18 July, 2024
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L’inadeguatezza del servizio sanitario pubblico nel Sulcis Iglesiente è sempre più grave. Non passa giorno che non emergano testimonianze di cittadini che si trovano nella condizione di rivolgersi al servizio sanitario pubblico, a Carbonia come a Iglesias, e che, purtroppo, vanno incontro a disservizi incredibili e…inaccettabili…

Stamane abbiamo raccolto la testimonianza di Alessandro Pintor, cittadino di Carbonia con una lunga esperienza alle spalle nel settore del volontariato sanitario, che si è trovato nella condizione di avere bisogno, per un familiare, del servizio sanitario pubblico all’ospedale Sirai.

«Lunedì 27 gennaio, una persona anziana, 78 anni, cade e si frattura il femore, per l’esattezza una frattura sottotrocanterica, spiroide scomposta, con estensione al terzo diafisario e distacco del piccolo trocantere – spiega Alessandro Pintor -. Arrivo al Pronto Soccorso del Sirai alle 18.30 circa. Viene, dopo gli accertamenti del caso, trasportata in reparto alle ore 00.30 circa. Ricoverata nel reparto di Urologia perché quello di Traumatologia è strapieno. Il femore è stato sistemato in modo da non provocare dolore e messo in trazione la mattina successiva, un intervento che di norma, deve essere eseguito entro 48 ore per l’incolumità del paziente stesso. Nella giornata di giovedì – aggiunge Alessandro Pintor – viene finalmente trasportata nel suo reparto. Di giorno in giorno viene rimandato l’intervento per le cause, purtroppo, già note… Non ci sono anestesisti, non abbiamo abbastanza sale operatorie… Persone in queste condizioni ce ne sono ben più di una, purtroppo. Un malato di Siliqua, non vedente, con le piaghe da decubito, attende da lunedì scorso. Tra l’altro, medici ed infermieri sono sottoposti ad un superlavoro per carenza di organico, emergenza che si aggrava quando, come è accaduto nella settimana appena trascorsa, si verificano numerose urgenze – conclude Alessandro Pintor -. Non sappiamo chi sia responsabile ma ci terremmo tanto a saperlo.»

La testimonianza di Alessandro Pintor dice tutto, la Giunta regionale ha in cantiere una nuova riforma del servizio sanitario, le gravissime emergenze richiedono tempi brevi, brevissimi, perché il Sulcis Iglesiente sta vivendo un decadimento senza fine della Sanità pubblica, divenuto ormai insopportabile.

Giampaolo Cirronis

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Sabato 18 e domenica 19 gennaio, Carloforte ha ricordato uno degli episodi più rilevanti della storia carlofortina del secolo scorso, nonché il più grave disastro navale della Marina Mercantile Italiana nel dopoguerra, verificatosi esattamente 50 anni fa: la tragedia del Fusina.

La notte del 16 gennaio 1970, la nave Fusina, partita da Portovesme con un carico di blenda destinato a Fusina (Porto Marghera, in Veneto), a seguito di uno spostamento del carico e del forte maltempo, naufragò a nord dell’isola di San Pietro, con un bilancio drammatico. Dei 19 membri dell’equipaggio, la maggior parte di origine veneta, 18 persero la vita, compreso il minorenne Angelo Barbieri, il cui corpo, insieme a quelli di altri quattro marinai, non fu mai trovato. Ci fu un solo superstite, il cameriere di bordo Ugo Freguja, considerato un “miracolato” per il modo in cui riuscì a salvarsi.

A distanza di mezzo secolo dal drammatico evento, col patrocinio del comune di Carloforte, la Pro Loco ha organizzato una serata commemorativa sabato 18 gennaio, presso la sala Exme di via XX Settembre (presenti il sindaco Salvatore Puggioni ed alcuni amministratori. il comandante della Guardia Costiera ed il vice comandante della stazione dei carabinieri di Carloforte). Nel corso della serata, sono stati presentati documenti, filmati (le prime interviste a Ugo Freguja trasmesse dalla RAI), letture e testimonianze inedite (un’intervista telefonica realizzata dal giornalista Simone Repetto con Ugo Freguja sabato mattina), che hanno ripercorso le vicende della sciagura ed il suo ricordo nel tempo, a cui è stato dedicato il libro “La tragedia del Fusina”, pubblicato nel 2010 da Giampaolo Cirronis Editore, presentato anche a Chioggia, il 6 marzo 2010.

A fine serata, abbiamo intervistato il presidente della Pro Loco di Carloforte, Gianni Repetto.

