21 November, 2024
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Due anni e quattro mesi esatti, sono passati dall’ultima giornata in cui è stato possibile visitare la Galleria Anglosarda e l’Ex Direzione Mineraria (noto anche come Palazzo Sanna Castoldi) con la celebratissima Sala Blu. Dallo stop imposto dal Governo il 9.03.2020 per la crisi epidemiologica da Covid-19, si arriverà al 9.07.2022 per riavere fruibili queste parti di Miniera Montevecchio, lo spettacolare sito turistico-culturale incastonato nelle vallate di levante e di ponente che svalicano il Monte Arcuentu, per portarci dalla piana del Campidano alla Costa Verde. Finalmente ci siamo e con queste due perle, riprendono regolarmente anche le visite dei tre percorsi Sant’Antonio, Officine e Piccalinna, garantiti in modalità semplificata durante gli ultimi anni Covid.

La storia di questi luoghi è legata indissolubilmente alle migliaia di lavoratori che, grazie alla lungimirante visione del Sassarese Giovanni Antonio Sanna, vi trovarono una vita migliore, ma spesso anche la morte. Una storia che accomuna tantissimi sardi e che li accomuna a tantissime altre persone in Italia e nel Mondo. Altri minatori come loro. La sardità della Miniera Montevecchio, ci ha dato e ci darà per sempre lustro ed una posizione di primissimo piano nel panorama minerario mondiale. Perché fu la più grande in Europa, per l’estrazione del piombo. Perché il suo ingegno tecnologico non ebbe eguali. Perché minerali di rarità e bellezza inattesa, ce la fanno ritrovare nei più prestigiosi musei di storia naturale del mondo ed in tutti i testi specializzati. Perché chi la visita ha la possibilità di sognare la rivoluzionaria epopea tecnologica ed industriale che pervase la Sardegna dalla metà dell’Ottocento, sino alla seconda guerra mondiale. Perché vi si possono vivere esperienze nel sottosuolo, percorrendo una vera galleria di estrazione mineraria, ma anche in superficie, tra decine di fabbricati, di cui dieci musealizzati, distribuiti su centinaia di ettari circondati dai boschi.

Si incrociano le dita e si rilancia con coraggio la sfida verso una stagione turistica che nel Medio Campidano stenta a partire, più che altrove. Anche per questo, tanti chiedevano la riapertura del polo turistico-culturale di Montevecchio, meta o tappa, di migliaia e migliaia di viaggiatori in giro per la Sardegna.

Su prenotazione le visite saranno garantite tutti i giorni, sia al mattino che al pomeriggio, ma con l’avvicinarsi del Ferragosto le aperture saranno implementate, sino consentirle tutti i giorni anche per chi vi giunge inatteso. I concessionari del sito Miniera Montevecchio hanno anche implementato i Servizi On Line (www.minieradimontevecchio.it), per consentire a tutti di acquistare autonomamente i biglietti, ma restano a disposizione per ogni occorrenza anche sul solito 338 4592082.

Dopo oltre due anni di attesa, potremo finalmente ritrovare Miniera di Montevecchio!

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La storia del Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente è legata intimamente all’evoluzione dello spirito di appartenenza a questa terra. Per raccontarla, è necessario partire da lontano ed arrivare fino al 2020. Pazienza! E’ una rapida passeggiata un po’ letteraria e molto storica.

