22 December, 2024
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Ieri mattina, in apertura di seduta, il presidente del Consiglio regionale, Christian Solinas, ha iniziato a esporre le sue dichiarazioni programmatiche rivolgendo un tributo all’assemblea legislativa, ricordando la recente commemorazione di Sa die e “la frontiera paradiso della nazione sarda”, come pensata dal compianto professor Giovanni Lilliu, accademico dei Lincei.

A seguito, però, di contestazioni dai banchi dell’opposizione verso il presidente Christian Solinas, il presidente Michele Pais ha sospeso la seduta ed ha convocato la conferenza dei capigruppo.

Alla ripresa l’on. Massimo Zedda ha chiesto al presidente Michele Pais: «Perché il presidente Christian Solinas non presenta la Giunta prima di presentare le dichiarazioni programmatiche visto che i decreti di nomina sarebbero già state firmati?»

Il presidente Michele Pais ha replicato affermando che i decreti di nomina non sono stati firmati ma l’on. Francesco Agus (Progressisti) ha detto che «in conferenza dei capigruppo la nomina degli assessori è stata annunciata e sarebbe meglio iniziare la legislatura con tutti gli organi costituzionali ritualmente composti».

Il capogruppo del Psd’Az, on. Franco Mula, ha detto: «Noi vogliamo lavorare e questo è l’accordo che abbiamo preso. Se volete perdere altro tempo, ditemelo».

Per l’on. Stefano Tunis (Sardegna 20/20) «sarebbe opportuno dare un’immagine più alta di questa assemblea legislativa. Ma oggi conta ascoltare le proposte del presidente Christian Solinas per risolvere i problemi dei sardi».

Ancora sull’ordine dei lavori il presidente Michele Pais ha il percorso della conferenza dei capigruppo ed ha invitato il Consiglio, «in un esercizio di democrazia alta, di consentire al governatore di esporre le proprie dichiarazioni programmatiche rinviando ogni discussione e dibattito a una data non troppo vicina a oggi».

L’on. Daniele Cocco (Leu) ha detto. intervenendo sull’ordine dei lavori: «E’ vero che abbiamo chiesto noi il rinvio della discussione a martedì prossimo e ci sta bene ricevere le dichiarazioni integrali del presidente Solinas. Ma se parliamo di perdita di tempo, non è da questa parte che dovete guardare». Anche l’on. Gianfranco Ganau, capogruppo del Pd, ha detto che «non si può spacciare come ostruzionismo la nostra azione per avere una giunta dopo 74 giorni».

Per l’on. Giorgio Oppi (Udc) «il presidente può tranquillamente dare i nomi degli assessori e nessuno qui è santo. Ma all’opposizione dico di ascoltare le dichiarazioni dell’on. Solinas e le commissioni devono iniziare a lavorare».

Dalla maggioranza è intervenuto anche l’on. Paolo Truzzu (Fdi), che ha detto: «Abbiamo fatto un dibattito prima ancora di sentire le dichiarazioni del presidente Christian Solinas».

La capogruppo Cinque Stelle, on. Desirè Manca, ha detto: «In quest’Aula si vive in un continuo distacco tra la realtà e l’istituzione. Noi abbiamo sottoscritto l’accordo per ascoltare le linee programmatiche e la gente aspetta che noi iniziamo a lavorare”».

Anche l’on. Pierluigi Saiu (Lega) ha sollecitato l’Aula per consentire all’on. Christian Solinas, di presentare il programma di governo.

Successivamente ha preso la parola il presidente della Regione Christian Solinas.

Illustrando al Consiglio il programma di legislatura, il presidente della Regione ha ribadito il suo ringraziamento rivolto al Consiglio, respingendo però le critiche, a suo avviso strumentali, per un presunto”blocco dell’attività della Regione” che non esiste nei fatti e va inquadrato, con onestà intellettuale, nel sistema dell’elezione diretta del presidente attraverso la quale, superando il passaggio della fiducia previsto dal precedente sistema parlamentare, consente al Consiglio di essere da subito pienamente operativo.

«Con queste dichiarazioni programmatiche – ha aggiunto Solinas – intendo avviare una stagione di dialogo, confronto e collaborazione proficua con l’Assemblea, superando una certa liturgia fondata sulle appartenenze» anche perché, «essendo stato sia al governo che all’opposizione, ricordo che in occasione della presentazione del programma da oltre 50 anni si dicono più o meno le stesse cose senza un filo conduttore organico e la nostra storia autonomistica ci dice che i nostri problemi strutturali sono diventati storici, senza riuscire ad arrivare ai risultati attesi.»

«Ritengo quindi che oggi si debba cambiare prospettiva – ha continuato il presidente – per raccogliere una sfida nuova sull’idea di Sardegna che vogliamo costruire, con una prospettiva ed una visione che tiene dentro tutto, perché le rapide trasformazioni della società da una parte non consentono facili entusiasmi e dall’altra impongono responsabilità differenti da quelle del passato».

«L’idea centrale – ha poi sostenuto – è quella della sardità, di un’identità sarda che attraversa e comprende ogni politica di settore: identità politica ed istituzionale con un nuovo modello di governance, economica, territoriale ed ambientale, culturale, industriale, artigianale, rurale; tante identità che bisogna affermare come risposta complessiva ed originale alla domanda del come essere sardi oggi, al nostro interno e nel confronto con altre realtà Italiane ed europee; su questo mi sento di rivolgere un appello al parlamento di un popolo che non vuole più essere oppresso ma essere, semmai, all’altezza della propria storia.»

La situazione economica, in particolare, richiede secondo Solinas «politiche nuove che non siano né di sopravvivenza né di ordinaria amministrazione o peggio di rassegnazione, consapevoli del fatto che proprio in questi momenti difficili di deve riaccendere la speranza con una nuova tensione ideale e con un nuovo slancio per orientato ad una grande progettualità fondata sul fare».

Affrontando poi la declinazione delle diverse identità, il presidente della Regione è partito da quella politica che deve esprimere un nuovo modello aderente alla storia della Sardegna ed attento alle comunità locali, all’interno della cornice di un nuovo Statuto elaborato da una Assemblea costituente, che allargando gli spazi di autogoverno consente di affrontare in modo efficace le tante vertenze aperte con lo Stato con in più quella sulle accise. Sul piano interno Christian Solinas ha prefigurato uno schema istituzionale che metta al centro gli Enti locali, semplifichi il quadro superando le Unioni dei Comuni e riporti in superficie le Province come unici Enti intermedi. Per quanto riguarda la Regione, il governatore ha annunciato una riforma organizzativa dell’intero sistema compresi enti ed agenzie, fondata sulla semplificazione e la riqualificazione (anche motivazionale) del personale. Sempre in tema istituzionale, il presidente si è espresso a favore di una nuova legge statutaria elettorale che assicuri la rappresentatività di tutti i territori ed insieme governabilità e stabilità, e di una soggettività internazionale della Regione nel rapporto con la Ue fondata sul riconoscimento degli svantaggi permanenti dell’insularità e su una riforma della programmazione europea attenta alle periferie del continente e non centralista.

Il problema del centralismo, ha inoltre osservato, va affrontato e risolto anche sul piano interno sulla strada tracciata dall’art.44 dello Statuto (molto sottovalutato nella sua applicazione concreta), attribuendo alla Regione alcune funzioni fondamentali e decentrando il più possibile al sistema delle Autonomie, nel rispetto del principio di sussidiarietà, anche attraverso una revisione degli strumenti di Enti ed Agenzie regionali.

Inoltre, ha continuato il presidente, «occorre operare una radicale semplificazione legislativa, perché oggi abbiamo troppe leggi non coordinate fra loro e di difficile interpretazione, e la faremo col supporto di apposite commissioni di esperti per arrivare a testi unici».

Sull’identità economica, Christian Solinas ha fatto riferimento sia allo scenario macro-economico, ricordando che il Pil regionale è calato, determinando il declassamento della Ue che ha inserito la Sardegna da Regione in transizione a  Regione in ritardo di sviluppo che a quello delle imprese, quasi tutte con poco più di 3 addetti in media, con bassa specializzazione e basso livello tecnologico, questo perché sono mancate scelte forti di programmazione, si è trascurato il nostro patrimonio materiale ed immateriale e si sono fatti molti bandi a basso impatto sul sistema (i bandi sulla competitività, ad esempio, sono partiti nel 2015 e ai destinatari non è ancora arrivato un euro).

