24 November, 2024
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Nuova emergenza all’ospedale CTO di Iglesias. Oggi il direttore dell’U.O.C. Anestesia e Rianimazione Carbonia – Iglesias ha inviato una lettera al commissario straordinario della ASSL7 Carbonia Iglesias, al direttore del Presidio Ospedaliero Sirai, ai direttori di Medicina, Chirurgia generale, Ortopedia, Ostetricia e Ginecologia, Oculistica, ORL e Pediatria del CTO, al direttore P.S. Sirai – CTO e al direttore della Centrale Operativa 118, sulla carenza di organico di Anestesia e Rianimazione e le conseguenti decisioni.

Ne dà notizia nel sito dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Carbonia Iglesias, il presidente Graziano Lebiu, che pubblica copia della lettera

«Si comunica che, a causa dell’ormai cronica carenza di anestesisti, aggravata dalla recente messa in quiescenza di due unità, delle dimissioni volontarie di altre due colleghe, della positività al Covid di un’altra collega e della grande difficoltà a reperire prestazioni aggiuntive sia intraospedaliere che da altre strutturesi legge nella letterada domani 21 dicembre 2021 presso il P.O. “CTO” saranno possibili solamente la guardia di Rianimazione e la guardia ostetrica, così come richiestomi dai LEA. Sono, pertanto, sospese tutte le sedute chirurgiche in elezione, così come l’assistenza anestesiologica in qualsivoglia attività di routine.»

«Non saranno inoltre garantite le urgenze nei reparti né trasporti primari e/o secondari, non essendo attivabili, come da CCNL, reperibilità diurne infrasettimanali si legge ancora nella nota -. Si chiede, pertanto, alle SS.LL. di dirottare per quanto possibile le attività a rischio verso il P.O. Sirai o altre strutture. Sarà ovviamente mia premura revocare tale disposizione non appena il personale anestesiologico a disposizione me lo consentirà.»

«Con l’augurio che tale situazione possa essere superata nel più breve tempo possibile conclude la nota del direttore U.O.C. Anestesia e Rianimazione Carbonia – Iglesias -. vogliate gradire i miei auguri di trascorrere in serenità le prossime festività.»

Fin qui la lettera del direttore U.O.C. Anestesia e Rianimazione Carbonia – Iglesias.

«Sul ridimensionamento progressivo della dotazione organica di medici anestesisti e per le imminenti ulteriori criticità che ne conseguiranno rispetto al mantenimento della garanzia della continuità assistenziale in urgenza in ostetricia ginecologia e nel programmato in chirurgia ed ortopedia e materno infantile presso il CTO di Iglesias, esprimiamo che la contrazione a vario titolo (trasferimenti, quiescenze, dimissioni, aspettative, cessazione contrattuali, prepensionamenti, malattie) di almeno 5 anestesisti inciderà sul già critico mantenimento di standard assistenziali efficienti, efficaci, rispettosi dei Lea, con tutte le conseguenze che si possono intuire sui diritti degli abitanti del Sulcis Iglesiente all’accesso alle cure e al mantenimento dello stato ottimale di salute – commenta Graziano Lebiu -. Il blocco immediato delle attività chirurgiche programmate si riverbera, inoltre, sulle motivazioni del personale sanitario tutto che sta subendo l’assenza di anestesisti e che si trova dall’oggi al domani privo di attività che è possibile garantire solo in determinati ambienti di lavoro.»

«Poiché anche in Assl Carbonia un intervento chirurgico risponde spesso a criteri di opportunità piuttosto che essere differito sine die, vista la situazione di emergenza, sarebbe ragionevole porre in essere di intervenire immediatamente per rimodulare il contratto almeno delle neo specializzate, se non addirittura trovare un accordo per rinegoziare i tempi almeno dei prepensionamenti – aggiunge Graziano Lebiu –. La professionalità e l’esperienza del personale che opera nei e per i blocchi operatori non può essere depauperata e nemmeno derubricata ad una mera condizione transitoria e non prevista.»

«E’ del tutto evidente che il complesso Blocco Operatorio non possa restare inoperativo per l’assenza di “programmazione” aziendale, che impatta limitando i diritti dei cittadini e delle cittadine ad ambire a ricevere risposte prestazionali qualitativamente attese e da professionisti sanitari in possesso di esperienza, continuità professionale , motivazione, in equilibrio psico fisicosottolinea ancora il presidente dell’OPI di Carbonia Iglesias -. Un patrimonio professionale che, fuori da ogni minimo dubbio, rappresenta per tutti sia un valore che un punto di riferimento e che deve essere tutelato invece che trascurato.»

«È da ritenersi, comunque, sin d’ora preoccupante che la carenza di anestesisti possa registrare ulteriori ripercussioni anche nell’operatività del servizio di Rianimazione e dell’u.o. di Ostetricia e Ginecologia, sino a depotenziarne le risposte nell’immediato e nel breve periodoconclude Graziano Lebiu -. Se così fosse, e auspichiamo che non sia, la questione assumerebbe tutta un’altra valenza e non certo circoscritta all’ambito territoriale.»

 

Ieri, sabato 18 dicembre, l’aula consiliare del comune di Villamassargia ha ospitato una conferenza di confronto e di approfondimento tra sindaci, sindache e consiglieri di alcuni comuni del Sulcis Iglesiente, il consigliere regionale ed ex assessore della Sanità Giorgio Oppi, il commissario della ASSL di Carbonia Gianfranco Casu, rappresentanti degli ordini professionali, delle organizzazioni sindacali e di partiti politici, sui contenuti della bozza del Piano Regionale Servizi Sanitari presentata recentemente alle parti sociali e alle istituzioni. La conferenza è stata organizzata dall’OPI, l’Ordine delle professioni infermieristiche, di Carbonia Iglesias.

Nei numerosi interventi, dopo il saluto della sindaca del comune di Villamassargia, Debora Porrà, e la relazione introduttiva di Graziano Lebiu, presidente dell’OPI di Carbonia Iglesias, sono stati sviscerati i numerosi problemi che affliggono il sistema sanitario pubblico nel Sulcis Iglesiente che negli anni ha subito un forte ridimensionamento, con una continua contrazione degli organici che ha provocato diverse chiusure e ridimensionamento dei servizi, con conseguente incremento esponenziale della mobilità esterna. E’ stata focalizzata l’attenzione sul Piano regionale dei servizi sanitari in fase di costruzione in Consiglio regionale, per il quale va rivendicata un’equa distribuzione di Ospedali di comunità e Case della salute. Una delle emergenze più gravi denunciate è la carenza di medici di famiglia che pone da mesi intere comunità, come quella di Calasetta, in una condizione drammatica che la solidarietà dei colleghi di altri Comuni, vedi quello di Carloforte, riesce a tamponare solo parzialmente e con grandissime difficoltà, come ha rimarcato la dottoressa di Carloforte Patrizia Congiu, medico di famiglia, che con alcuni colleghi presta servizio anche a Calasetta, senza la disponibilità di un ambulatorio, non prevista in un Comune ricadente in altro ambito territoriale.

Uno degli interventi più attesi era quello di Giorgio Oppi che non ha lesinato critiche all’assessore regionale della Sanità Mario Nieddu e al commissario dell’ATS Sardegna, Massimo Temussi, sottolineando di aver impedito in seno alla maggioranza di cui parte, di diversi provvedimenti, tra i quali l’apertura di un Centro Covid-19 al CTO di Iglesias e nuove nomine, ritenute assolutamente inopportune, considerato che gli incarichi dei commissari sono in scadenza a fine anno, quindi tra soli dieci giorni, e dai primi giorni di gennaio alla guida della Aziende Sanitarie in Sardegna ci saranno i direttori generali.