Il più antico “Popolo sardo” organizzato politicamente fu quello dei “Nuragici”. Tutto iniziò nel 1800 avanti Cristo. Nel 1100 avanti Cristo i sardi cessarono di costruire nuraghi e iniziarono a scomparire. Mistero storico. Fu a causa di un’epidemia? Oppure fu l’effetto di una crisi di mercato, perché si stava passando dall’età del bronzo a quella del ferro?
Al tempo dei nuraghi la Sardegna era totalmente popolate e dedita ad attività minerarie e metallurgiche. La densità delle sue torri sono il segno certo che era ricca. Lucrava sul commercio di qualcosa che produceva in abbondanza: il bronzo. L’ottimo bronzo sardo era molto richiesto in tutto il Mediterraneo per forgiare armi.
Praticamente nel 1.200 avanti Cristo, il bronzo sardo armò la Prima Guerra Mondiale della storia: la Guerra di Troia. E dove c’è guerra ci sono medici.
Guardate le armi di bronzo nuragico che sono esposte nel Museo Archeologico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari. Sembrano fatte ieri. Hanno la forma della “foglia di ulivo”. Esattamente simili sono state riprodotte dai consulenti storici per il film “Troy” con Brad Pitt.
La Guerra di Troia iniziò male: con un’epidemia. Morirono di febbre, e infezione alle vie aeree, tanti guerrieri greci che Agamennone, per motivi di “igiene pubblica” dovette far cremare sulle pire allestite davanti alla marina di Troia.
Nell’Iliade vengono descritti 148 tipi diversi di traumi da spada, lancia, o freccia. I chirurghi che in quel conflitto bellico curavano i feriti erano nientedimeno che i figli di Esculapio: Macàone e Podalirio.
Allora la chirurgia era arte divina. Pindaro, parlando di quei Medici nel settimo secolo avanti Cristo, scriveva nelle “Odi”: «E quanti vennero da lui….feriti nelle membra dal lucido bronzo o dal getto di pietre,… fasciando le membra…altri con azioni chirurgiche rimise in piedi».
Durante la Guerra di Troia, il medico Macàone fu ferito da freccia troiana e subito venne soccorso da due Re: Idomeneo e Nestore, perché, come dice Omero: «Uomo guaritore vale molti uomini a estrarre dardi, e spargere blandi rimedi».
Nei millenni la considerazione del Medico rimase sempre elevata. Ebbe un crollo solo durante la peste del 1347-48, quando i medici fallirono i risultati sperati. La peste prevalse su tutti ed il poeta Francesco Petrarca, offeso per la morte dell’amata Laura De Sade, scrisse libelli feroci contro tutta la categoria.

La professione medica fin dall’inizio si specializzò. Vi furono gli specialisti nel “taglio della pietra” (urologi), gli specialisti della cataratta( oculisti), gli specialisti delle “malattie interne”, gli specialisti in “craniotomia” (neurochirurghi), e poi i “raddrizzatori di bambini storpi”. Quest’arte si chiamava “ortho” (raddrizzo), “peideia” (bambino). Da cui l’origine del nome “Ortopedia” per la specialità che aggiusta lo scheletro.

Non sappiamo quasi nulla sulla medicina dell’Alto Medio Evo nel Sulcis Iglesiente. Sappiamo che gli ammalati peregrinavano verso la tomba del Santo Medico Antioco e che attorno alla basilica vi erano tante casette per ospitare i malati richiedenti la guarigione: le “cumbessias” o “muristenes”.
Troviamo tracce di attività medica nella chiesetta bizantina altomedioevale di San Salvatore, ubicata nella periferia di Iglesias. Si sa che ospitava viandanti richiedenti cure per cui si spiega la presenza dell’”orto dei semplici”. Era il luogo dove i monaci (Benedettini o Basiliani) coltivavano le erbe medicamentose per produrre unguenti e pozioni galeniche. Nel terreno circostante sono state trovate tracce di inumazioni in terra nuda.
A San Giovanni Suergiu, vi è una chiesetta edificata dopo le Crociate dai monaci Giovanniti. Ricordiamo che i Giovanniti fondarono l’ospedale di San Giovanni Battista di Gerusalemme col permesso del Sultano del Cairo, e vi curarono i pellegrini cristiani che venivano dall’Europa. Alla fine delle Crociate vennero allontanati dalla Palestina e si insediarono in loro possedimenti in Sardegna. Qui nel Sulcis continuarono la loro missione di curare gli “infirmi et pauperes Christi”. Sulla facciata della chiesetta di San Giovanni si riconoscono le incisioni di “croci di Malta” e i fregi che ricordano le cupole delle moschee di Omar e di Al Aqsa, della spianata dei templi di Gerusalemme.
Queste sono le poche tracce di attività medica nel Sulcis Iglesiente nel Medio Evo.
La crescita della Chirurgia in Europa rimase bloccata, a causa dell’altissima mortalità, fino alla seconda metà del diciannovesimo secolo. Solo allora, dopo la scoperta dell’esistenza dei “microbi”, si capì la necessità della “disinfezione” e, dopo la scoperta dell’“anestesia”, si poté operare “senza dolore”. I chirurghi cominciarono ad operare, per la prima volta, l’addome e la pelvi femminile temendo meno le setticemie mortali perioperatorie. Contemporaneamente iniziò lo sviluppo moderno degli Ospedali. Il più grande impulso allo sviluppo della chirurgia, soprattutto traumatica, avvenne con la Prima Guerra Mondiale. Lì si formarono i primi chirurghi dei nostri primi Ospedali.

