Prenderà il via giovedì 10 ottobre alle ore 21.00 presso la Sala Fabio Masala della Fabbrica del Cinema l rassegna di Cinema promossa dal CSC Carbonia della Società Umanitaria “Cinema in Fabbrica – Aspettando il Carbonia Film Festival”. Il cartellone prevede 5 appuntamenti ad ingresso libero e gratuito, il martedì alle ore 18.00 ed il giovedì alle ore 21.00, tutti accompagnati dalla presenza degli autori in sala, dal 10 ottobre al 5 novembre.
Partenza giovedì 10 ottobre, alle ore 21.00, con la proiezione del film “Anna” di Marco Amenta, presentato in anteprima alle “Giornate degli Autori” a Venezia nel 2023 è il ritratto di una giovane donna e di una terra in conflitto tra il miraggio di uno sviluppo economico e la difesa della sua dignità. Dialogherà con il pubblico al termine della proiezione il regista Marco Amenta.
Si prosegue poi giovedì 17 ottobre, sempre alle ore 21.00, con “Castelrotto”, opera prima del regista marchigiano Damiano Giacomelli. Noir esistenziale, comico e grottesco, ambientato nella profondità di un’area interna del nostro Paese. Al termine dell proiezione interverranno il regista Damiano Giacomelli e l’attore protagonista Giorgio Colangeli.
Giorgio Colangeli è tra gli attori più prolifici e apprezzati del nostro cinema italiano. Vincitore di un David di Donatello e di un Nastro d’Argento, ha recitato in oltre 100 film.
Martedì 22 ottobre, cambio di orario, con inizio alle ore 18.00, per il documentario realizzato dall’autore sulcitano Roberto Carta, dal titolo “Donne di Miniera”. A margine della proiezione ci sarà un omaggio a cura della cantante Gabriella Cambarau.
La rassegna riprenderà due giorni dopo, giovedì 24 ottobre alle ore 21.00, con la proiezione del film “Il sogno dei pastori” di Tomaso Mannoni, nello sfondo di una società pastorale in lotta per la propria sopravvivenza il miraggio di un nuovo sviluppo arriverà sotto forma di un insolito ospite.
Chiusura martedì 5 novembre, alle ore 18.00, con un appuntamento speciale ovvero la prima assoluta del film di Filippo Petrucci “Guido Segre – una storia dimenticata” alla presenza del regista e del produttore e direttore della fotografia Andrea Mura, in collaborazione con l’associazione Amici della Miniera e la Sezione di Storia Locale della Cooperativa Lilith di Carbonia.
Il film racconta e descrive, attraverso varie testimonianze, la figura di Guido Segre, ebreo alla fine perseguitato dal regime e storico presidente dell’A.Ca.I., (Azienda Carboni Italiani), la società statale che controllava la gestione e l’organizzazione di tutti i bacini carboniferi dell’Italia.
Nelle intenzioni dei promotori la rassegna “Cinema in Fabbrica” intende riprendere le attività del Centro, dopo la pausa agostana, creando per il pubblico un ponte verso quelle che saranno le date in cui si svolgerà il Carbonia Film Festival che quest’anno avrà luogo nella città di Carbonia dal 13 al 17 novembre.
Il 5 novembre 2022, a Carbonia, è stato presentato il film del regista Marco Antonio Pani dal titolo: “Ignazio, Storia di lotta, d’amore e di lavoro”, realizzato per iniziativa dell’associazione “Amici della Miniera” e dai Centri di Servizi Culturali della Sardegna della Società Umanitaria, con il contributo della Fondazione di Sardegna e in collaborazione con la Fondazione Berlinguer, la Sezione di Storia locale del comune di Carbonia, Sarditalianieuropei e altre importanti collaborazioni, ha inoltre goduto del patrocinio del comune di Carbonia che ne ha ospitato la prima proiezione al pubblico.
Il film è frutto di un lavoro di ricostruzione meticolosa di una personalità poliedrica, quella di Ignazio Delogu, nel suo rapporto con la Sardegna e con il mondo; un lavoro complesso che attraversa intensamente la seconda metà del Novecento e ne incrocia significativamente molti dei suoi più illustri protagonisti.
Il merito principale del lavoro di Marco Antonio Pani consiste nell’averci restituito nella sua interezza, la fisionomia di Ignazio intellettuale, attraverso i suoi percorsi di accademico, storico, linguista, giornalista, traduttore per citare alcune delle discipline nelle quali si è cimentato, nei suoi affetti di padre, marito, compagno e nelle sue molteplici amicizie coltivate nei diversi continenti.
Per approfondimenti sulle sue notizie biografiche, segnalo curate dallo stesso autore il link che segue: https ://docplayer.it/2617884-Ignazio-delogu-1-notizie-biografiche.html; sento però il dovere, seppure sommariamente, di sottolinearne brevemente alcuni tratti: laureato in Storia ha iniziato la sua carriera universitaria a Roma, poi a Cagliari e Roma come assistente alla cattedra di Lingua e letteratura ispano americana, a partire dal 1980 alla Facoltà di Lettere Università di Bari è stato professore incaricato di Lingua e letteratura spagnola. Dal 1993 a Sassari è stato titolare della cattedra di Lingua e letteratura spagnola della Facoltà di Lettere e, dalla sua nascita della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, incaricato della cattedra di Lingua e Letteratura Catalane e di Filologia romanza.
E’ stato un Funzionario del Partito Comunista Italiano e collaboratore del quotidiano l’Unità per il quale ha svolto l’attività di corrispondente dalla Grecia, dalla Spagna nel periodo buio della dittatura Franchista e dai paesi latino americani. Questa esperienza gli ha consentito di entrare in relazione e in molti casi di coltivare solide amicizie con molti dei protagonisti della scena mondiale del secondo novecento.
Inizia contemporaneamente l’attività di traduttore per conto della casa editrice Editori Riuniti e ne diventerà di fatto il principale interprete dei testi in lingua spagnola, a lui dobbiamo la conoscenza dei primi testi di Fidel Castro ed Ernesto Guevara sulla rivoluzione cubana, dell’importante produzione poetica e letteraria ispano latino americana, ad iniziare dall’opera di Federico Garcia Lorca, di Rafael Alberti, Josè Marti, Pablo Neruda, Gabriel Garcia Marquez, per citare alcuni dei più noti.