«Nessuno ha in mano ricette facili – ha riconosciuto il governatore – ma è evidente che è necessario cambiare per agire con più concretezza; penso ad un piano industriale della Sardegna che contenga una serie di misure, dall’accesso al credito alla formazione, dalla diffusione della cultura manageriale all’organizzazione di reti finalizzate all’apertura ai mercati»

Soffermandosi sull’idea di identità territoriale ed ambientale Solinas l’ha collegata alla specificità della Sardegna, al modo di abitare la terra ed al territorio come risorsa per sviluppo. Il paesaggio sardo, ha detto, «è un unicum ma oggi rappresenta per molti aspetti anche il volto della Sardegna sfigurato da interessi esterni, dalla monoculture industriali del passato fino alla chimica verde dei giorni nostri, per continuare con le energie rinnovabili ma senza regole. L’industria è necessaria, in altre parole, se è ma compatibile con identità, ed il turismo deve essere aperto ai capitali stranieri solo se va a beneficio dei sardi, facendo della qualità architettonica il caposaldo della nuova legge urbanistica».

Allargando il suo ragionamento sul turismo, il presidente della Regione ha sottolineato anche la marginalità della Sardegna rispetto al mercato globale del settore, frutto di una identità turistica non pianificata e spesso ostacolata dalla burocrazia, di una politica dei trasporti insufficiente, da una rete di mobilità interna di basso livello, da un grande sommerso commerciale, dalla mancanza di dati di analisi, di una strategia digitale.

Avviandosi alla conclusione, il presidente ha indicato i contenuti principali della nuova identità sociale, del lavoro e della salute, affermando che «il nuovo modello dovrà essere fondato sulle peculiarità regionali, dovrà essere, capace di declinare tradizione e innovazione investendo sulle nuove professioni e sulle produzioni tipiche, sui marchi e sulla formazione, rivedendo il sistema dei cantieri comunali puntando sulla occupabilità e l’attenzione ai beni archeologici, secondo la lezione di Giovanni Lilliu».

Sulla sanità, il governatore ha ricordato che «è molto cambiata ma in negativo, perché ha di fatto allontanato i cittadini dalla stessa idea di servizio sanitario; oggi siamo fra le Regioni peggiori d’Italia secondo tutti gli indicatori ed abbiamo il maggiore disavanzo, di qui la volontà di cambiare modello con più qualità, una medicina più vicina ai cittadini, con la collaborazione degli Enti locali ed una forte spinta all’innovazione tecnologia riconquistando per migliorare il servizio e riconquistare la fiducia degli utenti». Infine, l’identità rurale che va valorizzata riavvicinando gli operatori del settore alla Regione con provvedimenti mirati come istituzione di zone a burocrazia zero, il riutilizzo dei beni immobili, il potenziamento dei Caf agricoli, il completamento dell’iter istitutivo del pagatore regionale superando, la trasformazione del latte ovino da ingrediente a prodotto.

Giunto alle battute finali, il presidente della Regione ha rivolto al Consiglio ed idealmente ai sardi un messaggio di fiducia e speranza, senza enfasi ma con volontà ed impegno, invitando tutti a «credere nel cambiamento e nella forza di volontà del popolo sardo, con la cui identità ci apriamo al presente e guardiamo a testa alta il futuro. Fortza Paris!».

Subito dopo, prendendo la parola sull’ordine dei lavori, il consigliere di Leu Eugenio Lai, ha ricordato al governatore l’impegno di annunciare i nomi dei nuovi assessori prima della fine della seduta, assunto nella conferenza dei capigruppo.

Il presidente Solinas, dopo aver ricordato che i decreti di nomina sono ancora in fase di registrazione, ha comunicato i nomi dei nuovi componenti della Giunta: Valeria Satta (Affari generali), Gabriella Murgia (Agricoltura), Quirico Sanna (Urbanistica), Roberto Frongia (Lavori pubblici), Andrea Biancareddu (Pubblica istruzione), Giorgio Todde (Trasporti). Per ora la delega all’Industria resta al presidente ad interim.

Dopo quest’ultima comunicazione, il presidente Michele Pais ha tolto la seduta tolta. Il Consiglio tornerà a riunirsi martedì 14 maggio, alle 15.30.

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Dopo l’esecuzione dell’inno ufficiale della Regione “Procura de moderare” da parte del Coro parrocchiale Santa Maria degli Angeli di Flumini, del Gruppo Cuncordia – launeddas e del Coro a tenore Murales di Orgosolo, ha preso la parola lo storico Luciano Carta, presidente del comitato Sa Die de sa Sardigna.

Luciano Carta si è soffermato su alcuni dettagli del nuovo inno istituito l’anno scorso con specifica legge regionale, sollecitando l’approvazione del regolamento di attuazione, per definire in particolare le modalità di esecuzione e lo spartito. Su questi punti, ha spiegato Luciano Carta, la nostra proposta è quella di adottare la melodia del canto gosos, tradizione radicata in tutte le comunità regionali, con una variante per le occasioni festive. Per quanto riguarda i versi, rispetto alle 47 strofe originali, ne sono state scelte 6 che riguardano complessivamente rapporto fra governanti e bene comune,  contesto storico, rispetto dell’autonomia e dell’identità sarda come terra non chiusa al mondo esterno, volontà di costruire una società più giusta, superamento del sistema feudale attraverso il risveglio della ragione dopo secoli di oscurantismo, lotta contro gli abusi.

Un altro storico, Nicola Gabrielli, ha ripercorso i passaggi che portarono alla legge istitutiva de Sa Die nel’93, ricordando che «allora nelle scuole non si parlava di questo periodo storico”. In questi anni invece, ha affermato, si è fatto tanto proprio per merito degli storici, facendo emergere che proprio la storia è un elemento costitutivo dell’identità, e la stessa scelta di definire Sa Die una festa del popolo non in riferimento ad istituzione ma alla comunità, riporta alla situazione di allora quando il mondo delle istituzioni era sconosciuto al popolo, un po’ come oggi». Il concetto fondante, ha proseguito Nicola Gabrielli, resta quello di una rivendicazione plurisecolare non solo dell’autonomia sarda ma anche del rinnovamento economico-sociale. Senza dimenticare, ha aggiunto, l’affermazione di un sentimento patriottico che, in condizioni estremamente difficili, riuscì ad avere la meglio sia sulla propaganda francese che sulla monarchia piemontese che allora parlò di eversione, mentre era stata proprio la dinastia sabauda a non convocare il parlamento per quasi un secolo allo scopo di accreditarsi di fronte alle altre monarchie assolutiste del tempo. Di particolare significato, inoltre, la scelta dei sardi di auto-convocare l’assemblea parlamentare in seduta permanente, seme di una riforma costituzionale comprendente l’abolizione del feudalesimo che purtroppo sarebbe arrivata molto più tardi.

Il professor Gianni Loy, infine, ha parlato dei movimenti culturali che hanno portato alla decisione di istituire Sa die: «Il senso di questa festa è nell’aspirazione, manifestata nella società sarda negli anni ’70, di esprimere le culture del popolo sardo senza confinarle nell’esteriorità del folklore. Questo processo democratico è ancora in corso e ha fornito indirizzi alle istituzioni: sono state le istituzioni sindacali ed i lavoratori che hanno iniziato a dibattere recuperando la lingua sarda. E non solo loro: ci sono stati poi, sempre in quegli anni, gli intellettuali come Antonello Satta, Eliseo Spiga, Giovanni Lilliu e altri che, in modo trasversale rispetto ai partiti, hanno chiesto di riformulare lo statuto di autonomia e portare la Sardegna all’autogoverno. E ancora, a metà degli anni ’80, è nata l’idea di una festa per il popolo sardo il 28 aprile. Questo è documentato e lo dobbiamo a Umberto Cardia, Nino Carrus, Michele Columbu, Sebastiano Dessanay, Francesco Masala, Domenico Pili, Gianmario Selis e altri che si riunirono per questo a Cagliari. Abbiamo davanti a noi non una celebrazione qualunque ma “la” celebrazione di una nazione, di un popolo che abita la sua terra. Un popolo è sempre in cammino e anche il popolo sardo è in cammino per un mondo di pace per la quale dovrà vincere le tentazioni degli egoismi». 

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La seduta solenne del Consiglio in occasione della ricorrenza de Sa Die de sa Sardigna è stata aperta dal presidente Michele Pais. Dopo le formalità di rito, il presidente Michele Pais ha pronunciato un breve discorso di commemorazione dell’ex presidente del Consiglio Salvatorangelo Mereu, recentemente scomparso. Il Consiglio ha osservato un minuto di raccoglimento.

Subito dopo ha preso la parola per l’intervento di apertura della giornata.

Il presidente, interpretando i sentimenti dell’intero Consiglio regionale, ha rivolto un saluto e un augurio a tutti i sardi, «idealmente con noi a formare una grande comunità di uomini e donne che, pur dovendo affrontare le difficoltà del presente, è pronta ad assumersi le proprie responsabilità e a lottare unita per assicurare un futuro migliore ai propri figli».