Con la chirurga addominale e pelvica, decollò la chirurgia degli arti. Questa fu promossa in Italia da Alessandro Codivilla (m. 1912) che fu direttore dell’Ospedale Ortopedico Rizzoli di Bologna. Tutt’oggi il Rizzoli appare al visitatore con tutta la sua vecchiezza strutturale di fine ‘800. Da lì passò l’ortopedia mondiale, e la migliore ortopedia italiana in assoluto. Codivilla fece una invenzione rivoluzionaria: il “Chiodo di Codivilla”.
Si trattava di un’anima metallica da introdurre nel canale dell’osso fratturato. Attorno ad esso si sarebbe formato il “callo osseo”. Ciò comportava la guarigione con ossa ben raddrizzate (fatto raro) e consentiva l’eventuale allungamento dell’osso accorciato da un callo osseo venuto male. Il nuovo obiettivo dell’Ortopedia insegnato da Codivilla al mondo, era il “recupero funzionale” dell’arto.
Con la tecnica di Codivilla, si iniziarono a trattare le folle di portatori di deformità congenite ed acquisite: piedi torti, ginocchi valghi e vari, lussazioni dell’anca, paralisi infantili, tare eredoluetiche, gibbi cifoscoliotici, colli torti. A questi si aggiungeva il numero enorme di deformi procurati dalle due piaghe sociali dell’epoca: la tubercolosi ossea e il rachitismo; malattie incurabili e dal destino triste.

Già ai primi del ‘900 avevamo in Italia ben 40 “Ospedali marini” per la cura medica e chirurgica della TBC ossea. Lo sviluppo minerario dell’Iglesiente aveva introdotto la necessità di fornire un’adeguata assistenza ortopedico-traumatologica ai minatori. Quando esplose la protesta dei minatori nel settembre 1904, a Buggerru esisteva un ospedale per i traumi da miniera. L’organico comprendeva tre Medici con competenze chirurgiche ortopediche, e personale femminile per l’assistenza al parto. L’ospedale era molto attivo anche nell’assistenza alla popolazione civile; vi erano allora circa 8.000 abitanti, quando Cagliari ne contava circa 50.000. I casi più gravi venivano trasportati ad Iglesias in carrozza. Iglesias prima di questo periodo aveva avuto una struttura ospedaliera basso-medioevale citata da documenti dell’epoca: si trattava dell’ospedale di “Santa Lucia”, che poi prese il nome di “Santa Chiara”.
Tra le due Guerre Mondiali del ‘900, dopo la Guerra d’Etiopia e le “Inique Sanzioni” fu evidente che l’Italia doveva dotarsi di una sua fonte autarchica di energia, così prese vita il progetto di sviluppo del  bacino carbonifero del Sulcis. Le miniere metallifere dell’Iglesiente e le carbonifere del Sulcis furono la nuova frontiera del lavoro in Italia. Il numero complessivo di abitanti delle due città sfiorava i centomila. L’età media era molto giovane ed era costituita da una moltitudine di minatori del sottosuolo e operai di superficie. Gli incidenti sul lavoro erano molto frequenti. L’Inail nel 1946 inaugurò l’Ospedale CTO di Iglesias e lo rafforzò di Traumatologi e Chirurghi generali a costituire un avanzato “Trauma Center” dove si affrontavano tutti gli effetti di un trauma: dalle fratture dello scheletro alla rottura di milza e di fegato ed i traumi cranio-encefalici. Doveva essere una Traumatologia a tutto campo. Il Governo dispose che negli ospedali minerari di Iglesias e Carbonia operassero i migliori chirurghi traumatologi della Nazione. A Carbonia il Chirurgo generale con competenze neurochirurgiche arrivò dalla Patologia chirurgica dell’Università di Napoli: il professor Ignazio Scalone. Rimase un anno a dirigere l’ospedale di piazza Cagliari, a Carbonia. Di lui restano testi di chirurgia del cervello e del cervelletto, per la cura di lesioni craniche provocate da arma da fuoco, scritti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Con l’uscita del dottor Scalone, il primariato di Chirurgia generale venne conferito al dottor Gaetano Fiorentino; egli affidò l’Ortopedia e Traumatologia al dottor Schirru. Questi era un medico di eccezionale valore. Dopo una quindicina d’anni di esperienza in traumi a Carbonia, si trasferì negli Stati Uniti. Dopo 30 anni, il dottor Schirru tornò in Italia e si presentò al nuovo primario del Sirai, il prof. Lionello Orrù, a cui raccontò la sua storia americana: era diventato Direttore sanitario di un enorme ospedale di 3.000 posti letto a Washington, e ne dirigeva il reparto di Ortopedia. Arrivato alla pensione, gli era comparsa un’ernia inguinale. Per tale motivo pensò di tornare in Sardegna, a Carbonia, per farsi operare. Non si fidava del modo di operare l’ernia degli americani. Voleva essere operato da un chirurgo italiano. Una volta operato a Carbonia tornò a Washington.
Ad Iglesias, il primario chirurgo generale era il dottor Falqui. Al CTO vennero inviati chirurghi ortopedici di vaglia formati al Rizzoli di Bologna.
Dopo Codivilla, fu direttore del Rizzoli il professor Vittorio Putti (m. 1940). Fu chirurgo eccellentissimo che già nel 1919 veniva conteso all’Italia dalle maggiori istituzioni medico-chirurgiche statunitensi. Quando andava in America veniva, per i suoi miracoli ortopedici, ricevuto solennemente, come si conveniva alla sua fama.
Con la scomparsa del professor Putti, la direzione della chirurgia ortopedica del Rizzoli venne affidata al professor Francesco Delitala, nato a Orani in provincia di Nuoro, che aveva insegnato Ortopedia all’Università di Napoli, poi in quella di Padova e, infine, diresse il Rizzoli. Fu grande esperto della chirurgia dell’ernia del disco intervertebrale e della spalla. Morì a Bologna nel 1983.
Fu un allievo di Delitala il professor Cabitza di Cagliari. Questi, successivamente, diresse la Clinica Ortopedica Universitaria di Cagliari e l’ospedale Marino del Poetto.