Giorgio Oppi si è poi soffermato sulle criticità presenti nella sanità del Sulcis Iglesiente, nella lunga parte del suo intervento visibile cliccando su questo link.

Allegata l’intervista con il presidente dell’OPI di Carbonia Iglesias, Graziano Lebiu.

Il 18 dicembre 2001, alle 10.00, l’Aula consiliare del comune di Villamassargia ospiterà una conferenza di confronto, sui contenuti della bozza del Piano Regionale Servizi Sanitari presentata alle parti sociali e alle istituzioni, promossa dall’Ordine Professioni infermieristiche di Carbonia Iglesias (OPI).

La comunità del Sulcis Iglesiente deve essere grata al presidente dell’OPI, Graziano Lebiu, per l’attenzione riservata a questo territorio in questi ultimi anni, dove si è assunto spesso responsabilità attribuibili ad altri soggetti, mettendoci sempre la faccia.

Ciò premesso, oltre legittime rivendicazioni e senza entrare nel merito della ripartizione e collocazione delle strutture di assistenza appartenenti alla rete territoriale, in riferimento alla previsione di nuove Case della Salute e di Ospedali di Comunità, ritengo utile proporre alcune riflessioni.

Nel dicembre del 2020, il Dipartimento Affari Sociali del Servizio Studi della Camera dei Deputati ha inviato alla Conferenza delle Regioni una richiesta di informazioni relativa ai presidi delle cure intermedie (Case della Salute/Casa di comunità e Ospedale di comunità – OdC) attivi nei diversi sistemi sanitari regionali Tali strutture, infatti, hanno un ruolo centrale nella Missione Salute (n. 6) del PNRR.

Successivamente, sulla base della documentazione pervenuta, la Segreteria tecnica Area “Assistenza territoriale” ha elaborato la “Relazione sullo sviluppo delle Case della Salute e degli Ospedali di Comunità nelle regioni italiane (anno 2020)”, inviata nel febbraio 2021.

Nella relazione si chiarisce che, mentre la declinazione operativa degli Ospedali di Comunità si basa sui contenuti dell’Intesa Stato-Regioni n. 17 del 20 febbraio 2020, la declinazione operativa di Casa della Salute, in assenza di una impostazione condivisa a livello nazionale, è stata intesa come una struttura sanitaria territoriale in cui è prevista l’integrazione tra medici di medicina generale/pediatri di libera scelta ed i servizi sanitari delle Aziende Unità Sanitarie Locali [es. Case della Salute, Unità complesse di cure primarie (UCCP), Presidi territoriali di assistenza (PTA)].

Secondo la documentazione pervenuta alla Segreteria tecnica Area “Assistenza territoriale” e ai contenuti della Bozza del Piano Regionale Servizi Sanitari, nella Regione Sardegna risultano attive 14 Case di Comunità già finanziate con fondi europei, nazionali o regionali, mentre le altre 12 sono attualmente in fase di attivazione, per un totale di 26 strutture dislocate sul territorio regionale.

Nel territorio del Sulcis Iglesiente risultano attive (?) 4 Case di Comunità (Giba, Sant’Antioco, Carloforte e Fluminimaggiore) e nessun Ospedale di Comunità (anche se 1 era stato ipotizzato nella Rete Ospedaliera ad Iglesias nel PO Santa Barbara). Il documento della Regione Sardegna prevede per ogni distretto di circa 100.000 abitanti una Casa di Comunità hub e almeno 3 Case della comunità spoke, per favorire la capillarità dei servizi sul territorio ed un equo accesso alle cure. La tipologia delle CdC attribuite alla ASSL di Carbonia prevede una Casa hub a (Sant’Antioco) e 3 CdC Spoke (Giba, Sant’Antioco, Carloforte).

È importante ricordare che, dopo la diffusione delle cifre del riparto dei fondi tra le regioni per le Case della Comunità o CdC e gli Ospedali di Comunità (OdC), sono stati infatti rivisti anche gli standard per le nuove strutture, che modificano significativamente il documento AGENAS di luglio 2021 su “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Sistema Sanitario Nazionale”.

Secondo il succitato documento Agenas, la Casa della Comunità è il luogo fisico di prossimità e di facile individuazione dove la comunità può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria e sociosanitaria. La CdC promuove un modello organizzativo di approccio integrato e multidisciplinare attraverso équipe territoriali. Costituisce la sede privilegiata per la progettazione e l’erogazione di interventi sanitari e di integrazione sociale.

Standard:

– almeno 1 Casa della Comunità hub ogni 40.000-50.000 abitanti;

– Case della Comunità spoke e ambulatori di Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta tenendo conto delle caratteristiche orografiche e demografiche del territorio al fine di favorire la capillarità dei servizi e maggiore equità di accesso, in particolare nelle aree interne e rurali. Tutte le aggregazioni dei MMG e PLS (AFT e UCCP) sono ricomprese nelle Case della Comunità avendone in esse la sede fisica oppure a queste collegate funzionalmente;

– almeno 1 Infermiere di Famiglia e Comunità ogni 2.000 – 3.000 abitanti.

Per rispondere alle differenti esigenze territoriali, garantire equità di accesso, capillarità e prossimità del servizio, si prevede la costituzione di una rete di assistenza territoriale formata secondo il modello hub e spoke.

Sia nell’accezione hub sia in quella spoke, la CdC costituisce l’accesso unitario fisico per la comunità di riferimento ai servizi di assistenza primaria e di integrazione sociosanitaria. Entrambe, quindi, propongono un’offerta di servizi costituita da medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali interni, infermieri di famiglia e comunità, presenza di tecnologie diagnostiche di base.

La CdC hub garantisce l’erogazione dei seguenti servizi, anche mediante modalità di telemedicina:

– Équipe multiprofessionali (MMG, PLS, Continuità Assistenziale, Specialisti Ambulatoriali Interni (SAI) e dipendenti, Infermieri e altre figure sanitarie e sociosanitarie);

– Presenza medica h24 – 7 giorni su 7 anche attraverso l’integrazione della Continuità Assistenziale (ex Guardia medica);

– Presenza infermieristica h12 – 7 giorni su 7;

– Punto Unico di Accesso (PUA) sanitario e sociale;

– Punto prelievi;

– Programmi di screening;

– Servizi diagnostici finalizzati al monitoraggio della cronicità (ecografo, elettrocardiografo, retinografo, oct, spirometro, ecc.) anche attraverso strumenti di telemedicina (es. telerefertazione);

– Servizi ambulatoriali specialistici per le patologie ad elevata prevalenza (cardiologo, pneumologo, diabetologo, ecc.);

– Servizi infermieristici, sia in termini di prevenzione collettiva e promozione della salute pubblica, inclusa l’attività dell’Infermiere di Famiglia e Comunità (IFeC), sia di continuità di assistenza sanitaria, per la gestione integrata delle patologie croniche;

– Sistema integrato di prenotazione collegato al CUP aziendale;

– Servizio di assistenza domiciliare di base;

– Partecipazione della Comunità e valorizzazione della co-produzione, attraverso le associazioni di cittadini e volontariato.

– Relazione tra la CdC hub con il funzionamento delle strutture per le cure intermedie (es. assistenza medica nelle strutture residenziali territoriali come l’ospedale di comunità).

