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Le imprese artigiane del Sulcis sono al collasso, tra redditi bassi e costo del danaro alle stelle. Sono in 2.128 a dare lavoro a 3.801 persone, in un territorio di 23 comuni, 127.857 abitanti e 54.418 famiglie. Un tessuto produttivo, quello artigiano, che arretra anno dopo anno (il 2016 ha chiuso con -28 imprese) travolto dai tassi d’interesse più cari d’Italia (9,44%), da una fiscalità che arriva al 64,8%, dalla burocrazia che non allenta la morsa nonostante le nuove leggi regionali, da inconcepibili sprechi, da riforme vessatorie, inutili o mai attuate, e da un sistema socio economico devastato dalla disoccupazione che ha sfondato il 20% e da un reddito pro-capite pari a 9.626 euro per abitante, inferiore di 832 euro rispetto alla media regionale.
Sono questi i numeri sul tessuto produttivo del Sulcis Iglesiente che emergono dal dossier realizzato dall’Osservatorio sulle MPMI di Confartigianato Sud Sardegna che, attraverso i dati UnionCamere e Istat della fine del 2016, ha analizzato la struttura imprenditoriale di ogni singolo comune dell’ex provincia Carbonia Iglesias.
«E’ passato un altro anno e, anziché dell’auspicata ripresa, nel Sulcis, mancano all’appello altre 28 imprese artigiane – spiega Luca Murgianu, presidente di Confartigianato Sud Sardegna – per trovare una platea di imprese così “esigua” nel territorio bisogna tornare con le lancette agli anni 90. Questi dati sono la palese dimostrazione di ciò che diciamo da anni le imprese sarde non sono tutte uguali, soprattutto quelle artigiane di questa zona sono molto fragili e, in più, operano in un contesto economico ancora più problematico.»
Dall’analisi, emerge una situazione critica per un territorio il cui sistema imprenditoriale è costituito per il 96,5% da imprese con meno di 10 addetti e che occupano il 60,2% dei lavoratori del territorio. Se le 9.534 imprese complessivamente registrate hanno segnato +74 unità in più (+0,8%) rispetto allo stesso periodo del 2015, l’artigianato, con 2.128 realtà, pari al 22,3% del totale delle attività registrate presso le Camere di Commercio, ha subìto un decremento dell’1,3%, contando 28 imprese in meno. Delle oltre 9 mila imprese, il 7,3% è costituito da attività Manifatturiere (692), il 13,0% da Costruzioni (1.237) e il 50,5% da Servizi (4.817) mentre nell’artigianato il 22,5% opera nel Manifatturiero (479), il 36,6% nelle Costruzioni (778) e il 40,4% nei Servizi (858). In ciascuno dei tre macro-settori esaminati l’artigianato rappresenta il 69,2% del totale delle imprese nel Manifatturiero, il 62,9% del numero totale di imprese delle Costruzioni e il 17,8% delle imprese dei Servizi. Le aziende artigiane, con dimensione media di 2,3 addetti/impresa, contano complessivamente 3.801 occupati, di cui 1.628 dipendenti (42,8%) e 2.173 indipendenti (57,2%).
Tra i comuni a più alto tasso di imprenditorialità, ben 476 imprese artigiane si trovano a Carbonia, 426 a Iglesias, 180 a Sant’Antioco e 158 a Carloforte, 114 a Domusnovas e 96 a San Giovanni Suergiu. Nelle imprese manifatturiere primeggia Iglesias con 102 realtà, seguita da Carbonia con 96 e Carloforte con 49. Nelle costruzioni, prima Carbonia con 154, seguita da Iglesias con 125 e Sant’Antioco con 67. Stesse posizioni anche nei servizi: prima Carbonia con 224 e seconda Iglesias con 196 e terza Sant’Antioco con 73.