Con alcuni stabilirà un rapporto di amicizia duraturo, quello con Rafael Alberti fu un vero e proprio sodalizio e attraverso lui riuscì a condividere l’amicizia di un altro grande, Pablo Picasso, notevole fu anche il rapporto con Gabriel Garcia Marquez e Pablo Neruda. Di quest’ultimo pubblicò, tra le altre, postuma, l’ultima raccolta di poesie a cui diede il titolo: Elegia dell’assenza, compito assegnatogli da Enrico Berlinguer (circostanza che racconta dettagliatamente nel suo libro su Pablo Neruda e l’Italia).
Nel film, scorrono immagini che testimoniano di un impegno politico che lo vide impegnato a fianco dei po poli in lotta contro le dittature, prima in un ruolo apparentemente defilato che assume evidenza pubblica quando viene incaricato, a seguito del golpe fascista di Pinochet del 1973, come segretario responsabile della direzione dell’Associazione Italia Cile e, infine, in un divertente siparietto nelle immagini televisive che lo ritraggono a fianco di Enrico Berlinguer alla Conferenza di Madrid sull’Eurocomunismo nel 1977, in qualità di traduttore.
Nel film sono presenti le toccanti testimonianze degli esuli cileni in Italia, quella di Horacio Duran degli Inti Illimani e di diverse personalità del mondo della cultura e della politica, si sottolinea il rapporto di stima e di amicizia con il Presidente cileno Salvador Allende assassinato dai golpisti nell’assalto alla Moneda l’11 settembre del 1973.
Proprio al rapporto con Salvador Allende e la vicenda cilena, dedicherà una delle sue ultime fatiche letterarie: “Parallelo Sud – Patagonia tragica, terra del fuoco e altri orizzonti”.
Calato il sipario sulla dittatura fascista, la Repubblica Cilena gli assegnò l’importante riconoscimento dell’Ordine di O’Higgins (un corrispettivo della Legione d’onore della repubblica francese) e al centenario della nascita di Pablo Neruda fu uno dei sette italiani insieme a Giorgio Napolitano e altri cinque ad essere destinatario di una medaglia d’oro commemorativa, coniata in onore del grande poeta cileno.
Nel lavoro di Pani un capitolo è dedicato al suo rapporto con la Sardegna e le città sarde, Alghero dove nacque il 5 novembre del 1928, Usini e Sassari nelle quali trascorse l’infanzia e l’adolescenza e, infine, Carbonia una città che amava e alla quale ha dedicato molte delle sue energie di studioso e di cronista.
Ho conosciuto Ignazio Delogu nel 1978 ma il mio rapporto di personale amicizia con lui, inizia nel 1980, quando ritorna a Carbonia per un’inchiesta giornalistica realizzata per conto del quotidiano romano Paese Sera e dura ininterrottamente sino ai giorni della sua scomparsa, avvenuta a Bitonto (Bari) il 28 luglio del 2011.
Ignazio Delogu, a mio giudizio, è stato tra tutti gli intellettuali sardi, quello che ha dedicato a Carbonia e alle sue vicende, un’attenzione duratura e qualitativamente più significativa.
Il suo rapporto con la nostra città inizia da bambino, suo zio materno Nino Ghinozzi (un ufficiale dell’Aeronautica) lo porta con sé all’età di dieci anni, alla giornata di fondazione di Carbonia, avvenuta alla presenza di Benito Mussolini il 18 dicembre del 1938.
Rimane colpito, Carbonia appare anche agli occhi di un bambino come la città moderna per eccellenza nel panorama urbano sardo di allora, gli dedicherà nel tempo una lunga e curiosa attenzione.
Il suo primo contatto come giornalista risale ai primi anni ’60, già dai titoli che probabilmente non sono solo redazionali, si intravvede il segno delle sue frequentazioni romane, di Carlo Levi in particolare, la cifra stilistica dei suoi articoli è in piena sintonia con la stagione del neo realismo, l’inchiesta dal titolo “Un ritratto di Carbonia”, composta da quattro articoli è realizzata per conto della Nuova Sardegna ed i suoi titoli sono significativi:
Chiusi per anni i minatori ai “medaus” e le ragazze si rifiutavano di fraternizzare;
Dietro la facciata di un mercato fiorente il tentativo di mascherare una realtà squallida;
Nei ricordi, nei racconti amari e concitati la storia di una città che forse muore;
Prostitute, biscazzieri e osti improvvisati vivevano attorno all’esercito dei primi minatori.
Nel 1961 viene pubblicato sul Contemporaneo, un allegato alla rivista politico culturale del PCI Rinascita, un saggio da titolo: Ritratto di Carbonia, è un testo che pur prendendo spunto dall’inchiesta dell’anno precedente, è più meditato, è questo il primo momento in cui inizia a valutare seriamente l’idea di scrivere un libro sulla storia della città.
Realizza altre due inchieste, nel 1980 per conto di Paese Sera, quattro articoli e nel 1984 per conto della Nuova Sardegna, ma in queste circostanze l’attenzione si concentra sulla prospettiva economica, la riapertura delle miniere di carbone, di quelle del settore metallifero e sulle vicende del polo industriale di Portovesme che è, a quella data, il principale polo italiano di trasformazione dei metalli non ferrosi.
Sono questi, gli anni in cui decide finalmente, di dare corso all’idea di scrivere un libro sulla città, un lavoro meticoloso di ricerca presso l’Archivio di Stato a Roma e con frequenti visite a Carbonia per acquisire documenti dall’archivio del Comune.
Questa fatica, troverà successo con la decisione dell’Amministrazione guidata da Ugo Piano, di sostenerne la pubblicazione in occasione delle celebrazioni per il 50° anniversario della Città di Carbonia, viene dato finalmente alle stampe il suo libro: Carbonia – Utopia e Progetto, Valerio Levi Editore.
Si tratta del primo testo nel quale viene rappresentata compiutamente la pur breve storia della città e, soprattutto, in cui vengono svelati contesto e ragioni, per molti di noi ancora inedite, in cui matura questa scelta.
Non si limitò a questo, per i preparativi del 50° della città si rivolse all’amministrazione cittadina con molte sollecitazioni che riguardavano prevalentemente la sfera artistica e culturale.
