22 November, 2024
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Spose bambine, mamme precoci, schiave domestiche, bambine mutilate, ragazze trafficate per fini sessuali, adolescenti costrette ad abbandonare la scuola e a subire, con continuità esasperante, violenza. Ogni anno migliaia di bambine e ragazze nel mondo subiscono soprusi e violenze. Ogni minuto ventitré bambine diventano baby spose. Quasi 34 milioni di bambine dai 5 ai 14 anni svolgono lavori domestici per più di ventuno ore alla settimana. Di fronte a questo drammatico scenario Terre des Hommes, l’organizzazione non governativa per la difesa dei diritti dei bambini in difficoltà nei Paesi in via di sviluppo, e non solo, ha deciso di intervenire nel 2012 con la campagna sociale #indifesa, per dire basta alla violenza e a ogni forma di discriminazione basata sulla disparità di genere. Un grande progetto che ha messo in campo tante iniziative e risorse per sensibilizzare il mondo e le istituzioni su questi problemi e rispondere con azioni concrete.

Lo ha raccontato giovedì a Villa Satta Stefano Carboni, Digital Manager e Webmaster della fondazione Terre des Hommes Italia onlus dove ha incontrato gli studenti IED della sede sarda, diretta da Monica Scanu. Una open lesson inserita nell’ambito dell’importante collaborazione fra l’Istituto Europeo di Design di Cagliari e la onlus italiana partita diverso tempo fa che prevede il coinvolgimento di due gruppi di giovani diplomandi del Corso di Media Design. Idee innovative dei futuri designer a supporto della promozione di questa campagna di sensibilizzazione, sotto la guida esperta del responsabile della comunicazione di Terre des Hommes Italia, lanciata dalla ong in occasione della prima giornata Mondiale delle Bambine proclamata dall’Onu otto anni fa.

Indifesa fotografa infatti la realtà delle bambine e delle ragazze in difficoltà, mettendo a fuoco le discriminazioni profonde ancora in atto nei loro confronti. Proteggere i piccoli da ogni forma di violenza e abuso, garantirgli il diritto alla salute, all’istruzione e alla vita sono i valori fondanti e le ragioni stesse dell’esistenza della onlus fondata nel 1960 a Losanna (Svizzera) dal francese Edmond Kaiser, oggi federazione internazionale costituita da undici Paesi che operano in tutto il mondo. La versione italiana è nata nel 1989, diventando successivamente nel 1994 una fondazione. È attualmente presente in ventidue Paesi, Italia compresa, con quasi centoquaranta progetti di aiuto umanitario d’emergenza e di cooperazione internazionale allo sviluppo, con programmi in settori quali salute di base e protezione materno-infantile, educazione di base, formazione professionale, protezione dei bambini migranti, bambini di strada ed in conflitto con la legge, promozione dei diritti umani, attività generatrici di reddito e sviluppo delle risorse naturali.

«Con la campagna “indifesa” ci battiamo per garantire a milioni di bambine e ragazze di tutto il mondo i loro diritti, la loro istruzione, salute, la protezione da violenza, discriminazioni e abusi, per aiutarle a sfuggire dalla povertà, dalla schiavitù e dallo sfruttamento, e per dar loro l’opportunità di potersi realizzare, di progettare un futuro migliore attraverso l’istruzione, a trovare in ognuno di loro il proprio talento», ha spiegato Stefano Carboni alla classe di studenti e al pubblico presente in Aula Francesco Morelli.

Tante le storie, e le toccanti testimonianze delle bambine vittime di questi soprusi che Terre des Hommes Italia ha preso in carico, in alcuni casi per fortuna finite bene. Come l’incredibile storia di Nandhini, la bambina indiana di soli 14 anni riuscita scampare a un matrimonio combinato dalla zia, grazie all’intervento della ong italiana. Un destino già scritto, che avrebbe posto fine alla sua adolescenza, ai suoi sogni, al suo futuro, ma che grazie al lavoro di sensibilizzazione messo in campo localmente dalla fondazione le ha permesso di reagire, andando contro la sua stessa famiglia, e di fuggire da quella prigione.