                                      

 

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Carbonia ha dato il suo estremo saluto questo pomeriggio, a Michele Cancedda, morto alle 13.00 di ieri, 14 gennaio 2020, all’età di 85 anni. La chiesa della parrocchia di Cristo Re s’è riempita di parenti e amici, tra i quali molti ex amministratori del comune di Carbonia, con i quali ha condiviso una lunghissima esperienza da consigliere di minoranza, durata tre decenni, nelle file della Democrazia Cristiana, il partito nel quale ha sempre militato.

Eletto la prima volta nel lontano 1963, all’età di 28 anni, quando il sindaco era Antonio Saba, è stato sempre rieletto per complessive sei consiliature, con altri 4 sindaci: Aldo Lai (26 gennaio 1965 / 29 aprile 1967), Pietro Cocco 7 gennaio 1969 / febbraio 1983), Ugo Bruno Piano (14 marzo 1983 / 27 agosto 1990) ed Antonangelo Casula (27 agosto 1990 / 6 giugno 1993). Una sola breve interruzione, durata meno più di un anno, dal 22 novembre 1967 al 18 novembre 1968, quando il Comune, a seguito dello scioglimento anticipato del Consiglio comunale, venne guidato dal commissario prefettizio Salvatore Pandolfini. L’ultima consiliatura, iniziata nel 1988 e conclusa nel 1993, vide la città guidata da due sindaci: Ugo Bruno Piano ed Antonangelo Casula (era l’ultima consiliatura prima dell’entrata in vigore della legge 25 marzo 1993 n. 81 che disciplina l’elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia, dei consigli comunali e provinciali).

Pur avendo occupato a lungo i banchi della minoranza, Michele Cancedda si è distinto per l’impegno che ha sempre profuso nell’attività consiliare, in particolare nelle Commissioni, con naturale predisposizione per quella del commercio, settore dal quale proveniva dal punto di vista professionale. Ha sempre tenuto un rapporto sincero e cordiale sia con i consiglieri di maggioranza sia con gli altri della minoranza, ricevendo sempre in cambio, il rispetto da parte di tutti.

Conclusa l’esperienza in Consiglio comunale, ha lasciato la politica attiva ma è rimasto sempre un attento osservatore delle vicende cittadine, politiche e non, sulle quali ho avuto modo di confrontarmi con lui anche recentemente. La sua scomparsa lascia un grande vuoto nella famiglia e tra i tanti amici, molti dei quali oggi gli hanno tributato l’ultimo saluto.

Giampaolo Cirronis

Michele Cancedda consigliere comunale della DC negli anni ’80 (al suo fianco Francesco Auteri).

Michele Cancedda in una fotografia scattata 4 anni fa, il 17 gennaio 2016.

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Nel fine settimana, la Pro Loco di Carloforte ricorderà uno degli episodi più rilevanti della storia carlofortina del secolo scorso, nonché il più grave disastro navale della Marina Mercantile Italiana nel dopoguerra: la tragedia del Fusina.

La notte del 16 gennaio 1970, la nave Fusina, partita da Portovesme con un carico di blenda destinato a Fusina (Porto Marghera, in Veneto), a seguito di uno spostamento del carico e del forte maltempo, naufragò a nord dell’isola di San Pietro, con un bilancio drammatico. Dei 19 membri dell’equipaggio, la maggior parte di origine veneta, 18 persero la vita, compreso il minorenne Angelo Barbieri, il cui corpo non fu mai trovato. Ci fu un solo superstite, il cameriere di bordo Ugo Freguja, considerato un “miracolato” per il modo in cui riuscì a salvarsi.

A distanza di mezzo secolo dal drammatico evento, col patrocinio del comune di Carloforte, la Pro Loco ha organizzato una serata commemorativa sabato 18 gennaio, dalle 18.00 presso la sala Exme di via XX Settembre, con la presentazione di documenti, filmati, letture e testimonianze inedite, che ripercorrono le vicende della sciagura ed il suo ricordo nel tempo, a cui è stato dedicato il libro “La tragedia del Fusina”, pubblicato nel 2010 da Giampaolo Cirronis Editore.

Domenica mattina, presso la chiesa di San Carlo Borromeo (in cui si tennero i funerali delle vittime), alle 10.30, verrà celebrata una messa in suffragio, al termine della quale ci sarà una processione verso il monumento alla Stella Maris, sulla banchina Mamma Mahon, dove figurano i nomi dei deceduti nel naufragio e la targa di costruzione della nave, posizionata a cura della Pro Loco nel 2012.

Alla presenza delle autorità civili e militari e delle associazioni cittadine, verrà deposto un omaggio floreale agli sfortunati marittimi del Fusina.

Ugo Freguja. Foto di Giancarlo Canavera.

La nave mercantile Fusina in porto.