Nel 1987 venne a Carbonia in compagnia di Costantino Nivola (che poi scomparve prematuramente l’anno successivo nel mese di maggio) proponendolo per un intervento sulla piazza, cito a questo proposito testualmente da una lettera inviata al Sindaco Ugo Piano: «Ti raccomando, in particolare, la collaborazione con Costantino Nivola. E’ un grande personaggio e una grande personalità di sardo, alieno da ogni retorica, ma straordinariamente sensibile e attento. La sua idea di un “muro gravido”, dai molti significati, in una piazza riportata in pristino e da lui magari, anche modificata, mi sembra quella giusta».
In un’altra missiva indirizzata a Pietro Cocco che presiedeva il Comitato per la celebrazione del 50° anniversario della nascita di Carbonia gli sollecitava un contatto con l’ingegner Valerio Tonini per la riedizione del suo romanzo sulla nascita della città “Terra del carbone”, mi pare importante renderne pubblico il giudizio in un passaggio della lettera: «Attorno al libro e alla sua presentazione sarà opportuno realizzare un convegno, chiamando alcuni critici e studiosi della letteratura realista e neorealista, della quale l’opera di Tonini è una vera e propria anticipazione».
Fu lui a mettermi in contatto con il Tonini nel 1991 per avere l’autorizzazione per la ristampa anastatica del romanzo e poiché questi, nella primavera del 1992 venne a mancare, fu lo stesso Ignazio a mettere a disposizione del Comune la sua copia, la copia n° 90.
Nel 1998, insieme a Natasha Pulitzer, contribuì alla realizzazione, in occasione della celebrazione del 60° anniversario della Città, di un convegno dal titolo: “Dalla città di fondazione alla rifondazione sostenibile della città, con un sottotitolo dall’Autarchia alla sostenibilità. Furono invitati Giorgio Muratore storico dell’Architettura, Rossana Bossaglia storico dell’Arte, Francesca Segni Pulvirenti soprintendente regionale, Pasquale Mistretta Rettore Magnifico dell’Ateneo cagliaritano e la marchesa Etta Carignani Melzi, figlia di Guido Segre, presidente dell’ACAI, un convegno al quale partecipò il compianto Antonio Pennacchi inviato della rivista Limes diretta da Lucio Caracciolo.
Sempre per i 60 anni di Carbonia, Ignazio fu ospite del circolo dei sardi di Brescia.
Faccio questi accenni, per sottolineare una passione e un attaccamento a Carbonia che è durato ininterrottamente sino alla sua scomparsa nel 2011.
Aveva in animo di scrivere un libro nel quale raccogliere le sue inchieste giornalistiche del 1960, 1980, 1984 e il saggio del 1961 e mi aveva comunicato la scelta del titolo a cui aveva pensato: “Carbonia nel Cuore”.
Il faticoso lavoro di raccolta dei documenti, i suoi articoli, la sua poderosa produzione letteraria e poetica, che hanno ispirato la realizzazione del film, saranno custoditi in un fondo a lui dedicato, presso la sezione di Storia locale del comune di Carbonia e analogamente, come è stato annunciato, le numerose interviste effettuate per la realizzazione del film, saranno custodite presso il Centro di Servizi Culturali – Fabbrica del Cinema della Società Umanitaria.
Si tratta di materiali importanti che saranno messi a disposizione di chi vorrà, secondo la propria sensibilità e interesse, studiarne ed approfondirne l’opera intellettuale.
Il film, nel mettere in risalto i molteplici interessi con i quali si è cimentato, dedica alla figura di Ignazio Delogu poeta, uno sguardo privilegiato, infatti si conclude proprio con una sua poesia dal titolo: A bortas mind’istracco, che in italiano significa A volte so-no stanco e che vi propongo nella sua trascrizione in italiano.
A volte sono stanco.
A volte sono stanco d’esser sardo, mi si seccano, gli occhi e le labbra mi si gonfiano e il cuore incomincia a saltare come puledro nel campo.
Allora penso a luoghi lontani, forestieri, città dove sono allegre le strade, notte e giorno c’è movimento e sempre ci sono cinema, teatri e gente che saluta e parla come da noi non succede mai.
Gente civile di buoni sentimenti. Me ne vado – dico – me ne vado in luogo lontano forestiero domani me ne vado e non ritorno più saluto zio Barore e Damiano e Tottoi e Michele e Billia e me ne vado senza neanche voltarmi. Mi sembra di sentirli seduti in piazza sui cantoni:
Stai partendo? In buon’ora… se resisti… Altri che te ne abbiam visto partire… Nel caso ritorna… magari di nascosto…
Noi sempre qui ci ritrovi… Me ne vado domani o forse dopodomani.
Stasera mi siedo sulla soglia con uno sguardo saluto i vicini senza una parola e all’alba vado via senza voltarmi.
Spero che sia buon tempo e che per la strada non trovi nessuno perché se vedo gente lo so, mi fermo a chiacchierare e non trovo più il coraggio di partire.
O dico che son già tornato a prendere qualcosa che avevo dimenticato… Ignazio Delogu
Questo testo, credo riassuma fedelmente il nostro proposito di ricordarlo con questo bellissimo docufilm: non lo lasciamo andare via, Ignazio resta con noi!
Antonangelo Casula
I nostri Ospedali sono in stato di solitudine. Molti cittadini del Sulcis Iglesiente stanno perdendo il diritto a godere dei “Livelli Essenziali di Assistenza”.
Leggendo i titoli di apertura dei giornali di queste settimane si ha la sensazione che la storia, non solo quella sanitaria contemporanea, vada proprio male. Oltre alla vicenda della Salute pubblica ci angoscia la questione della guerra, dell’approvvigionamento di gas e benzina, del grano, e della corsa dell’inflazione. In realtà la Storia non è impazzita, è solo un “Sistema Complesso”, apparentemente caotico.
Il professor Giorgio Parisi ha meritato il Nobel della Fisica, dimostrando che anche il “caos” ha un suo ordine prevedibile nella ripetizione delle sue imprevedibilità. Noi ci siamo dentro.