Contemporaneamente, studiavano e operavano al Rizzoli, sia il dottor Giuseppe de Ferrari sia il dottor Italo Cao. Ambedue divennero professori di Ortopedia e Traumatologia e diressero il CTO di Iglesias. Il CTO (Centro Ortopedico Traumatologico) di Iglesias riprodusse in Sardegna le altissime competenze chirurgiche del Rizzoli di Bologna costituendo, nel Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente, un pilastro fondamentale della Sanità.
I successori di questi Maestri, diressero poi il CTO e l’Ortopedia di Carbonia e di Iglesias fino ai giorni nostri.
Il seme prezioso di quei grandi ortopedici è ancora tra noi.
Come si vede la discendenza di scuola è di altissimo livello.
Non può essere perduta.
Questa ricostruzione tratta dai libri di storia della Medicina è una conoscenza che deve costituire patrimonio dei cittadini del Sulcis Iglesiente. Tale eredità deve essere protetta dall’operazione “contabile” che sta trasferendo il nostro patrimonio sanitario in città lontane.

E’ incredibile. Quando eravamo “poveri” eravamo molto più “ricchi” in Sanità.

Mario Marroccu

Nella fotografia, da sinistra: dottor Giuseppe Porcella, dottor Renato Meloni, il sig. Cuccuru capo degli infermieri, dottor Gaetano Fiorentino, don Luigi Tarasco e dottor Luciano Pittoni.

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Giovanni Antonio Sanna, nasceva a Sassari il 29 agosto del 1819 e, dopo duecento anni, la figura dell’unico e grande imprenditore sardo dell’800, nonché fra i maggiori imprenditori dell’Ottocento risorgimentale, desta nuovo interesse. Definito dal suo biografo Paolo Fadda, nella sua opera “L’uomo di Montevecchio”, un grande sardo, autentico “Capitano d’industria”, che cercò, durante la sua intensa e tormentata esistenza, di dare un volto nuovo alla sua isola, avviando, oltre la grande industria, le bonifiche ed una agricoltura moderna e razionale.

Dopo l’atto di nascita, a Genova, il 26 giugno del 1847, della “Società in accomandita per la coltivazione della miniera di piombo argentifero detta di Montevecchio” e la successiva concessione, a titolo perpetuo, il 28 aprile 1848, data dal Re Carlo Alberto, accampato sotto Peschiera, nella 1° guerra di indipendenza, Giovanni Antonio Sanna, per seguire la nascita del suo grande impero, si trasferì con tutta la famiglia a Guspini, ove nacque la sua terza figlia Enedina, divenendo consigliere comunale, prima della sua carriera politica da deputato, alla camera subalpina dal 1857 al 1865.

Con tre legislature alle spalle VI,VII e VIII fu un attento giornalista e strinse forti ed intensi rapporti con Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi nella stagione risorgimentale.

