14 November, 2024
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“Carbonia tra identità e Innovazione”: è il tema del seminario svoltosi ieri mattina nella sala polifunzionale del comune di Carbonia, organizzato nel decennale dell’assegnazione al comune di Carbonia del Premio del Paesaggio del Consiglio d’Europa, avvenuta a Lisbona.

Promosso dalla seconda commissione Urbanistica, Lavori pubblici, Ambiente e Manutenzione, il Seminario, aperto dal presidente del Consiglio comunale Federico Fantinel, ha visto la partecipazione di Sindaco, Giunta, componenti delle commissioni consiliari, dirigenti e tecnici comunali, architetti ed ingegneri.

Interventi e relazioni del presidente della seconda commissione, dei professori dell’Università di Cagliari Antonello Sanna, Giuseppina Monni e Marcello Peghin e del direttore generale Area Sardegna, Cristian Filippo Riu.

L’intervista al professor Giorgio Peghin.

 

Carbonia tra identità ed innovazione: è il tema del seminario istituzionale sul rilancio delle iniziative culturali sull’identità e sul futuro della Città di fondazione nel decennale del Premio europeo del Paesaggio, che si terrà domani mattina, dalle 10.00, nella sala polifunzionale di piazza Roma.

Il seminario è promosso dalla seconda commissione Urbanistica, Lavori pubblici, Ambiente e Manutenzione. Parteciperanno il sindaco Pietro Morittu, la Giunta, il presidente del Consiglio comunale, i componenti delle commissioni consiliari permanenti, dirigenti e tecnici del Comune, architetti ed ingegneri.

Dopo i saluti del presidente del Consiglio comunale, Federico Fantinel, sono previsti gli interventi dell’ingegner Giacomo Guadagnini, presidente della seconda commissione, i docenti dell’Università di Cagliari Antonello Sanna, Giuseppina Monni e Giorgio Peghin; e, infine, Cristian Filippo Riu, direttore generale di Area.

Concluderà i lavori il sindaco di Carbonia, Pietro Morittu.

  

Il 20 gennaio su iniziativa della associazione “Amici della Miniera” presso la Sezione di Storia Locale è stato presentato “Carbonia progetto e costruzione al tempo dell’autarchia”, e-book a cura di Antonello Sanna e Giuseppina Monni.

All’iniziativa, introdotta da Gian Matteo Sabiu, sono intervenuti gli autori, a nome dell’Amministrazione comunale di Carbonia, gli assessori Giorgia Meli e Pierangelo Porcu, Tore Cherchi e, infine, collegata da remoto, Natasha Pulitzer, figlia di Gustavo, che ne ha definito il ricordo familiare e professionale, con un intervento articolato, attraverso cinque atti tra ’800 e ‘900.

Nel corso dell’introduzione, Mario Zara, presidente dell’associazione Amici della Miniera, nel sottolineare il ruolo dell’associazione nella promozione del ricordo di personalità che si sono distinte nella storia della Città di Carbonia, ha avanzato la proposta di dedicare, in un luogo da identificare nel centro cittadino, analogamente a quanto è stato già fatto ad Arsia in Istria, una targa commemorativa per ricordare la figura dell’architetto Gustavo Pulitzer (1887-1967).

L’assessore Giorgia Meli, a nome dell’Amministrazione comunale ha accolto con favore la proposta nell’auspicio di poter celebrare l’evento nella prossima primavera.

L’E-Book

Merita una lettura attenta, è un’opera ben strutturata con un corredo documentale pregevolissimo, nella quale si uniscono armonicamente l’inquadramento storico della vicenda e l’informazione tecnica, punti di osservazione utili entrambi a documentare il processo di costruzione della Città di Fondazione.

Si mette in evidenza il ruolo recitato dall’architetto Pulitzer, non solo nella progettazione del centro cittadino, la cui impronta è ben visibile e documentata ancora oggi, ma anche nella redazione delle scelte urbanistiche originarie. In particolare, in modo molto pertinente, sottolinea il ruolo niente affatto subordinato di Pulitzer anche nelle scelte di pianificazione della città nuova.

Queste affermazioni trovano riscontro in maniera più nitida dalla lettura dei diari tenuti dall’autore, che aprono una nuova prospettiva nella conoscenza delle vicende urbanistiche che precedono la nascita di Carbonia.

Ho avuto il privilegio, dall’architetto Natasha Pulitzer, sua figlia, che ne ha curato la trascrizione, di poterli consultare e divulgarne il contenuto nelle sue parti più significative.

I diari sono concernenti gli anni 1935-1938, periodo in cui Pulitzer viene incaricato di redigere, prima il piano urbanistico di Arsia in Istria (oggi Croazia) e successivamente di Carbonia.

Il contesto in cui matura la decisione di far nascere Carbonia è stato tratteggiato puntualmente da Ignazio Delogu nel suo libro “Carbonia: Utopia e progetto”, nel quale sono descritti con un dettaglio unico luoghi (Trieste) e ambienti quali quelli della finanza ebraica rappresentata dal Commendator Guido Segre, destinato nel breve volgere del tempo, alla “damnatio memorie”.

Sarà proprio Segre uno dei principali attori dell’imprenditoria triestina, ad incaricare Pulitzer sia per la progettazione di Arsia che per quella di Carbonia.

I diari

Dalla lettura dei diari emergono novità assolute e al tempo stesso una conferma alcune intuizioni contenute nel libro di Antonello Sanna e Giuseppina Monni, una miniera di informazioni, sugli stati d’animo del Pulitzer, i rapporti con i colleghi, considerazioni sul tempo, frequentazioni di luoghi e di persone che hanno segnato nella sua traiettoria di vita, passaggi della vita nazionale, Marcello Piacentini, Giovanni Battista Ceas, Giò Ponti, Eugenio Montuori per citarne alcuni noti nel ramo dell’architettura.

Il primo contatto segnalato riguardo al suo impegno per Carbonia, risale al 19 ottobre 1936 quando tutto inizia: «Dal Com. Segre, parlo della questione del terreno… e della commessa Sardegna».

1 novembre 1936: «Arriva Ceas (uno dei progettisti di Arborea e socio dello studio Stuard fino al 1926) a casa nostra a colazione. Gli parlo del lavoro in Sardegna»

1937

12 gennaio: «Alla stazione per salutare Segre che parte per la Sardegna».

12 aprile: «Tempo sempre incerto, parlo con Segre del lavoro che sto facendo per la Sardegna».

13 aprile: «In ufficio lavoriamo al Piano Regolatore per la Sardegna».

16 aprile: «In ufficio si lavora per il piano regolatore della Sardegna. Temporale».

22 aprile: «Ultimiamo il Piano Regolatore per la Sardegna».

23 aprile: «Milano. A colazione da Ponti, Giornata serena. Cattive informazioni dall’arch. Valle che ha da essere consultato per la Sardegna, vedo quindi prospettive poco allegre per questo lavoro»

4 maggio: «Il nostro progetto del piano regolatore per la Sardegna è stato consegnato a Roma all’ing. Valle e arch. Guidi – hanno accettato e non cambiano nulla salvo qualche dettaglio»

21 maggio: «La mattina mi viene a prendere Segre e Guidi. Incontro con ing. Valle. Buona impressione. A colazione con Ceppi – ci mettiamo d’accordo sulla ripartizione del lavoro – a Valle e Guidi piano regolatore e scuole – a Montuori albergo e ville impiegati – per me in centro urbano – resta in forse la chiesa». «Segre alle 11 ha visto il capo (Mussolini) che ha accettato completamente il programma finanziario per le miniere della Sardegna.»

7 giugno: «Colloquio con Ceppi e con gli arch. Valle Guidi e Montuori. Cena al Quirinale all’aperto – bellissimo – … riparto».

19 giugno: «Consegno a Lach (collaboratore dello studio STUARD ) il mio progetto per la piazza di Carbonia».

19 giugno: «Occupazione di Bilbao da parte dei nazionalisti. Bagno a Sistiana. Colloquio con Segre a cui mostro il progetto di Carbonia, la Chiesa ancora in forse».

1 luglio: «Alle 11 partiamo da Ostia con l’aereo per Cagliari, Ceppi, Guidi, Montuori ed io. Dopo pranzo a Bacu Abis e nella zona del futuro villaggio di Carbonia».

2 luglio: «Discuto con Ceppi i miei progetti, poi con Guidi la pianta del centro urbano che avevo sostanzialmente modificato e che ora riporto a Guidi per dargli una soddisfazione come autore del piano regolatore. Parto alle 15 con l’aereo, la sera parlo col dott. Frasca – riparto per Trieste».

15 luglio: «Si lavora al progetto per il centro urbano di Carbonia».

21 luglio: «È morto Marconi a soli 63 anni – il mondo intero esalta la memoria del grande genio che darà nome al suo secolo».

20 agosto: «Lavoro febbrile per i disegni del norvegese e per preparare progetti di Carbonia (chiesa e resto) che Lach dovrà portare a Fusine dal Comm. Segre».

17 settembre: «In ufficio lavoro intenso per Carbonia. Progetto di Teatro».

19 settembre: «Preparo nuovo progetto per il Municipio di Carbonia, 21 parto per Roma».

22 settembre: «A Roma lunga conferenza con ing. Ceppi, con Guidi e con Valle. Esamino con Valle Casa e con Galante i lavori del bar Ambasciatori – Ceppi a nome di Segre insiste perché il lavoro si faccia con paternità collettiva. Non sono per niente convinto».

24 settembre: «Piove. Lach torna da permesso di 5 giorni. Facciamo nuovi progetti per alcuni edifici della Piazza di Carbonia».