Se osserviamo, nella storia dell’ultimo secolo, come si sono sviluppati i servizi sanitari locali del Sulcis Iglesiente ci accorgiamo che tra guerre, spopolamenti, epidemie, inflazioni, sconvolgimenti politici, la nostra storia sanitaria ha un suo percorso logico. Storicamente il Sulcis Iglesiente non ha mai avuto una sua Sanità ospedaliera. Questa è stata un miracolo sociale nato nel ventesimo secolo, e oggi è insensato pensare di perderla. Sappiamo che nell’anno 1904 esisteva un ospedaletto a Buggerru, voluto dalle Società minerarie francesi, per curare gli operai sardi vittime di incidenti in galleria. Allora esisteva anche un ospedale un po’ più attrezzato ad Iglesias. Carbonia non esisteva ancora. L’unico ospedale degno di questo nome si trovava a Cagliari: il San Giovanni di Dio. Era lontanissimo, e le strade per arrivarci erano adatte ai carri trainati da animali. I treni comparvero dopo. Erano anni in cui l’assistenza sanitaria si limitava a legare i “matti”, a isolare i lebbrosi, ad amputare gli arti, a raddrizzare le ossa ai fratturati, e basta. Non esisteva la chirurgia ginecologica, e la chirurgia ostetrica si limitava al cesareo a ”mamma morta”. Le donne del Sulcis che avevano un parto difficile dovevano morire in casa, col bambino dentro, consolate dall’affetto dei parenti. La comparsa degli ospedali di Iglesias e di Carbonia fu un improvviso miracolo della storia.
Quegli ospedali non sorsero per noi. Sorsero per una combinazione di interessi. Furono il risultato di una trattativa della Storia: Sulcis vs/ Stato italiano. Il Sulcis voleva lavoro e servizi, e lo Stato voleva il sottosuolo del Sulcis. Il cuore dello Stato cominciò a battere per il Sulcis quando si scoprì che qui c’era il carbone. Eravamo entrati nell’era dei combustibili fossili. Vi eravamo entrati già nel 1800, però l’importanza del carbone arrivò ai vertici della classifica quando, nel corso della Prima Guerra Mondiale, si capì che l’avrebbe vinta chi aveva più benzina per i mezzi corazzati. Nel 1918, in piena offensiva tedesca, la società petrolifera americana Standard Oil interruppe le sue consegne di carburante alle parti in conflitto. La Germania per un po’ ebbe la meglio perché dall’anno 1913 aveva iniziato a produrre benzina sintetica estratta dal carbone. Poi le cose si invertirono quando gli americani intervennero portando la loro benzina estratta dal petrolio. Questo fatto costrinse i futuri protagonisti della Seconda Guerra Mondiale ad ideare possibili alternative alla benzina estratta dal petrolio. Era chiaro che da allora in poi tutti gli scontri bellici sarebbero stati decisi, soprattutto, dalla disponibilità di fonti di combustibili fossili e quindi dall’approvvigionamento di benzina e gasolio.
Nell’intervallo fra le due guerre le nazioni che detenevano il commercio del petrolio erano gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Francia e la Russia. La Germania, l’Italia ed il Giappone non possedevano risorse proprie di petrolio e dovevano acquistarlo proprio dai potenziali avversari. La Germania continuò ad approvvigionarsene dagli Stati Uniti fino al 1940, mentre il Giappone continuò a comprarlo dagli Stati Uniti fino alla battaglia di Pearl Harbor nel 1941. La fornitura di petrolio poteva essere interrotta in qualsiasi momento dai paesi produttori. L’Italia aveva vissuto quell’esperienza nel 1936, con le “inique sanzioni”. Le sanzioni all’Italia, volute da Francia ed Inghilterra, consistettero proprio nell’interruzione di fornitura di combustibili fossili.
L’Italia era colpevole per aver avviato la O.M.S. (Operazione Militare Speciale) contro l’Etiopia, membro della Società delle Nazioni. Per questo motivo già un anno prima, in previsione dell’annessione dell’Etiopia, e della sanzione energetica, Benito Mussolini visitò la miniera di Bacu Abis. Da quella visita nacque il progetto di produrre carburanti per la Nazione dal carbone del Sulcis. L’interesse per il nostro carbone derivava dal fatto che in Germania già si produceva benzina sintetica dal carbone dalla Ruhr. Anzi, si faceva di più. Nel 1913 il dottor Bergius aveva messo a punto un metodo di raffinazione del carbone ottenendone benzina sintetica, gasolio, olio per motori e catrame.
Nell’Alta Slesia erano sorte raffinerie che avevano lo scopo di rendere la Germania indipendente dal petrolio americano e russo. Nel 1939 l’azienda tedesca IG Farben era già arrivata al massimo della produzione di carburante sintetico. Tuttavia, allo scopo di aumentare la disponibilità di carburante per la guerra i nazisti avevano predisposto un piano per occupare i pozzi petroliferi di Baku in Azerbaijan. Un metodo simile per l’ottenimento dell’autonomia energetica venne adottato dal Giappone. Qui si distillò benzina dal carbone e si predispose un piano per l’occupazione dei pozzi petroliferi in Manciuria. L’Italia aveva il più vasto bacino carbonifero nel Sulcis ed allestì a Sant’Antioco, in località Ponti, gli impianti per una raffineria di benzina a partire dal carbone. Il direttore generale del progetto fu l’ingegner Guido Segre.
Il Sulcis divenne la nuova frontiera per l’Italia. Guido Segre progettò la miniera di Serbariu, l’ampliamento del porto di Sant’Antioco, un vasta rete ferroviaria, la raffineria della A.Ca.I.* a Ponti, una rete stradale efficiente, la centrale elettrica di Santa Caterina, la città di Carbonia con tutti i Servizi adeguati ad una nuova città industriale. Tra essi spiccò l’Ospedale Sirai. Il Sulcis, che per secoli era stato lontano dagli interessi dei Governi, improvvisamente divenne il luogo fisico più vicino al cuore dello Stato. Il potere politico volle una città modernissima ed una Sanità eccellente. Il merito di questo forte interesse stava nel progetto di fare del Sulcis la fonte di energia per una Nazione che entrava in guerra.
Data l’enorme importanza strategica dell’approvvigionamento energetico, il porto Ponti, lo stabilimento dell’A.Ca.I., e la centrale di Santa Caterina divennero ripetutamente bersaglio dei bombardieri della RAF, alla pari delle città tedesche di Bleckammer e di Oderstal, in alta Slesia, anche esse sedi di raffinerie di benzina sintetica.
Nel 1943, dopo l’Armistizio, l’amministrazione militare americana e inglese decisero la chiusura dello stabilimento della benzina sintetica a Ponti. Ciò fu deciso per un motivo puramente commerciale. Il consumo della benzina italiana doveva dipendere dall’esclusivo mercato anglo-americano. Con la fine dell’economia mineraria del Sulcis, iniziò il decadimento del sistema sanitario locale. Per un paio di decenni questo venne attenuato dalla nuova industrializzazione di Portovesme e dalla legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978. Caduto anche il polo industriale, cadde l’interesse per il Sulcis Iglesiente.