«I nostri centri in questi Paesi oltre ad avere uno o due referenti italiani si avvalgono anche della collaborazione di uno staff locale, che conosce la lingua, le usanze e le tradizioni del posto. Questo ci permette di farci conoscere e di avvicinarci ai minori, di creare con loro un rapporto di fiducia, che è fondamentale

La stessa fiducia che ha fatto decidere a Nandhini di denunciare al centro il suo matrimonio illegale (perché la legge indiana vieta l’unione coniugale con le spose bambine).

«Nandhini ha preso coraggio e ci ha chiamato per avvisarci che sarebbe andata in sposa per volere della sua famiglia, suo malgrado. Così il giorno del matrimonio la polizia ha fatto irruzione nella casa dove si stava svolgendo la cerimonia nuziale per liberarla, impedendo quindi che quel matrimonio illegale andasse in porto. Quest’anno ha deciso di venire in Italia per partecipare al nostro talk ‘Stand Up for Girls!’ e raccontare la sua storia a milioni di italiani.»

Storie drammatiche che “indifesa” cerca di raccontare quanto più possibile, perché sono davvero tante. Alcune finiscono bene, altre no. Ed è questo che si vuole evidenziare, aiutarle per permettere in qualche modo che si possano cambiare quei finali già scritti.

Nel corso dell’incontro Stefano Carboni ha inoltre illustrato agli studenti IED e ai presenti l’organizzazione della campagna di comunicazione “indifesa”, molto articolata e ben strutturata su diversi livelli: dal sostegno a distanza, all’opera di sensibilizzazione nelle scuole con il coinvolgimento dei ragazzi e delle ragazze, all’utilizzo dei media tradizionali, tv, stampa, fino alle piattaforme digitali quali sito web, social network, dirette Facebook, e poi convegni, mostre itineranti, short talks, conferenze, la partecipazione dei tanti vip come testimonial, fino alla rete network delle webradio scolastiche e universitarie. E ancora documentari, magliette, loghi, megafoni di carta, spot, animazioni. Una campagna caratterizzata dal colore arancione, da anni scelto da Terre des Hommes e dalle Nazioni Unite per dire NO alla violenza di genere. Una imponente operazione promozionale attiva tutta l’anno per tenere sempre alta l’attenzione sulle tante violazioni dei diritti delle bambine e delle ragazze nel mondo, chiamando istituzioni, organizzazioni della società civile e i singoli cittadini a fare la propria parte per assicurare un presente libero da violenza, stereotipi, abusi e discriminazioni.

Una collaborazione che coinvolge anche i giovani delle scuole per coinvolgere nuovi punti di vista, diversi, come quelli dei creativi IED Cagliari del corso di Media Design coordinato da Emanuele Tarducci, coinvolti da Terre des Hommes Italia nei due progetti di tesi per “indifesa”. Il primo, sviluppato da Irene Lai, Lorenzo Solina, Mattia Mura e Giulia Usai, vedrà la realizzazione di una serie di graphic novel che racconteranno alcune delle storie delle bambine salvate, con l’obiettivo di sensibilizzare e informare le fasce più giovani sui temi degli abusi, della libertà, dell’istruzione, dell’uguaglianza e della protezione di bambine e ragazze nel mondo; il secondo sarà incentrato sullo sviluppo della progettazione di una campagna social contro gli stereotipi di genere con uno speciale focus sul nostro paese, ideata da Francesca Cau e Noemi Barsanti. Un’idea quest’ultima, pensata per cercare di scardinare soprattutto nei più giovani quei pregiudizi che inesorabilmente tendono a rafforzare la percezione della disparità di genere nella nostra società e per sottolineare e ricordare i diritti fondamentali alla libertà, all’eguaglianza, alla vita.