3 ottobre: «In ufficio si lavora per spedire i progetti di Carbonia a Roma».

9 ottobre: «Disegniamo prospettive piazza Carbonia – sono scontento della planimetria generale impostata da Guidi e Valle»

20 ottobre: «Da Roma mi fanno urgenza per la consegna dei progetti Carbonia. Sono inquieto e tormentato perché non soddisfatto di alcuni particolari».

21 ottobre: «Con Segre, Tannini, Alessi ad Arsia per i preparativi dell’inaugurazione che avrà luogo il 4 novembre. Giornata luminosa».

22 ottobre: «Nel mio ufficio si è fatto un modello della piazza di Carbonia – con ciò posso controllare meglio il rapporto fra i vari edifici. All’ultimo momento trovo una soluzione anche per l’edificio poste bar – incomincio ad essere più tranquillo».

23 ottobre: «Spediamo a Roma disegni per gli edifici della piazza di Carbonia».

27 ottobre: «Esamino il modello della piazza di Carbonia».

Con quest’ultima notazione si conclude il diario del 1937, nel 1938 con una lettera datata 1° agosto lamenta il pagamento della sua parcella. Cala il sipario sul suo impegno per Carbonia.

Siamo ormai prossimi alla data del 18 settembre del 1938 in cui Benito Mussolini a Trieste pronuncia il discorso che annuncia l’emanazione delle leggi razziali; può apparire un paradosso: siamo a tre mesi dall’inaugurazione di Carbonia che avverrà il 18 dicembre del 1938 e proprio a Trieste, dove tutto era incominciato, si chiude il cerchio di questa vicenda con l’immediato allontanamento dei principali protagonisti di questa “avventura” dalla scena pubblica.

Guido Segre fu rapidamente rimosso dalla direzione dell’Azienda Carboni Italiani, Gustavo Pulitzer abbandonerà l’Italia, cogliendo l’occasione rappresentata dall’incarico della progettazione del padiglione “Italian Restaurant Conte di Savoia alla Fiera Internazionale di New York”. Tornerà in Italia 9 anni dopo nel 1947.

Tore Cherchi, nel corso del suo intervento, ha giustamente richiamato l’attenzione sulla data del 27 gennaio dedicata al giorno della memoria in ricordo della Shoah, una delle pagine più buie dell’intera storia dell’umanità. Si tratta di un richiamo attinente al nostro racconto, vorrei ricordare in questa sede uno degli altri nomi dell’architettura del ventennio: Giuseppe Pagano che fu incaricato di redigere il piano urbanistico che prevedeva il raddoppio del comune di Portoscuso; concluse la sua sfortunata esistenza nel campo di sterminio di Mauthausen.

A Carbonia si intravide da subito la sua forte vocazione urbana con tutti gli elementi di modernità che la contraddistinsero, mettendola in qualche modo, in oggettivo contrasto con le parole d’ordine che avevano caratterizzato la propaganda dedicata dal regime fascista delle città di Fondazione, sia dell’Agro Pontino che della stessa Arborea: bonifica e ruralizzazione.

La stessa narrazione di queste vicende, talvolta accompagnata ancor oggi da toni nostalgici, delle quali non intendo sminuire in alcun modo grandezza e valore, spesso ne ignora la complessità e la dialettica che ha generato; c’è, infatti, una fase precisa nella quale emergono pubblicamente elementi di deterioramento nei rapporti tra ingegneri, architetti e committenza pubblica, che talvolta resero necessario l’intervento riparatore dello stesso Mussolini, come nel caso di Sabaudia e della Stazione di Firenze.

La lettura dei diari rivela in modo inequivocabile il ruolo preminente esercitato da Pulitzer non solo nella progettazione del Centro Urbano, degli Alberghi Operai, etc. ma nella redazione stessa del Piano Regolatore della Città, attribuito finora a Valle e Guidi e del quale può essere considerato a pieno titolo uno dei principali autori.

Gustavo Pulitzer Finali, nonostante il suo valore sia stato colpevolmente sottovalutato in sede storica e anche dagli ambienti dell’Accademia, è ricordato per il grande contributo fornito all’architettura navale del nostro paese e sulla scala europea, ebbe committenti di grande caratura nel ramo civile, dall’Armatore Cosulich, al Lloyd Sabaudo, quello Triestino, alla Società Italia, come ne ebbe altrettanti importanti anche dalla Marina Militare Italiana come quello delle Corazzate Vittorio Veneto, Andrea Doria, Roma, per citare le più note.

In questo panorama, siamo nel nefasto ventennio, Pulitzer non prese mai la tessera del PNF (Partito Nazionale Fascista), aggiungo con piacere un richiamo presente del già citato libro di Sanna e Monni a proposito del suo stile: «… da sempre avverso a qualsiasi forma di elogio del fascismo».

Credo che la decisione di ricordarne solennemente la figura, con l’apposizione di una targa commemorativa nella nostra città assunta dall’Amministrazione comunale, riassume con un gesto semplice la gratitudine che noi tutti gli dobbiamo.

Antonangelo Casula

 

Prima di tutto, vorrei esprimere un’osservazione generale. Il libro di Tore Cherchi è un gran bel libro. Ben scritto, ben fatto, ben vestito. Oltre il principale contributo dell’autore, il testo ha una pregevole produzione, in comunanza con altri. Mi spiego. Ha notevole importanza la generosa e acuta prefazione di Antonello Sanna, che coglie rilevanti stratificazioni narrative nello scritto. Ha grande valore il significativo dossier fotografico dell’architetta Laura Tuveri. Ha raro pregio la veste editoriale che offre Giampaolo Cirronis. Si tratta, pertanto, di un libro di molti pregi in comunanza.
Tuttavia, il testo è il prodotto di un imprescindibile impegno di lavoro dell’autore, un lavoro assai accurato. Basta controllare la cura storico-narrativa di Tore Cherchi per le date dei fatti narrati, per le persone incontrate, per i libri e gli autori citati, per rendersene conto. In breve, il libro è assai apprezzabile e fa onore alla città, facendone un segno distintivo. Il libro è avvincente. Bisogna, pertanto, stare attenti a non farsi prendere dalla narrazione fino a perdere la necessaria distanza critica.
Procederò in questo modo percorrendo il testo: 1) motiverò il mio sguardo antropologico; 2) seguendo la narrazione dell’autore, metterò in evidenza Carbonia fra identificazioni attribuite da altri e realizzate da sé in modi propri, cioè fra identità eteronome e autonome; dalla città industriale a quella post-industriale, attraverso la de-industrializzazione subita; 3) in questo profilo, farò emergere tre nuclei di stile di governance autonomistica, governance che caratterizza il sindaco Tore Cherchi. Si tratta di nuclei che individuo in tre nodi narrativi che riguardano: il suo progetto di conoscenza, la sua politica dello spazio, la sua politica del tempo; 4) inoltre, metterò in rilievo la sua politica unitaria delle culture industriali e rurali; 5) sosterrò, infine, la tesi che Tore Cherchi è stato come sindaco, ed è inoltre con questo libro, produttore di futuro.