La Storia non è mai uguale a se stessa, tuttavia esistono dinamiche socio-economiche che, seppur apparentemente caotiche, possono essere utilizzate come esempio, col rischio di sbagliare, per interpretare il presente ed il futuro possibile. Ecco alcune similitudini storiche da cui vale la pena attingere informazioni per tentare di capire cosa sta avvenendo.
Dopo la fine dell’Impero Romano d’Occidente iniziò il decadimento politico e iniziò la povertà secolare dell’Italia. Durante la dominazione bizantina in Sardegna nacquero i Giudicati altomedioevali. Il Medio-Evo portò lo spopolamento dei territori, la nascita di piccoli potentati locali, e l’accentramento della scarsa popolazione nei borghi intorno ai castelli. Ciò avveniva perché il popolo aveva necessità sia della giustizia che della sicurezza sociale, dei commerci e di alcuni servizi basilari.
Quanto sta avvenendo oggi non è una replica della Storia passata, tuttavia esistono gli elementi che stanno alla base dello spopolamento dei territori e del loro impoverimento: sono i fattori politico-sociali che esercitano una spinta verso l’accentramento dei Servizi nelle città capoluogo. Principalmente vengono accentrati i Servizi della Sanità, dell’Istruzione, della Giustizia, dei Trasporti, e dei posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione.
La storia ci insegna che i territori per contare debbono essere necessari nella dinamica economica ed incidere negli equilibri della geopolitica.
Oggi stiamo tornando al centro dell’attenzione e forse potremmo contare. Siamo nelle condizioni di contrattare i Servizi ed altri vantaggi in cambio di energia. E’ già successo. Oggi tutti vogliono – in particolare da noi del Sulcis Iglesiente -: energia eolica (campi di torri per pale eoliche off-shore nei nostri mari), energia solare (campi di impianti fotovoltaici a terra), percorsi per condotte di gas, disponibilità di spazi nei mari della nostra fascia costiera per rigassificatori galleggianti e porti per navi da rigassificazione a bordo banchina), impianti per la produzione di idrogeno verde ottenuto da elettrolisi con energie rinnovabili, elettrodotti di energia rinnovabile per altre regioni e, forse, benzina sintetica a bassissima emissione di CO2 e olii per motori.
Nonostante l’opposizione che sta crescendo in Sardegna contro tali progetti nati al di fuori della Regione, è ragionevole supporre che, comunque non usciremo indenni da tutte le richieste e qualcosa dovrà essere ceduto.
A questo punto, tanto varrebbe avviare una trattativa per subire il minor danno possibile ed ottenere il maggior vantaggio possibile.
Forse potremmo ancora invertire la rotta dell’accentramento dei Servizi nei capoluoghi, e riportarli indietro nel Sulcis Iglesiente. Nel frattempo è necessario proteggere la Sanità che abbiamo.
Mario Marroccu
* Le notizie sullo stabilimento A.Ca.I., per la produzione di benzina sintetica a Ponti, sono tratte dal libro “Sant’Antioco nel ventennio sardo fascista”, di Gabriele Loi.
Il 20 gennaio su iniziativa della associazione “Amici della Miniera” presso la Sezione di Storia Locale è stato presentato “Carbonia progetto e costruzione al tempo dell’autarchia”, e-book a cura di Antonello Sanna e Giuseppina Monni.
All’iniziativa, introdotta da Gian Matteo Sabiu, sono intervenuti gli autori, a nome dell’Amministrazione comunale di Carbonia, gli assessori Giorgia Meli e Pierangelo Porcu, Tore Cherchi e, infine, collegata da remoto, Natasha Pulitzer, figlia di Gustavo, che ne ha definito il ricordo familiare e professionale, con un intervento articolato, attraverso cinque atti tra ’800 e ‘900.
Nel corso dell’introduzione, Mario Zara, presidente dell’associazione Amici della Miniera, nel sottolineare il ruolo dell’associazione nella promozione del ricordo di personalità che si sono distinte nella storia della Città di Carbonia, ha avanzato la proposta di dedicare, in un luogo da identificare nel centro cittadino, analogamente a quanto è stato già fatto ad Arsia in Istria, una targa commemorativa per ricordare la figura dell’architetto Gustavo Pulitzer (1887-1967).
L’assessore Giorgia Meli, a nome dell’Amministrazione comunale ha accolto con favore la proposta nell’auspicio di poter celebrare l’evento nella prossima primavera.
L’E-Book
Merita una lettura attenta, è un’opera ben strutturata con un corredo documentale pregevolissimo, nella quale si uniscono armonicamente l’inquadramento storico della vicenda e l’informazione tecnica, punti di osservazione utili entrambi a documentare il processo di costruzione della Città di Fondazione.
Si mette in evidenza il ruolo recitato dall’architetto Pulitzer, non solo nella progettazione del centro cittadino, la cui impronta è ben visibile e documentata ancora oggi, ma anche nella redazione delle scelte urbanistiche originarie. In particolare, in modo molto pertinente, sottolinea il ruolo niente affatto subordinato di Pulitzer anche nelle scelte di pianificazione della città nuova.
Queste affermazioni trovano riscontro in maniera più nitida dalla lettura dei diari tenuti dall’autore, che aprono una nuova prospettiva nella conoscenza delle vicende urbanistiche che precedono la nascita di Carbonia.
Ho avuto il privilegio, dall’architetto Natasha Pulitzer, sua figlia, che ne ha curato la trascrizione, di poterli consultare e divulgarne il contenuto nelle sue parti più significative.
I diari sono concernenti gli anni 1935-1938, periodo in cui Pulitzer viene incaricato di redigere, prima il piano urbanistico di Arsia in Istria (oggi Croazia) e successivamente di Carbonia.
Il contesto in cui matura la decisione di far nascere Carbonia è stato tratteggiato puntualmente da Ignazio Delogu nel suo libro “Carbonia: Utopia e progetto”, nel quale sono descritti con un dettaglio unico luoghi (Trieste) e ambienti quali quelli della finanza ebraica rappresentata dal Commendator Guido Segre, destinato nel breve volgere del tempo, alla “damnatio memorie”.