«Le nostre imprese hanno bisogno di attenzioni particolari riguardo i finanziamenti, l’accesso al credito, la riduzione degli oneri fiscali e il taglio della burocrazia – commenta Norella Orrù, artigiana e dirigente regionale di Carbonia per Confartigianato Sud Sardegna – è innegabile che il loro peso specifico non sia minimamente equiparabile alle realtà con bilanci da milioni di euro e con centinaia di dipendenti». Norella Orrù sottolinea la necessità di continuare, da parte della Regione, sull’incentivazione delle micro, piccole e medie imprese, attraverso i sostegni automatici fino al 50% che consentono finanziamenti per l’acquisto di attrezzature e servizi. «Il recente successo dei bandi per le imprese, pubblicati pochi mesi fa, sono la prova di quanta sia la voglia di crescere e di investire da parte delle piccole realtà imprenditoriali anche nel Sulcis – sottolinea l’artigiana di Carbonia – l’auspicio è che anche i prossimi bandi, i tanto attesi T0, i voucher destinati agli investimenti fino a 15mila euro, possano venire pubblicati quanto prima per consentire alle imprese di accedere agli incentivi nel minor tempo possibile» Per Norella Orrù, le imprese del sud ovest Sardegna hanno resistito e continuano a farlo in condizioni difficilissime. «Stiamo dimostrando di avere capacità ben superiori a quelle europee, e questo ci è riconosciuto da tutti. Al contrario, la Politica insiste con le vessazioni fatte di tasse alte, burocrazia asfissiante e pagamenti perennemente in ritardo».
E’ molto negativa la situazione creditizia verso le imprese a causa del costo del denaro e della diminuzione del totale erogato. Il territorio, infatti, è al primo (non invidiabile) posto nazionale per il costo dei finanziamenti: 9,44% e un gap di +482 punti base rispetto alla media nazionale. Per quanto riguarda le erogazioni, rispetto al 2015, il Sulcis ha perso il 3,8% dei finanziamenti, attestandosi a 45 milioni di euro distribuiti alle aziende.
«La situazione è durissima – afferma Pietro Paolo Spada, Segretario di Confartigianato Sud Sardegna – i cordoni della borsa per gli artigiani del Sulcis sono sempre più stretti e la condizione creditizia non migliora perché, purtroppo, il credito alle piccole realtà resta ancora legato alla percezione di un alto rischio di insolvenza e quindi la dinamica di queste erogazioni resta frenata.»
«Per migliorare le condizioni di accesso al credito da parte delle piccole imprese – sottolinea il segretario – vi è la necessità di rilanciare il ruolo dei Consorzi Fidi che in questi anni di crisi hanno prestato garanzie per centinaia di migliaia di euro. La riforma dei contributi regionali al Fondo Rischi dei Confidi, sulla quale Confartigianato aveva espresso da subito forti perplessità, non sta riuscendo a dare il suo contributo per l’attenuazione di questa problematicità.»
Per il Segretario la ripresa del territorio potrebbe passare dalle tanto auspicate – e mai affrontate con la dovuta serietà – bonifiche ambientali di tutto il territorio, soprattutto se queste fossero realizzate con il coinvolgimento delle imprese locali: «Se la riqualificazione del territorio fosse finalmente finanziata, oltre al recupero di uno straordinario contesto ambientale – conclude Pietro Paolo Spada – si metterebbe in moto una economia che coinvolgerebbe le imprese di movimento terra, del rimboschimento, dei trasporti, della depurazione insieme a tanti professionisti esperti in questo tipo di interventi, all’alloggio necessario per accogliere le maestranze, alla ristorazione ma anche alla formazione del personale, oramai assente dal territorio. Insomma, una parte importante dell’economia potrebbe ripartire».
La situazione critica delle imprese, inevitabilmente, si ripercuote sulla popolazione, soprattutto dal punto di vista economico. I dati dicono che reddito pro-capite, calcolato mettendo a rapporto il reddito imponibile delle dichiarazioni dei redditi del 2014, anno d’imposta 2015, con il numero di residenti a inizio 2016, è pari a 9.626 euro per abitante, 832 euro in meno rispetto ai 10.458 euro pro-capite calcolati a livello regionale.
Poi la provocazione di Luca Murgianu: «E se domattina, d’improvviso, la provincia di Carbonia Iglesias fosse senza i suoi 2.128 artigiani? Noi abbiamo provato a fare una simulazione e il risultato è impressionante”. “Non possiamo permetterci che l’ex provincia, come del resto tutta la Sardegna – aggiunge il Presidente – possa perdere le sue imprese. Ecco perché continueremo a chiedere alle Amministrazioni Locali, alla Giunta e al Governo, una nuova visione, una maggiore consapevolezza e meno autolesionismo».