“Indifesa” non solo a favore dei problemi che riguardano i Paesi in via di sviluppo “Ma anche temi quali violenza, bullismo, cyberbullismo e sexting che colpiscono i paesi occidentali come l’Italia”, ha spiegato il digital manager di Terre des Hommes Italia, fondazione che ha iniziato a operare nel territorio nazionale alla fine degli anni ’80 con i minori stranieri non accompagnati o con le rispettive famiglie, e poi in tutte le situazioni di violenza, discriminazione e abusi sui minori, anche italiani. «Dobbiamo purtroppo constatare, soprattutto attraverso i dati che la Polizia di Stato ci fornisce annualmente, un aumento in Italia dei reati sui minori, circa il 3% di minori sotto i diciotto anni. Un problema che non dobbiamo sottovalutare, in nessun modo». O come gli Stati Uniti, dove, strano a dirsi, ci sono tantissimi casi di matrimoni con spose bambine, ritenuti legali.

Una mission con una visione a lungo termine, che sin dal 1960 ha scelto di operare nel mondo in modo da poter creare le migliori condizioni possibili per ogni bambino o bambina in difficoltà, per salvarli da un destino ingiusto e per aiutarli a tirare fuori il proprio talento, e per fare in modo che possano essere supportati nel proprio cammino attraverso la creazione di buone opportunità per costruirsi un futuro migliore che difficilmente potrebbero realizzare da soli, nel proprio paese.

«Sono molto onorata di questa opportunità che Terre des Hommes ci ha dato, ovvero di poter mettere le competenze dei nostri studenti al servizio di temi veri, importanti e sensibili come la difesa dei diritti dei bambini e delle bambine. Una scuola di design, in questo caso nella sua declinazione nella comunicazione, può essere strategica nel supportare questa e altre fondazioni nel quotidiano compito di raccontare e di sensibilizzare pubblici sempre più ampi rispetto alle grandi sofferenze del nostro ambito geografico, di quello europeo e internazionale, e nel superamento delle grandi contraddizioni della nostra realtà», ha aggiunto in chiusura dell’incontro Monica Scanu, Direttrice IED Cagliari.

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Uomini, donne e bambini che salpano dalle coste africane, o dai paesi vicini in guerra, fuggono da un regime oppressivo, dalle difficoltà economiche di un paese in ginocchio, dalle conseguenze dei cambiamenti climatici, dalle violenze. I volti, gli sguardi, i corpi segnati di coloro che bruciano le frontiere per raggiungere l’Europa e sognano una vita, normale. Sono le storie dei migranti che attraversano il deserto e il mare della speranza. Storie che non vanno dimenticate ma al contrario, raccontate, per testimoniare quello che succede nel «giardino di casa nostra, il Mediterraneo. Perché in mare non può morire nessuno, ed è compito e dovere di chiunque si trovi lì, soccorrere le persone in pericolo». Così ha spiegato Isabella Trombetta, Communication Officer di SOS Mediterranée Italia agli studenti dello IED Cagliari, protagonista del terzo incontro tenutosi martedì a Villa Satta per il ciclo di open lesson Respect! Persone. Futuri. Luoghi dedicati ai temi di interesse sociale. Originaria di Reggio Calabria, laurea all’Università LUSS di Roma in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, tra il 2017 e il 2018 ha svolto l’incarico di Communication Officer per due mesi a bordo della nave di salvataggio “Aquarius”, come responsabile delle comunicazioni fra l’imbarcazione di soccorso e gli uffici a terra e, soprattutto, è stata il canale di comunicazione fra la nave e la stampa a bordo. Oggi svolge lo stesso ruolo negli uffici a terra. Un compito importante che l’ha vista impegnata anche nel raccogliere le testimonianze dirette delle persone che venivano salvate (la Aquarius ha sottratto alla morte in mare quasi 30.000 persone in tre anni di attività), restituendo così storie, voci e volti a quella dimensione umana che in genere viene ignorata dal racconto delle migrazioni, spesso superficiale e fatto di soli numeri e statistiche.