A 27 anni dal varo della legge che istituì Sa Die per ricordare l’insurrezione popolare che portò alla cacciata dei piemontesi dalla Sardegna e «segnò l’avvio di una stagione politica più attenta al temi dell’identità e delle piccole patrie» restituire alla giornata il suo significato originario significa, secondo Michele Pais, «riflettere sul momento storico che attraversiamo, sulle nostre istituzioni autonomistiche e sul nostro essere sardi oggi». Temi alti, al pari di quelli al centro di festività come quella della Repubblica, dell’indipendenza degli Stati Uniti e dei grandi eventi che scandiscono la storia della Sardegna: Sant’Efisio di Cagliari, l’Ardia di Sedilo, i Candelieri di Sassari, il Carnevale barbaricino.

«Temi di una tale portata – ha aggiunto il presidente – da non poter essere confinati in un freddo calcolo ragionieristico sui costi per l’apertura del Palazzo, perché oggi la cosa più importante è essere qui».

Citando il memoriale di Giovanni Maria Angioy, Michele Pais ha ripreso un passaggio nel quale il grande intellettuale sardo parlava dell’Isola come di una terra che ha tutto il necessario per il benessere dei suoi abitanti e quindi, se ben amministrata, «sarebbe uno degli Stati più ricchi d’Europa». Una «nazione protagonista», secondo la definizione di Giovanni Lilliu, che a giudizio del presidente del Consiglio deve riprendere, partendo dai moti del 1794, a ragionare sulla necessità di una «saldatura perfetta fra città e campagna, del rilancio dei piccoli paesi, di un nuovo rapporto fra Regione ed Enti locali capace di «dare gambe al decentramento amministrativo, superando il concetto di periferia anche attraverso una riforma del sistema di enti ed agenzie regionali concretizzata nel trasferimento di alcuni snodi decisionali in aree marginali».

Rispetto ai rapporti con lo Stato centrale «che hanno toccato in questi anni il punto più basso», Michele Pais ha auspicato una mobilitazione ampia della politica «senza distinzioni di schieramento per fare fronte comune in difesa dell’interesse supremo della Sardegna, cominciando con l’attuazione di tutte le prerogative dello Statuto di Autonomia».

«In questo momento – ha sostenuto Michele Pais – bisogna però andare oltre ed immaginare una radicale riforma del nostro istituto autonomistico, pensando ad un intervento innovativo sullo stesso Statuto che abbia come riferimento il Trentino-Alto Adige che, negli anni, è riuscito a dare forma compiuta al principio di autodeterminazione.»

Senza dimenticare, ha continuato il presidente, uno sguardo attento all’Europa, «ai mutamenti del quadro politico e sociale dove le spinte autonomiste e indipendentiste della Nazioni senza Stato come Catalogna, Scozia, Corsica e Bretagna si fanno sempre più pressanti».

Avviandosi alla conclusione, il presidente del Consiglio si è rivolto ai giovani sardi esprimendo l’auspicio che tornino ad essere protagonisti del futuro della Sardegna, conoscendo il mondo e facendo esperienza «ma rivendicando con orgoglio e fierezza il loro senso di appartenenza». Riprendendo un passo dello scrittore Francesco Masala riferito alla lingua come elemento costitutivo della libertà di un popolo, Pais ha riconosciuto i passi avanti del Consiglio nella difesa del sardo, del catalano e delle altre parlate alloglotte delle Sardegna, specificando però che manca ancora il passaggio fondamentale relativo alla «libertà di insegnare la lingua ai nostri figli nella scuole sarde di ogni ordine e grado».

Arrivato alle battute finali, Pais ha fatto appello ai sardi alla presa di coscienza del proprio passato che, come insegna l’antropologo Bachisio Bandinu, «è la base sulla quale costruire una nuova scena politica ed economica, sociale e culturale per procedere dalla sfiducia alla stima di sé, dal risentimento ossessivo alla proposta costruttiva, dal fatalismo alla progettualità».

Pais ha terminato il suo discorso con gli auguri per la festa di Sa die in sardo e catalano: «Bona Die de sa Sardigna» e «Bona jornada de Sardenya».

La seduta è proseguita con gli interventi dei presidenti dei gruppi.

Il primo a prendere la parola è stato Daniele Cocco di Leu: «Oggi è la festa della Sardegna ma sarà vera festa quando il presidente della Regione  otterrà risposte sui diritti  acquisiti come il tema degli accantonamenti: i 700 milioni che ci sono stati ingiustamente sottratti ci devono essere restituiti. La Sardegna è indietro anche per le responsabilità di tutta la classe politica: molto di quel che si poteva fare non è stato fatto e, a prescindere dalle posizioni politiche, tutti dovremmo collaborare per risolvere la vertenza con lo Stato e praticare sino in fondo lo Statuto speciale. Oggi non è il tempo della polemica ma degli impegni comuni, però tengo a dire che chi ha chiesto di non convocare oggi il Consiglio regionale non l’ha fatto per sminuire l’importanza di Sa die».

Francesco Mura (Fdi): «Chi sposa e definisce il nostro pensiero sa bene che la nostra patria è l’Italia, grande una e indivisibile. Ma questo non ci impedisce di sapere e riconoscere che l’Italia è il frutto dell’unione di tanti popoli. Chi, da sardo, nega che la Sardegna abbia una cultura e una condizione unica fa male alla Sardegna e all’Italia intera.  Cosa resta oggi dell’esperienza di questa cacciata? La considerazione che quando il governo, qualunque governo, si dimentica dei diritti dei cittadini c’è sempre qualcuno che si incarica, nel popolo, di rimettere le cose al loro posto. Dobbiamo avere la forza di smettere di cercare aiuto altrove e pensare a badare a noi stessi. Meritiamo di essere una delle regioni più ricche d’Europa e non abbiamo nemici che ci tengono in questa condizione: il problema è qui, in Sardegna. Dobbiamo liberarci della politica statalista e assistenzialista e occuparci di connettere le città con i paesi. Chi da ultimo ha pensato a una sola città metropolitana con 376 cortes apertas ha sbagliato. La Sardegna ha grandissime risorse e dobbiamo soltanto ben amministrarla, con una rivoluzione culturale che parta da noi».

Michele Cossa (Riformatori sardi): «Ogni 28 aprile la storia in Sardegna dialoga con il coraggio e ci fa sentire un popolo, consapevole e con una identità.  Nessuno può dimenticare che la nostra storia è fatta di uomini e donne che hanno lottato contro la bramosia del potere malato: è sempre tempo di libertà. Ma non saremo davvero mai liberi fino a quando la nostra capacità di autodeterminarci sarà così pesantemente limitata dalle circostanze. Essere isola è opportunità ma molto di più è ostacolo e se il progetto di autonomia differenziata andrà avanti in Parlamento non potrà che peggiorare la situazione.  La battaglia giusta è quella che tre anni fa abbiamo iniziato noi, chiedendo che sia inserito in Costituzione il principio di insularità, sia per i trasporti che per le accise che gravano sui sardi».

Valerio De Giorgi (Misto): «Nel giorno di Sa Die nessuno di noi può dimenticare le recenti rivendicazioni dei pastori sul prezzo del latte o la crisi del porto canale con 700 posti di lavoro a rischio. Siamo chiamati a risposte immediate, cari colleghi, e non possiamo dimenticare i troppi sardi rimasti indietro: non ci può essere sviluppo vero se non ci sono pari opportunità per tutti. Siamo riusciti in passato a liberare le migliori energie, possiamo farlo anche oggi con i sardi che sono nati qui e con chi ha scelto di diventare sardo, come me. Spero che questa legislatura coincida con la stagione dell’unità per il bene dei sardi: dobbiamo stare uniti per far tornare la Sardegna forte».

Desirèe Manca (Movimento cinque stelle): «Confesso di essere emozionata perché questo è il primo intervento del Movimento Cinque stelle nella storia della Sardegna e non poteva esserci migliore occasione. Ripeto le parole di Giomaria Angioy: “Malgrado tutto, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per la sussistenza di tutti i suoi abitanti.  Ben amministrata, la Sardegna sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa”. Era il 1799 e dopo più di 200 anni viviamo in una situazione pressoché immutata. I primi due mesi di vuoto governativo e di intrecci sotto banco, non possono che richiamare le parole di Angioy: avete sventolato l’idea di un cambiamento ma era solo strumentale per richiamare voti. Dopo 60 giorni siete ancora prigionieri della vostra spartizione e tenete in ostaggio una terra martoriata e allo stremo. Qui le aziende chiudono per fallimento e la Sanità, un tempo eccellenza, è in ginocchio: sarebbero bastati 15 minuti e invece dopo 60 giorni tenete tutti i sardi in ostaggio. Il nostro popolo si merita un’amministrazione all’altezza. Ora che noi siamo entrati nelle istituzioni faremo tutto ciò che è possibile per ridare dignità alla politica. Non vi faremo mai nessun tipo di sconto».