La CdC spoke garantisce l’erogazione dei seguenti servizi, anche mediante modalità di telemedicina:

– Équipe multiprofessionali (MMG, PLS, Specialisti Ambulatoriali Interni (SAI) e dipendenti, Infermieri e altre figure sanitarie e sociosanitarie);

– Presenza medica e infermieristica almeno h12 – 6 giorni su 7 (lunedì-sabato);

– Punto Unico di Accesso (PUA) sanitario e sociale;

– Alcuni servizi ambulatoriali per patologie ad elevata prevalenza (cardiologo, pneumologo, diabetologo, ecc.);

– Servizi infermieristici, sia in termini di prevenzione collettiva e promozione della salute pubblica, inclusa l’attività dell’Infermiere di Famiglia e Comunità (IFeC), sia di continuità di assistenza sanitaria, per la gestione integrata delle patologie croniche;

– Programmi di screening;

– Collegamento con la Casa della Comunità hub di riferimento;

– Sistema integrato di prenotazione collegato al CUP aziendale;

– Partecipazione della Comunità e valorizzazione co-produzione, attraverso le associazioni di cittadini, volontariato.

All’interno delle CdC possono essere ricompresi posti letto di cure intermedie (Ospedali di Comunità e post-acuti) e/o posti letto di hospice e/o servizi di riabilitazione e mantenimento funzionale.

In attesa della predisposizione e approvazione di “Linee guida regionali sulle Case della comunità” (si spera in ottemperanza a quanto stabilito da Agenas) con il dettaglio dei requisiti organizzativi, funzionali e strutturali, nonché i criteri di eleggibilità dei pazienti e le modalità di presa in carico, proviamo a capire meglio cosa sono le CdC e perché ancora oggi presentano diverse criticità nel nostro territorio.

Case della salute/Comunità (CdC)

Nel nostro SSN la crescita di attenzione alle forme di erogazione «fuori dall’ospedale» ha portato a un rinnovato interesse verso il modello della Casa della Salute dopo anni (quasi 15) di sviluppo variegato e disomogeneo nei vari contesti regionali.  Le Case della Salute/Case di Comunità, insieme ad altre tipologie di presidi territoriali, sono state infatti individuate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) come luoghi cardine della Missione Salute (la numero 6) da consolidare e sui quali investire ulteriormente per potenziare l’assistenza socio-sanitaria a livello territoriale.

La stessa definizione e il significato di CdC sono cambiati nel tempo e continuano a evolvere. Se nelle fasi iniziali di introduzione delle nuove strutture ha concorso ampiamente la necessità di trovare una soluzione ai problemi posti dalla riconversione dei piccoli ospedali, negli anni più recenti l’evoluzione delle nuove configurazioni è sempre più accompagnata da altre spinte e motivazioni: esigenze politiche di rinsaldare i legami con la comunità, tensioni ideali ancorate all’affermazione di nuovi modelli di cura e anche tendenze di carattere più  manageriale focalizzate alla semplificazione dell’accesso e al miglioramento  dell’esperienza di consumo. Nei sistemi regionali dove il modello è maggiormente diffuso e consolidato (Emilia-Romagna e Toscana) le nuove linee guida segnano il passaggio da una fase che entrambi i disegni regionali definiscono «strutturalista» a una di maggior attenzione ai processi di integrazione nella rete di offerta (Per la regione Emilia Romagna si tratta della D.G.R. n. 2128 del 5 dicembre 2016 «Case della Salute: Indicazioni regionali per il coordinamento e lo sviluppo delle comunità di professionisti e della medicina d’iniziativa»; per la regione Toscana è la Delibera n. 770 del 22 giugno 2020 «Atto di indirizzo sulle Case della Salute»).

L’auspicata presenza di elementi di innovazione nelle soluzioni è comunque ancora frenata da vincoli e paradigmi che vengono dal passato, e non solo nel nostro territorio. La fisicità è la dimensione fondamentale rispetto alla quale si articolano le principali scelte progettuali (di localizzazione di funzioni, servizi e persone) e continua a rappresentare l’elemento fondante e caratterizzante delle nuove (o rinnovate) strutture territoriali e del ruolo che esse possono assolvere, come è accaduto per le strutture spoke di Giba e Fluminimaggiore, dove ci siamo limitati a fare un ampliamento strutturale delle sedi dei due Poliambulatori.

In prospettiva, tuttavia, come per molti ambiti della vita quotidiana, anche per i servizi ordinariamente erogati nelle strutture territoriali l’intervento di COVID-19 ha reso più evidente l’importanza della trasformazione digitale e delle nuove forme di erogazione dei servizi «a distanza» (per portare l’assistenza direttamente a casa delle persone, garantire continuità delle cure e ridurre al minimo gli spostamenti degli utenti e dei professionisti).

Prima di rivendicare l’attribuzione di una o più CdC per il nostro territorio, è importante approfondire quelle che sono le principali sfide e potenziali traiettorie di sviluppo che sottendono al modello della CDS oggi e per i prossimi anni, auspicabilmente a emergenza Covid-19 superata. Appare opportuno ricostruire il punto di partenza, e cioè l’attuale stato delle conoscenze sulle esperienze fin qui maturate nelle nostre 4 CdC.

Le nostre CdC sono state finora concepite e realizzate come contenitori fisici e luoghi di erogazione «isolati» rispetto ai sistemi di offerta delle aziende. Le opportunità offerte dalle tecnologie e le sfide poste da contesti di riferimento sempre più differenziati e interconnessi nella risposta agli utenti e comunità servite (soprattutto in aree urbane e a più alta densità d’offerta) portano a considerare profili evolutivi diversi per il modello atteso di CdC, non solo incentrati sulla dimensione fisica, collegati in rete e maggiormente ispirati a logiche e modelli propri del retail. Il dibattito sulle possibili evoluzioni (non solo fisiche) del modello è comunque appena iniziato e spero trovi spazio nella conferenza di sabato 18 dicembre a Villamassargia. I quadri normativi e concettuali sono ancora fortemente legati alle formulazioni delle origini e la concentrazione fisica continua a rappresentare l’elemento fondante e prevalente nei disegni delle regioni e condiziona ancora le realizzazioni. Non mancano tuttavia esperienze (e anche modelli e approcci che stanno affermandosi nel nostro come in altri sistemi sanitari) che potrebbero rappresentare un utile riferimento per far progredire le attuali e future progettualità delle Aziende.

Le analisi e considerazioni sviluppate da altre regioni evidenziano, in particolare, la necessità di guardare alle CdC (e al loro progetto di sviluppo):

-ponendo particolare attenzione alla esigenza di definire (e anche mantenere) un disegno unitario per le strutture e i modelli di servizio che compongono nel loro insieme l’offerta territoriale;

-superando la concezione di CdC come mero contenitore fisico nel quale le attività si svolgono e che spesso sono identificate con una funzione. La CdC è da intendersi piuttosto come l’integrazione di una specifica configurazione fisica e di un insieme di servizi che, da una parte, rende possibile l’erogazione delle attività direttamente collegate al soddisfacimento dei bisogni e, dall’altra, le qualifica e le connota, soprattutto nella dimensione della esperienza percepita dai destinatari;

-adattando (anche dinamicamente) il disegno delle reti, delle strutture e dei modelli di servizio incorporando l’innovazione ed eventuali cambi di scenario.