1. Lo sguardo antropologico, l’antropologia delle istituzioni, qualche non detto nella narrazione
Ho letto il libro con uno sguardo antropologico, e ciò richiede qualche spiegazione. L’antropologia, etimologicamente, è studio dell’uomo. Ma l’etimologia dice poco e può perfino risultare androcentrica. In modo descrittivo, posso dire che studia i modi socio-culturali di farsi umani o disumani dell’umanità femminile e maschile, e non solo, a vari livelli: individuale e socio-etnico, dei generi e della specie umana. In modo problematico, posso dire che l’antropologia democratica e critica studia i modi di farsi umani e disumani, specialmente nei rapporti di potere e di violenza, a vari livelli: guerre, femminicidi, sottomissioni, inuguaglianze… L’antropologia tratta pertanto, oltre la paleo-antropologia, anche temi di viva contemporaneità. L’antropologia nacque nel 1871, offrì un nuovo concetto scientifico di cultura che comprende tutto ciò che umanamente è detto e fatto, più o meno incorporato, abolendo la distinzione fra cultura “alta” e “bassa” e ampliando l’ambito di ricerca scientifica sulla cultura. Ha sviluppato un ampio apparato di concetti e metodi: osservativi, interpretativi, di produzioni documentarie creando nel tempo fonti scritte, fotografiche, audio-visive. Gli studi di antropologici hanno favorito non poche specializzazioni, sia tematiche e sia territoriali: antropologia storica, contemporanea, economica, sociale, culturale, politica, giuridica, delle religioni, delle istituzioni, medica, urbana, migratoria, rurale, meridionalistica, alpina, industriale, esotica, africanistica, americanistica, orientalistica, dei generi, dello spazio, del paesaggio, dell’ambiente… In poche parole, l’antropologia non è un insieme di racconti acritici di usi e costumi passati o presenti, come impropriamente e diffusamente si crede e talvolta si fa, raccogliendo semplicemente racconti o opinioni e pensando di fare antropologia.
L’antropologia, invece, è una scienza empirica, osservativa e critica, che svolge generalmente spogli documentari e rilevamenti con “ricerche sul campo”, non in laboratorio. Produce dati critici d’informazione, cioè fonti di conoscenza codificate e controllabili, sia teoricamente e sia metodologicamente. Fra i più recenti sviluppi, troviamo l’antropologia mineraria e industriale. In questo campo specialistico, Carbonia emerge come particolare laboratorio antropologico di cambiamenti di valori culturali condivisi, come ethos identificante e identitario, secondo i tempi e i modi. Pertanto, questa città ha avuto e ha parte rilevante nell’antropologia mineraria, industriale e urbana, specialmente nell’antropologia italiana ed europea.
La domanda antropologica, da cui parto nel dispormi a osservare le vicende dal punto di vista dell’antropologia delle istituzioni, è la seguente: fino a che punto Tore Cherchi è giunto per democratizzare, e quindi per umanizzare, sia le istituzioni nelle quali è entrato e sia sé stesso, sia come autorità istituzionale e sia come persona? Come ha agito per potenziare dal punto di vista dei poteri istituzionali la città e la sua personalità di sindaco?
Carbonia è la città che costituisce il centro dell’analisi di antropologia istituzionale per interpretare le azioni e i processi politico-culturali messi in opera da Tore Cherchi. Si tratta, stiamo attenti, di un’analisi bifacciale o doppia: riguarda il luogo fisico della città di Carbonia con una precisa messa in forma storico-istituzionale, democratizzante e umanizzante realizzata dal sindaco, e concerne anche il modo di democratizzarsi e umanizzarsi dello stesso protagonista istituzionale.
Segnalo subito che la narrazione dell’autore può avere un’immediata rilevanza antropologica in quanto parte di una narrazione autobiografica, come spezzone di vita personale, tranche de vie. Inoltre egli è, metodologicamente, un informatore privilegiato sulla città. Può dare, infatti, molte informazioni da vagliare criticamente come fonti storico-antropologiche. Non è questa la sede, né l’occasione per approfondire tanti aspetti di interesse accademico. Limiterò, invece, i mei passi nella sua narrazione, come ho premesso, e cerco subito di provocare alcune sue risposte.
La narrazione biografica e prevalentemente urbana di Tore Cherchi, è necessariamente piegata sulla sua esperienza di sindaco della città e poi di presidente della Provincia, cioè sulle sue esperienze amministrative. Egli lascia non dette le sue importanti esperienze legislative, sia alla Camera e sia al Senato. Tali esperienze legislative, a mio avviso, non riguardano solo conoscenze di bilancio e di visione istituzionale, di fonti di finanziamento e di procedure. Riguardano anche alcune scelte storiche, com’è avvenuto per esempio con la soppressione delle le PP.SS. Si tratta di scelte governative nazionali che hanno avuto una loro importanza nel delimitare il perimetro delle traiettorie operative che gli consentirono poi di amministrare sia la città e sia la provincia, successivamente fino al Piano Sulcis. Mi fermo un attimo sulle esperienze legislative perché lì si situa l’arretramento complessivo dell’intervento dello Stato, a partire dall’economia e dall’industria, che interessarono la nostra città.
Gli anni dell’esperienza parlamentare di Tore Cherchi, dall’ottanta al duemila del Novecento, sono stati i primi due decenni di neoliberismo montante. Sono stati, in parallelo, decenni di indebolimento, di arretramento, di sottomissione dello Stato a interessi neo-proprietaristici e privatistici. In quegli anni si realizzò un processo di sottomissione dei poteri pubblici da parte di un ipercapitalismo incontrollato delle nuove inuguaglianze (Piketty 2020). Lo scioglimento nel 1993 del Ministero delle PP.SS., che ha avuto un peso determinante nel Sulcis, si situa in quel processo. Come si deve tener conto di quel processo nelle nostre vicende locali?
Credo sia necessario esplicitare ora qualche parola non detta nel libro. Guardiamo al processo complessivo. L’iniziale ridimensionamento della presenza dello Stato nel settore alimentare, certo necessaria, è continuato poi in campo industriale senza individuare efficacemente settori strategici. Il ruolo dello Stato si è ridotto perfino in ambito culturale, eliminando sia enti inutili e sia enti utili. Non di tutte le privatizzazioni (avvenute dal 1985 al 2007), c’è da essere orgogliosi. Il Comitato di garanzia per le privatizzazioni della Corte dei Conti nel 2010 e nel 2012 ha in parte svelato il lato oscuro delle privatizzazioni di ex aziende pubbliche e ha rilevato, fra l’altro: 1 l’aumento delle tariffe di certi beni e servizi più alte in Italia rispetto ad altri paesi europei; 2 il mancato recupero di efficienza per migliorare servizi e infrastrutture privatizzate, 3 la scarsa trasparenza dei nuovi proprietari privati. Pertanto, è necessario un esplicito ripensamento critico per attivare, anche localmente, una nuova proposta di rinvigorimento democratico del ruolo pubblico dello Stato italiano nel contesto istituzionale europeo, nel quadro dei nuovi processi economici e istituzionali.
La domanda da cui parto ora, pertanto, è la seguente: perché Tore Cherchi, protagonista di alto valore nelle istituzioni nazionali, come si vede anche in internet, preferisce parlare della sua esperienza di amministratore locale?
L’ambito delle istituzioni economiche nazionali è stato ristretto ed ha assecondato l’affermarsi del neoliberismo incontrollato. Carbonia permette di verificare, nella narrazione di Tore Cherchi, la portata dell’arretramento economico dello Stato sia nel campo industriale e sia nelle sue articolazioni locali, comunali. Insisterò nel domandare pertanto se e quanto, nell’arco storico proprio del neoliberismo incontrollato, di arretramento dello Stato e di indebolimento delle sue articolazioni locali, Carbonia è stata importante per democratizzare-umanizzare l’istituzione comunale che veniva indebolita nella sua forza autonomistica e, congiuntamente, è stata importante per il democratizzarsi e per l’umanizzarsi personalmente di Tore Cherchi. Egli, come sindaco autonomistico, si cimentava in modi alternativi rispetto all’indebolimento delle articolazioni locali dello Stato. Vorrei, a tal proposito, insistere fortemente nel mettere in luce che l’impegno locale di Tore Cherchi si realizza in un contesto di indebolimento, di de-potenziamento, di assoggettamento dei poteri pubblici, statali e delle articolazioni locali, da parte del neo liberismo che realizzava e determinava politiche di abbandono (Elisabeth Povinelli 2011), che produceva «espulsioni» e «terre morte» (Saskia Sassen 2014), con de-localizzazioni e de-industrializzazioni in certi territori e neo-localizzazioni industriali in altri luoghi del mondo.
I due fuochi di lettura che seguo, istituzionale e personale, in entrambi i piani riguardano pertanto il passaggio da soggetti sottomessi a soggetti agenti per diventare più autonomi nell’articolato sistema delle autonomie, sottoposte a un preciso attacco democratico nel corso del neoliberismo che si affermava, come ha recentemente messo in evidenza Noam Chomsky (2021).
Questo linguista democratico continua e irrobustisce un internazionale filone critico-democratico che si è ben distinto negli studi di economia politica e specialmente nella critica delle multiple ineguaglianze (Minsky 2013, Atkinson 2015, Stiglitz 2016, Mazzucato-Jacobs 2016, Pennacchi 2018, Piketty 2020).

I due processi di soggettivazione istituzionale e personale, del Comune di Carbonia e del sindaco Tore Cherchi, che partono da assoggettamenti o da varie riduzioni dei poteri
autonomistici, permettono di cogliere due piani antropologici di soggettivazioni autonomistica, con dinamiche che muovono dalla subordinazione in parte subita per giungere, tuttavia, a una maggiore autonomia soggettivizzante: autonomia relativa ma importante perché rende i soggetti istituzionali assoggettati più padroni di sé. Si tratta di cambiamenti istituzionali, relazionali e culturali, davvero cruciali nella nostra storia non solo locale.

