22 November, 2024
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Ritratto di famiglia in un inferno con “Un tram che si chiama Desiderio” – il capolavoro di Tennessee Williams in cartellone in prima regionale sabato 15 gennaio, alle 20.45, al Teatro Centrale di Carbonia nella raffinata mise en scène firmata da Pier Luigi Pizzi per Gitiesse – Artisti Riuniti diretta da Geppy Gleijeses in tournée nell’Isola sotto le insegne della Stagione di Prosa 2021-2022 organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna con il patrocinio ed il sostegno del MiC / Ministero della Cultura, della Regione Sardegna e dei comuni di Carbonia e Sassari (dove lo spettacolo è andato in scena ieri sera e verrà replicato questa mattina per le scuole) e con il contributo della Fondazione di Sardegna.

Sotto i riflettori Mariangela D’Abbraccio – tra le più interessanti ed apprezzate interpreti del teatro italiano, figlia e nipote d’arte, nel ruolo di Blanche DuBois interpretato da Vivien Leigh (protagonista della versione inglese diretta da sir Laurence Olivier) nella celebre trasposizione cinematografica di Elia Kazan e Daniele Pecci, volto noto del piccolo e del grande schermo, da fiction come “Il bello delle donne” e “Orgoglio”alla più recente “Cuori”, da “Fortapàsc” di Marco Risi a “Mine Vaganti” di Ferzan Özpetek, nella parte di Ferzan Özpetek, già di Marlon Brando nel primo fortunato allestimento di Broadway (accanto a Jessica Tandy) e poi nel pluripremiato film di Elia Kazan.

Nel cast Giorgia Salari, Eros Pascale, Gabriele Anagni, Erika Puddu e Massimo Odierna, le musiche sono di Matteo D’Amico mentre l’artigiano della luce è Luigi Ascione: l’elegante allestimento porta la firma prestigiosa di Pier Luigi Pizzi, artista di fama internazionale, all’attivo un’intensa carriera tra lirica e prosa, a partire dall’importante sodalizio con la Compagnia dei Giovani fondata da Giorgio De Lullo, Romolo Valli, Anna Maria Guarnieri, Elsa Albani e Rossella Falk, che ha curato la regia e le evocative scenografie del dramma di Tennessee Williams, per far rivivere le atmosfere di un’epoca insieme agli stati d’animo dei personaggi.

 

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Un ironico e grottesco affresco della società – tra vizi e (rare) virtù – nell’Italia del primo Novecento con “Sorelle Materassi” – intrigante e originale pièce teatrale firmata da Ugo Chiti (uno dei più noti drammaturghi contemporanei) e liberamente tratta dall’omonimo e fortunato romanzo di Aldo Palazzeschi, in tournée nell’Isola sotto le insegne del CeDAC per la stagione 2016-17 de La Grande Prosa nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.

Sotto i riflettori due signore della scena come Lucia Poli e Milena Vukotić – protagoniste insieme a Marilù Prati e a un’affiatata compagnia (che comprende Gabriele Anagni, Sandra Garuglieri, Luca Mandarini e Roberta Lucca) per la regia di Geppy Gleijeses, incarnano i personaggi nati dalla penna del poeta e scrittore fiorentino, figura di spicco nella vivace e feconda stagione delle avanguardie letterarie del secolo breve.

Sorelle Materassi” debutterà -in prima regionale – martedì 7 marzo, alle 21.00, al Teatro Comunale di Sassari per approdare mercoledì 8 marzo, alle 20.45, al Teatro Centrale di Carbonia, giovedì 9 marzo, alle 20.30, al Teatro Eliseo di Nuoro e infine venerdì 10 marzo, alle 21.00, al Teatro Comunale Nelson Mandela di Santa Teresa Gallura.