Da parlamentare si schiera apertamente a difesa della sua Sardegna, attaccando da subito le gravi inadempienze della ”Rubattino” che deteneva il monopolio dei collegamenti marittimi con l’isola. Nel 1860 acquistò il giornale torinese “Il Diritto”, testata molto influente negli ambienti politici del tempo. Così come difese la sua Università, la più antica dell’isola, dalla volontà soppressiva del Ministero.

Da sardo cerca anche di spronare la propria isola a diventare un’autorevole interlocutore di Torino, conquistandosi una propria autonomia. Valori che condivideva con gli altri parlamentari sardi Asproni, Ferraccu, e Sulis. In quest’ottica pensava all’Italia unita che liberasse l’isola dall’influenza sabauda. Infatti il sostegno all’opera garibaldina dell’unità d’Italia, fu concreta, finanziando con i proventi della Montevecchio lo sbarco dei mille a Marsala.

Così pure, per le stesse ragioni sostenne, anche economicamente, l’opera di Giuseppe Mazzini, “Giovane Italia”. Il suo grande lavoro parlamentare non lo distrasse dalla sua intrapresa a Montevecchio, e dopo le tormentate vicissitudini giudiziarie, con il prete Pischedda che accampava diritti sulla concessione, vi rientrava nel novembre del 1863.

L’atteso ritorno del Sanna, fu salutato dai circa 700 addetti e numerose famiglie, che già si erano trasferite nella amena località, con grandi festeggiamenti. Fu il preludio per il rilancio della miniera e l’attuale assetto dell’antico borgo minerario, con una strada carrabile per Guspini, la costruzione dell’ospedale in miniera e l’edificazione di un grande santuario dedicato a Santa Barbara, di cui restano le tracce nelle fondamenta del palazzo Sanna-Castoldi e successivamente direzione della miniera. Amante dell’arte e dell’archeologia, impegnò ingenti capitali nel loro acquisto, donando poi la sua vasta collezione alla sua città natale, oggi museo “Sanna”.

Per sostenere il comparto agricolo dell’isola fondò nel 1871 la Banca Agricola Industriale Sarda, nella speranza di incoraggiare i sardi ad uscire da su connottu e perseguire nuovi obiettivi di sviluppo.

Montevecchio era per lui l’esempio e non poteva starne lontano per molto tempo, così ogni volta che vi rientrava, ampliava la rete delle gallerie e il piccolo centro abitato conulteriori apporti innovativi, sia tecnologici che costruttivi. Affiancò al nascente ospedale altre strutture, come la foresteria e l’ufficio postale, progettò e tracciò la ferrovia Montevecchio-San Gavino, per l’interconnessione con le ferrovie reali, per il trasporto dei minerali ed istituì la “Cassa soccorso”, destinata ad assistere gli operai, curargli gratuitamente e riconoscergli gli infortuni. Aprì altri pozzi e realizzò l’altra laveria “Sanna” a ponente, portando Montevecchio e la sua intrapresa fra le più importanti d’Europa, al cospetto delle altre imprese minerarie sarde, oggi diremmo, gestite da multinazionali estere.

Il grande mecenate sardo purtroppo non poté assistere direttamente la grande crescita della sua miniera, che già nel 1873 raggiungeva i 1500 addetti. La sua cagionevole salute e l’intricata vita familiare lo porterà nel suo ultimo rifugio, nella città di Napoli, dove ormai, fiaccato dalla malattia mise in atto l’ultimo suo volere, pensando all’amata Montevecchio.

Affidò le sorti della miniera ad Alberto Castoldi, valente ingegnere minerario, da lui stesso incoraggiato e sostenuto finanziariamente negli studi a Freyberg che sposò l’ultima sua figlia, Zely.

Giovanni Antonio Sanna morì, all’età di 55 anni, a Roma il 9 febbraio 1875.

Prof. Tarcisio Agus

Presidente del Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna

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Apre al pubblico la Galleria Anglo Sarda a Montevecchio.

«Montevecchio, “La grande miniera”, con la riapertura della galleria “Anglo Sarda”, fruibile tutti i giorni durante questa estate, si aggiunge un altro tassello storico dell’industria ottocentesca in Sardegna – dice Tarcisio Agus, presidente del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna -. In un ambiente che parla semitico, tra punta Malacuba dal dio “Malakbel”, il passo di genna “Serapis”, “Montiana”, da monte di Diana e l’Arcuentu da “Erculentu”, si distende, a levante del passo dedicato al dio greco – egizio Serapide, la grande infrastruttura mineraria dell’unica miniera, impiantata e resa grande da imprenditori sardi, il sassarese Giovanni Antonio Sanna e dal suo genero Alberto Castoldi.»