La simulazione fatta da Confartigianato dice che l’impatto sulla popolazione sarebbe, tutto sommato, abbastanza contenuto: l’1,8% circa in meno. Ma gli effetti sarebbero quelli di uno tsunami sull’economia e sulle condizioni di benessere di cittadini e famiglie. Il valore aggiunto diminuirebbe di 214 milioni di euro, pari a un calo del 12,3%. Considerando senza lavoro i 1.628 dipendenti dell’artigianato, il numero di disoccupati aumenterebbe del 35,3% ed il tasso di disoccupazione passerebbe dal 20,6% al 25,6% aumentando di 5 punti. Rimarrebbero 52.010 abitazioni senza artigiani dell’edilizia e dell’installazione di impianti che intervengano per la manutenzione. Rimarrebbero inanimati 1.740 impianti fotovoltaici senza una adeguata installazione e manutenzione di artigiani della filiera delle rinnovabili. Nei magazzini delle imprese di produzione e alle porte di negozi ed uffici rimarrebbero 3,2 milioni di tonnellate di merci che non verrebbero più gestite dalle imprese artigiane di autotrasporto. Vi sarebbero 42.400 famiglie che possiedono almeno un’automobile e, nel complesso, un parco di 79.576 veicoli circolanti senza autoriparatori artigiani a cui rivolgersi per manutenzione e assistenza; ogni giorno aumenterebbe anche la presenza di motocicli, autovetture ed autobus fermi per strada. Rimarrebbero 52.400 famiglie che possiedono una lavatrice e 31.000 famiglie che possiedono un lettore dvd senza artigiani riparatori di elettrodomestici da chiamare in caso di malfunzionamenti. Sarebbero senza assistenza tecnica anche le 23.000 famiglie che possiedono condizionatori e climatizzatori. Sarebbero 17.300 le famiglie che non trovano più le botteghe aperte per la riparazione delle biciclette e la sostituzione di pezzi di ricambio. E le 31.700 famiglie che possiedono Personal computer rimarrebbero senza i servizi e la competenza degli artigiani dell’informatica per installazioni, manutenzioni e cablaggi. Sarebbero 17.500 famiglie che possiedono un’antenna parabolica e altre 39.900 famiglie con decoder digitale terrestre a non poter vedere programmi vista la mancanza degli installatori artigiani di antenne. Gli sposi, 798 matrimoni celebrati in un anno, non potrebbero indossare un abito nuziale realizzato e provato in una sartoria artigiana; nessun fotografo professionista alla cerimonia e il banchetto sarebbe senza la torta nuziale realizzata da una pasticceria artigiana specializzata. Un disastro della qualità per 61.600 italiani che mangiano dolci almeno qualche volta alla settimana e che vedrebbero sparire pasticcerie, cioccolaterie e gelaterie artigiane. Per 23.000 cittadini che non pranzano in casa nessun panificio o rosticceria con prodotti artigianali a disposizione.
Per 127.857 cittadini che rimangono dopo la sparizione degli artigiani, sarà ancora possibile, vestirsi, arredare la casa e fare un regalo, ma sparirà la qualità e la perizia degli artigiani, ad esempio, negli articoli di abbigliamento, in pelle e pellicce, nei prodotti in legno e nei mobili, nell’oreficeria, nel vetro e nella ceramica. Sarebbero 58.888 le donne con oltre 15 anni che non troverebbero acconciatori ed estetisti. Considerando come potenziali visitatori di beni culturali nella provincia i residenti e i turisti, sarebbero 188.801 le persone che non potrebbero apprezzare alcun restauro realizzato da artigiani specializzati di monumenti e delle opere d’arte presenti nei 225 musei, aree archeologiche, chiese, palazzi storici e giardini sia pubblici che privati regionali. Una débâcle anche per il turismo: i 60.843 arrivi turistici non potrebbero né utilizzare servizi erogati dalle imprese artigiane indispensabili per il soggiorno nè accedere alla qualità dei prodotti dell’artigianato.