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Gli arrivi di Graziano Mannu sulla panchina del La Palma Monte Urpinu (Eccellenza regionale), subito dopo Natale, e di Fabio Piras su quella della Monteponi (Promozione regionale), ufficializzata stamane, rafforzano la presenza di tecnici di Carbonia sulle panchine dei due principali campionati regionali. Graziano Mannu, uno dei tecnici di più lunga e brillante esperienza nel campionato di Eccellenza, è tornato sulla scena dopo un anno e mezzo, al capezzale di una squadra “malata”, con l’obiettivo di ripetere l’impresa compiuta nel campionato 2017/2018 alla guida della Kosmoto Monastir. In precedenza ha guidato per sette stagioni consecutive il Carbonia, tra Eccellenza e Promozione, il Sanluri, il Ghilarza (con il quale ha vinto Coppa Italia e Super Coppa) e Castiadas. Ha iniziato la nuova esperienza nel campionato che ha avuto fin qui grande protagonista, capolista con Castiadas ed Ossese in campionato e finalista con l’Atletico Uri in Coppa Italia, la sua ex squadra, il Carbonia, guidata brillantemente da Andrea Marongiu, tecnico originario di Gonnesa ma ormai veterano al Carbonia, alla quarta stagione non consecutiva in panchina, dopo l’esperienza avuta da calciatore. Fabio Piras è tornato in panchina oggi, dopo l’esperienza avuta nella passata stagione alla guida del Carbonia, conclusa con un terzo posto, ed alcuni mesi di pausa, i primi dopo i tanti anni vissuti prima da calciatore, poi da allenatore nel settore giovanile, con l’obiettivo di rilanciare un’altra squadra “malata”, la Monteponi, costruita per vincere in estate e ricostruita quasi interamente prima di Natale, oggi ancora lontana dal vertice della classifica.

Nel girone A del campionato di Promozione, allena un altro tecnico di Carbonia, Titti Podda, una lunga carriera alle spalle (le esperienze più lunghe le ha vissute con la Gialeto ed il Siliqua, brevi quelle con Carbonia e Monteponi), quest’anno alla guida del Villamassargia. Marco Farci, originario di Paringianu, è protagonista con il Cortoghiana dei miracoli, secondo un anno fa in Prima Categoria, ripescato a seguito della fusione del Carbonia con il Samassi ed ora quarto in classifica al termine del girone d’andata e semifinalista in Coppa Italia con la Macomerese.

La pattuglia dei tecnici di Carbonia è forte anche nel girone B del campionato di Prima Categoria. Due delle quattro squadre sulcitane, infatti, sono guidate da un paio di stagioni da tecnici della città mineraria: la Fermassenti da Roberto Concas, l’Atletico Villaperuccio da Gian Marco Manca.

Da diversi anni non si ricorda una presenza così numerosa e qualificata di tecnici di Carbonia nei campionati regionali, a conferma della crescita del movimento che sicuramente potrà avere un’ulteriore spinta dai risultati delle squadre più attrezzate, Carbonia in testa. E ad alimentare la fiducia è sicuramente l’età media ancora giovane dei tecnici oggi protagonisti.

Giampaolo Cirronis

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Si è svolto ieri pomeriggio, giorno dell’Epifania, a Sant’Antioco, l’evento finale di “I presepi nell’Isola”, la mostra organizzata dall’associazione “Sant’Antioco abbraccia il mare”, con il patrocinio del comune di Sant’Antioco.

Sono stati estratti i numerosi premi in palio, offerti dalla casa editrice di Giampaolo Cirronis, dall’associazione culturale “Sant’Antioco abbraccia il mare” e dalla Casa vacanze “Sa domu de Pasqualinu” di Carbonia, a conclusione del concorso “Caro Babbo Natale”, organizzato dal gruppo “La scatola dei colori”, in collaborazione con la testata giornalistica cartacea “La Provincia del Sulcis Iglesiente” e quella online “www.laprovinciadelsulcisiglesiente.com” .

Il concorso prevedeva l’invio di una lettera speciale nella quale si chiedeva qualcosa di magico, un miracolo in grado di aggiustare questo mondo “tutto rotto”, qualche “cerotto” per aiutare tutti a stare meglioTutte le lettere saranno pubblicate nel giornale quotidiano online “www.laprovinciadelsulcisiglesiente.com” e le più originali anche nella versione cartacea dello stesso giornale.

Sono stati 67 i presepi esposti dal 14 dicembre, realizzati da artisti provenienti da tutto il Sulcis Iglesiente, dal Cagliaritano e persino dalla Penisola. Tutti i lavori sono stati raccolti in un album fotografico che promuove anche la 10ª edizione del Presepe lapideo del maestro Gianni Salidu, quest’anno allestito nel bellissimo giardino di Casa Locci.

L’evento conclusivo è stato impreziosito dall’esibizione del suonatore di launeddas Stefano Castello, sempre vicino alle iniziative dell’associazione “Sant’Antioco abbraccia il mare”.