Gianfranco Ganau (Pd): «In questa festa nazionale dei sardi non possiamo non notare i drammi presenti in Sardegna, come l’aumento delle povertà e l’incapacità dei governi, a tutti i livelli, di rispondere ai bisogni dei sardi. Per questo mi permetto di sollecitare il completamento della Giunta, perché si lavori a pieno regime e si aumenti l’autonomia di delle Regioni, senza intaccare la ripartizione delle risorse. Oggi dobbiamo ribadire l’unità del popolo sardo chiedendo maggiori poteri e maggiori spazi di gestione autonoma: le ragioni della nostra richiesta di autogoverno poggiano  prima di tutto sull’insularità, che ci impedisce di sfruttare le grandi reti italiane ed europee, a cominciare da quelle energetiche. Senza il riconoscimento della condizione di insularità noi non avremo mai condizioni paritarie di mobilità: questa deve diventare una battaglia di popolo, che avrà il nostro pieno e leale sostegno». 

Per il gruppo Psd’Az il consigliere Francesco Mula  ha ricordato che Sa Die ha un preciso riferimento ad un periodo storico in cui la Sardegna chiedeva autonomia e giustizia contro i soprusi fiscali e sociali del governo piemontese, una storia che purtroppo non è cambiata molto come hanno dimostrato le testimonianze fondamentali di Camillo Bellieni ed Emilio Lussu. Oggi, anche di fronte alla domande rimaste aperte del passato, ha aggiunto Mula, abbiamo il compito di riscrivere lo Statuto da riscrivere in molti punti, un passaggio che sarà tanto più se ci farà andare oltre le celebrazioni raggiungendo risultati concreti con l’impegno comune di maggioranza ed opposizione. Questo piacerebbe molto ai sardi, ha affermato il consigliere, e darebbe un valore non simbolico alla giornata che stiamo celebrando. Abbiamo grandi responsabilità nei confronti del popolo sardo, ha concluso Mula, soprattutto nei confronti di disoccupati, precari, famiglie ed imprese; sappiamo di non aver mai contato su un governo nazionale amico e di aver avuto di fronte su una Unione europea fondata sull’asse franco tedesco. All’Europa, in particolare, ha sollecitato l’esponente sardista, chiediamo una deroga per uscire dalla tagliola degli aiuti di Stato mentre, sul piano nazionale, il nostro accordo con Lega dovrà essere portato avanti su zona franca integrale e continuità territoriale, lotta allo spopolamento specie nelle zone interne, riforma della sanità, opere strategiche, istruzione, lingua, cultura: tutte battaglia sardiste sulla sovranità regionale nelle quali, fra l’altro, hanno creduto gli elettori sardi nelle recenti consultazioni.

A nome della Lega il consigliere Dario Giagoni ha riproposto le parole di Giovanni Maria Angioy sul rapporto fra cattiva amministrazione e situazione socio economica della Sardegna, per sottolineare che il pensiero di un grande uomo del passato crea in noi un forte sconcerto per la sua attualità e per la sua ansia di autonomia, a dimostrazione del fatto che la storia insegna che nessun avvenimento può essere considerato lontano ed estraneo ai fatti che l’hanno preceduto. Nei moti del 1794 c’è infatti, secondo Giagoni, un seme vivo ancora oggi, il sentimento di autogoverno e di riscatto che oggi abbiamo il dovere di raccogliere come moderna chiave di lettura con responsabilità ed unità, con rinnovata capacità di coesione e di difesa della nostra specificità. Oggi, ha concluso il consigliere,  nella giornata del popolo sardo chiediamo ai giovani (anche a quelli purtroppo lontani loro malgrado dalla Sardegna) di conservare le nostre tradizioni, di trasformare i moti di allora in un sentimento di rispetto della volontà popolare, nella volontà di lotta e riscatto, in una autonomia finalmente reale e concreta.

Il consigliere Francesco Agus, dei Progressisti, ha osservato che i ritardi nella formazione della di Giunta, per una sorta di scherzo del destino, hanno fatto coincidere primi interventi dei consiglieri regionali con la ricorrenza de Sa Die, una occasione che di consente di riflettere sulla Sardegna del passato in attesa di conoscere la Sardegna del futuro quando conosceremo governo regionale e programma. Il nostro passato secolare, ha detto ancora Agus, ci riporta ad una riflessione su nostri problemi di sempre, attraversati da di soprusi, dominazioni, governi per interposta persone e ministri di Roma che hanno creduto, sbagliando, di avere la ricetta giusta per Sardegna. Angioy, ha continuato Agus, è molto più di wikipedia, è il sogno vivo (allora come oggi) di una Sardegna libera capace di dialogare con tutti, in Italia ed Europa, con rapporti non subalterni; forse oggi abbiamo smesso di sognare e non possiamo permettercelo, perché ancora oggi il dibattito politico parla di noi come di una pedina nello scacchiere.  Il riferimento all’esperienza del Trentino, ha concluso Agus, ha un valore perché quella Regione ha saputo scrivere una storia di grande unità con il lavoro legislativo e la produzione significativa di importanti norme di attuazione, però va ricordato che tutto questo si costruisce soprattutto con le azioni concrete, con il rispetto delle garanzie dell’opposizioni e delle prassi consiliari consolidate: questo è fare l’unità dei sardi.

Al termine degli interventi dei gruppi ha preso la parola il presidente della Regione Christian Solinas che ha pronunciato il suo intervento in lingua sarda.

Dopo aver affermato che senza lingua non ci può essere vera identità, il presidente ha fatto un riferimento all’ingresso del sardo nella liturgia: «Est de importu mannu sa riforma liturgica a profetu de sa limba sarda, ca gai sos sardos poten faeddare con Deus in sa propria limba ma prus e prus Deus matessi in sa Missa nons faeddati in limba. Chustu cheret narrer chi su populu sardu vivet una esperientzia nova chi aperit unu camminu de fide. Su 28 aprile, sa Die de sa Sardigna, sa festa nazionale de sos Sardos, cuffirmat s’identitade de su populu sardu, ma diventat puru die nodida ca sa limba intrat in Creja e duncas a profettu de su populu de Deus. Su fattu est de ammonimentu a nois puliticos pro chi si faca intrare sa limba sarda in s’iscola. Oe, amus a comprendere totu chi sa consacrazione de sa limba in sa creja matzore de Casteddu e, unu cras, in totu sas crejas de Sardegna, petit, chene duda peruna, una cunsacratzione laica de sa limba in iscola e in totu sas istitutziones de s’Isula».

Soffermandosi poi sulla “lezione” dei moti del 1794, Solinas ha invitato i Sardi a riflettere su quale identità sia necessario costruire per il popolo sardo nel tempo che stiamo vivendo: “Bisonzat de affortire s’identidade territoriale, imbentare un’identidade turistica, economica, ambientale, una forma nova de pastoriu e da massaria. Sos prodotos pretziados in su mercadu mondiale sun sos prodottos identitarios, ca sun nostros e non de atteros. Sa calitade de s’abba, de s’aera, de su terrinu su sos fundamentos de s’isviluppu economico de sa Sardigna, mascamente pro s’identidade singulare chi l’at dadu sa natura. Ma pro li dare valore e profettu bisonzat da dare fortza a una cultura de rispettu e de investimentu”.

In conclusione, un messaggio positivo per il futuro: «Pro nois, supra sa Sardigna non pesat un’umbra de mancamentu e de fallimentu. Nois credimus in dunu tempus nou de fide e de ispera. Approntamus profeto e programmas pro leare unu caminu de creschida e de isviluppu pro su populu sardu. Amus cosas de contare e de produire: b’at meda da narrere e meda prus de faghere».

Augurios sincheros de bona Die de sa Sardigna, Augurios mannos pro sa festa de su Populu Sardu.

Al termine di quest’ultimo intervento, il presidente ha tolto la seduta, riconvocando il Consiglio a domicilio. I lavori dell’Aula sono proseguiti in seduta informale.

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Esiste a quanto pare un collegamento ideale tra i templi a megaron nuragici e le fonti sacre. L’ipotesi è stata avanzata durante il VII convegno di archeoastronomia in Sardegna, “La misura del tempo”, nella relazione dedicata al complesso megalitico di Gremanu a Fonni. L’iniziativa si è svolta nella sala conferenze della Fondazione di Sardegna, accogliendo diversi interventi di fronte a un pubblico numeroso, sempre più affascinato da una disciplina che consente un dialogo tra archeologia e astronomia, regalando talvolta scoperte di assoluto rilievo.

I risultati dello studio sul sito di Gremanu sono stati presentati da Simonetta Castia di Aristeo e Michele Forteleoni della Società Astronomica Turritana. Questa area cultuale, tra le più interessanti dell’età nuragica, è caratterizzata da raffinate e complesse soluzioni architettoniche e di captazione delle acque sorgive situate alle pendici del Passo di Caravai. All’interno sono presenti due principali aree sacrali, funzionalmente distinte. Più in particolare, si è rilevato un perfetto allineamento in direzione Nord-Sud tra i due templi a pianta rettangolare ubicati all’interno del recinto sacro da una parte, e i templi a pozzo, collocati a centottanta metri a Sud, racchiusi da un temenos (recinto) che circonda e delimita anche la fonte sacra e una vasca per le abluzioni rituali.