Nella definizione ri-definizione delle CdC da attribuire al nostro territorio e alla Regione Sardegna diventa imprescindibile l’esigenza di costruire una rete, come insieme unitario e riconoscibile, di strutture per i sistemi sanitari (siano essi di livello aziendale, o regionale) e non la messa disposizione di una semplice sommatoria di strutture e servizi di carattere locale. Indipendentemente dalla segmentazione, geografica o di altro tipo, che può essere posta alla base degli assetti istituzionali e organizzativi delle aziende e di quella operativa delle singole strutture, il cittadino dovrà avere la possibilità di ritrovarsi in ogni singolo punto e riconoscere la presenza di un sistema unitario

Il secondo e più complesso elemento da considerare, già tracciato da Agenas nel documento “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Sistema Sanitario Nazionale”, attiene a quelle che potrebbero essere definite come le componenti di base del modello di servizio e che assumono rilievo ai fini della progettazione: (a) le funzioni, (b) i servizi/prestazioni e le attività e (c) le piattaforme operative.

Ospedali di Comunità (OdC)

Il contesto “as is” dei nostri Odc è desolante: non esiste un solo Odc attivato in tutta la Regione Sardegna. Guardando alla letteratura internazionale di riferimento, sono molteplici le definizioni elaborate per descrivere l’OdC: si tratta infatti di una struttura assistenziale che può assumere configurazioni (in termini di modello organizzativo, grado di integrazione nella filiera dei servizi, tipologie di prestazioni erogate, etc.) anche molto differenti a seconda del contesto di riferimento. In termini generali, l’OdC può essere definito come una struttura sanitaria:

a. che si connota per un legame diretto con il territorio di riferimento, da cui intercetta i bisogni dell’utenza: «community hospitals are local hospitals, units or centres whose role is to provide accessible health and associated services to meet the needs of a clinically defined and local population» (McCormack, 1983);

b. in cui la responsabilità clinica è generalmente affidata a medici di medicina generale supportati da un’equipe infermieristica, spesso anche multiprofessionale (data la presenza di operatori sociosanitari – OSS, fisioterapisti e altri professionisti sanitari) (Ritchie et al., 1998; Winpenny et al., 2016);

c. dotata di posti letto, in una misura limitata e comunque inferiore ai presidi che erogano assistenza ospedaliera;

d. che eroga, a seconda dei contesti e del processo evolutivo che ne ha caratterizzato la nascita e lo sviluppo, un insieme più o meno articolato di prestazioni sanitarie, riconducibili, in genere, all’ambito delle cure intermedie (Ashworth et al., 1996; CHA, 2008; Pitchford et al., 2017.

Benché non esista un limite stabilito a livello internazionale sul numero massimo di posti letto che è possibile prevedere in un ospedale di comunità, Davidson et al. (2019), sulla base di una review sistematica della letteratura internazionale di riferimento, indicano 100 posti letto per una popolazione di (massimo) 100.000 abitanti.

Ciò che maggiormente caratterizza le esperienze degli OdC, oltre alla forte connessione con il territorio, sono le professionalità presenti al loro interno: i medici di medicina generale sono spesso individuati come i responsabili clinici delle strutture, supportati da un’equipe infermieristica e da altri professionisti sanitari (fisioterapisti, terapisti occupazionali, OSS, dietologi, tecnici di riabilitazione). Il personale dell’OdC viene normalmente affiancato da specialisti che si recano in struttura per visite ad hoc con frequenza più o meno regolare (uno studio effettuato in Nuova Zelanda riporta ad esempio che un’equipe chirurgica visita gli OdC due volte alla settimana o che offrono consulenza e assistenza anche “a distanza” tramite strumenti di digital health, telemedicina e telemonitoraggio (un esempio è il servizio di teleoftalmologia previsto in alcuni OdC in Australia). Il limitato e/o remoto coinvolgimento di medici specialisti comporta la necessità che MMG e infermieri sviluppino in modo consolidato una serie di competenze non solo in campo strettamente clinico, ma anche manageriale e gestionale, di leadership, di comunicazione, di stakeholder management. In questo senso, l’OdC rappresenta un setting peculiare in cui il ruolo e le funzioni dell’equipe infermieristica vengono particolarmente enfatizzate: in alcuni casi, sono gli infermieri direttamente responsabili di alcune unità organizzative all’interno dell’OdC (O’Hanlon et al., 2010), in altri sono loro a seguire il patient flow nel suo complesso, dall’accesso alla dimissione, senza il diretto coinvolgimento di medici (Chen et al., 2010). Uno scenario, quest’ultimo, che difficilmente potrà essere sperimentato nella nostra Regione.

La storia degli OdC in Italia è invece recente. In data 20 febbraio 2020, la Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, sancisce l’intesa sui requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi dell’OdC, in adempimento a quanto previsto in una precedente intesa stipulata nella stessa Conferenza il 10 luglio 2014 (art. 5, comma 17) concernente il nuovo “Patto per la salute per gli anni 2014-2016”.

La nuova intesa stabilisce le caratteristiche generali e i requisiti minimi generali, strutturali e tecnologici specifici, organizzativi e gli standard minimi clinico-assistenziali degli OdC, sulla base delle indicazioni già contenute nel Decreto del Ministero della Salute del 2 aprile 2015, n. 70, art 10.1. L’OdC rappresenta una struttura intermedia tra le cure domiciliari e l’assistenza ospedaliera con funzioni diverse da quelle delle strutture residenziali extra-ospedaliere per malati cronici non autosufficienti, per disabili e per malati terminali, definite dal DPCM del 12 gennaio 2017 (artt. 29-35). L’OdC, infatti, è un presidio sanitario di assistenza primaria a degenza breve destinato ai pazienti che necessitano di interventi sanitari a bassa intensità clinica e di sorveglianza infermieristica continuativa. Nello specifico, si tratta di pazienti che, a seguito di un episodio di acuzie minore o per la riacutizzazione di patologie croniche necessitano di interventi potenzialmente erogabili a domicilio ma che vengono ricoverati nell’OdC in mancanza di idoneità strutturale e/o familiare del domicilio stesso.

Per quanto riguarda la gestione delle attività, essa è in capo all’organizzazione distrettuale e/o territoriale delle aziende sanitarie.

Logisticamente, l’OdC può avere una sede propria, oppure essere ubicato all’interno di presidi sanitari polifunzionali, strutture residenziali o ospedali per acuti, pur rimanendo riconducibile all’assistenza territoriale. Il numero di posti letto è di norma compreso tra 15 e 20, con possibilità di estensione fino a due moduli, con 15-20 posti ciascuno. I pazienti provengono dal domicilio, da altre strutture residenziali (es. Residenze Sanitarie Assistenziali, RSA), dai presidi ospedalieri per acuti o dal pronto soccorso, generalmente a seguito di una valutazione multidimensionale eseguita in fase di accesso. La responsabilità clinica dei pazienti è attribuita a un medico di medicina generale (MMG), un medico dipendente del SSN o un medico incaricato dalla struttura (per gli OdC privati). La responsabilità assistenziale è in capo ad un infermiere e l’assistenza infermieristica è garantita nelle 24 ore.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato dal Governo lo scorso aprile 2021 per il conseguimento delle risorse messe a disposizione dall’Europa nell’ambito del Next Generation EU, dedica al rafforzamento del servizio sanitario la Missione 6. Due sono i pilastri di innovazione e sviluppo: il potenziamento dell’assistenza territoriale e lo sviluppo del digitale legato al settore sanitario. In relazione al primo macro-obiettivo, ampio spazio viene dedicato all’OdC come struttura perno della rete complessiva: viene stanziato un finanziamento di 1 miliardo di euro per l’attivazione di circa 380 OdC in tutto il territorio nazionale.