2. Carbonia, identificazioni attribuite e autonomamente realizzate, dall’industrializzazione fascista al post-industriale attraverso la de-industrializzazione
La riflessione di Tore Cherchi sulla città si muove a partire da alcune identificazioni attribuite a Carbonia, solo in parte sovrapponibili: città di fondazione, città industriale, company town (p. 4). Provo ad uscire dall’ambito nazionale ed eurocentrico per dare il giusto valore a questo libro in un’ampia scala. Sulle minerarie città aziendali si trovano interessanti narrazioni antropologiche comparative, a partire dalla cosiddetta “scuola di Manchester”. Si tratta di un gruppo di antropologi inglesi che, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, privilegiò nello Zambia lo studio delle città minerarie della zona del Copperbelt, la fascia territoriale a prevalente estrazione di rame, come dice il nome. Vari studi di antropologia mineraria, sulle migrazioni o altro, hanno poi attraversato i centri urbani minerari fino ai tempi più recenti, anche nello studio del lavoro e delle imprese minerarie in una prospettiva globale e del neoliberismo. Fra le più importanti voglio ricordare James Ferguson (1999, 2006, 2009); Stuart Kirsh (2014); Robert Pijpers e Thomas Eriksen (2019). Li ricordo per dire che il libro su cui discutiamo non ha un interesse limitato, parrocchiale e di portata localistica, quando parlo di istituzione locale. In un ampio quadro comparativo globale, appare che l’aziendalismo pubblico ebbe peculiari caratteristiche distintive, funzionalmente e politicamente differenti da vari aziendalismi privati di altre company town. Carbonia, infatti, ebbe una storia industriale determinata non da un’azienda privata ma pubblica, nel quadro politico dello Stato fascista a partire dai bellici obiettivi mussoliniani, poi nella ricostruzione post-bellica e infine nella nascita della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio.
Come acutamente e consapevolmente afferma Tore Cherchi, la sua esperienza amministrativa si situa nell’ambito della relazione fra l’esperienza urbana industriale e quella del
cosiddetto post-industriale, nella abusata marea dei “post-qualcosa”, come egli dice usando il corsivo nel testo (p.54). Si tratta di un filone di riflessioni che si può far risalire alla crisi della modernità espressa nel pensiero filosofico di Jean-François Lyotard del 1979 con il titolo La condizione postmoderna in cui emerge la fine delle narrazioni del progresso, promesso dalla modernità specialmente industriale che si realizzava. Le esperienze di modernità industriale diventano sempre più importanti negli attuali studi storico-antropologici, locali e globali. Studi storici e antropologici, pertanto, si annodano con precise peculiarità leggendo questo scritto.
L’autore analizza alcune nozioni di industriale e post-industriale, specialmente sociologiche.
Riprende la nozione di post-industriale del sociologo francese Alain Touraine, che nel 1969 connetteva la nozione di post-industriale alla società dell’informazione e nel 1998 poneva il problema della fine della fabbrica fordista e dei nuovi soggetti del cambiamento: i giovani, le donne e i movimenti ambientalisti. L’autore considera inoltre la nozione del sociologo americano Daniel Bell, che nel 1973 connetteva i cambiamenti all’avanzare della conoscenza teorica e scientifica. Nota anche la nozione di post-industriale dell’influente tecnologo Jerry Kaplan, che nel 2017 collegava lo sviluppo tecnologico alla produzione di capitali. Infine, pondera la concezione di post-industriale dell’economista di Cambridge Ha John Chang il quale nel 2018 criticava il mito dell’economia post-industriale. Tore Cherchi declina tali nozioni a suo modo e riprende come questione aperta il tema dei soggetti sociali del cambiamento posta da Touraine. Gli approfondimenti dell’autore percorrono un articolato dibattito sociale, tecnico, economico e sono di indubbio ed evidente spessore culturale. Tuttavia, al di là del suo serio impegno analitico, prevale l’impressione che manchino alcune parole, politicamente incisive. Cerco di chiarire.
L’autore rileva la contrazione dello Stato sociale e l’espansione delle ineguaglianze, parla di problema aperto per la sinistra politica e sindacale. Tuttavia, mancano parole incisive sull’indebolimento democratico dei partiti della sinistra. Egli, inoltre, criticando correttamente l’abuso semplificatorio della parola post-industriale, lamenta la rinuncia dei Paesi più sviluppati a realizzare una moderna industria manifatturiera. Anche sulla rinuncia a perseguire una innovativa industrializzazione manifatturiera, ho sentito la mancanza di precise parole riguardanti da un lato l’incontrastato avanzamento delle politiche neoliberistiche e dall’altro lato il debole ruolo della sinistra politica e sindacale, non solo locale, per contrastare il dominio incontrollato neoliberistico che in questi nostri luoghi de-industrializzava il territorio, dopo la liquidazione delle PP.SS.
Al di là di certe parole non dette sui processi politici globali e nazionali che influenzavano le vicende territoriali e urbane di riferimento, nel libro si trovano passi espliciti e preziosissimi. Si tratta di parti imprescindibili, perché risultano assai validanti dell’impegno di grande eccellenza democratica di Tore Cherchi, come sindaco personalmente teso verso l’affermazione autonomistica della vita durevole condivisa di Carbonia. Egli, infatti, si situa in una linea drammatica che riguarda la vita stessa della città. Si tratta di impegni di alto profilo di cultura democratica che esorbitano certe parole non dette. Vediamo ora, pertanto, qual’é la sua articolata e caratteristica governance.
3. Il modello e lo stile di governance autonomistico caratterizzante Tore Cherchi: la politica di conoscenza, la politica dello spazio e la politica del tempo
Individuo tre nuclei operativi nel modello personale di governance istituzionale realizzata da Tore Cherchi, che presenta un preciso e raro stile autonomistico nell’ambito di una originale politica dis-assoggettante il Comune di Carbonia:
1. il nucleo di politica di conoscenza, che lui chiama «progetto di conoscenza» (Cherchi 2021:70), costituisce una traiettoria non breve. Parte dalle identificazioni attribuite alla città (città fascista, città della ricostruzione industriale, città delle chiusure delle miniere, città della nascita di Portovesme, città dell’abbandono delle PP.SS. e dello Stato) per giungere, con una precisa azione istituzionale e personale caratterizzante, a una nuova identificazione conoscitiva e trasformativa di Carbonia, come città dei servizi e di rigenerazione urbana. Tale percorso, trasformativo e potenziante dell’autonomia locale, è antropologicamente assai rilevante.
Assistiamo, dal punto di vista storico-culturale, a una capacità istituzionale della città di mutare le identità istituzionali e culturali attribuite, creando nuove identità autonomamente realizzate. Tore Cherchi fa realizzare alla città un’importante metamorfosi identitaria innovativa, come città dei servizi e di rigenerazione urbana. Le metamorfosi identitarie, acquisite dalla città che si rigenerava, appaiono ben dinamiche. In tutta evidenza, non si presentano oggi statiche o «sospese», come è stato scritto improvvidamente nel dossier per far riconoscere Carbonia capitale nazionale della cultura. Tale identificazione sospensiva attribuita, di particolare provenienza sociologica su migranti, non mi pare culturalmente pertinente ad alcun momento storico di Carbonia, sia dal punto di vista delle aspirazioni di chi abitava la città nel suo primo decennio di vita, sia dal punto di vista delle istituzioni nazionali e dell’immediato post-fascismo che determinavano il ruolo istituzionale della città.
Complesse identificazioni culturali e identitarie, imposte e autonome, secondo i poteri, sono state rese storicamente e dinamicamente possibili in vari modi in città, come mostra il testo.
Anche grazie a questo testo in discussione, considero non fondate certe interpretazioni identitarie della città che le attribuiscono un’identità sospesa senza elementi storico-culturali probanti.
Sostengo, invece, che varie dinamiche, culturali e identitarie, attribuite e autonome, costituiscono il forte e mobile patrimonio antropologico dei Carbonia che richiede continue e aggiornate rigenerazioni, come mostra bene questo testo.
Si tratta ora, pertanto, di seguire le traiettorie dell’impegno dinamico del sindaco Tore Cherchi per un processo nella città e della città, impegno che ha consentito all’ente locale di diventare soggetto di progetti e di scelte autonome, pur in una fase critica in cui le autonomie comunali erano sottomesse a un multiplo centralismo: globale e europeo, nazionale e regionale.
Non potendo entrare in tanti dettagli, invito chi legge a seguire questa linea culturale della soggettivazione istituzionale, come linea autonomistica dei fatti e delle relazioni dis-assoggettanti il Comune di Carbonia, nell’azione del sindaco Tore Cherchi.
Vediamo, oltre la complessiva azione autonomistica, qualche elemento che caratterizza lo stile di governance di Tore Cherchi. Il suo stile è duplice, conoscitivo e insieme securitario, a mio modo di vedere. Tale stile emerge fin da quando egli parla della necessità e dell’importanza della conoscenza profonda per decidere cosa fare e come fare (Cherchi 2021: 70).
Per fare bisogna conoscere e a fondo. Non fu uno slogan annunciato e accantonato: l’Amministrazione promosse un “progetto di conoscenza” (in corsivo e fra virgolette nel testo)