Una ricostruzione simile, di notevole interesse, è stata fatta anche dall’archeologo Andrea Polcaro riguardo all’analisi di alcuni dolmen studiati durante recenti campagne di scavo in Medio Oriente. Lo studioso ha dimostrato che non tutti gli orientamenti sono legati al ciclo solare, bensì può anche prevalere, in alcune situazioni, una correlazione più forte e urgente con la terra, in significativa sintesi e simbiosi con aree sepolcrali ipogeiche.

Una distinzione tra le diverse tipologie templari è stata chiarita anche da Paola Basoli nell’esposizione sui riti e miti del complesso “Sos Nuratolos” di Alà dei Sardi. L’archeologa ha in particolare ricordato la distinzione fatta da Giovanni Lilliu tra acqua di cielo e acqua di fonte, per identificare le divinità che potevano presiedere i due contesti.

Altro studio condotto in chiave archeoastronomica da Michele Forteleoni di SAT, stavolta insieme all’archeologa Lavinia Foddai, è quello presentato sull’area di Paule S’Ittiri, un esteso villaggio di capanne con area sacra cultuale delimitata da un recinto, situato a breve distanza dal nuraghe Santu Antine. In questo caso sembra affiorare una visione di insieme, ma la lettura resta parziale e provvisoria per mancanza di uno scavo di approfondimento.

Luca Doro ha illustrato i dettagli della straordinaria scoperta nel complesso del nuraghe Palmavera di Alghero: la presenza di una terza torre laterale, forse crollata o smantellata, oppure mai completata. Quella che era solo un’ipotesi, motivata da diversi indizi, è stata verificata quest’estate grazie alle attività di scavo.

Marzia Monaco e Flavio Carnevale dell’Università La Sapienza di Roma, hanno presentato uno studio in merito ai dati archeometrici dell’area di S’Arcu ‘e is Forros, basati sulle misurazioni gps fornite da Aristeo e SAT. L’obiettivo era quello di cercare di rintracciare eventuali misure di lunghezza utilizzate dagli antichi. Sono state registrate misure intermedie rispetto ai “cubiti” storici, e potrà essere interessante verificare se strutture che presentano le stesse unità abbiano anche medesime attribuzioni cronologiche.

Altri due importanti siti archeologici, il complesso nuragico di Sant’Imbenia ad Alghero e la villa romana di Santa Filitica a Sorso, sono stati presi in esame dall’archeologa Elisabetta Garau attraverso “Paesaggi condivisi”. Nonostante le epoche distanti, entrambe le realtà mostrano enormi similitudini con forme di condivisione e dinamiche insediative. Sono due zone costiere aperte e accoglienti, due avamposti del territorio sardo in rapporto commerciale diretto con tutto il Mediterraneo. Lo sviluppo degli ambienti è avvenuto intorno a uno spazio commerciale che fa capo a uno sfruttamento differenziato del territorio, ricco di minerali e risorse alimentari.

Alfredo Rizza dell’Università di Verona ha presentato “Tracce di una Cultura astronomica nell’Anatolia Ittita del II millennio”. La capitale dell’impero Ittita, Hàttusa, è divisa in due settori. Quello nord, dove era situato anche il palazzo reale, sembra orientato verso la levata del solstizio invernale. Nella parte sud, un allineamento interessante sembra essere invece quello della porta dei leoni, che dall’esterno pare connessa con la levata eliaca delle pleiadi, associate a una festa molto importante per gli ittiti.

Gli antichi calendari agricoli sono stati al centro della relazione di Elio Antonello dell’Osservatorio astronomico di Brera, che ha mostrato come, per scrittori classici quali Esiodo, Virgilio e Columella, fare attenzione al calendario per ottenere un buon raccolto fosse importante quanto lavorare sodo. L’aratura e la semina dovevano essere svolte in un arco determinato di tempo all’interno dell’anno. Era importante perciò conoscere le date precise. Pertanto, nei territori a privilegiata vocazione agricola, erano presenti fin dall’antichità dei monumenti preistorici che mostrano caratteristiche solstiziali comuni, che rappresentavano antichi calendari.

È questo il caso dei “Campanari”, grandi rocce forate artificialmente e orientate astronomicamente all’alba del solstizio. Queste strutture, presenti nel territorio a sud di Monte Alto, in provincia di Palermo, sono stati invece esaminati da Alberto Scuderi.

Per l’età medievale Marina de Franceschini ha approfondito uno studio sull’eremo di Sant’Elia, in provincia di Catanzaro, punto d’incontro di antichi simboli in continuità tra cultura pagana e cristiana. L’edificio sacro richiama il nome di Elios, il Sole, ed offre straordinari giochi di luce durante il giorno del solstizio.

Gian Nicola Cabizza ha invece proposto una relazione sulle quattro stelle descritte da Dante nel Purgatorio, considerate in un primo momento come una rappresentazione allegorica, e in seguito identificate come Croce del Sud, a partire dall’ipotesi di Amerigo Vespucci. Ne sono scaturiti quattrocento anni di discussione, che porterebbero in definitiva a propendere che quella allegorica non sia solo un’ipotesi.

Un campanello d’allarme è stato lanciato infine da Paolo Colona dell’Accademia delle stelle, a partire dalla lettura dell’Odissea di Omero, sul fatto che la conoscenza del cielo nei secoli sia diventata sempre meno profonda rispetto a quella dei nostri predecessori. «Non è plausibile conoscere appieno il mondo antico senza conoscere l’astronomia – ha sottolineato Colona -. Per questo l’archeoastronomia non può che essere fondamentale nella comprensione dei siti archeologici».

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L’importante patrimonio archeologico di età nuragica raccolto in “Ritratto di Nuraghe, eredità di un’isola”, è in programma da sabato 22 settembre (inaugurazione con vernissage alle 19.00) al 14 ottobre al Mab, al Museo archeologico Ferruccio Barreca, per rendere omaggio all’illustre cittadino antiochense dotato di autentica passione per la cultura e la storia dell’isola, Francesco Rombi, professore di Italiano e Latino e tra coloro che si impegnarono per ottenere l’autonomia scolastica dello storico liceo antiochense “Emilio Lussu”.

Le immagini scattate al principio degli anni Sessanta da Francesco Rombi, nell’ambito della sua tesi di laurea in archeologia discussa con il prof. Giovanni Lilliu, immortalano le monumentali costruzioni di pietra dell’isola regalandoci un reportage in bianco e nero di panorami mozzafiato, scorci e importanti dettagli dei numerosi monumenti dell’isola, in alcuni casi oggi non più visibili. Pioniere delle ricerche archeologiche in aree extra-urbana, a lui si deve un primo censimento delle strutture nuragiche dell’intera isola di Sant’Antioco, solo parzialmente aggiornato nel corso dei successivi decenni. Gli scatti storici consentiranno di immergerci in un affascinante itinerario archeologico dell’isola, arricchito dalle immagini contemporanee provenienti dall’ultimo censimento delle evidenze archeologiche presenti nel territorio di Sant’Antioco.

Curata dall’archeologa Sara Muscuso, l’esposizione raccoglie oltre sessanta ingrandimenti degli scatti storici uniti ad immagini contemporanee delle torri di pietra. Il percorso, inoltre, sarà arricchito dalla videoproiezione di ulteriori scatti: «Questa mostra – commenta Sara Muscuso –  vuole essere un’occasione per recuperare le conoscenze dell’importante patrimonio archeologico nuragico del territorio, meravigliarsi davanti all’opera monumentale dell’uomo e trasmettere queste informazioni ad un vasto pubblico».

Grazie alla generosità della famiglia Rombi, a distanza di settant’anni le immagini del professore torneranno a raccontare la storia e la cultura millenaria dell’isola di Sant’Antioco. L’assessore alla cultura Rosalba Cossu ha voluto ricordare il prof. Francesco Rombi con queste parole: «Rendere omaggio al caro Professor Rombi è un contributo dovuto nei confronti di chi, nella vita professionale, si è distinto per le competenze, la passione, l’empatia con cui ha guidato i suoi allievi. E’ stato per noi maestro di vita, non solo di disciplina. Le torri di pietra delle sue preziose foto, suggestive testimonianze della nostra storia, oggi si confrontano con immagini contemporanee e ci consegnano l’eco, mai spenta, della sua presenza».

Il vernissage della mostra è fissato per le 19.00 di sabato 22 settembre presso il MAB. Si fa presente che durante le Giornate Europee del Patrimonio 2018 l’ingresso al museo e alle aree archeologiche sarà gratuito.