A questo obiettivo si aggiunge una previsione ancora più ambiziosa contenuta nel documento di Agenas “Modelli e standard per lo sviluppo dei Servizi Territoriali nel Sistema Sanitario Nazionale”. A regime, l’Italia dovrebbe avere una dotazione di un OdC con 20 posti letto ogni 50.000 abitanti, pari a 0,4 posti letto ogni 1000 abitanti. Il documento fornisce anche alcune indicazioni specifiche sugli standard di personale e di attrezzature. Per un modulo di 20 posti letto ogni OdC dovrebbe avere una dotazione di 9 infermieri, 6 OSS e 4 ore giornaliere di un medico. L’OdC dovrebbe avere disponibili almeno le seguenti dotazioni tecnologiche: defibrillatore, elettrocardiografo portatile/telemedicina, saturimetro, spirometro, emogasanalizzatore, apparecchio per esami POC, ecografo; altre tecnologie da rendere disponibili potrebbero essere definite più avanti.

Complessivamente si tratta di una dotazione minima che appare coerente con la finalità dell’OdC di fornire assistenza di basso-medio livello. Viene inoltre specificato che i pazienti eleggibili devono necessitare di assistenza infermieristica e di assistenza medica programmabile o su specifica necessità. È prevista la possibilità che gli OdC abbiamo moduli protetti per pazienti con demenza o disturbi comportamentali come è anche prevista l’attivazione di posti letto pediatrici.

Sotto il profilo delle responsabilità, il documento di Agenas conferma i contenuti di precedenti disposizioni. L’OdC è a gestione multidisciplinare, multiprofessionale e interdisciplinare con responsabilità igienico-sanitaria in capo ad un medico, responsabilità clinica sui singoli pazienti in capo a medici dipendenti o convenzionati con il SSN e responsabilità organizzativo-assistenziale in capo ad un infermiere secondo le proprie competenze.

Tutti gli attori del sistema devono essere consapevoli che il PNRR e soprattutto il documento di Agenas propongono una straordinaria innovazione. Essi prefigurano che il servizio sanitario offra letti di medio-bassa assistenza a gestione infermieristica e sotto il controllo dell’assistenza distrettuale (e non dell’assistenza ospedaliera). Il piano è coraggioso perché le conoscenze sugli effettivi spazi di azione degli OdC sono molto limitate. Le esperienze italiane sono relativamente poche e non sono state studiate in modo sistematico. Anche la letteratura internazionale è abbastanza limitata e spesso non utile perché in diversi contesti l’OdC (o rural hospital o cottage hospital) risponde prioritariamente ad esigenze di presidio di contesti isolati in grandi paesi come il Canada o l’Australia o comunque a bassa intensità abitativa come la Finlandia o la Norvegia.

Il nostro Servizio Sanitario Regionale sta facendo una vera scommessa con gli OdC. L’auspicio è che questa scommessa, in sinergia con quella delle CdC, possa essere il volano per una profonda trasformazione del sistema sanitario verso un modello nettamente più centrato sulla comunità, la prossimità e la presa in carico olistica della persona. Si tratta di un’occasione unica che difficilmente si potrà ripetere in futuro vista l’eccezionalità delle misure introdotte, anche da un punto di vista economico. Per questo motivo è fondamentale che tutti i processi che verranno messi in essere nei prossimi mesi, dall’individuazione dei luoghi dove collocare gli OdC fino ai sistemi di finanziamento, vengano portati avanti con determinazione ma senza dogmatismi e/o provincialismi, nello spirito di una grande sperimentazione che potrebbe ridisegnare il nostro sistema sanitario regionale.

L’infermiere di famiglia e di Comunità (IFeC)

Se il documento Agenas dedica un intero paragrafo all’Infermiere di Famiglia e di Comunità, la bozza regionale del Piano Regionale Servizi Sanitari presentata alle parti sociali e alle istituzioni – che dovrebbe obbligatoriamente rifarsi al documento Agenas “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Sistema Sanitario Nazionale”- non lo contempla nemmeno nelle CdC, nonostante una proposta di legge per l’istituzione e inserimento della figura dell’infermiere di famiglia nel servizio depositata dai consiglieri regionali della lega Mele, Piras, Giagoni, Saiu, Ennas , Manca, Canu.

L’introduzione dell’Infermiere di Comunità (IFeC) (DL n. 34/2020, art. 1 c. 5, convertito in L. 17 luglio 2020, n. 77, e le “Linee di Indirizzo Infermiere di Famiglia/Comunità” della Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome) ha l’obiettivo di rafforzare il sistema assistenziale sul territorio, finalizzato a promuovere una maggiore omogeneità ed accessibilità dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria, favorendo l’integrazione delle diverse figure professionali, compresa l’assistenza infermieristica di comunità. L’IFeC è un professionista che garantendo una presenza continuativa e proattiva nell’area/ambito o comunità di riferimento, assicura l’assistenza infermieristica ai diversi livelli di complessità in collaborazione con tutti i professionisti presenti nella comunità (MMG/PLS, assistente sociale, fisioterapisti, assistenti domiciliari ecc.) perseguendo l’integrazione interdisciplinare, sanitaria e sociale dei servizi e dei professionisti e ponendo al centro la persona.

L’Infermiere di Famiglia e Comunità è il professionista che mantiene il contatto con l’assistito della propria comunità in cui opera e rappresenta la figura professionale di riferimento che assicura l’assistenza infermieristica ai diversi livelli di complessità in collaborazione con tutti i professionisti presenti nella comunità, perseguendo l’integrazione interdisciplinare, sanitaria e sociale dei servizi e dei professionisti e ponendo al centro la persona. L’infermiere di comunità interagisce con tutte le risorse presenti nella comunità formali e informali. L’infermiere di comunità non è solo l’erogatore di cure assistenziali, ma diventa la figura che garantisce la riposta assistenziale all’insorgenza di nuovi bisogni sanitari e sociosanitari espressi e potenziali che insistono in modo latente nella comunità. È un professionista con un forte orientamento alla gestione proattiva della salute. È coinvolto in attività di promozione, prevenzione e gestione partecipativa dei processi di salute individuali, familiari e di comunità all’interno del sistema dell’assistenza sanitaria territoriale.

Standard:

– almeno 1 Infermiere di Famiglia e Comunità ogni 2.000 – 3.000 abitanti.

Ci auguriamo che la “scotomizzazione” iniziale venga rivista con l’inserimento nelle “Linee guida regionali sulle Case della comunità” di prossima emanazione.

Spero di aver fornito ulteriori spunti al dibattito del 18 dicembre sul piano dei servizi territoriali.

Antonello Cuccuru

Sabato 18 dicembre, alle 10.00, l’Aula consiliare del comune di Villamassargia ospiterà una conferenza di confronto e approfondimento tra sindaci e sindache dei comuni del Sulcis Iglesiente, amministratori ATS e ASSL Carbonia, Ordini professionali, Organizzazioni sindacali, Partiti politici, consiglieri regionali, sui contenuti della bozza del Piano Regionale Servizi Sanitari presentata alle parti sociali e alle istituzioni, organizzata dall’OPI di Carbonia Iglesias.

«Condividiamo il principio guida del Pianosi legge in una nota di Graziano Lebiu, presidente dell’OPI Carbonia Iglesias -, ovvero la costruzione di una rete di medicina territoriale intorno alla persona. Riteniamo possibile, infatti, contribuire alla realizzazione complessiva del Piano in trattazione:

a) in termini di efficienza e di efficacia;

b) nel rispetto dei principi di universalità, uguaglianza ed equità per tutti i cittadini;

c) per la garanzia dell’erogazione oggettiva delle cure e dell’assistenza in ogni ambito che abbia a che fare con la salute;

d) con particolare attenzione alla ripartizione ed alla collocazione delle strutture di assistenza appartenenti alla rete territoriale, riferito alla previsione di nuove Case della Salute e di Ospedali di Comunità.»