«I cardini di SOS Mediterranée si fondano su tre principi fondamentali: soccorrere e salvare le vite delle persone che rischiano di morire ogni giorno annegate; assisterle e proteggerle una volta che sono a bordo, e poi raccogliere e raccontare le testimonianze dirette delle loro storie. Ed è qui che entra in gioco il Communication Officer, così come i giornalisti e i fotografi sulla nave. Perché le immagini e gli occhi di chi vede a volte credo parlino più di mille parole.»
Contrastare il diffondersi dell’informazione errata, delle fake news, spesso strumentalizzate dalle politiche distorte del terrore e della diffidenza che contribuiscono a generare paure, insicurezza, odio, diventa quindi determinante per chi svolge questo incarico, così come è fondamentale consegnare alla società civile e politica la verità sostanziale dei fatti attraverso una informazione corretta e una comunicazione genuina sui diversi canali social, basata sulle testimonianze dirette.

«La disinformazione ha generato molta confusione tra ciò che è il problema dei fenomeni migratori, molto grande e complesso, e l’obbligo di prestare soccorso in mare, che è imprescindibile. Così come è previsto dal diritto nazionale e internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare. E proprio a causa di una errata informazione le ONG sono così passate dall’essere citate come “gli angeli del mare” nei primi articoli, poi a ”taxi del mare”, fino a “trafficanti”.»

Un’esperienza molto importante e formativa per Isabella che nel 2015 ha intrapreso poco più che ventenne come percorso naturale dei suoi studi universitari mentre collaborava a un progetto S.P.R.A.R (Servizio per la protezione di richiedenti asilo e rifugiati), ma nata anche dall’esigenza di unirsi ai tanti giovani con il desiderio di rimboccarsi le maniche e offrire il proprio contributo di fronte all’aumento esponenziale delle vittime in mare e delle tragedie continue e inimmaginabili che si stavano consumando sulle rotte del Mediterraneo, davanti a casa nostra. Un racconto appassionato che ha illustrato ai partecipanti al talk nell’Aula Magna Francesco Morelli di IED Cagliari tutto quello che succede a bordo di una nave ONG. A partire dall’organizzazione interna dello staff composto da tre equipaggi: quello marittimo; l’equipaggio di SOS Mediterranée che comprende circa dieci soccorritori tra cui un coordinatore o capitano, un communication officer e il fotografo; e infine l’equipaggio di Medici Senza frontiere, partner medico a bordo, composto da un medico, due infermieri, un’ostetrica, un mediatore culturale e il personale umanitario. Tutti professionisti di vari ambiti, di diversa provenienza e estrazione sociale accomunati dall’esperienza nautica e da training formativi molto impegnativi, che decidono di dedicare il loro tempo, impegno, risorse e passione al salvataggio dei naufraghi, lasciando per alcuni mesi la loro casa e i loro affetti. «Tanti volti, tanti sorrisi, tanti italiani, tante persone che si danno da fare». E ancora, ha raccontato come intervengono le ONG nell’ambito della suddivisione delle zone di responsabilità per il soccorso (SAR – Search And Rescue) tra i vari Stati che si affacciano sul Mediterraneo, i passaggi di comunicazione obbligatori in fase di soccorso tra ONG e MRCC (Maritime Rescue Coordination Centre), ovvero i centri di coordinamento dei soccorsi costieri rispettivamente: italiano, maltese e libico. Questi centri hanno il compito di assegnare alle navi che hanno effettuato il salvataggio in mare un porto sicuro (place of safety), il più vicino in cui poter approdare e che garantisca i diritti umani fondamentali, tra assunzioni e ripartizioni delle responsabilità però spesso contraddittorie: «Tripoli viene assegnato dalla guardia costiera libica come porto sicuro, malgrado le numerose denunce di violazioni di diritti umani e degli indicibili orrori dei loro centri di detenzione, da cui gli stessi migranti che salviamo in mare fuggono», ha aggiunto la responsabile della comunicazione di SOS Mediterranée. Tante le curiosità dei ragazzi e delle ragazze in aula anche in merito agli aspetti più tecnici delle operazioni di salvataggio, ad esempio su come avviene l’identificazione del target, che nel linguaggio specifico utilizzato a bordo si intende l’intercettazione delle persone in pericolo in mare.