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Con la conferenza storica Pro patria mori. Il culto dei caduti dalla Grande Guerra alla guerra del Vietnam”, tenuta da uno dei più eminenti storici italiani prof. Emilio Gentile, introdotto dal generale Giovanni Domenico Pintus, comandante del Comando Militare Esercito Sardegna, si è conclusa sabato 9 giugno 2018, presso il Centro Culturale “Giovanni Lilliu” di Barumini, la rassegna cinematografica “Il mondo in guerra visto dal cinema e dai media”.

Sei mesi di proiezioni, incontri, dibattiti e riflessioni, con al centro i temi relativi al centenario dalla fine della Grande Guerra e al 70° anniversario dalla dichiarazione universale dei diritti umani, raccontati e rivisitati attraverso lo strumento cinematografico ed integrati con una didattica interattiva che ha dato risalto alla conoscenza diversificata di relatori di primissimo piano.

Una kermesse prestigiosa, che ha visto la partecipazione dei più illustri storici del panorama italiano, quali i professori Alessandro Barbero, Gregory Alegi, Michele D’Andrea, Mauro Canali ed Emilio Gentile, che hanno incentrato i loro interventi sulla trama di nove  film storici riguardanti la prima e seconda guerra Mondiale.

Il progetto scolastico, denominato “Il mondo in guerra visto dal cinema e dai media. 1914-1945”, elaborato dall’istituto superiore  Bacaredda-Atzeni di Cagliari e Capoterra, patrocinato dal Comando Militare Esercito Sardegna, ha partecipato al bando sulla didattica del cinema 2017 pubblicato dalla Regione Autonoma della Sardegna e dedicato al 100° anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale, risultando  prima tra tutti progetti presentati.

Allo stesso hanno aderito l’istituto comprensivo La Marmora di Monserrato, le medie di Capoterra, l’istituti comprensivo statale Villamar, l’istituto “Gramsci” di Monserrato, il comitato sardo per il Centenario della Grande Guerra, l’Università degli Studi di Cagliari e l’Ordine dei giornalisti della Sardegna, nonché i comuni dell’hinterland cagliaritano di Monserrato, Villamar, Capoterra e Barumini.

La giornata di Barumini si è conclusa con il saluto ed il ringraziamento del generale Pintus a professori, studenti e autorità Comunali che hanno sostenuto il progetto, consentendo la piena riuscita della complessa organizzazione estesa al territorio metropolitano.

Ciò, frutto di un’attività sinergica tra tutte le istituzioni che, rendendo protagonisti gli studenti, ha ripercorso attraverso il cinema i più importanti eventi che dall’inizio del ‘900 hanno segnato la società del tempo, cambiando radicalmente il corso del XX secolo.

Entro il mese di giugno, sempre nell’ambito del progetto, si concluderà il concorso indetto per gli studenti, denominato L’esercito italiano nelle missioni nazionali ed internazionali, che prevede la realizzazione e l’elaborazione di un cortometraggio, con didascalie, immagini e filmati autentici o di repertorio, volto a far conoscere alle nuove generazioni il ruolo fondamentale svolto dalle Forze Armate italiane in favore della pacificazione e stabilizzazione internazionale.

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Dopo l’approvazione della proposta di legge che riconosce il  componimento melodico tradizionale “Sa patriottu sarda a sos feudatarios”, noto anche come “Procurade ‘e moderare” di Francesco Ignazio Mannu quale inno ufficiale della Regione sarda, i lavori sono  proseguiti in seduta non formale con la manifestazione celebrativa de “Sa Die de sa Sardinia” e dei 70 anni dalla promulgazione dello Statuto della Regione autonoma della Sardegna. Dopo l’inno della Sardegna, è intervenuto il presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau che ha ricordato che la ricorrenza de “Sa Die de sa Sardinia”, giornata della festa nazionale dei Sardi, fu istituita dal Consiglio nel 1993 con la legge n. 44. «La classe politica di allora – ha affermato – capì che la Sardegna aveva bisogno di una sua festa nazionale per unire idealmente l’isola intorno a valori condivisi e scelse quella lontana data del 1794 per il significato simbolico di quell’evento storico che parla di sardi che dopo secoli di rassegnazione e sfruttamento decidono di dire basta». «Un momento esaltante – ha proseguito Gianfranco Ganau citando Giovanni Lilliu – che segnò il passaggio da una Sardegna asservita al feudalesimo a una Sardegna libera, fondata sull’autonomia, l’identità di popolo ed una nuova patria sarda. A quasi venticinque anni da quella legge – ha aggiunto il presidente – è tempo di riflettere sul significato profondo di questa giornata che va al di là dell’affermazione di un’identità sarda e deve rappresentare un monito per tutta la comunità perché sia capace di costruire il proprio destino e futuro e riaffermi nell’agire quotidiano e soprattutto nell’agire politico la sua autonomia, oggi più di ieri necessaria in un sistema di poteri modificato dove il nostro interlocutore non è più solo lo Stato centrale ma anche l’Europa». «La nostra – ha sostenuto il presidente dell’Assemblea – è un’autonomia giovane se paragonata ai millenni della nostra storia e possiamo esserne orgogliosi perché, nonostante difficoltà ed errori, sono stati settant’anni di straordinario avanzamento economico e sociale per la nostra terra che si affacciava povera e sfruttata all’alba della Repubblica italiana democratica e antifascista».

Ma, soprattutto, quello dell’autonomia, secondo Gianfranco Ganau, «è un percorso che va ancora perseguito e costruito con un’assunzione di responsabilità comune che veda istituzioni, associazioni, scuole, università e finanche singoli cittadini, impegnati a compiere ogni giorno una rivoluzione».

Il presidente si è poi soffermato sul significato che il Consiglio ha voluto attribuire alla ricorrenza di “Sa Die” nel corso della legislatura, dal NO al deposito delle scorie nucleari del 2015 alla prima riunione congiunta delle assemblee di Sardegna e Corsica nel 2016; dal vertice fra tutte le Regioni a Cagliari sulle prospettive del regionalismo dopo la mancata approvazione del referendum costituzionale fino ad oggi, col riconoscimento come inno della Sardegna del componimento musicale noto come “Procurare ‘e moderare” di Franciscu Ignazio Mannu, inserendolo all’interno della legge n. 10 del 1999 con la quale venne adottata la bandiera della Regione Sardegna.

«La prima esecuzione ufficiale del nuovo inno sarà dedicata – ha annunciato Gianfranco Ganau – ai nostri conterranei che numerosi sono presenti in questa aula e attraverso loro a tutti quelli che popolano l’Italia e il mondo senza mai dimenticarsi la loro terra; quella dell’emigrazione sarda è la storia di un popolo che ha dovuto lasciare la sua terra in cerca di un futuro migliore ma è soprattutto la storia di vite incredibili, difficili e combattute ma spesso di grande riscatto.»

Il presidente ha affrontato successivamente il tema dell’insularità, per osservare che da essa «discendono indubbiamente profili di peculiarità identitari, da valorizzare e declinare in positivo ma anche, è evidente, elementi di svantaggio oggettivi che richiedono l’impiego di maggiori risorse per assicurare alla comunità pari opportunità in termini di sviluppo e per evitare quelle situazioni che, oggi come ieri, hanno spinto tanti, troppi sardi, ad emigrare non per scelta ma alla ricerca di un futuro». «Per questo – ha precisato con un riferimento all’attualità – dico che sbaglia chi minimizza il significato della battaglia per il riconoscimento in costituzione del principio d’insularità, perché è una battaglia identitaria che deve diventare una battaglia di popolo per coinvolgere e convincere tutti i sardi».

Dopo aver lamentato la presenza di troppe remore nei partiti e in alcuni settori della società sarda civile rispetto a questo percorso, il presidente Gianfranco Ganau ha espresso apprezzamento per un nuovo percorso, condiviso dalla FASI, che consiste in una legge di riforma costituzionale di iniziativa popolare con l’obiettivo «di ottenere un diritto egualitario che l’Italia deve riconoscere alla Sardegna e alle isole minori; abbiamo una storia da scrivere e possiamo farlo tutti insieme, gli emigrati e i sardi rimasti a casa».

Serafina Mascia, presidente della Fasi, ha salutato con favore l’approvazione da parte del Consiglio dell’inno sardo.  «Noi siamo qui – ha detto – come delegati, ma siamo popolo sardo. Noi siamo sardi e portiamo fuori dalla Sardegna la sardità. Serafina Mascia ha ripercorso la storia dell’emigrazione e il ruolo della Regione nei confronti degli emigrati. Noi abbiamo sempre la bandiera dei quattro mori pronta da far sventolare in qualsiasi nazione», perché siamo orgogliosi di essere sardi. I problemi però sono sempre gli stessi. Prima di tutto il lavoro e i trasporti. L’isola, grazie alle moderne tecnologie  è connessa con il resto del mondo – ha aggiunto – ma questo non basta. L’isola deve essere collegata alla terraferma. Quindi la battaglia sull’insularità deve essere portata avanti. Perché l’insularità deve essere un’opportunità e non più un impedimento. L’identità e l’appartenenza – ha concluso – sono il nostro punto di forza. La sardità non è solo legata alla territorialità».