Graziano Lebiu conclude elencando una serie di numeri che saranno sicuramente al centro del confronto.

«Sono 240mila le prestazioni sanitarie annue erogate da ASSL Cagliari per ASSL Carbonia! Sono 14 le Case della Salute attive in Sardegna, 4 nel Sulcis Iglesiente. Sono 48 le Case della Salute in attuazione in Sardegna e solo 1 nel Sulcis Iglesiente. Sono programmati 35 Ospedali di Comunità e solo 2 nel Sulcis Iglesiente. E’ una ripartizione sostenibile? Voci, istanze e riflessioni dalla platea degli invitati alla conferenza di sabato 18 dicembre, alle ore 10,00, nell’Aula consiliare del comune di Villamassargia.»

 

Ieri, 24 novembre 2021, abbiamo avuto un’interlocuzione pubblica con l’assessore regionale della Sanità Mario Nieddu ed il Direttore Generale dell’assessorato Marcello Tidore, nel merito della bozza del Piano Regionale Servizi Sanitari (in seguito PSS) presentato a tutti gli Ordini Professionali della Sardegna per le osservazioni conseguenti.

Abbiamo delineato il punto di vista infermieristico per quanto riguarda gli impatti del PSS sul diritto alle cure nel Sulcis Iglesiente perché conosciamo ex ante i bisogni e le caratteristiche della domanda di assistenza del nostro territorio.

Sono state condivise riflessioni forti a supporto di buone scelte di programmazione, di equa distribuzione delle risorse, di decisa tutela e sostenibilità del sistema salute pubblica riferiti agli ambiti ASSL Carbonia-Ex ASL 7-Ex USL 17-Ex USL 16, dei quali comprendiamo la complessità e la variabilità dal punto di vista demografico e socio economico ma soprattutto l’elevata discordanza tra diversi indicatori tra altre aree sarde ed il Sulcis Iglesiente.

I numeri delle tante tabelle contenute tra le 182 pagine del PSS raccontano molto di cosa siamo e cosa potremmo essere rispetto ai contesti assistenziali, strutturali, prestazionali, geopolitici e disvelano una realtà impietosa e una verità ineludibile: nel perimetro che insiste su Assl Carbonia non siamo ancora pronti e non siamo destinati e destinatari di pari opportunità e di trattamento, considerati quindi ancora e, comunque, territorio marginale e limitrofo all’area metropolitana cagliaritana che assorbe non solo attenzioni ma soprattutto risorse e prospettive.

Sono 240mila, infatti, le prestazioni sanitarie annue erogate da ASSL Cagliari per ASSL Carbonia! Sono 14 le Case della Salute attive in Sardegna e solo 4 nel Sulcis Iglesiente. Sono 48 le Case della Salute in attuazione in Sardegna e solo 1 nel Sulcis Iglesiente. Sono programmati n. 35 Ospedali di Comunità e solo n. 2 nel Sulcis Iglesiente. E’ una ripartizione sostenibile?

Abbiamo quindi chiesto anche per i 127mila cittadini del Sulcis Iglesiente il rispetto dei principi di universalità, uguaglianza ed equità che significano garanzie ed erogazione oggettiva delle cure e dell’assistenza in ogni ambito che abbia a che fare con la salute.

Per la condizione di ristrettezza e di quasi indigenza pur non generalizzata nella nostra ex provincia di Carbonia Iglesias, per l’opportunità di una reazione civica, politica ed economica, riteniamo necessaria una particolare attenzione alla ripartizione ed alla collocazione delle strutture di assistenza appartenenti alla rete territoriale, che, ad esempio, riferito alla previsione di nuove Case della Salute e di Ospedali di Comunità, e per quanto sopra esposto, sono del tutto improprie.

Non possiamo che ritenere contraddittoria la ripartizione e la collocazione di nuove strutture di assistenza nel nostro territorio, soprattutto nei comuni con media densità di popolazione, perché sono infatti previsti solo 1 nuova Casa della Salute ad Iglesias, 1 nuovo Ospedale di Comunità ad Iglesias ed 1 futuro Ospedale di Comunità a Sant’Antioco.

Null’altro è realizzabile in alcuno degli altri Comuni del Sulcis Iglesiente, territorio dove abitano vivono e lavorano stabilmente, turisti esclusi, 142.000 persone e che hanno tutte il medesimo diritto ad essere considerate, come altre aree della Sardegna, per il relativo diritto di accesso alle cure e di cui la politica ha il dovere di farsene carico.

Più cittadini fragili, più disabilità, maggiori patologie croniche, indice di vecchiaia più alto rispetto al resto d’Italia: anche da essi e dal quadro epidemiologico dovrebbero discendere le scelte di programmazione sanitaria, l’efficiente distribuzione delle risorse su tutto il territorio provinciale, che sconta ad oggi criticità strutturali, organizzative, gestionali e lavorative che arrivano da lontano.

Se la programmazione del Piano Servizi Sanitari si fonda anche dalla conoscenza dei territori, gli abitanti del Sulcis Iglesiente, 127mila residenti/142mila complessivi, non possono non chiedersi come mai in 1.500 kmq siano previste solo n. 3 nuove strutture sanitarie (1 CDS+2 ODC) rispetto ad aree, ad esempio quella metropolitana cagliaritana, dove tra Siliqua-Decimomannu-Assemini-Elmas sono previste n. 3 case della salute e n. 3 ospedali di comunità in un un’area di soli 338 kmq e 36mila abitanti.

Con che criterio è stata individuata questa distribuzione a scapito del nostro territorio?

Un altro esempio: Villamassargia ha 3.500 abitanti in un territorio esteso per 91,5 kmq e nessuna struttura sanitaria prevista. Siliqua ha 3.700 abitanti in un territorio esteso per 184,5 kmq dove sono invece previste n. 2 struttura sanitarie. Per “proprietà transitiva”, se a Siliqua A corrisponde B (in rapporto ad abitanti e kmq), a Villamassargia C, sempre in rapporto ad abitanti e kmq si può legittimamente affermare che debba sempre corrispondere B e quindi almeno una nuova struttura quale che essa sia.

La Programmazione Sanitaria deve effettivamente prevedere il superamento della contrapposizione dualistica ospedale-territorio con la costruzione di ponti culturali organizzativi ed operativi sia verso la popolazione sana che con bisogni prevedibili o imprevisti, popolazione alla quale devono essere garantiti ogni ora, giorno, anno sostegno e diritti a chi ne ha bisogno quindi a tutti i suoi abitanti, non solo sulcitani, iglesienti o sardi ma anche stranieri, integrati o in via di integrazione, trasfertisti, lavoratori, turisti, vedasi per esempio il comune di Calasetta che da 2.900 abitanti passa ad oltre 11mila presenze da maggio ad ottobre, a fronte della desolante situazione dell’offerta strutturale e della carenza di professionisti che già impatta negativamente sulla cittadinanza residente negli altri mesi dell’anno.

Come infermieri vogliano contribuire a geo localizzare meglio, nel e per il Sulcis Iglesiente, il fabbisogno di cure in un’effettiva e fruibile rete socio-assistenziale.

Integrare e meglio distribuire nuove Case della Comunità e nuovi Ospedali di Comunità nel territorio del Sulcis Iglesiente si deve ed è possibile.

