era ricca. Lucrava sul commercio di qualcosa che produceva in abbondanza: il bronzo. L’ottimo bronzo sardo era molto richiesto in tutto il Mediterraneo per forgiare armi.
Praticamente nel 1.200 avanti Cristo, il bronzo sardo armò la Prima Guerra Mondiale della storia: la Guerra di Troia. E dove c’è guerra ci sono medici.
Guardate le armi di bronzo nuragico che sono esposte nel Museo Archeologico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari. Sembrano fatte ieri. Hanno la forma della “foglia di ulivo”. Esattamente simili sono state riprodotte dai consulenti storici per il film “Troy” con Brad Pitt.
La Guerra di Troia iniziò male: con un’epidemia. Morirono di febbre, e infezione alle vie aeree, tanti guerrieri greci che Agamennone, per motivi di “igiene pubblica” dovette far cremare sulle pire allestite davanti alla marina di Troia.
Nell’Iliade vengono descritti 148 tipi diversi di traumi da spada, lancia, o freccia. I chirurghi che in quel conflitto bellico curavano i feriti erano nientedimeno che i figli di Esculapio: Macàone e Podalirio.
Allora la chirurgia era arte divina. Pindaro, parlando di quei Medici nel settimo secolo avanti Cristo, scriveva nelle “Odi”: «E quanti vennero da lui….feriti nelle membra dal lucido bronzo o dal getto di pietre,… fasciando le membra…altri con azioni chirurgiche rimise in piedi».
Durante la Guerra di Troia, il medico Macàone fu ferito da freccia troiana e subito venne soccorso da due Re: Idomeneo e Nestore, perché, come dice Omero: «Uomo guaritore vale molti uomini a estrarre dardi, e spargere blandi rimedi».
Nei millenni la considerazione del Medico rimase sempre elevata. Ebbe un crollo solo durante la peste del 1347-48, quando i medici fallirono i risultati sperati. La peste prevalse su tutti ed il poeta Francesco Petrarca, offeso per la morte dell’amata Laura De Sade, scrisse libelli feroci contro tutta la categoria.

La professione medica fin dall’inizio si specializzò. Vi furono gli specialisti nel “taglio della pietra” (urologi), gli specialisti della cataratta( oculisti), gli specialisti delle “malattie interne”, gli specialisti in “craniotomia” (neurochirurghi), e poi i “raddrizzatori di bambini storpi”. Quest’arte si chiamava “ortho” (raddrizzo), “peideia” (bambino). Da cui l’origine del nome “Ortopedia” per la specialità che aggiusta lo scheletro.

Non sappiamo quasi nulla sulla medicina dell’Alto Medio Evo nel Sulcis Iglesiente. Sappiamo che gli ammalati peregrinavano verso la tomba del Santo Medico Antioco e che attorno alla basilica vi erano tante casette per ospitare i malati richiedenti la guarigione: le “cumbessias” o “muristenes”.
Troviamo tracce di attività medica nella chiesetta bizantina altomedioevale di San Salvatore, ubicata nella periferia di Iglesias. Si sa che ospitava viandanti richiedenti cure per cui si spiega la presenza dell’”orto dei semplici”. Era il luogo dove i monaci (Benedettini o Basiliani) coltivavano le erbe medicamentose per produrre unguenti e pozioni galeniche. Nel terreno circostante sono state trovate tracce di inumazioni in terra nuda.
A San Giovanni Suergiu, vi è una chiesetta edificata dopo le Crociate dai monaci Giovanniti. Ricordiamo che i Giovanniti fondarono l’ospedale di San Giovanni Battista di Gerusalemme col permesso del Sultano del Cairo, e vi curarono i pellegrini cristiani che venivano dall’Europa. Alla fine delle Crociate vennero allontanati dalla Palestina e si insediarono in loro possedimenti in Sardegna. Qui nel Sulcis continuarono la loro missione di curare gli “infirmi et pauperes Christi”. Sulla facciata della chiesetta di San Giovanni si riconoscono le incisioni di “croci di Malta” e i fregi che ricordano le cupole delle moschee di Omar e di Al Aqsa, della spianata dei templi di Gerusalemme.
Queste sono le poche tracce di attività medica nel Sulcis Iglesiente nel Medio Evo.
La crescita della Chirurgia in Europa rimase bloccata, a causa dell’altissima mortalità, fino alla seconda metà del diciannovesimo secolo. Solo allora, dopo la scoperta dell’esistenza dei “microbi”, si capì la necessità della “disinfezione” e, dopo la scoperta dell’“anestesia”, si poté operare “senza dolore”. I chirurghi cominciarono ad operare, per la prima volta, l’addome e la pelvi femminile temendo meno le setticemie mortali perioperatorie. Contemporaneamente iniziò lo sviluppo moderno degli Ospedali. Il più grande impulso allo sviluppo della chirurgia, soprattutto traumatica, avvenne con la Prima Guerra Mondiale. Lì si formarono i primi chirurghi dei nostri primi Ospedali.