Grande soddisfazione per la riuscita dell’evento è stata espressa da Pinella Bullegas, presidente dell’associazione “Sant’Antioco abbraccia il mare” e da Nadia Pische che ha collaborato per la sua realizzazione.

 

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E’ in programma lunedì 6 gennaio, giorno dell’Epifania, a Sant’Antioco, l’evento finale di “I presepi nell’Isola”, mostra organizzata dall’associazione “Sant’Antioco abbraccia il mare”, con il patrocinio del comune di Sant’Antioco. Sono 56 i presepi esposti dal 14 dicembre, realizzati da artisti provenienti da tutto il Sulcis Iglesiente, dal Cagliaritano e persino dalla Penisola. Tutti i lavori sono stati raccolti in un album fotografico che promuove anche la 10ª edizione del Presepe lapideo del maestro Gianni Salidu, quest’anno allestito nel bellissimo giardino di Casa Locci.

Il gruppo “La scatola dei colori”, in collaborazione con la testata giornalistica cartacea “La Provincia del Sulcis Iglesiente” e quella online “www.laprovinciadelsulcisiglesiente.com”, in occasione dell’evento “I presepi nell’Isola”, ha bandito il concorso “Caro Babbo Natale”, che è consistito nell’invio di una lettera speciale nella quale si chiede qualcosa di magico, un miracolo che possa aggiustare questo mondo “tutto rotto”, qualche “cerotto” per aiutare tutti a stare meglio.

Questa sera il gruppo di lavoro, guidato da Pinella Bullegas, presidente dell’associazione “Sant’Antioco abbraccia il mare”, e da Nadia Pische, ha rifinito gli ultimi preparativi.

Domani, 6 gennaio 2020, si procederà all’estrazione dei numerosi premi in palio, offerti dalla casa editrice di Giampaolo Cirronis, dall’associazione culturale “Sant’Antioco abbraccia il mare” e dalla Casa vacanze “Sa domu de Pasqualinu” di Carbonia. Tutte le lettere saranno pubblicate nel giornale quotidiano online “www.laprovinciadelsulcisiglesiente.com” e le più originali anche nella versione cartacea dello stesso giornale.

 