Vorrei richiamare l’attenzione su questo punto importante. Infatti, il progetto di conoscenza di Tore Cherchi non fu solo un cimento d’esordio. Fu, invece, un vettore culturale continuo. Dell’importanza della conoscenza, pertanto, egli parla anche nella parte finale del testo dove ricorda il suo impegno nella Provincia, nel 2011, ancora come «progetto di conoscenza» (Cherchi 2021:123). La caratteristica della sua governance riguarda l’asse portante e di lunga durata di un suo profondo progetto di conoscenza.
Restando agli inizi del testo, vediamo l’autore mentre racconta che, per il suo progetto di conoscenza, fu essenziale il rapporto con l’Università di Cagliari e in particolare con il Dipartimento di Architettura. Egli dice che i rapporti istituzionali furono ampi e inclusero studiosi della Facoltà di Ingegneria mineraria, di medicina del lavoro, storici, studiose e studiosi di antropologia… Sul rapporto con quella che forse possiamo chiamare la “scuola territorialistica di Antonello Sanna”, Tore Cherchi spende molte pagine giustamente meritorie e gratificanti. Mette in luce studi e opere, formazione di studiosi e di professionalità, capacità di dialogo professionale migliorativo con i tecnici e con le strutture del Comune che non si esauriscono nelle tesi e nelle pubblicazioni importanti e di lungo corso, da quelle con Giorgio Peghin (2009 e 2011) a quelle più recenti con Giuseppina Monni (2020). Entrambe le opere sono ben citate in questo libro. Vorrei rimarcare pertanto, a questo punto, un tratto culturale che, a mio modo di vedere, unisce Tore Cherchi e Antonello Sanna: è il loro democratico e continuo modo di “lavorare con”, cioè di realizzare uno speciale modo cooperativo e unitario, collettivo e creativo di un “noi” inclusivo, ma rispettoso di ogni-uno e di ogni-una, sia come persona e sia come disciplina accademica.
A proposito del Premio sul paesaggio del 2010-2011, l’autore scrive con molta cura nel suo libro pagine interessantissime che invito a leggere: sui concorrenti, sui riconoscimenti e sulle motivazioni del premio. Richiamo, inoltre, l’attenzione su un libro, a cura di Giorgio Peghin e Antonello Sanna (2011), Il patrimonio urbano moderno, perché fu frutto di un incontro, che avvenne a Carbonia subito dopo il premio, non solo per celebrare gli onori acquisiti, ma specialmente per continuare l’impegno collettivo di vari studiosi sul patrimonio urbano moderno.
In breve, nessuno, a partire dal sindaco, si adagiava sugli allori, dopo il premio ottenuto. Fu un incontro di altissimo impegno culturale e democratico, presieduto da un illustre studioso, Carlo Olmo. Egli dirigeva allora il Giornale dell’Architettura, era stato preside della Facoltà di Architettura al Politecnico di Torino, aveva insegnato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in numerose università straniere, come Londra e Barcellona.
L’incontro aveva un’immediata e ampia valenza, non solo nazionale. Fu un incontro immerso nel passato e nel presente della città e, congiuntamente, ancora una volta teso al suo futuro.
Dobbiamo colmare ora, dolorosamente, il triste vuoto di un compagno di lavoro, come Stefano Asili, che non è più con noi. E non è vero che uno vale l’altro. I talenti individuali sono differenze culturali assai importanti per una valida orchestrazione culturale collettiva, come accade in ogni lavoro di gruppo, come insegnava Gilbert Simondon (1989), e come ho verificato assai istruttivamente analizzando le relazioni in certe squadre operaie di miniera.
Dal punto di vista dell’antropologia delle istituzioni l’azione autonomistica realizzata da questo sindaco ha un forte valore culturale, come ho cercato di esplicitare. Dirò qualcos’altro, pertanto, su due importanti nuclei operativi di governance locale autonomistica di Tore Cherchi.
Riguardano sia le traiettorie culturali che si annodano nella sua politica dello e nello spazio, sia le traiettorie culturali che si annodano nella sua politica del e nel tempo, per la città e della città.
Le traiettorie culturali che si annodano nelle sue politiche dello e nello spazio manifestano che lo stile di governo di Tore Cherchi, informato e conoscitivo, è teso a creare cambiamenti autonomistici soggettivanti, per creare futuro sicuro nella città e della città, per la città e per le sue persone. Gli obiettivi di sicurezza abitativa e di qualità della vita abitativa perseguiti da Tore Cherchi scaturiscono da matrici antropologiche che vorrei portare alla luce.
2. Il nucleo della politica spaziale e paesaggistica intrapresa da questo sindaco è ben connessa alla dimensione antropologica del paesaggio che egli fa propria. Indico alcuni aspetti che ben compaiono in questo libro. Nel solco del premio sul paesaggio Tore Cherchi continua ad impegnarsi, com’è evidente, anche con questo libro, come «responsabilità da onorare» il premio (Cherchi 2021:19). Cosa che egli fa, a suo modo. Nella quarta di copertina, infatti, egli riporta la nozione di paesaggio contenuta nella convenzione europea sul paesaggio che marca fortemente, in tutta evidenza, un mutamento concettuale dalla concezione estetica del paesaggio alla concezione antropologica del paesaggio, una valenza antropologica spesso ignorata, sottovalutata o dimenticata: paesaggio designa una determinata parte del territorio, così com’è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione dei fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. (corsivo mio)
Con una citazione in quarta di copertina Tore Cherchi dà spazio, ancora una volta, a una visione antropologica che non riguarda solo i manufatti architettonici e urbanistici con i loro contenuti di saperi, ma anche il sentire incarnato nelle e delle persone negli edifici e nei luoghi abitati. Abbiamo nell’isola, a tal proposito, un antropologo sardo che ha scritto per primo in Italia sull’antropologia del paesaggio. Credo che egli possa ben contribuire alla continuazione di un dialogo universitario interdisciplinare sul paesaggio, e su Carbonia. Ora però mi preme sottolineare, nelle conoscenze di Tore Cherchi, il passaggio da una conoscenza del paesaggio estetico a una più ampia conoscenza del paesaggio antropologico della città.
Elenco i passi del percorso antropologico, paesaggistico e spaziale, autonomistico-istituzionale e personale, realizzati da Tore Cherchi, richiamando soltanto certi capitoli, per sottolinearne l’importanza: la Grande Miniera di Serbariu, ovvero il Lingotto del Sulcis; Piazza Roma, Frammento del vuoto; altri spazi pubblici, la piazza Venezia di Cortoghiana e piazza Santa Barbara di Bacu Abis, i parchi; il nuovo piano urbanistico comunale e il piano particolareggiato per il centro storico, le residenze della città di fondazione; il CIAM; la cultura, l’arte contemporanea; una nuova architettura e il centro intermodale. Le 44 pagine, che comprendono i titoli richiamati, spiegano con rara efficacia la politica spaziale e istituzionale di soggettivazione autonomistica e di antropologia istituzionale a cui Tore Cherchi diede speciale impulso per Carbonia nel suo progetto di rigenerazione urbana.
3. Per capire meglio in tutte le valenze la sua politica dello spazio, dobbiamo portare ora la politica autonomistica di rigenerazione dello spazio realizzata da Tore Cherchi nella sua politica del tempo. Dobbiamo pertanto saper vedere un’altra intersezione dopo quella fra autonomia dell’istituzione comunale e personalità autonomistica sindaco. Dobbiamo, infatti, situare ora l’operativa cultura politica autonomistica spaziale di Tore Cherchi in un incrocio con un arco storico. Mi riferisco a uno specifico arco storico in cui Carbonia era città di fondazione, avendo scuole e ospedale, ma rimaneva una città Aziendale, per quanto pubblica: una città senza proprietà comunali e in gran parte incompiuta (Cherchi 2021:43-44). Tore Cherchi assunse pienamente questo lascito storico-culturale della città di fondazione fascista, incompiuta e ancor più carente a fronte di nuove esigenze. Vediamo dunque ora la sua politica del tempo per incrociarla a quella dello spazio.
Percorro, andando all’indietro, la prima parte del suo libro in cui la città industriale è declinata soprattutto nel tempo (Cherchi 2021:27-50). Tore Cherchi delinea un arco temporale, antropologicamente significativo per la sua azione amministrativa. Infatti, inizia unendo la città di sotto alla città di sopra. Comincia, assai significativamente, dal patire della città del sottosuolo che emerge nella città visibile. L’inizio è avvincente: è il pathos dei morti in miniera nel 1938, l’anno della inaugurazione della città: 5 morti per una venuta d’acqua e un totale di 15 morti nel 1938. I morti in miniera diventano 32 nell’anno seguente. Questi fatti narrati dicono la precarietà della vita nel lavoro di miniera durante il regime fascista orientato alla guerra, e che destinava pertanto la città, nata in fretta, a una vita breve. Tore Cherchi ricorda oltre 300 morti nelle miniere di Carbonia, dei quali 138 a Serbariu. Richiama la vicenda della medaglia d’argento al valor civile, conferita alla città nel 2011 dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Riprende il patire dei lutti storici come problematico bene comune del presente.
Egli, a mio modo di vedere e come ho avuto modo di verificare, nel suo impegno come sindaco raccoglie il pathos dei lutti e del difficile poter vivere di miniera insieme al versante delle esperienze minerarie capaci di diventare produttive di vita. Unisce ai lutti, cioè, le esperienze caratteristiche e le capacità tecniche e culturali dei minatori di trasformare i rischi mortali in opportunità di vita. Egli pertanto, a mio modo di vedere, assume i saper fare che producevano securitas biografica individuale e collettiva di vita in miniera, e che erano anche saper vivere solidali, traducendoli in significati culturali amministrativi di nuova securitas in ogni iniziativa rigenerativa di vita per la città, nella città e della città. Egli, in tal modo, fa proprio e mette in continuità il filone storico-culturale del produrre sicurezze di vita a partire dagli spazi rischiosi di miniera. Assume il saper fare come saper vivere dei bravi minatori, per tradurlo in linee operative della sua amministrazione. Per esempio, realizza opere significative di rigenerazion e di ri-vitalizzazione di vari siti, democraticamente condivisi dalle persone come luoghi pubblici, dando loro nuovi tempi di funzioni e di vita. La grande miniera di Serbariu è forse l’esperienza più vistosa di rigenerazione di un sito nella complessiva rigenerazione urbana, che ha anche una precisa valenza di rivitalizzazione temporale. Nell’arco temporale, ogni intervento di questo sindaco che ri-crea nuovi luoghi di vita si può intendere, antropologicamente, come una congiunzione storico- culturale con la migliore cultura securitaria creata dai bravi minatori della città, capaci di trasformare i luoghi di rischi di vita in luoghi di opportunità di vita sicura. La rigenerazione urbana, a ben vedere, è per lui produzione di nuove sicurezze di vita durevole, condivisa nel tempo. Come viene ponderata tale misura, tale metrica di rivitalizzazione dei luoghi e dei tempi di vita cittadina?
Tore Cherchi usa particolari misure ponderate per congiungere i bisogni collettivi con quelli individuali. Per esempio, la sua ponderazione operativa, calibrata su differenti bisogni, appare chiaramente quando parla con pacata comprensione di interventi edilizi esteticamente discutibili, da lui ripresi con soluzioni messe in campo per accogliere bisogni individuali, riqualificando tali bisogni in uno storico e collettivo patrimonio edilizio qualificato. Tore Cherchi porta quindi ad un livello culturale molto alto e fortemente solidale il bisogno di vivere e di vivere bene in una bella città: un livello che marca quel suo presente amministrativo aprendovi un futuro al meglio, anche se dopo di lui, in tutta evidenza, è avvenuto un peggior tempo istituzionale a Carbonia. La cultura del tempo vitale per la città, nella e della città, come quella dei minatori nella quotidianità del sottosuolo e nelle loro storiche lotte popolari democratiche, è una cultura che tende a produrre futuro nell’azione amministrativa complessiva di questo sindaco. Egli tende ad affermare insieme la vita e la qualità della vita della città. La mia tesi principale, pertanto. riguarda Tore Cherchi come produttore di futuro e di miglior futuro per la città. Seguiamo, a tal proposito, la sua politica del tempo.
Gli incontri di Tore Cherchi con Renato Mistroni e con Giorgio Carta nella sua narrazione, a mio modo di vedere, si inseriscono nell’arco del loro impegno per una di vita durevole per la città, democraticamente condivisa. Riguardano, per alcuni versi, certe consonanze che i modi d’agire di quelle persone in quei tempi avevano con le tensioni democratiche che premevano Tore Cherchi.