Con la chirurga addominale e pelvica, decollò la chirurgia degli arti. Questa fu promossa in Italia da Alessandro Codivilla (m. 1912) che fu direttore dell’Ospedale Ortopedico Rizzoli di Bologna. Tutt’oggi il Rizzoli appare al visitatore con tutta la sua vecchiezza strutturale di fine ‘800. Da lì passò l’ortopedia mondiale, e la migliore ortopedia italiana in assoluto. Codivilla fece una invenzione rivoluzionaria: il “Chiodo di Codivilla”.
Si trattava di un’anima metallica da introdurre nel canale dell’osso fratturato. Attorno ad esso si sarebbe formato il “callo osseo”. Ciò comportava la guarigione con ossa ben raddrizzate (fatto raro) e consentiva l’eventuale allungamento dell’osso accorciato da un callo osseo venuto male. Il nuovo obiettivo dell’Ortopedia insegnato da Codivilla al mondo, era il “recupero funzionale” dell’arto.
Con la tecnica di Codivilla, si iniziarono a trattare le folle di portatori di deformità congenite ed acquisite: piedi torti, ginocchi valghi e vari, lussazioni dell’anca, paralisi infantili, tare eredoluetiche, gibbi cifoscoliotici, colli torti. A questi si aggiungeva il numero enorme di deformi procurati dalle due piaghe sociali dell’epoca: la tubercolosi ossea e il rachitismo; malattie incurabili e dal destino triste.