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Ci sono esperienze, nella vita di ognuno di noi, che segnano un’intera esistenza. Una di queste, per me, è stata la presentazione del libro “L’animo degli offesi”, di Giuseppe Mura, che ho avuto l’onore di pubblicare, avvenuta il 26 gennaio 2014 al Museo della Liberazione, in via Tasso, a Roma. Quando accadde quel giorno, può essere racchiuso nella fotografia allegata, nella quale, uno di fianco all’altro, ci sono tre reduci dei campi di concentramento di Auschwitz e Mauthausen, Vera Michelin Salomon, Pietro Terracina e Modesto Melis, che raccontarono ai presenti le loro drammatiche esperienze di deportati. Un’esperienza unica ed irripetibile, perché Vera, Pietro e Modesto, ci hanno lasciato per sempre.
Il primo a lasciarci è stato Modesto Melis. Nato a Gairo l’11 aprile 1920, si è spento a Carbonia, la sua città d’adozione, il 9 gennaio 2017. Aveva quasi 97 anni.
Vera Michelin Salomon, nata a Carema (Torino) il 4 novembre 1923, si è spenta a Lucca, poco più di due mesi fa, il 27 ottobre 2019, Aveva quasi 96 anni.
Pietro Terracina, nato a Roma il 12 novembre 1928, ha cessato di vivere nella sua città, meno di un mese fa, l’8 dicembre 2019. Aveva appena compiuto 91 anni.
Per ricordare Modesto Melis, Vera Michelin Salomon e Pietro Terracina, pubblichiamo l’articolo scritto da Nadia Pische nel n° 267 de “La Provincia del Sulcis Iglesiente”, l’11 febbraio 2014, al rientro dalla trasferta di tre giorni a Roma, che ha vissuto le altre due tappe all’Istituto Comprensivo di Marina di Cerveteri e al Liceo artistico “E. Rossi” della Capitale.
Dal 26 al 28 gennaio è stato il protagonista degli incontri del progetto/percorso “La memoria degli offesi e degli stermini dimenticati”
La “tre giorni” di Modesto Melis nella Capitale
I suoi ricordi hanno varcato il mar Tirreno per arrivare all’Istituto Comprensivo di Marina di Cerveteri e al Liceo artistico “E. Rossi” di Roma.
La tre giorni di “zio Modesto”, così ormai chiamato dai suoi più affezionati “seguaci”, ha inizio il 26 gennaio, a Roma. Il Museo storico della Liberazione, ha ospitato la prima tappa del progetto/percorso “La memoria degli offesi e degli stermini dimenticati”, promosso dal comune di Cerveteri, in collaborazione con l’Istituto comprensivo di Marina di Cerveteri ed il Liceo artistico E. Rossi di Via del Frantoio a Roma, già Istituto statale d’arte Roma 2.
Un viaggio attraverso la memoria non poteva che iniziare in un edificio ricco di storia e di storie, un vero e proprio “baule di atroci ricordi”. Lo stabile, che prima dell’occupazione di Roma ospitava gli uffici culturali dell’ambasciata tedesca, divenne la sede del comando del Sichereitdienst (SD servizio di sicurezza) e della Sichereitdienst polizei (SIPO, polizia di sicurezza) sotto il comando del tenente colonnello Herbert Kappler. Lì arrivavano i deportati, anche senza motivo, interrogati, detenuti e torturati e da lì si poteva uscire con varie destinazioni: il carcere di Regina Coeli, il Tribunale di guerra, la deportazione oppure, come accadde a molti, le Fosse Ardeatine. Circa 2.000 persone passarono attraverso quelle stanze, lasciando aleggiare per sempre, tra quelle mura, le loro tristi vicende. Dopo la liberazione, l’edificio fu occupato da sfollati, finché negli anni ‘50, la proprietaria donò allo Stato quattro appartamenti, a patto che lì nascesse il Museo storico della Liberazione.
La storia di “zio Modesto” raccontata tra queste pareti impregnate di soprusi, prende forma per rendere omaggio a chi, purtroppo, non è sopravvissuto, a chi è caduto, senza tornare, tra le mani di uomini convinti di appartenere ad una razza superiore. Quella di Modesto Melis è la storia di un uomo qualunque che si trova nel posto sbagliato, al momento sbagliato, un racconto caratterizzato da umiliazioni e fame, da privazioni e ingiustizie, da verità nascoste, scottanti, per tanto tempo taciute… verità raccontate e per tante persone inventate. “L’animo degli offesi” è una testimonianza ricca di documenti e foto che hanno reso il tutto tristemente credibile. Alla presentazione, presso il Museo sito in via Tasso, del libro “L’animo degli offesi”, scritto da Giuseppe Mura ed edito da Giampaolo Cirronis, sono stati ospiti Pietro Terracina e Vera Michelen Salomon. Coordinati dal presidente del Museo, Antonio Parisella, i tre testimoni di “memorie scottanti” hanno rievocato alcuni tra i momenti più difficili della loro terribile esperienza di vita.
Modesto Melis, un giovane di 24 anni che all’alba del 5 maggio 1945, dopo che la corrente elettrica cessa di passare attraverso i fili di corrente che circondano il campo di concentramento di Mauthausen, è un uomo libero, non è più il numero 82.441, ma è di nuovo Modesto, ed è proprio in quel momento che rinasce per la seconda volta, quando ormai la sua famiglia lo crede morto. Ora “zio Modesto” gira per la Sardegna dove vive ed ultimamente varca anche il mare, come è accaduto in questa occasione a Roma, per raccontare nelle scuole e nei centri di cultura, nei teatri e nelle biblioteche, “i suoi pezzi di vita a Mauthausen”.
