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La commissione Sanità ha continuato oggi il ciclo di audizioni sulla riforma della rete ospedaliera ascoltando l’Anci e le organizzazioni sindacali.
Il presidente dell’Anci, Pier Sandro Scano, in apertura, ha respinto «l’impressione secondo la quale i sindaci vogliono difendere lo statu quo, anzi sono perfettamente consapevoli di trovarsi di fronte ad una riforma radicale della sanità sarda e, per questo, sono molto attenti a vedere come si realizzerà in ogni paese l’equilibrio fra rete ospedaliera, rete dei servizi e struttura di emergenza-urgenza in una visione di sistema che ancora non c’è; questo è il sentimento comune che, fra l’altro, ha ispirato le grandi mobilitazioni registrate nei territori».
Pier Sandro Scano ha poi invitato la commissione ad una riflessione sul rapporto fra geografia istituzionale (derivante dalla riforma degli Enti locali) ed organizzazione sanitaria sostenendo che «quella istituzionale, che necessariamente avrà tempi più lunghi, deve essere considerata prioritaria; sotto questo profilo non sarebbe utile considerare la scadenza del 1° luglio (data in cui si vorrebbe far partire la nuova rete) con rigidità».
«La riforma – ha concluso – deve dare ai sardi pari diritti a prescindere dal luogo di residenza, questo non vuol dire che si deve avere tutto dappertutto quanto che i servizi devono essere uguali; qui entrano in gioco le istanze dei territori alcune delle quali, come quelle del Sassarese e delle isole minori, appaiono degne della massima attenzione, in una ottica complessiva che non può prevedere aree intoccabili, Cagliari compresa.»
Successivamente la commissione ha ascoltato i rappresentanti sindacali del comparto sanità. Per la Uil Fulvia Murru ha parlato di una “mini-riforma” che lascia nell’incertezza questioni importantissime come le cure territoriali e l’emergenza-urgenza, lascia aperto il problema del coordinamento con la riforma degli Enti locali, sottovaluta l’emergenza del personale sottoposto ad un forte stress dal blocco del turn-over, apre un fronte carico di interrogativi con il Mater Olbia che «rischia di desertificare l’offerta sanitaria pubblica».
A nome della Cgil, Roberta Gessa ha affermato che, «si tratta di una riforma che parte dalla testa anziché dalla base e dimentica pilastri come la rete dei servizi e l’Areus», evitando inoltre di affrontare alcuni nodi centrali della sanità pubblica: prevenzione, presa in carico del paziente sul territorio, liste d’attesa. Una riforma con queste lacune «rischia di far implodere il sistema – ha concluso – anche perché tutte le piante organiche delle aziende sarde sono fortemente sottodimensionate».
Critico anche Davide Paderi della Cisl, nei confronti di una riforma «che dice cosa bisogna fare in modo giusto ma sbaglia non indicando come si deve fare, aprendo una fase di transizione carica di incertezze in un settore delicatissimo». Secondo Paderi, poi, «dalla riforma è assente il problema del lavoro e lo sblocco parziale del turn over non è sufficiente a risolvere la situazione di molti reparti che stavano letteralmente scoppiando».
Giacomo Meloni, della Css, ha messo l’accento sulle carenze di una riforma che «contiene scelte interessanti ma poi non stanzia risorse e non ha il coraggio di fare scelte coerenti», esprimendo poi preoccupazione per la presenza di una struttura come il Mater Olbia che «potrebbe sottrarre risorse preziose alla sanità pubblica».
L’Ugl infine, con Lino Marroccu, ha segnalato alla commissione che la riforma dimentica colpevolmente quello che dovrebbe essere il cuore del cambiamento del sistema sanitario, le liste d’attesa: «Nel settore privato bastano pochi giorni ma nel pubblico ci vogliono mesi».