Già ai primi del ‘900 avevamo in Italia ben 40 “Ospedali marini” per la cura medica e chirurgica della TBC ossea. Lo sviluppo minerario dell’Iglesiente aveva introdotto la necessità di fornire un’adeguata assistenza ortopedico-traumatologica ai minatori. Quando esplose la protesta dei minatori nel settembre 1904, a Buggerru esisteva un ospedale per i traumi da miniera. L’organico comprendeva tre Medici con competenze chirurgiche ortopediche, e personale femminile per l’assistenza al parto. L’ospedale era molto attivo anche nell’assistenza alla popolazione civile; vi erano allora circa 8.000 abitanti, quando Cagliari ne contava circa 50.000. I casi più gravi venivano trasportati ad Iglesias in carrozza. Iglesias prima di questo periodo aveva avuto una struttura ospedaliera basso-medioevale citata da documenti dell’epoca: si trattava dell’ospedale di “Santa Lucia”, che poi prese il nome di “Santa Chiara”.
Tra le due Guerre Mondiali del ‘900, dopo la Guerra d’Etiopia e le “Inique Sanzioni” fu evidente che l’Italia doveva dotarsi di una sua fonte autarchica di energia, così prese vita il progetto di sviluppo del  bacino carbonifero del Sulcis. Le miniere metallifere dell’Iglesiente e le carbonifere del Sulcis furono la nuova frontiera del lavoro in Italia. Il numero complessivo di abitanti delle due città sfiorava i centomila. L’età media era molto giovane ed era costituita da una moltitudine di minatori del sottosuolo e operai di superficie. Gli incidenti sul lavoro erano molto frequenti. L’Inail nel 1946 inaugurò l’Ospedale CTO di Iglesias e lo rafforzò di Traumatologi e Chirurghi generali a costituire un avanzato “Trauma Center” dove si affrontavano tutti gli effetti di un trauma: dalle fratture dello scheletro alla rottura di milza e di fegato ed i traumi cranio-encefalici. Doveva essere una Traumatologia a tutto campo. Il Governo dispose che negli ospedali minerari di Iglesias e Carbonia operassero i migliori chirurghi traumatologi della Nazione. A Carbonia il Chirurgo generale con competenze neurochirurgiche arrivò dalla Patologia chirurgica dell’Università di Napoli: il professor Ignazio Scalone. Rimase un anno a dirigere l’ospedale di piazza Cagliari, a Carbonia. Di lui restano testi di chirurgia del cervello e del cervelletto, per la cura di lesioni craniche provocate da arma da fuoco, scritti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Con l’uscita del dottor Scalone, il primariato di Chirurgia generale venne conferito al dottor Gaetano Fiorentino; egli affidò l’Ortopedia e Traumatologia al dottor Schirru. Questi era un medico di eccezionale valore. Dopo una quindicina d’anni di esperienza in traumi a Carbonia, si trasferì negli Stati Uniti. Dopo 30 anni, il dottor Schirru tornò in Italia e si presentò al nuovo primario del Sirai, il prof. Lionello Orrù, a cui raccontò la sua storia americana: era diventato Direttore sanitario di un enorme ospedale di 3.000 posti letto a Washington, e ne dirigeva il reparto di Ortopedia. Arrivato alla pensione, gli era comparsa un’ernia inguinale. Per tale motivo pensò di tornare in Sardegna, a Carbonia, per farsi operare. Non si fidava del modo di operare l’ernia degli americani. Voleva essere operato da un chirurgo italiano. Una volta operato a Carbonia tornò a Washington.
Ad Iglesias, il primario chirurgo generale era il dottor Falqui. Al CTO vennero inviati chirurghi ortopedici di vaglia formati al Rizzoli di Bologna.
Dopo Codivilla, fu direttore del Rizzoli il professor Vittorio Putti (m. 1940). Fu chirurgo eccellentissimo che già nel 1919 veniva conteso all’Italia dalle maggiori istituzioni medico-chirurgiche statunitensi. Quando andava in America veniva, per i suoi miracoli ortopedici, ricevuto solennemente, come si conveniva alla sua fama.
Con la scomparsa del professor Putti, la direzione della chirurgia ortopedica del Rizzoli venne affidata al professor Francesco Delitala, nato a Orani in provincia di Nuoro, che aveva insegnato Ortopedia all’Università di Napoli, poi in quella di Padova e, infine, diresse il Rizzoli. Fu grande esperto della chirurgia dell’ernia del disco intervertebrale e della spalla. Morì a Bologna nel 1983.
Fu un allievo di Delitala il professor Cabitza di Cagliari. Questi, successivamente, diresse la Clinica Ortopedica Universitaria di Cagliari e l’ospedale Marino del Poetto.

Contemporaneamente, studiavano e operavano al Rizzoli, sia il dottor Giuseppe de Ferrari sia il dottor Italo Cao. Ambedue divennero professori di Ortopedia e Traumatologia e diressero il CTO di Iglesias. Il CTO (Centro Ortopedico Traumatologico) di Iglesias riprodusse in Sardegna le altissime competenze chirurgiche del Rizzoli di Bologna costituendo, nel Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente, un pilastro fondamentale della Sanità.
I successori di questi Maestri, diressero poi il CTO e l’Ortopedia di Carbonia e di Iglesias fino ai giorni nostri.
Il seme prezioso di quei grandi ortopedici è ancora tra noi.
Come si vede la discendenza di scuola è di altissimo livello.
Non può essere perduta.
Questa ricostruzione tratta dai libri di storia della Medicina è una conoscenza che deve costituire patrimonio dei cittadini del Sulcis Iglesiente. Tale eredità deve essere protetta dall’operazione “contabile” che sta trasferendo il nostro patrimonio sanitario in città lontane.

E’ incredibile. Quando eravamo “poveri” eravamo molto più “ricchi” in Sanità.

Mario Marroccu

Nella fotografia, da sinistra: dottor Giuseppe Porcella, dottor Renato Meloni, il sig. Cuccuru capo degli infermieri, dottor Gaetano Fiorentino, don Luigi Tarasco e dottor Luciano Pittoni.