«Manca soltanto il recupero della laveria “Principe Tomaso” per completare l’opera, che consentirà ai visitatori di capire il grande duro lavoro dell’estrazione mineraria, partendo proprio dall’Anglo Sarda, che si incunea nella roccia metallifera, già oggetto di cavatori romani, per strappare dalle viscere della terra la galena da cui si ricavava il piombo, l’argento ed una percentuale d’oro – aggiunge Tarcisio Agus -. L’atmosfera della miniera si coglie partendo proprio dal duro lavoro degli uomini e donne che vi operavano, i più nel sottosuolo, ma una parte operava esterna, prima con le cernitrici e le addette al crivello, antico strumento per la separazione del minerale dallo sterile, soppiantato poi, con il grande impianto della laveria. Complesso architettonico che si impone all’arrivo verso Montevecchio, costituito da tre grandi sezioni: Frantumazione, Sink And Float e Flottazione. Processo resosi necessario dalla introduzione della meccanizzazione e dell’esplosivo in miniera, per separare ingenti quantità di minerale dallo sterile che immancabilmente con l’avanzamento in galleria veniva giù dalle pareti frantumate dalle cariche esplosive. A seguire poi sono la falegnameria, le forge, la fonderia e le officine, in uno scenario di professionalità che concorsero a rendere meno faticoso il lavoro dell’uomo nel sottosuolo realizzando l’autopala, ancora oggi in molte miniere del mondo, nota come “Autopala Montevecchio”.»

«Dal cantiere o cantieri di levante ove ancora permangono i castelli di Sant’Antonio e il complesso di Piccalinna che fanno di Montevecchio uno scenario industriale tratteggiato dal gusto del bello, non essenziali capannoni che alloggiano macchinari e maestranze ma delle vere e proprie opere d’arte assai rare negli scenari industriali. Elementi che poi si rispecchiano, nell’unico borgo minerario autentico, Montevecchio, ancora in essere, al centro del quale, quasi un piccolo castello, il palazzo Castoldi, ricco di affreschi, con la cappella privata dedicata a Santa Barbara – conclude il presidente del Parco Geominerario -, ove si rimarrà estasiati per l’originaria ricchezza decorativa nell’apparato pittorico delle pareti e delle volte, nei suoi diversi ambienti dedicati.»

 

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L’obiettivo è mettere in campo quanto prima una stretta collaborazione con il Gal Logudoro e Goceano quindi con la Collectivitè territoriale de Corse per avviare, attraverso l’accesso a progetti europei, azioni comuni in diversi ambiti. Da una parte scambi scolastici transfrontalieri, dall’altra azioni di educazione allo sport, con la realizzazione di manifestazioni sportive transfrontaliere, quindi ancora azioni comuni transfrontaliere in settori affini e di reciproco interesse.

Sono stati questi i temi principali dell’incontro che si è svolto qualche giorno fa a Stintino e che ha visto riuniti attorno al tavolo gli amministratori del Comune costiero, quindi del Gal Logudoro e Goceano e della Collectivitè territoriale de Corse.

Una riunione tecnica durante la quale i consulenti della Qcs Consulting e l’esperto dell’Università di Sassari Alberto Carta hanno da subito messo sul piatto le opportunità da sfruttare per l’accesso a fondi europei.

I settori che sembrano aprire da subito opportunità da sfruttare sono quelli del turismo ecosostenibile, della sharing economy e ancora del turismo storico evocativo e religioso. Ambiti di azioni nei quali, è stato fatto presente, il comune di Stintino ha già avviato alcune azioni in collaborazione con il Gal Logudoro-Goceano e con il Parco nazionale dell’Asinara.

Azioni che possono e danno vita a un’alleanza tra paesi costieri e interni, con particolare attenzione alla valorizzazione delle vocazioni tipiche dei territori, oltre che a un turismo archeologico, rurale e religioso.

È stato ricordato quindi il progetto per il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale 1918-2018 che il comune di Stintino ed il Parco nazionale dell’Asinara sottoporranno nel programma Europa per i Cittadini 2014-2020, la cui scadenza per la partecipazione è prevista per il 1° marzo prossimo.