Aprendo la serie degli interventi dei capigruppo Attilio Dedoni, per i Riformatori sardi, ha salutato con affetto le associazioni degli emigrati che, ha detto, «sono la migliore testimonianza di una nazione senza stato con radici vive e profonde». «Tuttavia – ha sostenuto – il concetto di autonomia fatica ad affermarsi in Italia ed in Europa anche per responsabilità della Sardegna e delle occasioni che non ha saputo cogliere, servono perciò un nuovo progetto ed una nuova stagione di confronto con lo Stato in condizioni paritarie e senza sudditanze».

Paolo Truzzu, di Fdi, ha affermato provocatoriamente che «dell’autonomia non ce ne facciamo niente nel senso che non abbiamo chiaro cosa vogliamo fare della nostra terra, è un po’ come il vestito delle grandi occasioni che si mette un giorno e poi lo si conserva nell’armadio». «Smettiamola di dare le colpe ad altri ed assumiamoci le nostre responsabilità – ha esortato – perché in questi 70 anni è mancata una visione capace di progettare il futuro; ora è il momento delle grandi decisioni riportando tutti i sardi al centro di un progetto forte ed aggredendo i nodi strutturali dello sviluppo».

Daniele Cocco, capogruppo di Art. 1 – Mdp, ha sottolineato che «l’incontro di oggi non può essere un momento di liturgia e tutti siamo chiamati a tenere in grande considerazione il discorso della presidente degli emigrati: combattere con voi la battaglia dell’insularità rafforza la rivendicazione delle istituzioni regionali». «L’autonomia da sola – ha ammonito – però non serve se la politica non è capace di metterla in moto indicando priorità ed obiettivi, per questo la Sardegna deve riuscire a farsi ascoltare dallo Stato ma anche essere capace di una chiara rivendicazione unitaria, partendo dagli accantonamenti che lasciano allo Stato ogni anno 800 milioni di euro».

Pierfranco Zanchetta, presidente del gruppo Cps, ha citato un’istanza di Giuseppe Garibaldi (che amava la sua Caprera) al presidente del Consiglio dei ministri di allora con cui si chiedeva di intervenire con urgenza per alleviare la gravissima situazione della Sardegna, liberandola una volta per tutte dal malgoverno; in sostanza chiedeva tribunali, corte d’appello, opere pubbliche ed una amministrazione efficiente, incontrando però la solita indifferenza di tutti i governi. «Ora ci sentiamo impegnati nella battaglia per l’insularità – ha concluso – insularità significa anche attenzione ai problemi delle isole minori».

Il capogruppo del Pds Gianfranco Congiu ha affermato che «larga parte del popolo sardo esprime un giudizio negativo sui risultati concreti ottenuti da una autonomia che, ad esempio, non riesce ad arrivare al diritto alla mobilità che invece viene esercitato in tutte le altre isole minori, in un quadro dove l’insularità viene riconosciuta a livello europeo ma non a livello nazionale dove l’azione della Regione si è mostrata inefficace». Una quota di Sardegna, ha proseguito, «chiede maggiori poteri o meglio veri poteri, passando da una autonomia imperfetta ad una perfetta fondata sull’autocoscienza del popolo e su una profonda azione riformatrice».

Pietro Cocco, capogruppo del Pd, dopo aver espresso una valutazione altamente positiva sulla «testimonianza preziosa degli emigrati», ha dichiarato che «autonomia è sentimento e passione ma anche una lunga marcia verso l’autogoverno della Sardegna, partita dalla seconda metà dell’800 ed arrivata, 70 anni, fa all’approvazione dello Statuto nel ’48, che dette una prima risposta ad un territorio trascurato e marginale in una condizione difficilissima». «L’autonomia – ha concluso – ci ha permesso di fare molti passi in avanti rispetto ad allora ma a 70 anni di distanza, il nostro Statuto deve essere aggiornato ed adeguato perché lo richiedono il contesto nazionale ed internazionale oltre che i grandi cambiamenti della società: sotto questo punto di vista l’insularità va bene ma c’è bisogno di aggiornare i contenuti della carta autonomistica rivedendo i rapporti con lo Stato».

Alessandra Zedda, capogruppo Fi, ha evidenziato il poco positivo rapporto con lo Stato per ciò che attiene le risorse negate alla Regione sarda ed ha posto l’accento sulla richiesta di una più consapevole e forte autonomia, insieme con il riconoscimento della condizione di insularità. «I sardi – ha dichiarato l’esponente della minoranza consiliare – si sentono nuovamente sudditi nei confronti di un governo nazionale arrogante e non siamo più disposti a fare passi indietro sul tema dell’Autonomia». «L’autonomia non è domanda di assistenzialismo – ha affermando Alessandra Zedda – e siamo pronti ad accettare la sfida per la revisione dello Statuto, aprendo una fase nuova di contrattazione con lo Stato».

Il presidente della Regione, Francesco Pigliaru, intervenendo in conclusione della seduta informale e celebrativa di Sa Die de Sa Sardigna ha ricordato alcune delle principali azioni poste in essere dal governo regionale nel corso della Legislatura ed ha approfondito il tema della insularità («è la nostra grande sfida») e delle riforme («non si misurano con gli annunci e neppure sulla quantità delle risorse ma sulla capacità di incidere nella vita delle persone»), alla luce anche dei rapporti con lo Stato e l’Unione europea.

Il capo dell’esecutivo ha insistito sulla clausola di insularità riservata alle regioni insulari periferiche ed ha denunciato le difficoltà e le penalizzazioni che derivano ai sardi per effetto delle interpretazioni restrittive che in sede europea permangono in materia di aiuti di Stato. «La soluzione che auspichiamo è una deroga – ha spiegato Francesco Pigliaru – per tutti i fondi europei e nazionali impiegati per mitigare i costi associati all’insularità, al fine della loro esclusione dalla disciplina degli aiuti di Stato».

Il presidente ha quindi definito “profondamente ingiusto” il livello degli accantonamenti imposto dallo Stato alla Regione sarda ed ha elencato le riforme approvate nel corso della Legislatura a guida centrosinistra: sanità, lavoro, Enti locali e Reis. Non è mancato il riferimento alla nuova legge urbanistica («auspico il varo di una spero legge di alto livello che raccolga consenso e superi le attuali divisioni») e al caso Ottana («abbiamo chiesto il riconoscimento dello stato di crisi di area complessa»). «Lavoriamo insieme – ha concluso Francesco Pigliaru, riferendosi alle parole dell’inno del Mannu – perché “tesi i fili dell’ordito dobbiamo continuare a tessere”»

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Il Coordinamentu pro su Sardu Ufitziale ricorda la figura di Giovanni Lilliu, archeologo, saggista, politico e strenuo difensore di lingua e nazione sarda, nel 104esimo anniversario della nascita e nel 6° anniversario della morte. Per sabato 17, a Laconi, grazie anche all’amministrazione del comune del quale Lilliu era cittadino onorario, è in programma una manifestazione nella quale il ricordo dell’intellettuale verrà associato soprattutto alle sue battaglie per la cultura, la lingua ed il riconoscimento della nazione sarda. Alle ore 17.30, presso il palazzo Aymerich (oggi prezioso museo archeologico delle statue menhir) lo ricorderanno Cristina Serra, poetessa, Giorgio Murru, archeologo, e Giuseppe Corongiu, animatore e fondatore del CSU. Saranno presenti le figlie dell’illustre uomo di cultura Cecilia e Caterina Lilliu. In programma anche un intervento del sindaco Paola Zaccheddu. Sarà proiettato un documentario sulla figura dello stesso Lilliu.

Giovanni Lilliu, nativo di Barumuni proprio il 13 marzo 1914 e scopritore del famoso nuraghe omonimo, dopo aver ottenuto la specializzazione a Roma al 1943 al 1945 ha operato nella “Soprintendenza alle Antichità della Sardegna”. Nel 1972 ha fondato e poi diretto per venti anni la “Scuola di specializzazione in Studi Sardi” dell’Università di Cagliari, ricoprendovi il ruolo di Professore ordinario di Paletnologia con l’insegnamento di Antichità sarde. Ha fondato ed è stato a lungo presidente dell’Istituto superiore regionale etnografico (ISRE) di Nuoro. A lungo è stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia.

Ha svolto anche attività politica, essendo stato consigliere regionale dal 1969 al 1974 e consigliere comunale a Cagliari dal 1975 al 1980 nelle file della Democrazia Cristiana. Il suo nome, nel campo politico nazionalitario, è legato al concetto di costanze resistenziale della nazione sarda e alle battaglie, protratte negli anni, per il riconoscimento ufficiale della lingua sarda.  