Sarà proprio Segre uno dei principali attori dell’imprenditoria triestina, ad incaricare Pulitzer sia per la progettazione di Arsia che per quella di Carbonia.
I diari
Dalla lettura dei diari emergono novità assolute e al tempo stesso una conferma alcune intuizioni contenute nel libro di Antonello Sanna e Giuseppina Monni, una miniera di informazioni, sugli stati d’animo del Pulitzer, i rapporti con i colleghi, considerazioni sul tempo, frequentazioni di luoghi e di persone che hanno segnato nella sua traiettoria di vita, passaggi della vita nazionale, Marcello Piacentini, Giovanni Battista Ceas, Giò Ponti, Eugenio Montuori per citarne alcuni noti nel ramo dell’architettura.
Il primo contatto segnalato riguardo al suo impegno per Carbonia, risale al 19 ottobre 1936 quando tutto inizia: «Dal Com. Segre, parlo della questione del terreno… e della commessa Sardegna».
1 novembre 1936: «Arriva Ceas (uno dei progettisti di Arborea e socio dello studio Stuard fino al 1926) a casa nostra a colazione. Gli parlo del lavoro in Sardegna»
1937
12 gennaio: «Alla stazione per salutare Segre che parte per la Sardegna».
12 aprile: «Tempo sempre incerto, parlo con Segre del lavoro che sto facendo per la Sardegna».
13 aprile: «In ufficio lavoriamo al Piano Regolatore per la Sardegna».
16 aprile: «In ufficio si lavora per il piano regolatore della Sardegna. Temporale».
22 aprile: «Ultimiamo il Piano Regolatore per la Sardegna».
23 aprile: «Milano. A colazione da Ponti, Giornata serena. Cattive informazioni dall’arch. Valle che ha da essere consultato per la Sardegna, vedo quindi prospettive poco allegre per questo lavoro»
4 maggio: «Il nostro progetto del piano regolatore per la Sardegna è stato consegnato a Roma all’ing. Valle e arch. Guidi – hanno accettato e non cambiano nulla salvo qualche dettaglio»
21 maggio: «La mattina mi viene a prendere Segre e Guidi. Incontro con ing. Valle. Buona impressione. A colazione con Ceppi – ci mettiamo d’accordo sulla ripartizione del lavoro – a Valle e Guidi piano regolatore e scuole – a Montuori albergo e ville impiegati – per me in centro urbano – resta in forse la chiesa». «Segre alle 11 ha visto il capo (Mussolini) che ha accettato completamente il programma finanziario per le miniere della Sardegna.»
7 giugno: «Colloquio con Ceppi e con gli arch. Valle Guidi e Montuori. Cena al Quirinale all’aperto – bellissimo – … riparto».
19 giugno: «Consegno a Lach (collaboratore dello studio STUARD ) il mio progetto per la piazza di Carbonia».
19 giugno: «Occupazione di Bilbao da parte dei nazionalisti. Bagno a Sistiana. Colloquio con Segre a cui mostro il progetto di Carbonia, la Chiesa ancora in forse».
1 luglio: «Alle 11 partiamo da Ostia con l’aereo per Cagliari, Ceppi, Guidi, Montuori ed io. Dopo pranzo a Bacu Abis e nella zona del futuro villaggio di Carbonia».
2 luglio: «Discuto con Ceppi i miei progetti, poi con Guidi la pianta del centro urbano che avevo sostanzialmente modificato e che ora riporto a Guidi per dargli una soddisfazione come autore del piano regolatore. Parto alle 15 con l’aereo, la sera parlo col dott. Frasca – riparto per Trieste».
15 luglio: «Si lavora al progetto per il centro urbano di Carbonia».
21 luglio: «È morto Marconi a soli 63 anni – il mondo intero esalta la memoria del grande genio che darà nome al suo secolo».
20 agosto: «Lavoro febbrile per i disegni del norvegese e per preparare progetti di Carbonia (chiesa e resto) che Lach dovrà portare a Fusine dal Comm. Segre».
17 settembre: «In ufficio lavoro intenso per Carbonia. Progetto di Teatro».
19 settembre: «Preparo nuovo progetto per il Municipio di Carbonia, 21 parto per Roma».
22 settembre: «A Roma lunga conferenza con ing. Ceppi, con Guidi e con Valle. Esamino con Valle Casa e con Galante i lavori del bar Ambasciatori – Ceppi a nome di Segre insiste perché il lavoro si faccia con paternità collettiva. Non sono per niente convinto».
24 settembre: «Piove. Lach torna da permesso di 5 giorni. Facciamo nuovi progetti per alcuni edifici della Piazza di Carbonia».
3 ottobre: «In ufficio si lavora per spedire i progetti di Carbonia a Roma».
9 ottobre: «Disegniamo prospettive piazza Carbonia – sono scontento della planimetria generale impostata da Guidi e Valle»
20 ottobre: «Da Roma mi fanno urgenza per la consegna dei progetti Carbonia. Sono inquieto e tormentato perché non soddisfatto di alcuni particolari».
21 ottobre: «Con Segre, Tannini, Alessi ad Arsia per i preparativi dell’inaugurazione che avrà luogo il 4 novembre. Giornata luminosa».
22 ottobre: «Nel mio ufficio si è fatto un modello della piazza di Carbonia – con ciò posso controllare meglio il rapporto fra i vari edifici. All’ultimo momento trovo una soluzione anche per l’edificio poste bar – incomincio ad essere più tranquillo».
23 ottobre: «Spediamo a Roma disegni per gli edifici della piazza di Carbonia».
27 ottobre: «Esamino il modello della piazza di Carbonia».
Con quest’ultima notazione si conclude il diario del 1937, nel 1938 con una lettera datata 1° agosto lamenta il pagamento della sua parcella. Cala il sipario sul suo impegno per Carbonia.
Siamo ormai prossimi alla data del 18 settembre del 1938 in cui Benito Mussolini a Trieste pronuncia il discorso che annuncia l’emanazione delle leggi razziali; può apparire un paradosso: siamo a tre mesi dall’inaugurazione di Carbonia che avverrà il 18 dicembre del 1938 e proprio a Trieste, dove tutto era incominciato, si chiude il cerchio di questa vicenda con l’immediato allontanamento dei principali protagonisti di questa “avventura” dalla scena pubblica.