Nell’arco temporale, culturale e democratico, aperto da quelle due persone, questo sindaco si dispone prendendo in carico una città che storicamente è capace di elaborare culturalmente i suoi lutti e che risponde ai lutti affermando il proprio voler vivere e saper vivere solidale, in miniera e in città. Dell’esperienza antropologica vitale del sottosuolo e della città, Tore Cherchi comprende e assume antropologicamente nelle sue azioni amministrative il diritto a poter vivere, diritto che costituisce la trama culturale quotidiana dell’antropologia mineraria e urbano-mineraria della Carbonia solidale. Si tratta di una trama di antropologia quotidiana, di uomini e di donne che rifondarono la città non sulla durezza delle pietre, ma sulla forza relazionale della solidarietà. Tale forza nutrì non solo i grandi scioperi a partire dal 1948, ma sostenne l’istituzione locale quando ebbe i suoi migliori sindaci, tali da produrre un futuro condivisibile e tali da incoraggiare, per programmi e per qualità personali, una grande partecipazione elettorale, come accadde con le elezioni di questo sindaco.
Tore Cherchi si situa in un solco storico e democratico, popolare e istituzionale, di un diritto a poter vivere, e di poter vivere nel bello artistico delle persone e della città, attraverso la produzione di un futuro condiviso democraticamente di vita durevole e di bellezze artistiche per la città. Non mancano, a questo punto, quando ricorda le dimissioni da ogni incarico da parte dell’ingegner Giorgio Carta, le sue misurate parti critiche rivolte alla degenerazione e alle ingerenze dei partiti nella nomina dei dirigenti di società pubbliche. Quando detto sul forte arco storico-culturale per affermare il diritto a una vita durevole condivisa nel bello, propria di Carbonia e della cittadinanza, attraversa vari tempi e costituisce la politica del tempo caratteristica dell’azione di governo comunale di Tore Cherchi. Ma a quale cittadinanza si rivolgeva Tore Cherchi?
4. La politica unitaria delle culture industriali e rurali realizzata da Tore Cherchi
Vorrei ora spostare l’attenzione verso uno speciale versante, che non può  essere sottovalutato. Come sindaco, l’autore racconta di aver assunto storicamente il contesto comunale, territoriale e culturale, come città e come campagna. Si tratta di un’affermazione assai rilevante, istituzionalmente e culturalmente. Riguarda un territorio comunale antropicamente e antropologicamente negato dal fascismo mussoliniano, o meglio ridotto al livello di territorio spopolato, con un plateale falso storico nella inconfutabilità della parola del duce. Per capire l’importanza della scelta e delle parole di Tore Cherchi bisogna risalire al discorso inaugurale di Mussolini a Carbonia, il 18 dicembre del 1938. Mussolini, nella sua svolta industrialista e bellicista che abbandonava il precedente ruralismo, parlò del Sulcis come una “landa quasi deserta”. In realtà, nel Censimento del 1936, i Comuni sulcitani istituiti erano diventati ben nove: Giba, Gonnesa, Narcao, Palmas Suergiu, Portoscuso, Santadi, Serbariu, Teulada, Tratalias. Si trattava di Comuni autonomi, nati dall’evoluzione degli abitati sparsi a partire dalla loro nascita nella seconda metà del 1700.
Tore Cherchi racconta che 20 medaus furono tutelati come beni paesaggistici alla stregua del centro storico della città, fra gli 82 che costituiscono l’abitato rurale sparso comunale, rilevati nel 2006 come complessiva trama dei medaus per l’elaborazione del PUC, approvato dalla Regione nel 2011, sindaco Tore Cherchi (Cherchi 2021: 92-93). Egli ne sottolinea l’ampia valenza culturale quando, considerando il valore non solo archeologico, ma anche antropologico del sito di Medau Is Maccionis o Medau sa Grutta, afferma la validità di farne «l’epicentro di un progetto culturale sul territorio rurale e sulla civiltà agropastorale di Carbonia e del Sulcis, l’altro mondo convivente con quello industriale» (Cherchi 2021:112).
Questo sindaco esprime una concezione assai avanzata e molto utile, anche operativamente, del rapporto fra cultura industriale e rurale, rapporto che costituisce la ricca trama culturale unitaria della città. Fra l’altro, consente di riprendere le linee progettuali dell’Ecomuseo, elaborate dall’Istituto di discipline socio-antropologiche dell’Università di Cagliari negli anni Ottanta del secolo scorso e di tradurla in un immediato futuro, con i necessari adeguamenti. Permette, inoltre, di riprendere parternariati inevasi dal Comune di Carbonia con quella Università, per declinare nuovi modi che possono caratterizzare le esperienze rurali con le loro eccellenze tecno-culturali, anche di nuova economia circolare e sostenibile, a cui l’autore fa in generale riferimento nel suo libro. Sottolineo ancora, pertanto, che Tore Cherchi ha assunto, in tutta evidenza, la città e la campagna di Carbonia come impegno unitario delle due culture, industriale e rurale, di non breve momento e particolarmente volto al futuro. Tale impegno richiede di essere ora sviluppato.
5. La produzione di futuro realizzata da Tore Cherchi. Un fatto culturale di grande rilevanza che continua nel libro e che il libro riapre nel presente
Prima di concludere, per riassumere senza presentare un quadro idilliaco delle attività amministrative di Tore Cherchi, segnalerò due rapporti critici che lui ha avuto trattando con altre istituzioni, o come sindaco o come Responsabile del Piano Sulcis. Sul primo versante critico segnalo il rapporto critico con il Parco Geominerario che è «divenuto di nessun aiuto al bacino minerario» (Cherchi 2021:77). Sul secondo lato indico i ritardi dei finanziamenti del piano Sulcis da parte della Regione (Cherchi 2021:131-132). Entrambe le esperienze critiche, in tutta evidenza, hanno limitato il suo perimetro di azione.
Non posso soffermarmi, per evidenti ragioni di tempo, sulla valorizzazione artistica della città, né sulla qualificazione della mobilità realizzata da Tore Cherchi che possono essere sottolineate da altre persone. Richiamerò invece per concludere solo due tesi, emergenti dalla lettura del libro, sull’eccellente lavoro autonomistico e di cultura democratica raccontata.
Riguardano lo stile autonomistico di questo sindaco, sia per le produzioni di futuro durevole condiviso, come ho in parte detto, e sia per le produzioni di partecipazione democratica: produzioni che caratterizzano lo stile e la cultura politica autonomistica dis-assoggettante di questo sindaco per Carbonia come istituzione locale ed anche per sé, come sindaco. Per tali fini, esplicito alcune mie posizioni.
Sostengo che la produzione di fatti amministrativi volti al futuro da parte di Tore Cherchi è, in sé, una produzione culturale di futuro. Cito solo nelle mie conclusioni, per rafforzare la mia tesi non avendo tempo sufficiente per argomentare più compiutamente, il libro di Arjun Appadurai del 2013 e tradotto in Italia l’anno seguente, Il futuro come fatto culturale: Saggi sulla condizione globale.
Affermo, inoltre, che la produzione di un’attiva partecipazione della cittadinanza alle imprese culturali, promosse da Tore Cherchi come sindaco, è stata un tratto caratteristico del suo stile amministrativo produttivo di nuova socialità: produttivo di nuovi modi solidali di stare insieme e di creare nuovi “noi” di cittadinanza solidale. Riprendo dal libro, a tal proposito, alcuni ricordi. In primis l’importanza qualitativa dei reperti situati nella Sezione Antropologica, con il prezioso contributo delle ricercatrici Claudia Fenu e Maura Murru, come fa l’autore (Cherchi 2021:78). Ricordo inoltre l’importante contributo dell’assessora Maura Saddi alle feste dei donatori a cui partecipavano anche molti donatori anonimi che non voglio dimenticare. Segnalo pertanto che il nostro validissimo consulente André Dubuc, direttore del pluripremiato Museo Minerario di Leward a Pas-de-Calais, nel Nord della Francia, valorizzava ogni piccolo dono, affermando che quei reperti erano preziosissimi un quanto davano forte carattere di autenticità culturale al museo che nasceva a Serbariu. Devo ricordare anche lo straordinario contributo della Società Umanitaria e in particolare di Tore Figus, contributo partito con il sostegno regionale di Fabio Masala che aveva sollecitato e ottenuto impegni nazionali della società Umanitaria già nella fase di elaborazione delle linee culturali della rete di Ecomuseo territoriale che Carbonia doveva promuovere. Richiamo, riferendomi ancora al testo, l’insostituibile apporto della Sezione di Storia Locale del Sistema Bibliotecario Interurbano del Sulcis (SBIS), ben diretto da Maria Giovanna Musa nel lavoro archivistico e ben portato avanti da tutte le collaboratrici scientifiche della cooperativa.
Ricordo, in particolare, l’iniziale raccolta di foto che faceva diventare beni comuni i beni privati, costituiti dalla foto degli album di famiglia, come accadde poi in generale per gli oggetti di miniera, con molte donazioni anonime. Le fotografie ebbero esito culturale in vari calendari e un libro, intitolato Carbonia in chiaroscuro, edito nel 2002. Le fotografie ebbero poi una postazione, a video multipli, nella Sezione Antropologica e, infine, in città, nei totem del CIAM a cui quella raccolta, organizzata dalla Società Umanitaria e di cui avevo la direzione scientifica, ha dato un suo imprescindibile contributo.
Entrambi gli obiettivi perseguiti da Tore Cherchi, sia l’obiettivo di produzione di futuro durevole condiviso e sia di attiva partecipazione democratica, devono essere ora rilanciati e corroborati in forme e contenuti nuovi, considerata la crisi della democrazia partecipativa, specialmente a livello locale dove i passi indietro, anche di partecipazione elettorale, sono assai vistosi.
Nel racconto di Tore Cherchi emergono varie direttrici, numerosi strati e pieghe di narrazione, fra cui io ho privilegiato gli assi e le prassi culturali delle soggettivazioni autonomistiche: cioè, come ho detto, del farsi soggetti potenziantesi di scelte autonome, sia dell’istituzione comunale e sia del sindaco stesso, come sindaco autonomistico di particolare eccellenza.
Ho privilegiato gli assi e le prassi delle soggettivazioni, istituzionali e personali, come antropologicamente rilevanti e che s’incrociano nell’antropologia delle istituzioni e nel farsi persona, nel piano ontologico. Infatti, la trasformazione del comune di Carbonia, ente assoggettato ai vari centralismi dominanti, nel suo divenire autonomo soggetto di scelta e di decisione, interseca il divenire di Tore Cherchi mentre realizza una propria trasformazione da sindaco sottomesso ai vincoli dei poteri di livello più alto, Egli diventa, tuttavia, capace di operare anche per una propria autonomia personale, culturale e politica, di sindaco autonomista, nel non subire passivamente i vincoli, ma operando nel superarli anche verso di sé, in quanto sindaco, a partire dal rafforzamento dell’autonomia della città per volgere la nuova forza decisionale della città come nuovo rafforzamento del proprio ruolo personale di sindaco. I finanziamenti ottenuti dalla città ai tempi di Tore Cherchi, infatti, furono dovuti a una straordinaria e personale capacità di vincere vari bandi pubblici, nazionali ed europei, attraverso i quali le spese d’interesse per i mutui e le quote partecipative ai finanziamenti furono assai inferiori rispetto agli enormi benefici di risorse acquisite per la città (Cherchi 2021:128).Un nuovo percorso autonomistico di Tore Cherchi si apre ora, a partire da questo libro.
Ho mostrato come egli abbia concettualmente e praticamente attraversato molte temporalità di Carbonia, molti tempi con caratteri storici e identificazioni culturali, imposte o autonome, differenti: città fascista incompiuta, città della ricostruzione industriale, città dei vari tempi delle chiusure delle miniere, città della nascita di Portovesme, città dell’abbandono delle PP.SS. e dello Stato, città dei servizi e della rigenerazione urbana volta a un futuro durevole condiviso.
Ho sottolineato come Tore Cherchi abbia realizzato a Carbonia un’esperienza autonomistica assai fruttuosa nel tempo, per tutti noi e per la Sardegna. Si tratta di un’esperienza da ripensare ora adeguatamente, in questi nostri tempi di molteplici rischi di vita.
Questo libro induce a un importante ripensamento per la nostra contemporaneità. Ciò può avvenire con nuovi progetti di conoscenza, suoi e anche nostri. Per esempio, sull’abbandono delle PP.SS. appare nel libro la giustificazione di uno stato di necessità che forse va ora accompagnato da qualche ripensamento delle politiche pubbliche, come appare dagli studi di economisti democratici raccolti, per esempio, da Mazzucato e Jacobs nel loro libro Ripensare il capitalismo (2016). Si tratta di un ripensamento che riguarda l’Europa e gli Stati europei in chiave di federalismo democratico, di un socialismo partecipativo e di un’Europa da democratizzare, se si seguono le traiettorie dell’ultimo Piketty attento alle ideologie neoliberistiche ineguaglianti, ancora ben vive e attive, per quanto visibilmente in crisi (2017, 2020, 2021). Il ripensamento tocca anche l’autonomismo regionale nel quadro di un federalismo democratico, e non di autonomie differenziate ed inferiorizzanti, come vogliono le destre sovraniste assolutamente libere da ogni responsabilità sociale, verso le quali l’azione politica delle sinistre in Sardegna mostra gravi carenze culturali e politiche.
Nei quadri d’epoca di autonomia democratica, che si susseguono negli spazi e nei tempi della narrazione del libro, Tore Cherchi appare pertanto produttore di futuro e di partecipazione democratica condivisa, sia nel fare amministrativo e sia nel fare narrazione scritta. Di entrambe le esperienze gli sono assai e profondamente grata.
Nella scrittura di questo libro l’asse culturale antropologicamente rilevante è l’impegno per un complesso di cambiamenti partecipativi tesi a un futuro durevole, democraticamente condiviso.
La mia tesi è che Tore Cherchi, come sindaco e come autore di questo libro, è stato ed è produttore di futuro e di partecipazione democratica come fatto culturale di rilevanza antropologica, nel solco del pensiero di Appadurai.
Con questo libro, a mio avviso, si apre a una nuova temporalità autonomistica di Carbonia e della Sardegna: sia nei rischi diffusi creati dalla globalizzazione neoliberistica, in crisi e tuttavia ancora economicamente e ideologicamente forte, e sia nei rischi di incompiutezza e di precarietà della nostra stessa costituzione, non realizzata in certi aspetti istituzionali e sociali, specie localmente nel Meridione italiano e nei luoghi di spopolamento, come la nostra città. Si tratta di rischi esistenziali che la post-pandemia, a ben vedere, pone in un nuovo piano di rischi democratici, che richiedono ineludibili e di urgenti interventi.
Tore Cherchi, con questo libro, apre nuove prospettive, su molti piani:
– per inedite produzioni di futuro durevole condiviso democraticamente, come fatti culturali antropologicamente rilevanti, a partire da Carbonia e dalla nostra Isola;