Pietro Terracina, è un ebreo sopravvissuto al campo di concentramento di Auschwitz, dove fu deportato proprio per le sue origini con i componenti della sua famiglia, ben otto persone, che lì persero la vita tra barbarie e stenti e da cui venne liberato il 27 gennaio 1945. Attualmente vive a Roma, è un dirigente d’azienda in pensione ed anche lui come Modesto Melis, si reca presso le scuole, i teatri e le biblioteche, per narrare le sue esperienze vissute.
Lui stesso racconta: «Ad Auschwitz il prigioniero non aveva nome, gli internati non erano persone ma pezzi. Ai prigionieri veniva tolta la dignità. Dei sopravvissuti pochissimi sono riusciti a tornare persone degne di essere chiamate tali. C’era un grande silenzio ad Auschwitz, arrivò il momento della liberazione e nessuno gioì, eravamo minati nella salute e completamente mutilati nella personalità.»
Vera Michelin Salomon è una giovane ragazza di poco più di 18 anni, quando intorno alle 13.00 del 14 febbraio 1944, rientrando a casa della sua amica Enrica Filippini Lera, dove era ospite per motivi di lavoro, in quanto la sua famiglia risiedeva a Milano e lei svolgeva la professione di segretaria presso una scuola professionale a Roma, trovò due uomini delle SS; poco dopo, rientrò anche la sua amica Enrica, “i due” concessero loro di mangiare con il resto della famiglia, in quanto avendo notato la tavola apparecchiata per otto persone, delle quali solo cinque presenti, sicuramente nutrivano la speranza che arrivassero gli altri tre, che invece furono avvertiti della visita e si dileguarono nel nulla. Alla fine del pranzo, arrivarono anche altri due uomini delle SS e i cinque furono portati in via Tasso, nel carcere oggi Museo, da dove è partita la “tre giorni” di Modesto. Erano accusati di propaganda clandestina e Vera aveva anche l’aggravante del possesso di una pistola, che, pur non essendo sua ma conoscendone l’esistenza, ingenuamente aveva estratto da un sacco di farina in cui era nascosta, per buttarla giù dal balcone, dove fu invece immediatamente trovata. L’arresto fu un vero e proprio “fulmine a ciel sereno”, ma il volantino che facevano circolare non lasciava dubbi, il messaggio era forte e chiaro… si proclamava uno sciopero presso le scuole superiori e l’università, i ragazzi diciottenni venivano invitati a nascondersi piuttosto che a presentarsi al distretto militare… Un vero e proprio affronto! I cinque rimasero in carcere sino ai primi di aprile, quando ci fu il processo che vide l’assoluzione dei ragazzi, anche se poi uno di loro, Paolo Petrucci fu ucciso alle Fosse Ardeatine, e la condanna delle ragazze a tre anni da scontarsi in Germania. Insieme ad Enrica e Vera c’era anche Ines Versari, un’emiliana arrestata al posto della figlia partigiana. La vita in carcere era dura, essendo un penitenziario femminile le sorveglianti erano donne, non erano cattive ma pretendevano rigore e disciplina, non si poteva cantare e la lettura veniva concessa solo la domenica, purtroppo però i testi erano in tedesco. Non potevano scrivere, solo una lettera appena arrivate e dopo sei mesi una al mese, poche righe sia in uscita sia in entrata, controllate accuratamente affinché non trapelassero verità scottanti. Le tre amiche venivano obbligate al lavoro in cella e cucivano ghette per i militari bevendo un caffè a colazione, una brodaglia di rape a pranzo, a cui a volte seguiva un pezzo di salsiccia, mentre della cena non conoscevano l’esistenza. Erano donne che provenivano da diversi paesi: altre sette italiane oltre loro, molte francesi ma anche greche.
«Con l’arrivo degli americani… la liberazione… le stesse sorveglianti spalancarono le porte – racconta Vera – il giubilo fu incontenibile, in un attimo eravamo fuori dalla cella, negli anditi e poi all’esterno… subito ci diedero qualcosa da mangiare, ci riunimmo tutte noi prigioniere politiche per parlare e poi fu subito festa… finalmente potevamo cantare! Dopo qualche giorno arrivammo nell’androne di una caserma, ma i militari ci dissero che non c’era posto per noi, anzi ci sbeffeggiarono, le donne secondo loro dovevano stare a casa e non fare politica… Da lì in un posto di raccolta francese, da dove fummo rintracciate e potemmo finalmente salire sulla jeep dell’esercito inglese, eravamo dei partigiani che desideravano solo tornare a casa… arrivammo a Milano nella notte del 2 giugno» Oggi Vera si reca anche lei come Modesto Melis e Pietro Terracina in luoghi di cultura, per trasmettere ai giovani e non solo, le nefandezze di cui sono stati vittime e di cui non dimenticheranno mai i segni, per sempre impressi nei loro ricordi.