Guido Segre fu rapidamente rimosso dalla direzione dell’Azienda Carboni Italiani, Gustavo Pulitzer abbandonerà l’Italia, cogliendo l’occasione rappresentata dall’incarico della progettazione del padiglione “Italian Restaurant Conte di Savoia alla Fiera Internazionale di New York”. Tornerà in Italia 9 anni dopo nel 1947.
Tore Cherchi, nel corso del suo intervento, ha giustamente richiamato l’attenzione sulla data del 27 gennaio dedicata al giorno della memoria in ricordo della Shoah, una delle pagine più buie dell’intera storia dell’umanità. Si tratta di un richiamo attinente al nostro racconto, vorrei ricordare in questa sede uno degli altri nomi dell’architettura del ventennio: Giuseppe Pagano che fu incaricato di redigere il piano urbanistico che prevedeva il raddoppio del comune di Portoscuso; concluse la sua sfortunata esistenza nel campo di sterminio di Mauthausen.
A Carbonia si intravide da subito la sua forte vocazione urbana con tutti gli elementi di modernità che la contraddistinsero, mettendola in qualche modo, in oggettivo contrasto con le parole d’ordine che avevano caratterizzato la propaganda dedicata dal regime fascista delle città di Fondazione, sia dell’Agro Pontino che della stessa Arborea: bonifica e ruralizzazione.
La stessa narrazione di queste vicende, talvolta accompagnata ancor oggi da toni nostalgici, delle quali non intendo sminuire in alcun modo grandezza e valore, spesso ne ignora la complessità e la dialettica che ha generato; c’è, infatti, una fase precisa nella quale emergono pubblicamente elementi di deterioramento nei rapporti tra ingegneri, architetti e committenza pubblica, che talvolta resero necessario l’intervento riparatore dello stesso Mussolini, come nel caso di Sabaudia e della Stazione di Firenze.
La lettura dei diari rivela in modo inequivocabile il ruolo preminente esercitato da Pulitzer non solo nella progettazione del Centro Urbano, degli Alberghi Operai, etc. ma nella redazione stessa del Piano Regolatore della Città, attribuito finora a Valle e Guidi e del quale può essere considerato a pieno titolo uno dei principali autori.
Gustavo Pulitzer Finali, nonostante il suo valore sia stato colpevolmente sottovalutato in sede storica e anche dagli ambienti dell’Accademia, è ricordato per il grande contributo fornito all’architettura navale del nostro paese e sulla scala europea, ebbe committenti di grande caratura nel ramo civile, dall’Armatore Cosulich, al Lloyd Sabaudo, quello Triestino, alla Società Italia, come ne ebbe altrettanti importanti anche dalla Marina Militare Italiana come quello delle Corazzate Vittorio Veneto, Andrea Doria, Roma, per citare le più note.
In questo panorama, siamo nel nefasto ventennio, Pulitzer non prese mai la tessera del PNF (Partito Nazionale Fascista), aggiungo con piacere un richiamo presente del già citato libro di Sanna e Monni a proposito del suo stile: «… da sempre avverso a qualsiasi forma di elogio del fascismo».
Credo che la decisione di ricordarne solennemente la figura, con l’apposizione di una targa commemorativa nella nostra città assunta dall’Amministrazione comunale, riassume con un gesto semplice la gratitudine che noi tutti gli dobbiamo.
Antonangelo Casula
Nel 1998 in occasione delle celebrazioni del sessantesimo anniversario della nascita della Città di Carbonia d’intesa con la Giunta e con i gruppi consiliari, mettemmo in cantiere diverse iniziative, tra le quali un convegno dal titolo “Dalla città di fondazione alla rifondazione sostenibile della città“ con sottotitolo dall’autarchia alla sostenibilità.
Costruimmo un programma, d’intesa con l’arch. Natasha Pulitzer (figlia di uno dei progettisti della città Gustavo Pulitzer Finali) ed il professor Ignazio Delogu coinvolgendo relatori e testimonianze di alto profilo, Giorgio Muratore storico dell’Architettura, Rossana Bossaglia storico dell’Arte, Francesca Segni Pulvirenti Soprintendente Regionale, Pasquale Mistretta Rettore Magnifico dell’Ateneo Cagliaritano e, infine, la Marchesa Etta Carignani Melzi (figlia di Guido Segre, Presidente dell’Aca.i.).
Il convegno era un’occasione per confrontare con una platea di specialisti, alcuni indirizzi programmatici dell’Amministrazione comunale, allora impegnata in un progetto di Recupero Urbano nell’area del Rio Cannas e in uno più complessivo di riqualificazione urbana dell’intera città.
A lavori inoltrati, giunto il momento di dare la parola al pubblico presente per domande o approfondimenti, chiese di intervenire, un signore con a noi tutti sconosciuto, con in testa un caratteristico cappellino, che iniziò la sua prolusione con toni per noi inediti.
Parlava il “ciociaro dei burini” come si dice a Roma e accompagnava le sue argomentazioni con una vis polemica che in seguito – divenuto famoso alle cronache – ci sarebbe apparsa estremamente familiare, era Antonio Pennacchi da Latina. La sua notorietà al grande pubblico si realizzò, infatti, diversi anni più tardi, nel 2010, con la vittoria del concorso letterario Premio Strega con il libro Canale Mussolini.
Le prime schermaglie riguardarono Muratore, reo di aver presentato Sabaudia come un modello, mentre per Antonio, Sabaudia era uno scenario di cartone, buono solo per Cinecittà, ma questo racconto lo troverete in un suo libro dal titolo “Fascio e martello-viaggio per le città del Duce” in un capitolo titolato “Carbonia Hag”.
Ci siamo chiesti: ma questo com’è che è arrivato a Carbonia?
Era l’inviato di una prestigiosa rivista italiana di Geopolitica, LIMES, tuttora diretta da Lucio Caracciolo e su suo impulso avrebbe visitato in lungo e in largo le Città di Fondazione e d’intesa con Carlo Fabrizio Carli, promosso un Inventario delle Nuove Fondazioni in Italia a cavallo degli anni Trenta.
Scoprii quasi subito l’arcano, aveva appreso dell’iniziativa da un comune amico di Latina, Carlo Santoro, che aveva in quegli anni un rapporto di collaborazione con il nostro Comune.
Nel citato articolo “Carbonia Hag”, Antonio Pennacchi racconta una disavventura accaduta in verità a Natasha Pulitzer e al sottoscritto, non a Giorgio Muratore (come Antonio si sarebbe augurato); io e la Pulitzer fummo investiti sulle strisce pedonali e la Natasha rimediò uno stivaletto di gesso con il quale sarebbe ritornata dalla sua famiglia a Bassano del Grappa.