«Abbiamo costruito un’importante rete di partner con Serbia, Ungheria, Austria, Germania, Slovacchia, Repubblica Ceca – hanno ricordato il primo cittadino Antonio Diana e l’assessore Francesca Demontis – e vorremmo che la Collectivitè territoriale de Corse fosse parte del nostro progetto.»

I possibili punti di incontro potrebbero prevedere il coinvolgimento delle scuole, degli studenti e delle associazioni giovanili della Corsica in un “Laboratorio della Casa Comune Europa” sull’isola dell’Asinara.

«Il laboratorio – è stato spiegato ancora – potrà coinvolgere anche giovani e studenti di scuole e università dei paesi europei contattati e che hanno già aderito, o stanno aderendo, alla nostra iniziativa.»

Si potrà puntare, inoltre, ad azioni di valorizzazione e promozione delle identità linguistiche e nazionali. Il progetto del Centenario, poi, potrebbe essere anche arricchito da quello già portato avanti in Corsica e dedicato ai caduti del 173° reggimento di fanteria, detto anche reggimento Corso, conosciuto anche per il suo motto: “Aiò Zitelli”.

Alla riunione hanno partecipato anche la presidente del Consiglio comunale Marilena Gadau, quindi il vicepresidente del Gal Logudoro-Goceano Giovanni Antonio Sanna, ed i rappresentanti della Collectivitè territoriale della Corsica, Direzione gioventù e sport, Alain Pasqualini e Jean-Louis de Zerbi, oltre agli esperti della Qcs Consulting Aldo Panti e Piero Cossu.

 

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Domani, giovedì 31 agosto 2017, con inizio alle ore 10.00, presso l’assessorato regionale del Turismo si terrà la conferenza stampa di presentazione del ciclo di eventi denominato “Ricominciamo in miniera”, in programma dal 4 settembre al 1° ottobre in varie località del Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna.

La manifestazione è organizzata dal Parco Geominerario in collaborazione con l’assessorato del Turismo della Regione Sardegna, le amministrazioni comunali e le associazioni culturali interessate.

Saranno presenti l’assessore Barbara Argiolas e Tarcisio Agus, commissario straordinario del Parco Geominerario.

Come nella buona tradizione contadina, in Sardegna a settembre iniziava la nuova annata agraria. Seguendo la tradizione bizantina, i sardi chiamano il mese di settembre “Cabudanni” (Campidanese), “Cabudanne o Cabudannu” (Logudorese), “Capidanne” (Nuorese), ovvero “Capodanno”, periodo in cui si riavviano i  contratti di locazione dei campi, i contratti con i braccianti che li lavoravano, con i pastori e le donne di servizio.

Il Parco Geominerario Storico ed Ambientale della Sardegna, seguendo la tradizione isolana, avvia il “nuovo anno” promuovendo le iniziative che le comunità minerarie offrono all’attenzione del più vasto pubblico. Non dimentichiamo che anche le miniere venivano “coltivate“, pertanto pensiamo che una buona prassi sia quella di partire dal Capudanni, perché si semini, si sostengano le colture e si raccolga. Nell’estate ci si riposa e si fa festa, perché il mare di Sardegna, già da oggi  contribuisce a tener viva la storia mineraria, ma se programmiamo per tempo e con attenzione, i numeri che oggi raggiungiamo potrebbero nel tempo esser ancora maggiori.

Settembre è il mese ideale, dopo la calura estiva, per programmare un momento di riflessione percorrendo una parte o tutti i 400 km di antichi tracciati che compongono il Cammino Minerario di Santa Barbara, itinerario storico, culturale, ambientale e religioso, all’interno di due aree del Parco Geominerario, quella del Sulcis Iglesiente e del Guspinese – Arburese.

Continuano inoltre le attività per la fruizione degli storici siti minerari di Serbariu a Carbonia, Galleria Henry a Buggerru,  Direzione, foresteria e cantieri di Levante a Montevecchio (Guspini – Arbus), Porto Flavia a Masua -Iglesias, Miniera Rosas a Narcao, Miniera Su Zurfuru a Fliminimaggiore, Pozzo Gal a Ingurtosu – Arbus, il Museo dell’ossidiana  a Pau ed il Geosito Su Carongiu de Fanari a  Mausllas;  la Miniera di antimonio di Su Suergiu a Villasalto e il Museo Nivola a Orani.

Gli appuntamenti.