La seconda tappa di questo viaggio nella memoria prosegue a Marina di Cerveteri dove, come racconta lo stesso autore del libro, Giuseppe Mura… «ci ha accolto una pioggia battente, preludio di quella ben più abbondante che si sarebbe poi riversata su Roma qualche giorno appresso; deliziosa cittadina quella di Cerveteri, benché al momento avvolta in una nube di gocce d’acqua. Era appunto la mattina del 27 gennaio, anniversario emblematico della liberazione del lager di Auschwitz-Birkenau da parte delle avanguardie dell’armata rossa avanzante verso il cuore del Reich. Ad accoglierci, nella suggestiva scenografia offerta da un’ampia sala consiliare, ricavata nel magazzino di un antico granaio, recentemente restaurato ed oggi adibito ad edificio comunale, con tanto di torre/silo e con l’ampia scala a chiocciola, sulla quale si arrampicavano un tempo i somari, gravati del peso delle gerle di grano, il giovane sindaco Alessio Pascucci con l’assessore alle Politiche scolastiche Giuseppe Zito, insieme a qualche centinaio di bambini e ragazzi delle scuole secondarie di primo grado e primarie, accompagnati da genitori, insegnanti e dalla loro dirigente scolastica Maria Vittoria Serru, promotrice ed organizzatrice, insieme a Marisa Melis e Marisa Deledda, di queste tre giornate di presentazione e commemorazione delle stragi perpetrate dal nazifascismo, negli anni compresi tra il 1940 e il 1945.»
Come sempre accade nelle scuole in cui Modesto si trova a narrare la sua terribile esperienza, il racconto è stato ascoltato in attonito silenzio, trasformatosi poi in una cascata di domande da parte dei presenti, adulti e ragazzi, che hanno trovato nelle sue parole, sempre misurate e spesso mitigate da un velo di ironia, risposte ai quesiti ed alle perplessità dei presenti. Al termine dell’incontro, una rappresentanza di bambini ha donato all’ex deportato alcuni lavori da loro stessi preparati, con disegni e riflessioni sull’argomento, concludendo così con un sorriso di speranza «una giornata voluta per ricordare, soprattutto ai ragazzi che si accingono ad affrontare la vita, di quali orrori siano capaci gli esseri umani.»
L’ultima tappa della “tre giorni” si è svolta presso il Liceo artistico E. Rossi di Via del Frantoio a Roma, già Istituto statale d’arte Roma 2 dove, col patrocinio del comune di Roma. la dirigente scolastica Maria Grazia Dardanelli ha promosso a pieni voti il progetto, dando il compito di coordinatore dell’evento al professore Bruno Ulian. La mattina del 28 gennaio si è presentata baciata dal sole, “zio Modesto e il suo staff”, hanno raggiunto il giardino della scuola, dove hanno conosciuto la dirigente ed il coordinatore, da lì hanno poi raggiunto il luogo dell’incontro: una splendida struttura prefabbricata con tanto di soppalchi balconati. Ovunque intorno, sulle pareti, negli angoli, appese al soffitto e posate su basi, risplendevano le creazioni degli “studenti artisti”, si respirava una ventata di “vita creativa”, quasi una speranza per un futuro all’insegna di risoluzioni diverse dettate appunto dalla creatività.
Dal tavolo è stato molto piacevole ascoltare le riflessioni della dirigente, del coordinatore, della relatrice Marisa Melis e dell’ambito e piacevolissimo ospite Modesto Melis. Quasi superfluo raccontare l’attenzione con cui i ragazzi e le ragazze della quarta e quinta classe hanno seguito l’intera performance della mattinata: dapprima le esposizioni, poi i racconti, quindi le letture di qualche brano saliente del libro da parte di due studentesse dell’Istituto, un video straziante, girato in occasione della liberazione del campo e, infine, le domande. Una valanga di domande, curiosità e riflessioni che gli studenti hanno rivolto a “zio Modesto”, mostrandogli tantissimo rispetto, ammirazione ed affetto… perché è quasi impossibile non affezionarsi immediatamente a questo curioso ed incredibile “nonnetto novantaquattrenne”, che dall’alto del suo metro e cinquantotto centimetri ha mostrato ed ancora mostra, attraverso i suoi strazianti racconti, sempre velati da una punta d’ironia, quasi per mascherare le atrocità viste e subite in prima persona, la malvagità da parte di troppi uomini, un intero popolo, che ha privato della dignità e della stessa vita uomini, donne e bambini che avrebbero avuto una vita felice e prospera, se solo non fossero finiti in quei tremendi luoghi, “pozzi” di angherie, discriminazioni, persecuzioni e, per molti, vere e proprie tombe.
Una “tre giorni”, quella di “zio Modesto”, che è servita, in qualche modo, a far volare in alto una testimonianza che merita di essere “urlata” ma che con Modesto Melis è stata sussurrata per posarsi più delicatamente nei cuori di tutte le persone che lo incontrano, lo conoscono, che parlano con lui e che dalla luce che emanano i suoi occhi… ed il suo sorriso, traggono uno stato di benessere e rassicurazione… pace… la stessa che ci piace augurare a tutti gli innocenti morti per mani crudeli e ricordati da eventi come questi che hanno un unico obiettivo: RICORDARE PER NON DIMENTICARE…
Grazie “zio Modesto”! Ora non ci resta che sperare in una prossima tappa in Sardegna…
Nadia Pische