Al rientro dall’Ospedale Sirai, ci recammo presso il Ristorante Bovo per la cena e lì trovai Antonio Pennacchi seduto ad un tavolo appartato, lo invitai a stare con noi e vi lascio immaginare l’incontro con Ignazio Delogu: due parlatori torrenziali, una sfida dai contorni divertentissimi, essendo ambedue dei narratori instancabili e formidabili.
Ebbe, sul piano politico, un percorso contraddittorio, prima militante del MSI, poi approdato all’Unione dei Marxisti Leninisti sotto l’emblema maoista, poi ai partiti più tradizionali della sinistra, sua sorella Laura, economista di vaglia, è stata parlamentare del PDS e dei DS e componente del primo governo Prodi, con l’incarico di sottosegretario di Stato al MEF.
Amava parlare di questo suo percorso politico, senza infingimenti e ipocrisie, era persona schietta e di valori profondi.
La sua scomparsa è una grande perdita per la cultura del nostro paese e questo mio ricordo personale, vuole essere una testimonianza sincera di affetto e di stima, per una persona genuina, irrequieta, ma mai banale.
Antonangelo Casula
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Dieci anni fa è morto Pietro Cocco, il sindaco per eccellenza della città di Carbonia. Nato a Iglesias, classe 1917, diciottenne, anno 1935, fu condannato dal fascismo a due anni di confino. Li scontò a Cortale, in Calabria. Finita la pena ritornò in Sardegna. Vi restò giusto due mesi, il tempo per essere nuovamente condannato, questa volta a cinque anni, destinazione l’isola di Ponza dove fu tradotto a fine agosto 1937. A Ponza erano confinati alcuni dei maggiori dirigenti del Partito comunista, Pietro Secchia, Gerolamo Li Causi, Mauro Scoccimarro, Umberto Terracini, futuro Presidente dell’Assemblea Costituente. Qui frequentò una grande scuola di politica ma non solo di politica. I comunisti avevano il costume di organizzare vere e proprie scuole di storia, economia, filosofia, ovunque fossero confinati o imprigionati. Consideravano lo studio un dovere. Lottavano e si preparavano, anche elevando la loro cultura, a ricostruire l’Italia dalle macerie della dittatura. Pietro Cocco non smarrì questo costume neanche da vecchio. Quando andavo a trovarlo nella sua casa di campagna, luogo del suo ritiro, se non era impegnato in qualche attività agricola, era immerso nella lettura di qualche testo importante. Da Ponza fu rispedito a Cortale e poi a Maida sempre in Calabria. A venticinque anni aveva maturato sette anni di confino. Non si perse d’animo, però. E’ proprio di chi una grande forza dentro di sé, essere ottimisti sul futuro. In quegli anni di confino si creò una famiglia con due figli.
Nel dicembre del ’38 il fascismo inaugurò Carbonia. Pietro Cocco era confinato ma di sua spontanea volontà certamente non avrebbe partecipato ad alcuna cerimonia. Del fascismo aveva compreso per tempo la tragica natura. Con la dittatura erano arrivate le leggi sulla razza, quelle che costrinsero il principale costruttore della città Guido Segre, ebreo, a rifugiarsi in Vaticano, dove vi morì, e uno dei suoi maggiori progettisti, Gustavo Pulitzer Finali, altro ebreo, a emigrare negli Stati Uniti per sfuggire ai campi di sterminio. Sorte tragica incontrò Giuseppe Pagano, altro grande architetto impegnato nel Sulcis, deportato e assassinato a Mauthausen. L’epilogo fu la guerra scatenata dal nazismo tedesco, dal fascismo italiano e dall’imperialismo giapponese, responsabili di oltre cinquanta milioni di morti. Questo era il fascismo.
Riconquistata la libertà, i minatori distrussero i simboli del fascismo, punirono la complicità e la viltà della casa sabauda votando per la Repubblica, portarono alla carica di sindaco della città, il primo, un operaio, Renato Mistroni, che dal fascismo era stato condannato a dodici anni di carcere. I minatori scrissero un’altra storia.
La città, stremata dalla guerra e dalla disoccupazione, riprendeva vigore: il carbone era necessario per la ricostruzione e richiamava nuovo afflusso di persone. Non durò molto quella situazione di ripresa, perché il bacino carbonifero fu precipitato in una crisi acuta che metteva in discussione la stessa sopravvivenza della città.
Questa Carbonia trovò Pietro Cocco quando rientrò nel Sulcis e vi si stabilì lavorando nelle miniere, stringendo subito un legame forte con i suoi minatori e quindi con l’insieme della comunità. Era un leader nato. Fu eletto nel primo Consiglio regionale della Sardegna, anno 1949, carica da cui si dimise per accettare la candidatura a sindaco di Carbonia. Affrancò l’amministrazione comunale dalla sudditanza verso l’azienda carbonifera che era padrona di tutto. Sviluppò la partecipazione democratica nei quartieri e nelle frazioni. Difese la città e ne parlava a suo nome, non solo perché ricopriva una carica ma perché manteneva ben saldo il rapporto con il mondo del lavoro operaio e dell’imprenditoria locale e con l’insieme delle forze politiche, minoranza compresa. Un sindaco non è un pur bravo burocrate, deve comprendere le esigenze fondamentali della comunità che rappresenta e verso cui ha responsabilità, deve essere un costruttore di unità e non di fazioni, unità di tutta la città, non di una sua parte. Una personalità del suo prestigio avrebbe potuto avere cariche in altre istituzioni. Da consigliere regionale si dimise e, per quanto ne conosco anche direttamente, non ambiva al Parlamento. Ricoprì l’incarico di sindaco in più periodi; usò bene il tempo. Aggiungo un ricordo personale. Negli anni in cui sono stato sindaco ho avvertito molto forte il suo ascendente e il rispetto verso la sua persona; gli ho chiesto spesso consiglio e lui è stato generoso nel sostegno e nell’incoraggiamento.
Chi oggi voglia cimentarsi nella guida della città, dovrebbe meditare sul lascito di Pietro Cocco, a maggior ragione perché la situazione sociale è molto grave. Lo faccia con umiltà. Ne trarrà insegnamento su come si possa essere un buon sindaco o una buona sindaca anche in tempi difficili.
Tore Cherchi