In sanità e salute pubblica, tra Trapassato Remoto, quindi narrare di un fatto concluso senza riflessi sul presente, e Passato Prossimo per esprimere un’azione che tende ad avere effetti coinvolgenti e percepiti dalle persone ancora oggi e domani, siamo senza titubanza alcuna dalla parte del Passato Prossimo e confidiamo di avere al nostro fianco non solo l’Assessorato e la Direzione Generale della Sanità Regione Sardegna con i quali ci siamo confrontati consegnando un documento articolato in 9 pagine per emendare in meglio il piano in trattazione, ma soprattutto i Sindaci del territorio del Sulcis Iglesiente.

Per il Consiglio Direttivo dell’OPI

Ordine Professionale Infermieristico Carbonia Iglesias

il Presidente Graziano Lebiu

 

Il presidente dell’OPI Carbonia Iglesias, Graziano Lebiu, ritorna questa sera sulla valutazione della sospensione dei sanitari infermieri e infermiere pediatriche che non si sono vaccinati.

Dopo aver ribadito tutte le valutazioni già espresse nel precedente comunicato, Graziano Lebiu evidenzia che il numero degli infermieri che non si sono sottoposti alla vaccinazione non sarebbero 12 come riportato negli elenchi trasmessi da ATS Sardegna all’Ordine, ma «da un’attenta e responsabile valutazione degli atti in nostro possesso, gli esercenti la professione infermieristica non vaccinati o per i quali non sussistono elementi sospensivi sono 9 di cui 6 nel Distretto iglesiente, 3 nel Distretto Sulcis, 5 in servizio al P.O. CTO di Iglesias, 3 in servizio al P.O. Sirai di Carbonia, 1 in servizio in un Poliambulatorio del Sulcis, 1 in servizio in un Poliambulatorio iglesiente, N. 2 risultano già Covid+. Complessivamente sono 10 ma su una posizione ci riserviamo di chiedere ulteriori chiarimenti all’ATS».
«Le percentuali del 15,50% circa sul totale delle inadempienze in ASSL Carbonia e dell’1,0% sul totale degli iscritti all’Ordine attestano quanto la quasi totalità degli infermieri abbia compreso l’importanza della vaccinazione e dei corretti comportamenti nei confronti dei cittadini, e di questo il Consiglio direttivo ringrazia tutte le infermiere e tutti gli infermieri per le responsabilità che si sono assunti nei confronti della comunità professionale e civica del Sulcis Iglesienteaggiunge il presidente dell’OPI Carbonia Iglesias -. È da ritenersi incompatibile con l’esercizio professionale infermieristico qualsiasi posizione e concezione: a) contraria alla campagna vaccinale tour court; b) in violazione dell’obbligo legislativo; c) inadempienti nell’osservanza del Codice Deontologico; d) pericolosa per i rischi di esposizione dei cittadini, degli operatori e per se stessi; e) negazionista delle evidenze scientifiche; f) irrispettosa nei confronti degli infermieri responsabili e degli assistiti ad essi affidati.
L’Ordine sarà tempestivo nei provvedimenti di sospensione e comunicazione alle istituzioni interessate», conclude Graziano Lebiu.

Giampaolo Cirronis

 

In applicazione della legge n. 76/2021, nel territorio della ASSL di Carbonia e nel Sulcis Iglesiente, l’OPI Carbonia Iglesias valuta la sospensione dei sanitari infermieri e infermiere pediatriche inseriti negli elenchi che ATS Sardegna ieri 10 agosto 2021 via PEC ha trasmesso all’Ordine, per quanto di sua competenza. Si tratta degli infermieri che non si sono sottoposti alla vaccinazione anti-Covid-19.

«Abbiamo sempre sostenuto il valore delle evidenze scientifiche quale base dell’agire professionalespiega il presidente dell’Ordine Graziano Lebiu -. Vaccinarsi per un infermiere è in primis un dovere morale e deontologico, una responsabilità nei confronti dei cittadini e della salute pubblica, un obbligo di legge. La libertà di scegliere discende anche dall’aver compreso sia la scienza che sta dietro ai vaccini e all’infermieristica che l’esigenza delle Istituzioni compreso l’Ordine di difendere la salute e il diritto della comunità e dei cittadini e degli stessi infermieri/e a poter fare piani per il futuro.»

«Abbiamo invitato Assl Carbonia-ATS Sardegna a cercare di capire le ragioni di eventuali rifiuti da parte di iscritti all’Ordine, e se non vi fossero elementi di carattere oggettivo di passare attraverso tentativi di moral suasion, che con le verifiche aziendali di cui all’elenco pervenuto, sono con tutta evidenza terminatiaggiunge Graziano Lebiu -. Pur, a fronte di questione organizzative e gestionali, oggi valuteremo se sospendere sino al 31 dicembre 2021 il personale infermieristico del nostro Albo che non si è sottoposto alla previsione vaccinale: in tutta la ASSL Carbonia sul totale di n. 69 inadempienze solo n. 10 infermieri/e e n. 2 infermiere pediatriche saranno sottoposti al procedimento in oggetto. Gli esercenti la professione infermieristica non vaccinati sono 8 nel Distretto Iglesiente, 4 nel Distretto Sulcis, 7 in servizio al CTO di Iglesias, 3 in servizio al Sirai di Carbonia, 1 in servizio in un Poliambulatorio del Sulcis, 1 in servizio in un Poliambulatorio dell’Iglesiente, 2 risultano già COVID+.»

«Le percentuali del 17,50% circa sul totale delle inadempienze in ASSL Carbonia e dell’1,3% sul totale degli iscritti all’Ordineaggiunge Graziano Lebiuattestano quanto la quasi totalità degli infermieri abbia compreso l’importanza della vaccinazione e dei corretti comportamenti nei confronti dei cittadini, e di questo il Consiglio Direttivo ringrazia tutte le infermiere e tutti gli infermieri per le responsabilità che si sono assunti nei confronti della comunità professionale e civica del Sulcis Iglesiente. Invieremo ad ATS Sardegna, ad ASSL Carbonia e alle istituzioni competenti l’elenco dei nominativi sospesi dall’esercizio professionaleconclude Graziano Lebiu -. Restiamo a disposizione degli interessati per tutti i chiarimenti che si rendessero necessari.»

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Sabato 20 febbraio 2021 si celebra la Giornata Nazionale del Personale Sanitario, Socio Sanitario, Socio Assistenziale e del Volontariato, ed in un momento particolare per gli infermieri del Sulcis Iglesiente in ASSL Carbonia e nella Sanità Privata vogliamo condividerlo con le altre professioni, con le organizzazioni di volontariato, con le istituzioni e soprattutto con tutti i cittadini, a cui abbiamo deciso di essere vicini, che vogliamo assistere e curare, con cui vogliamo avere una relazione di prossimità, e che non lasceremo mai soli.

«Il nostro pensiero è rivolto sia ai colleghi del nostro territorio che hanno dato ben oltre la professionalità di cui sono capaci che verso altri nel SSN che hanno perso la vita per far fronte a un virus che ancora è un pericolo per la salute di tutti e che ancora ci chiede la massima attenzione, il massimo impegno, la massima partecipazione. E non dimentichiamo gli assistiti che in ASSL Carbonia hanno perso la vita infettati in ambito ospedaliero. Alle loro famiglie un sentito abbraccio dice Graziano Lebiu, presidente dell’OPI Carbonia Iglesias -. Abbiamo affrontato e saputo affrontare tutti i livelli di bisogno, rischi e assistenza, in tutti i momenti, in tutti i contesti e anche per questo motivo va a tutti gli infermieri e alle infermiere, ai coordinatori infermieristici e alle infermiere pediatriche il grazie del Direttivo dell’Ordine che abbiamo l’onore di rappresentare, colleghi che con il virus non hanno avuto a che fare solo professionalmente e con la loro umanità, ma che hanno lottato per essere stati contagiati mentre aiutavano gli altri.»