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Prosegue con successo, a Sant’Antioco, la mostra “I Presepi nell’Isola”, organizzata dall’associazione “Sant’Antioco abbraccia il mare”.

Visitabile tutti i giorni mattina e sera, in via Vittorio Emanuele 27, offre l’occasione di poter vedere realizzata “La natività” in molte forge rinnovando l’idea dell’arte come fonte inesauribile di creatività.

A dimostrazione del tutto vi invitiamo a vedere ed ammirare i 60 presepi esposti e realizzati da artisti del posto e non solo.

Nel giardino della famiglia Locci, sempre lungo il Corso Vittorio Emanuele, si può ammirare il presepe del noto scultore Gianni Salidu, scomparso da dieci anni ma sempre presente nei cuori delle persone che lo hanno conosciuto e amato.

Ma la novità quest’anno, giunti ormai alla terza edizione, è la comparsa all’interno della sala espositiva della “casa di Babbo Natale”, novità proposta dal gruppo di Carbonia “La scatola dei colori” e accolta da giornale “La Provincia del Sulcis iglesiente“, quindi portata all’associazione “Sant’Antioco abbraccia il mare“, che invita grandi e piccini a scrivere una letterina a Babbo Natale per chiedergli di fare qualche magia per cercare di sistemare questo nostro mondo tutto rotto.

L’entusiasmo per l’iniziativa ha coinvolto come in un gioco di Natale dai bambini ai negozianti, ma non hanno detto no neanche nonne, dottori, politici e baristi che cogliendo l’occasione al volo hanno espresso i più bei desideri al mondo…perché dove sta scritto che gli adulti non possono scrivere a Babbo Natale?

Fatelo in tanti e poi correte il 6 gennaio a sentire un magico suonatore di launeddas e poi ad assistere all’estrazione di numerosi libri della casa editrice di Giampaolo Cirronis e non solo…

Stiamo facendo in modo che ad ogni letterina venga abbinato un premio…

La befana aiutata da due mini valletti vi farà divertire e ai più bravi potrà persino regalare caramelle.

Non mancate quindi vi aspettiamo sino al 6 gennaio per visitare i presepi ed imbucare le lettere e poi il 6 gennaio, alle 17.30, per musica e premi a gogò.

Nadia Pische

        

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E’ stato presentato questa sera, nella Sala Blu del Centro culturale di via Grazia Deledda, a Iglesias, il libro di Franco Reina che racchiude 80 anni di storia di calcio rossoblu Monteponi Iglesias, in 960 pagine, Giampaolo Cirronis Editore. Il calcio rossoblu dagli albori, metà degli anni Venti, al 2005, con gioie e delusioni, tra alti e bassi, attraverso la guerra, il periodo dorato gestito dall’azienda Monteponi e la fase successiva, nella quale solo la grande passione di dirigenti, tecnici e calciatori, ha permesso di continuare a coltivare la grande passione per il gioco del calcio, fenomeno sportivo ma anche sociale.

Franco Reina, già autore della storia della Carbosarda Carbonia calcio e della storia della Coppa Santa Barbara, ha condotto un lavoro di ricerca straordinario, grazie al quale è riuscito a ricostruire passo dopo passo, partita dopo partita, anno dopo anno, 80 anni di storia calcistica, con tabellini, classifiche, statistiche, aneddoti e tante, tantissime fotografie, che costituiscono una testimonianza preziosissima, il tutto racchiuso in un volume che non potrà mancare nelle librerie degli sportivi e, soprattutto, di chi quella storia ha contribuito a scriverla, da calciatore, allenatore, dirigente o anche semplice ma appassionato tifoso.

Alla presentazione erano presenti molti dei protagonisti della storia rossoblu, del passato più o meno recente. Dopo il saluto del presidente del Consiglio comunale, Daniele Reginali, e l’introduzione di Andrea Marras, il calciatore con il maggior numero di presenze, poi allenatore ed ora presidente dell’associazione Vecchie Glorie rossoblù, è intervenuto l’autore, Franco Reina. Si sono poi susseguiti numerosi interventi: da Piero Muscas, dirigente per tanti anni, che ha ripercorso il periodo della gestione di Alvaro Amarugi, a Nino Falchi, uno dei più amati, sia da calciatore sia da allenatore; da Giorgio Cuccu a Giampaolo Cau e Fulvio Cabiddu; da Rino Varsi a Francesco Massole; da Riccardo Illario a Bruno Corda.

Ma nella sala erano presenti tanti altri: da Adriano Novellini a Rino Pianta; da Mario Mureddu ad Antonello Carusi; da Pierpaolo Racugno a Paolo Atzori; da Ottavio Pisu a Ignazio Baldanza; da Franco Gallozzi a Piero Cadeddu; da Gianni Melis a Donnino Casteggio; da Aventino Cinus a Fabio Cau; da Alessandro Leone a Walter Poncellini, da Mario Cuccu a Carlo Cruccas, dirigente da circa mezzo secolo… E c’era anche la figlia maggiore del compianto Ugo Corda, scomparso recentemente.

Nel corso della serata sono stati ricordati anche i tanti protagonisti di questa storia, che purtroppo non ci sono più, dai più anziani a coloro che sono mancati negli ultimi anni: Mariano Dessì, Roberto Sequi, Gianni Giganti, Marco Congiu, Carlo Guzzetti, Chicco Rais ed il già citato Ugo Corda…

Nell’occasione, è stata presentata anche l’associazione Vecchie Glorie Iglesias Calcio, con un’esposizione di fotografie che ripercorrono la storia della gloriosa società rossoblu.