«Gomiti fissi per reggere il grande binocolo, ci guardi dentro e scruti bene l’orizzonte, facendo il giro completo della parte più alta della nave. Si deve fare piano e con attenzione, perché se guardi da una parte e nel frattempo a pochi metri di distanza passa dall’altro lato una imbarcazione in difficoltà significa che in un attimo la puoi perdere, e che trecento, quattrocento e più persone molto probabilmente moriranno
E poi il racconto di alcune storie di chi ce l’ha fatta. Tra questi la disperazione di un padre che ha dovuto scegliere tra salvare i propri figli dal rischio di torture e violenze inaudite, o da una morte quasi certa, ed il rischio di vederli morire affogati in mare; di donne che hanno subito abusi atroci e maltrattamenti; di una madre fuggita dal suo paese africano con le sue due bambine per evitare che venissero sottoposte alla violenza dell’infibulazione; o di bambini non ancora adolescenti torturati come uomini adulti. Storie di drammi umani ma anche di sorrisi e di momenti di gioia indescrivibili, di vite umane salvate.

«Su questa nave ho incontrato tante belle persone e tante storie che mi hanno cambiato, reso più consapevole. E ho incontrato nell’equipaggio anche una gioventù europea e non solo (a bordo c’erano anche ragazzi e ragazze dagli USA e dall’Australia), che mi ha restituito un po’ di speranza, che stavo incominciando a perdere. Giovani che non si danno per vinti, perché nonostante quello che la società ci dice si può fare la differenza, si può fare realmente qualcosa per cambiare le cose. Io dico sempre che si può iniziare anche dalle piccole cose, a partire dal nostro atteggiamento», ha commentato Isabella in chiusura della open lesson, invitando tutti a visitare il sito ufficiale https://sosmediterranee.it/ e i canali social, Facebook: SOS MEDITERRANEE Italia, Twitter: @SOSMedItalia e Instagram: sosmediterraneeitalia .

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La sede sarda dell’Istituto Europeo di Design, diretta dal 2015 da Monica Scanu, ha festeggiato martedì 29 ottobre con l’evento “(Verso il) Futuro. 10 anni di IED Cagliari” i 10 anni di vita della scuola, tornata al suo splendore nel 2009 nella storica sede di Villa Satta a Cagliari, una delle più belle ville della città, incastonata nel suo giardino, rigoglioso e ricco di specie rare.

Un importante traguardo per una consolidata realtà della formazione e della cultura della città e dell’isola, orientata alle professioni della creatività e al design nelle sue diverse e più aggiornate declinazioni, e importante componente del network IED con le sue undici sedi: Milano, Torino, Roma, Firenze, Venezia, Como, Madrid, Barcellona, San Paolo e Rio de Janeiro. La grande scuola IED, quella fondata nel 1966 a Milano da Francesco Morelli, visionario nato in provincia di Oristano e vissuto a Cagliari, capace di guardare lontano e innovare seguendo il proprio istinto e la propria intuizione.

La sede sarda fu aperta da Francesco Morelli a Cagliari nel 1984, diciotto anni dopo la fondazione della scuola a Milano. Un’idea straordinaria nata dalla convinzione di vivere pienamente le cose e realizzarle, dal desiderio di fare, e da una inesauribile passione che ha reso una scuola, oggi considerata la maggiore tra gli istituti privati di design d’Italia per diffusione e numero di iscritti.

Ed era rivolto al futuro il tema di questa festa. Un’occasione importante per celebrare con gioia e entusiasmo questi dieci anni della sede IED della Sardegna, con studenti e alunni, staff, coordinatori, docenti, le tante figure professionali e le aziende coinvolte nei numerosi progetti di collaborazione.