«Anche alla stampa, ai cittadini, alle istituzioni chiediamo di ricordare i nostri colleghi che non ci sono più perché hanno dato la vita per tenere alto il nome della loro professione e della Sanità Pubblica, Privata e del Volontariato. Un minuto di silenzio all’inizio della giornata e di ogni turno di lavoro compatibilmente con le esigenze di servizio, di cura e assistenza – conclude Graziano Lebiu –. La nostra professione ha ancora tanto da chiedere per la sua dignità e per il vero riconoscimento della sua crescita esponenziale degli ultimi anni, ma anche tanto da dare, come ogni giorno fa, a chi ha bisogno, a chi soffre, per essere di aiuto a chi vuole tutelare la propria salute.»

 

 

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Il presidente dell’OPI (Ordine Professioni Infermieristiche) Carbonia Iglesias, Graziano Lebiu, ritorna stamane sulla mancata attivazione del Centro Covid all’ospedale Santa Barbara di Iglesias.

«In relazione all’inadeguata risposta del PP.OO. ASL Sulcis/ASSL Carbonia/Ats Sardegna/Ares Sardegna e, soprattutto, nell’Ospedale Sirai di Carbonia, all’emergenza delle ultime settimane, avendo appreso dalla sintesi dei lavori della Conferenza Socio Sanitaria del Sulcis Iglesiente che, rispetto al piano strategico di attivazione all’ospedale Santa Barbara o in quello CTO di Iglesias di specifici reparti dedicati al Covid in ASSL Carbonia, le responsabilità operative e finanziarie del progetto di attivazione del Centro Covid all’ospedale Santa Barbara, così come previsto dalla Delibera Regionale Sardegna del 9/07/2020,(https://delibere.regione.sardegna.it/protected/51295/0/def/ref/DBR51294/) sarebbero totalmente in carico al Commissario Straordinario per l’Emergenza nella persona del dr. Domenico Arcuri, abbiamo sollecitato nell’interesse dei cittadini di conoscere direttamente dal Commissario nazionale per l’Emergenza CoViD se il ritardo nella realizzazione dei 12 posti letto di terapia intensiva nel Sulcis Iglesiente sia effettivamente riferibile alla struttura commissariale da Lui direttadice Graziano Lebiu -. Ci è, infatti, del tutto evidente che il piano di riorganizzazione della rete ospedaliera durante l’emergenza CoviD, ai sensi del comma 8 art. 2 del D.L. n. 34/2020, non possa vedere escluso il Sulcis Iglesiente dalla fruizione dei cittadini di un reparto CoVid19 dedicato, per garantire la migliore gestione dei casi che vi potrebbero essere trattati, per preservare l’operatività dei PP.OO CTO e Sirai e garantire a tutti il diritto a tutte le cure e alla salute e ad averla preservata, e per evitare i viaggi della speranza di ammalati CoViD in altri centri della Sardegna.»

«Le disparità di trattamento e di pari opportunità tra ASSL in Sardegna, ma non solo, e l’ostinazione, nei fatti, a considerare il territorio della ex provincia Carbonia Iglesias marginale rispetto all’area metropolitana cagliaritana, sono da ritenersi inaccettabiliaggiunge Graziano Lebiu -. Soprattutto la popolazione più fragile, gli anziani, i cronici, i disabili, i meno abbienti, corrono il rischio di non poter ricevere cure e assistenza adeguate perché hanno già difficoltà a spostarsi nel breve raggio, e con l’aumento dei casi di contagio da Covid-19 nel territorio e con il reparto CoViD che continua a restare una incompiuta rischiano di essere destinati a chilometri di distanza, soli.»

«Anche per questa fascia di cittadini conclude il presidente dell’OPI Carbonia Iglesias -, abbiamo sollecitato il Commissario Arcuri a fornire le delucidazioni utili a chiarire in modo definitivo se sia effettivamente sua responsabilità lo stallo registrato e come intende, se del caso, porvi rimedio.»

 

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Ha preso il via stamane, a Museo archeologico Ferruccio Barreca di Sant’Antioco, la tappa sulcitana del progetto della rete di solidarietà sociale “Ad Adiuvandum”. Il progetto, nato dalla collaborazione della Regione Sardegna con le Forze armate, associazioni e altri promotori, quali il gruppo L’Unione Sarda, Amici di Sardegna Uniti contro COVID-19 e Sarda Bellezza e, con il contributo attivo di personale infermieristico e medico, si propone di contribuire a tracciare la circolazione del virus individuando soggetti asintomatici portatori, rafforzare la tutela sanitaria, accrescere le misure di protezione nei confronti di lavoratori che assicurano servizi essenziali e aumentare la consapevolezza sociale del rischio, sostenendo l’osservanza delle regole di prevenzione sanitaria.

Test sierologici, dunque, a partire dai dipendenti comunali e da una folta rappresentanza di commercianti antiochensi raggruppati grazie all’impegno del Centro Commerciale Naturale, tutti autotassatisi per contribuire allo scopo ultimo (150 soggetti circa): «Siamo molto felici di dare il via a questo progettocommenta il sindaco Ignazio Locciringrazio i promotori dell’iniziativa: nello specifico la professoressa Maria Antonietta Mongiu, la quale si avvale della preziosa collaborazione del nostro concittadino Francesco Olla, Generale e Comandante del Comando Militare Esercito Sardegna, e di personale medico e infermieristico. Non meno importante, in questa prima fase, il ruolo dei dipendenti comunali e dei commercianti locali, che daranno il via agli esami. Successivamente, grazie al supporto degli uffici del Servizio Politiche Sociali, procederemo individuando tutte le fasce più a rischio da invitare, sempre su base volontaria, ad eseguire i test.»

Oltre agli uomini dell’Esercito, che si sono occupati dell’accoglienza, della Mongiu e del Generale Francesco Olla, oggi erano presenti un medico cardiologo e quattro infermieri, compreso Graziano Lebiu, Presidente dell’associazione infermieristica “OPI Sulcis Iglesiente”, organismo attivo sin dalla prima ora sul fronte della lotta al virus, nonché quattro studenti della Laurea in Scienze Infermieristiche: «La contestuale  campagna di vaccinazione rende indispensabile questa iniziativa di monitoraggio sierologico della popolazionecommenta Graziano Lebiuche ha lo scopo di individuare i soggetti già esposti o immunizzati e rendere conseguentemente più adeguato ed efficace in piano vaccinale che sta entrando a regime con la fase 2. È del tutto evidente l’importanza di consentire di rilevare una popolazione più ampia di anticorpi generati da una risposta immunitaria, in funzione della razionalizzazione delle scorte di vaccino, che sappiamo avere qualche criticità nelle forniture. Saremo presenti al massimo livello perché la professione infermieristica fonda le sue attività sostenendo la ricerca e le evidenze scientifiche, fondamentali di fronte all’aggressione del virus – conclude Graziano Lebiu -. Come Ordine Professionale abbiamo interesse a fare in modo che via sia la più alta partecipazione e copertura vaccinale possibile: solo con una efficace svolgimento della campagna si ridurranno anche le sfiducia dei cittadini».