È stato membro di numerosi istituti scientifici italiani e stranieri e dal 1990 unico sardo all’Accademia dei Lincei. Nel 2007 ha ricevuto dalla Regione Autonoma della Sardegna l’onorificenza “Sardus Pater”, istituita proprio in quell’anno quale riconoscimento da assegnare a cittadini italiani e stranieri che si siano distinti per particolari meriti di valore culturale, sociale o morale e abbiano dato lustro alla Sardegna.

E’ scomparso a Cagliari il 19 febbraio 2012.

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Venerdì 1° settembre la seconda giornata del Cabudanne de sos poetas riprende dal mattino fino alla sera con tanti appuntamenti. Tra gli ospiti la grande poetessa Vivian Lamarque, la poesia dialettale di Fabio Franzin, il teatro di Mario Faticoni, la musica di Alessio Lega, la poesia popolare sarda nei versi di Raimondo Usai Ponti, la grande civiltà nuragica e i popoli del mare nell’incontro con Giovanni Ugas.

Prosegue la 13° edizione del Cabudanne de sos poetas con una giornata densa di incontri dal mattino fino alla mezzanotte. Il festival si apre alle 10.00 come sempre in uno dei bar di Seneghe, luoghi di socialità e di festa. Partenza dal Bar Recreu con l’appuntamento con la poesia popolare in sardo e l’omaggio stavolta al poeta Franzischeddu ‘e Fenu (Raimondo Usai Ponti) e alla sua produzione in versi di recente pubblicazione “Guvernu de vida”. A presentare le sue poesie, e a introdurre il tema della produzione storica in sardo saranno Mario Cubeddu e Tore Cubeddu.

Alle 11.30, a Prentza de Murone, verrà presentata l’interessante opera dell’archeologo Giovanni Ugas, ex direttore della Soprintendenza, ricercatore e docente di Preistoria e protostoria sarda all’Università di Cagliari, “Shardana e Sardegna. I popoli del mare, gli alleati del Nord-Africa e la fine dei Grandi Regni”. Allievo di Giovanni Lilliu, ha ricostruito alcuni momenti problematici della civiltà nuragica, a partire dai “popoli del mare”, che aprirono la strada a nuovi orizzonti, ad una nuova epoca nel Mediterraneo: gli Shardana, guerrieri la cui presenza è attestata nell’Egitto dei Faraoni. L’autore dialogherà con Fabio Serchisu. Con la sua ricca produzione poetica in dialetto trevigiano alle 17.00 a Putzu Arru è atteso ​Fabio Franzin (Milano 1963, vive a Motta di Livenza in provincia di Treviso), piuttosto lontana però dalle composizioni incentrate sulla nostalgia della polenta o del paesaggio veneto, ma ben attenta invece alla condizione operaia e alla trasformazione antropologica a causa di una industrializzazione selvaggia che sta modificando i rapporti tra le persone e i valori secolari. Temi centrali della sua prima raccolta “Fabrica” (Atelier 2009), Premio Pascoli e Premio Baghetta. L’ultima, “Erba e aria” (Vydia 2017) sempre nella lingua dialettale trevigiana cerca di lasciarsi alle spalle un ritmo di vita iperfrenetico per abitare quei luoghi, un tempo rassicuranti, come i campi coltivati e la saggezza di una civiltà contadina. Nel mezzo, altre opere di poesia in dialetto, come “Le voci della luna” (2011), Premio Achille Marazza. L’autore dialogherà sulle sue opere insieme alla poetessa Francesca Matteoni. 

Alle 18.30, nella Piazza dei Balli, sarà la volta di ​Vivian Lamarque (Milano), scrittrice, poetessa e traduttrice italiana tra le voci più importanti della poesia italiana, con l’opera “Madre d’inverno” che segna il suo grande ritorno alla poesia. Conduce l’incontro Rossana Dedola, studiosa di letteratura, scrittrice e ricercatrice della Scuola Normale Superiore di Pisa.

Dall’universo teatrale più importante dell’isola arriva subito dopo alle 21.00 sempre nella Partza de sos ballos Mario Faticoni, fondatore del Teatro Sardegna, del Crogiuolo, di ArcoStudio e autore di testi da lui stesso interpretati. A Seneghe porterà “Tragoidia”, l’interpretazione originale dell’opera più importante di Giovanni Dettori “Canto per un capro” pubblicato nel 1986, caposaldo per la poesia italiana e sarda del Novecento che tratta il tema del dolore di una padre per la morte del figlio adolescente. Adattamento e regia di Bruno Venturi.

Alle 22.00 si affronterà il tema dal titolo “La sarda rivoluzione” con gli storici Federico Francioni (docente di storia e filosofia e autore di numerosi saggi sulla Sardegna) e Francesco Casula (laurea in lettere a Roma si è dedicato alla promozione della lingua e della cultura sarda e alla ricerca storica) chiamati a rievocare le vicende della lotta (che seguiva di qualche anno quelle della rivoluzione francese) contro il dispotismo feudale che bloccava lo sviluppo economico e sociale della Sardegna. Ad accompagnare le loro parole il Coro de Su Cuntrattu de Seneghe di Antoni Maria Cubadda ed il Coro Montiferru diretto dal maestro Antonio Lotta.

​Chiude la giornata di venerdì, alle 23.30, nella Partza de sos ballos Alessio Lega, uno dei cantautori e scrittori più stimati della sua generazione, in “Dove si andrà?” dedicato alle canzoni del poeta, critico letterario, saggista ed intellettuale Franco Fortini.

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Seconda giornata di attività, a Nuoro, per il Seminario Jazz, che ieri mattina ha tagliato il nastro di partenza della sua edizione numero ventisette.

Mentre alla Scuola Civica di Musica “Antonietta Chironi”, in via Mughina, proseguono per tutto il giorno le lezioni di teoria e pratica del jazz (dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00), nella sala prove di Mousikè, in via Gramsci, 48, prende il via in mattinata (dalle 9.00 alle 13.00), e andrà avanti fino a martedì prossimo, la masterclass per fonici di Marti Jane Robertson: si tratta di una novità assoluta per il seminario, così come l’altra master dedicata invece ai musicisti (titolo: “Parlare con il fonico“), che l’ingegnere del suono americana terrà nei pomeriggi di oggi e domani, alla Scuola Civica di Musica dalle 15.00 alle 19.00.

Qui, alle 15,45, è in programma anche un altro momento didattico: il musicista e storico della musica del Novecento Enrico Merlin conduce il primo dei suoi “Quattro passi nel jazz”, la serie di incontri (aperti al pubblico, con iscrizione a 10 euro, gratuita per i soci dell’Ente Musicale e gli abbonati al Festival Nuoro Jazz), sul jazz come linguaggio senza confini.

Poi, in serata, doppio appuntamento all’auditorium “Giovanni Lilliu” dell’ISRE con la rassegna di concerti che accompagna le undici giornate del Seminario organizzato dall’Ente Musicale di Nuoro (biglietto intero a dodici euro, ridotto a dieci). Apre, alle 21.00, il gruppo formato dai migliori allievi della passata edizione dei corsi attraverso le apposite borse di studio assegnate dai docenti: si chiama Jazz Express perché, come spiegano i suoi membri, «il nome racchiude in due semplici parole la voglia di volerci esprimere insieme, di cercare e scoprire i tesori che il Jazz racchiude. Express perché questa ricerca è un lungo viaggio che si fa insieme uno accanto all’altro, come sul vecchio ‘treno espresso’». Con Francesco Nasone (voce), Luca Agnello (sax tenore), Danilo Tarso (pianoforte e Rhodes), Antonio Masala (chitarra), Francesco Rapinesi (contrabbasso) e Juri Altana (batteria), c’è anche la cantante Pina Muroni, vincitrice di una menzione speciale che le permette di esibirsi insieme ai Jazz Express come ospite.

A seguire, riflettori puntati sul duo formato da Raffaele Casarano (sassofoni) e Mirko Signorile (pianoforte), un sodalizio artistico sbocciato dalle file del quartetto Locomotive (sulle scene dal 2004 e con tre dischi all’attivo) intestato al primo, e in particolare dalle tracce dell’album “Noè”, pubblicato due anni fa dall’etichetta Tuk Music di Paolo Fresu: un disco giocato sulle ombre, i chiaroscuri, le pause, le atmosfere del sogno. È su queste basi che i due musicisti pugliesi hanno rafforzato la loro intesa musicale; ripercorrendo il repertorio originale del quartetto in versione più intima e acustica, Raffaele Casarano (classe 1981) e Mirko Signorile (1974) lasciano libero spazio agli schemi dei brani senza per forza restare nella ritmica dettata da contrabbasso e batteria, dando vita a un dialogo in musica intriso di emotività e caratterizzato dalla curiosità di esplorare sempre nuovi linguaggi e nuove idee.

Raffaele Casarano & Mirko Signorile (foto@gianni cataldi)2s Pina Muroni 2 Marti Jane Robertson 2 Jazz Express FOTO Band (s) Enrico Merlin (s)