– per innovative imprese di democratizzazione dell’Europa attraverso un federalismo democratico e a orientamento sociale partecipativo, nei vari rischi dell’ineguale e difficile poter vivere del presente;
– per inventivi e sperimentali modelli di democrazia partecipata, a varie scale territoriali e istituzionali, che riguardano anche il futuro e lo sviluppo degli studi antropologici.

Paola Atzeni

Antropologa

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N.B. Le foto allegate sono state scattate il giorno della presentazione del libro, svoltasi nella sala Centro di documentazione di Storia locale della Grande Miniera di Serbariu.

Un patrimonio culturale di inestimabile valore reso fruibile grazie al prezioso lavoro di studio del team di ricercatori del Dipartimento di ingegneria civile, ambientale, e di architettura dell’Università di Cagliari (coordinato da Giorgio Peghin direttore del Master in Architettura del Paesaggio della Sardegna), in collaborazione con il Consorzio di ricerca universitaria AUSI di Iglesias.
«Un progetto in cui abbiamo creduto fin dal primo giorno e che finalmente sarà di dominio pubblico grazie all’immenso lavoro di studio profuso in questi anni da docenti e ricercatori dell’Università di Cagliari e del resto del mondo – dice il sindaco Mauro Usai -. La storia dell’immenso patrimonio minerario di Iglesias (e non solo) sarà finalmente consultabile oltre i confini della Sardegna, costituendo così motivo di rilancio all’interno di un progetto turistico-culturale di più ampio respiro che già comincia ad ottenere i suoi risultati attraverso la fruibilità di alcuni dei nostri gioielli minerari ormai conosciuti in tutto il mondo, a cominciare dalla galleria Porto Flavia, nella miniera di Masua.»
«Il nostro obiettivo – conclude Mauro Usai -, è quello di rilanciare il brand Costa delle miniere facendo diventare questo sito un punto di incontro e di rilancio turistico dei Comuni del territorio.»

«Questo progetto – in continuo aggiornamento – rafforza una lunga collaborazione tra l’Ausi e l’Università di Cagliarispiega Giorgio Peghin, coordinatore ed ideatore del progetto e professore ordinario di Composizione Architettonica ed Urbana DICAAR e sarà l’occasione per rilanciare numerose altre iniziative di formazione e progettazione, a cominciare dalla prossima sesta edizione del WORKSHOP INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA E PAESAGGIO PAESAGGI MINERARI: un incontro annuale che accoglie studenti provenienti da università italiane e straniere e che ha consentito di collocare questi territori e i temi dell’architettura del paesaggio e dell’architettura mineraria nel panorama scientifico nazionale ed internazionale. Monteponi.it rappresenta tutti noi e l’immenso lavoro portato avanti in questi ultimi anni: un grande punto di partenza in grado di arricchire chi vorrà avventurarsi in uno straordinario viaggio virtuale alla scoperta della nostra Storia e dei suoi protagonisti, con l’auspicio che possa coinvolgere attivamente numerosi Comuni minerari del Sulcis Iglesiente».
www.MONTEPONI.IT: la storia dell’epopea mineraria approda sul web.
Su Internet, finalmente, un viaggio virtuale mai percorso prima, condurrà alla scoperta dell’archeologia mineraria del territorio Iglesiente: da Monteponi, passando per Fontanamare, Nebida e Masua. Attraverso le immagini di – approdi, laverie, villaggi, ferrovie, gallerie – corredate di mappe e documenti inediti fino a poco tempo fa gelosamente custoditi negli archivi, non solo della Sardegna.
Con un solo clic la storia delle miniere di Iglesias diventa anche contatto per studiosi, operatori turistici e culturali con l’obiettivo di creare rete puntando anche sul brand COSTA DELLE MINIERE che potrà essere posto come elemento di unione di tutte le amministrazioni del Sulcis-Iglesiente per riconnettere il territorio in un grande progetto di rilancio turistico condiviso. nasce MONTEPONI.IT .
Il Consorzio di promozione delle attività universitarie Sulcis Iglesiente) AUSI di Iglesias in collaborazione col
Dipartimento di ingegneria civile, ambientale e architettura (DICAAR) presentano Monteponi.it: un viaggio (fotografico e d’archivio) alla scoperta dell’archeologia mineraria dell’Iglesiente come mai si era vista prima.
Attraverso documenti inediti, e non solo, chiunque al mondo potrà andare alla scoperta dei paesaggi di un territorio costellato di villaggi, ferrovie, approdi, infrastrutture di altissimo valore ingegneristico.
Grazie ad un clic, dopo anni di meeting internazionali, che hanno visto l’arrivo a Iglesias delle più importanti Università al mondo in fatto di Architettura, Paesaggio e Ingegneria, la storia mineraria, viene racchiusa e raccontata sul Web con l’obiettivo di diffondere soprattutto le attività di studio, ricerca e didattica realizzate con l’Università di Cagliari in questi ultimi anni, grazie anche alle giornate di studio dedicate alla riqualificazione delle architetture e dei paesaggi minerari di Iglesias e dintorni.