Un “ritratto di famiglia” dipinto con sottile umorismo da cui emergono i caratteri di Teresa e Carolina Materassi, due mature signorine che grazie all’arte sapiente e al duro lavoro di ricamatrici son riuscite a conquistare il rispetto e perfino ad assurgere a una posizione di un certo prestigio presso la borghesia cittadina, ma son rimaste fin troppo ingenue e ignare del mondo, tanto da lasciarsi facilmente incantare dal fascino e dalla prestanza virile di un giovane nipote, apparso all’improvviso a sconvolgere la quieta routine delle loro esistenze. Il giovanotto, Remo, figlio di un’altra sorella morta ad Ancona, bello quanto spregiudicato, spiritoso e mondano, non si perita di approfittare della generosità e dell’indulgenza delle zie, fin troppo ben disposte nei suoi confronti e pronte a spendere fino all’ultimo centesimo dei risparmi di una vita di sacrifici per soddisfarne i capricci.

In quel gineceo – oltre alle due sorelle maggiori, e alla minore Giselda, da loro accolta dopo il fallimento del suo matrimonio (ormai disincantata e amareggiata), c’è pure la fedele domestica – il nipote per quanto superficiale, egoista, approfittatore, prodigo e dissoluto, porta una ventata di giovinezza, un’inattesa vivacità e quasi una promessa di felicità risvegliando desideri sopiti e dimenticati nel vuoto d’amore in cui le sue zie si erano ormai abituate a trascorrere i loro giorni. Egli finisce con l’incarnare – suo malgrado – il mito del superuomo celebrato nei fasti del Ventennio e le ricamatrici si fanno vestali di quel culto pagano, disposte a sperperare l’intero esiguo patrimonio per favorire l’ascesa mondana di quel giovane tanto pieno di spirito, immolandosi per veder splendere e accrescere la sua luce.

Feroce parodia della borghesia di provincia – con i suoi rigidi principi e valori morali, cui le sorelle Materassi si sono attenute per tutta una vita, soffocando in sé ogni impulso contrario e vincendo le proprie debolezze fino a mortificare la propria femminilità, dedicandosi interamente a comporre raffinati e preziosi corredi per le spose e eleganti parure di biancheria per le dimore delle agiate famiglie cittadine, il romanzo di Palazzeschi mette in ridicolo le ambizioni e le convenzioni, ma specialmente l’ipocrisia della società. La pièce riprende i velati toni satirici, lasciando affiorare attraverso le battute, le azioni e le situazioni, la dimensione dell’inconscio dei personaggi, i pensieri più segreti e inconfessabili, le intuizioni e le intenzioni, ma anche la magia di un gioco di finzione capace di mettere a nudo la verità.

Fotografia di un’epoca ricca di contraddizioni – tra la tradizionale morale cattolica e l’avvento della modernità, l’eco e le ferite della “grande guerra” che sconvolse l’Europa e la roboante propaganda del regime, ma anche la fervida temperie delle avanguardie che introdussero una nuova estetica e un’altra visione del mondo – “Sorelle Materassi” ripropone, rovesciandolo, un archetipo già presente in “Canne al vento” di Grazia Deledda. Il rimpianto di una giovinezza sfiorita all’ombra di un ferreo senso del dovere, ma anche del terrore dello scandalo, con l’obbligo di salvaguardare il buon nome della famiglia, si fa più acuto davanti alla consapevolezza delle gioie perdute, dell’inutilità di una rinuncia apprezzabile agli occhi del mondo ma grave di tutto il peso di una sconfinata infelicità.

Le “Sorelle Materassi” rappresentano – a loro insaputa – il simbolo di un’esistenza interamente trascorsa nel rispetto di nobili ideali uniti ad una certa accortezza negli affari, e solido senso pratico, ma comunque lontano dalle tentazioni del mondo, finché e quasi paradossalmente un’incarnazione della libertà non disgiunta da una certa sfrontatezza viene ad abitare sotto lo stesso tetto. Il fulgore della giovinezza maschera gli evidenti difetti del carattere, e le mature protagoniste si lasciano affascinare e come inebriare dal profumo di quell’inattesa primavera, sorde a ogni richiamo si concedono vaghi sogni se non desideri proibiti, pagando infine a caro prezzo la loro debolezza, fino a trovarsi sull’orlo del baratro, ma pur nella rovina risuona ancora tra i rimpianti e non senza malinconia l’eco di quella breve ma esaltante illusione di felicità.