• 4 settembre, Buggerru. Commemorazione dell’anniversario del tragico “Eccidio” avvenuto il 4 settembre 1904. Circa 2.000 minatori, provenienti anche dalle miniere vicine, manifestavano contro la circolare del giorno prima,  considerata una ulteriore vessazione,  che imponeva dal 4 settembre la riduzione da due ad un’ora per la pausa mensa. La dirigenza francese della miniera preoccupata per l’alto numero degli operai presenti chiese la presenza del Regio Esercito che intervenne con due compagnie. La chiamata di tre operai per preparare i locali della falegnameria per ospitare i soldati non fu gradita agli scioperanti che con il lancio dei sassi alle finestre ne chiedevano il rilascio, con una tensione crescente tanto che l’esercito sparò sugli opera uccidendo tre manifestanti e ferendone undici. 

• 10  settembre, Montevecchio – Guspini. L’Associazione degli ex minatori “Sa Mena” celebrano l’ottava giornata dedicata alla memoria, con la Santa Messa alle ore 10 e la mostra  di macchinari e documenti delle concessioni del guspinese.

• 23 settembre, Miniera di Montevecchio – Guspini. Giornata Europea del Patrimonio. Presentazione del libro di Paolo Fadda “Montevecchio – L’Ingegnere che la fece più grande”. L’opera completa il precedente “L’Uomo di Montevecchio” dedicato all’imprenditore Giovanni Antonio Sanna. All’iniziativa interverrà l’economista Paolo Savona. Saranno presenti i Castoldi, eredi di Giovanni Antonio Sanna, che proseguirono l’avventura mineraria dell’unico imprenditore minerario isolano che seppe tenere testa alle società minerarie francesi, tedesche e inglesi attive nell’Isola. 

• 30 Settembre – 1 ottobre, Lula. Cortes Apertas. Dopo due anni riprendono le visite alla miniera di “Sos Enattos”, gioiello dell’arte mineraria incastonato fra i silenziosi e selvaggi paesaggi del Monte Albo. 

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Si è conclusa positivamente la prima esperienza ai Campionati Italiani Cadetti, svoltisi a Olbia il 5 e 6 novembre, per i sei atleti della Dinamico Taekwondo: Jacopo Uccheddu (categoria -49kg), Paolo Biagi (-49kg), Giuseppe Corda (-49kg), Aurora Carta (-41kg), Mauro Serra (-45kg) ed Angelo Spezzigu (-61 kg).

Questi giovani atleti sono cresciuti tutti nel vivaio della “Dinamico Taekwondo”, società che svolge l’attività sportiva nei centri di Tempio Pausania e Perfugas dal 1995.

Il risultato tecnicamente più importante è arrivato il primo giorno di gara, il 5 novembre, con Paolo Biagi, cintura rossa della categoria di peso -49kg, terzo classificato tra ben 33 concorrenti saliti sul tatami.

«Con grande soddisfazione accolgo l’esito della competizione nazionale – dice il maestro Giovanni Antonio Sanna, impegnato nel taekwondo dal 1978 come atleta e dal 1995 come insegnante – che ha visto l’atleta Paolo Biagi conquistare la medaglia di bronzo nella -49kg, un traguardo che rappresenta il giusto premio per l’impegno, la perseveranza negli allenamenti ed un buon rendimento nello studio. Sin da giovanissima età si allena nella nostra associazione sportiva con la puntualità e la modestia che contraddistingue i veri atleti.»

«Posso esser fiero anche degli altri atleti che, purtroppo, per varie situazioni, non ce l’hanno fatta, ma lo sport agonistico di livello non perdona e bisogna essere sempre all’altezza da tutti i punti di vista sia  fisico che mentale – aggiunge Giovanni Antonio Sanna -. Questo sport impegna massivamente il corpo e la mente e per poter raggiungere l’obiettivo, vale a dire, salire sul podio più alto, e necessario rispettare le indicazioni che il tecnico e maestro esperto possono consigliare.»

«La nostra scuola di sport, così la voglio definire, nella sua carriera agonistica a sfornato diversi campioni nazionali ed europei tutti provenienti dal vivaio societario, sia nel settore agonistico Poomsae (tecnica) sia nel settore Kyorugi (combattimento Olimpico). La Dinamico Taekwondo ora sta investendo sul settore agonistico del Combattimento – conclude Giovanni Antonio Sanna – in quanto rappresenta, allo stato attuale, la specialità con la quale un atleta può ambire a partecipare ai giochi Olimpici e, perché no, entrare a far parte dei corpi militari sportivi di Stato.»

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