IL PROGETTO
Questo progetto si avvale di un SITO INTERNET dal titolo MONTEPONI.IT MINING LANDSCAPES che consentirà la raccolta e la documentazione di ricerche, progetti e eventi organizzati e sviluppati in questi anni con partner nazionali ed internazionali.
Si tratta del risultato di un grande archivio di idee e progetti pensati e realizzati fino a oggi (grazie alla collaborazione AUSI-DICAAR) per riqualificare e ripensare l’archeologia mineraria, industriale e l’architettura del paesaggio in una prospettiva che combina la storia mineraria con una prospettiva di sviluppo sostenibile in un contesto in cui la transizione ecologica appare come l’unica strategia possibile.

PUNTO DI RIFERIMENTO PER GLI STUDIOSI DI TUTTO IL MONDO
Attraverso questo sito ci sarà anche la possibilità di diffondere eventi, conferenze, seminari di studio, workshop, video e altre informazioni FRUIBILI da studiosi, studenti, cittadini che potranno così accedere a questo patrimonio collettivo che potrà offrire un contributo al rafforzamento dell’identità e alla costruzione di un progetto futuro.

AUSI-DICAAR
La collaborazione tra AUSI e Università di Cagliari prevede anche la pubblicazione di materiali e libri con diffusione internazionale dedicati all’architettura dei paesaggi minerari e agli itinerari verso questi luoghi, strumenti fondamentali per “esportare” la bellezza – non convenzionale – di questi paesaggi e la loro storia.
Uno dei testi, dal titolo “Voyages en Sardaigne. Itinerario nei paesaggi minerari del Sulcis-Iglesiente” – omaggio nel titolo al famoso libro del La Marmora – individua e propone alcuni percorsi di visita originali e alternativi che fanno scoprire un’immagine di questo territorio di opere e i siti monumentali e paesaggistici; altri materiali consentiranno poi di avere, con il sito, una serie di informazioni dirette per la visita e la scoperta di questi paesaggi e dei suoi servizi.
IL MUSEO A CIELO APERTO
Questi itinerari potranno essere il primo tassello di un progetto più ampio di MUSEO A CIELO APERTO che mette a sistema – con un’immagine e una gestione coordinata: i siti minerari oggi dispersi o difficilmente accessibili, le informazioni per la visita e per promuovere un turismo sostenibile che consenta di ampliare le possibilità economiche di questo territorio e fornire allo stesso tempo le conoscenze storico-architettoniche del patrimonio stesso.

In questo senso, il “brand” COSTA DELLE MINIERE – progettato dal grafico Stefano Asili – potrà essere posto come l’elemento di unione di tutti i comuni del Sulcis Iglesiente e riconnettere il territorio in un grande progetto comune di rilancio turistico, con conseguenti ricadute sul tessuto socio-economico.

Il progetto, coordinato dal professore Giorgio Peghin, ordinario di composizione presso l’Università di Cagliari e direttore del Master in Architettura del Paesaggio della Sardegna è realizzato dal gruppo di lavoro composto da:
● Nicolò Fenu: concept, sito ed editing
● Giaime Meloni: fotografie
● Giuseppina Monni: ricerche storiche
● Edgardo Maxia: video editing
● Con la supervisione di professor Antonio Angelillo, professor Ivan Blecic, professor João Nunes, professor Antonello Sanna, professor Giorgio Massacci (consulenze scientifiche)
● Sardarch (spin-off)

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Sabato 6 luglio, a partire dalle 10.00, la sala conferenze del Palazzo Bellavista, a Monteponi, ospiterà il V Laboratorio internazionale di architettura e paesaggio, organizzato in collaborazione fra AUSI Consorzio per la promozione delle attività universitarie del Sulcis Iglesiente e DICAAR Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura – Università di Cagliari, con partner, CESA Centro di Eccellenza per la Sostenibilità Ambientale.

In apertura è prevista la presentazione dei lavori e critiche finali, visiting critics: Gianmarco Chiri, Pier Francesco Cherchi, Marco Lecis, Carlo Moccia, Giancarlo Motta. Alle ore 13.00 ci sarà la consegna degli attestati di frequenza.

Tecniche, politiche e progetti per la riqualificazione del Sulcis Iglesiente: da Iglesias a Portoscuso fino a Buggerru, passando da Fluminimaggiore, Gonnesa e Carbonia. Sotto osservazione i luoghi del passato minerario e industriale. Si studiano luoghi come Porto Flavia Masua e la Laveria Lamarmora (di Iglesias), la galleria Henry (a Buggerru) o il bacino carbonifero fra Bacu Abis Cortoghiana e Carbonia. L’obiettivo? Progettare il futuro del territorio, provando a proporre idee di riqualificazione di strutture, paesaggi ed ex miniere.

I protagonisti sono 21 studenti, in arrivo dalle più importanti università italiane ed estere si incontrano e confrontano con autorevoli docenti di architettura per studiare i paesaggi minerari della Sardegna.

Dopo 5 giorni di dibattito e progettazione, domani la presentazione dei progetti nella sala conferenze della palazzina Bellavista di Monteponi a Iglesias, nonché sede dell’Ausi (consorzio per la promozione delle attività universitarie del Sulcis Iglesiente).

La quinta edizione del Laboratorio internazionale di architettura e paesaggio è coordinata da Giorgio Peghin (docente di architettura dell’Univeristà di Cagliari)

Scuole di Architettura

BEDS, School of Build Environment and Development Studies, Architectural Discipline, Durban, South Africa DIARC Dipartimento di architettura, Università Federico II di Napoli DAD Dipartimento di architettura e design, Politecnico di Torino DARC Dipartimento di architettura, Università di Palermo DADU Dipartimento di architettura, design e urbanistica, Università di Sassari ESA École Spéciale d’Architecture, Paris IUAV Istituto Universitario di Architettura di Venezia Accademia di Architettura di Mendrisio, Università della Svizzera Italiana SDS Scuola di Architettura di Siracusa, Università di Catania Departamento de Arquitectura, Universidade de Évora Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria Civile e dell’Architettura, Politecnico di Bari

Direzione e coordinamento scientifico Giorgio Peghin.

Comitato direttivo e didattico

Antonio Angelillo (Milano), Boris Bastianelli (Parigi), Francesco Cacciatore (IUAV Venezia), Renato Capozzi (DIARC Napoli), Massimo Faiferri (DADU Sassari), João Gomes da Silva (Accademia di Mendrisio), João Nunes (Accademia di Mendrisio), Giorgio Massacci (DICAAR-CESA Cagliari), Vincenzo Melluso (DARC Palermo), Bruno Messina (SDS Siracusa), Marco Navarra (SDS Siracusa), Giorgio Peghin (DICAAR Cagliari), Riccardo Palma (DAD Torino), Carlo Ravagnati (DAD Torino), João Gabriel Soares (Évora), Federica Visconti (DIARC Napoli)

Docenti, relatori e visiting critics: Carlo Atzeni (DICAAR Cagliari), Samanta Bartocci (Sassari), Silvia Bodei (Durban, South Africa), Francesco Cacciatore (Venezia), Renato Capozzi (Napoli), Giovanni Battista Cocco (Cagliari), Gianmarco Chiri (Cagliari), Pier Francesco Cherchi (Cagliari), Giuseppe De Boni (Roma), Adriano Dessì (Cagliari), Marco Lecis (Cagliari), Massimo Faiferri (Sassari), João Gomes da Silva (Lisbon, Portugal), Pierpaolo Manca (Cagliari), Vincenzo Melluso (Palermo), Italo Meloni (Cagliari), Bruno Messina (Siracusa), Carlo Moccia (Bari), Giuseppina Monni (Cagliari), Giancarlo Motta (Milano), Marco Navarra (Siracusa), João Nunes (Lisbon, Portugal), Chiara Occelli (Torino), Giorgio Peghin (Cagliari), Riccardo Palma (Torino), Fausto Pani (Cagliari), Carlo Ravagnati (Torino), João Gabriel Soares (Évora), Federica Visconti (Napoli)

Tutor: Anna Corda, Roberta D’Angelo, Rosas da Silva Figueiredo Marques Teresa, Camilla De Boni, Gennaro Di Costanzo, Andrea Alberto Dutto, Marcello Galiotto, Giada Mazzone, Fabrizio Pusceddu, Gianmaria Santonicola, Andrea Scalas.