22 November, 2024
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Vincenza Palmieri, presidente dell’INPEF, ha scritto una lettera aperta ai ministri dell’Istruzione, Università e Ricerca, Marco Bussetti; della Giustizia Alfonso Bonafede e della Famiglia e delle Disabilità Lorenzo Fontana, sul caso di «un ragazzo modello, punito dalla Giustizia».

Di seguito il testo integrale.

Onorevoli Ministri,

ci sono storie – ordinarie, straordinarie – sarete Voi a giudicarlo, che non possono essere taciute. Storie che vanno raccontate. E per le quali, magari, andrebbe scritto un finale diverso. 

Questa è una di esse. E’ la vicenda di un ragazzo di 16 anni, che vive da sempre con la mamma. Una mamma che con il figlio che le è stato affidato ha fatto un ottimo lavoro. “Paolo” (nome di fantasia), infatti, è un bravo ragazzo. Non è uno scapestrato: non si ubriaca, non si droga. Non è un bullo. E’ un adolescente che va a scuola con successo, rispettando le richieste dei professori. Lo studio gli piace; ha sempre dedicato tempo ad approfondimenti e ricerche. Ora frequenta un Liceo Linguistico. 

A casa, incontra persone madrelingua con cui fa conversazione, non soltanto nelle materie di base previste come oggetto di studio, ma anche e addirittura in Cinese. Le pagelle evidenziano buoni voti e qualità personali spiccate, che investe nello studio. Paolo è spiritoso, molto preparato, collaborativo nell’aiutare i compagni in difficoltà. I giudizi sono inequivocabilmente positivi.

La mamma lavora e vive in un contesto dignitoso; ed è riuscita a seguire il figlio offrendogli presenza e affetto. Paolo non ha mai sofferto di solitudine, è socievole, allegro. 

Allo stesso tempo, però, Paolo ha scelto – in questa fase della sua vita – di non volersi relazionare con il padre e i familiari paterni, dai quali sente di essere stato trascurato o addirittura mal sopportato. Nel momento in cui si è iscritto al Liceo linguistico, infatti, la sua scelta è stata da loro molto criticata. E oggi, quando racconta con entusiasmo di voler diventare Carabiniere, si sente rispondere dal padre che – così, magro come un chiodo – non ce la farà mai. Questo lo addolora profondamente.

Paolo rivendica il proprio diritto a scegliere per sé: chi siano i suoi amici, dove indirizzare le proprie energie, le proprie emozioni, passioni. Lo fa con educazione ma anche con profonda convinzione. 

Sottoposto a valutazioni neuropsichiatriche e psicologiche presso strutture pubbliche, le risultanze sono “nessuna evidenza clinica”. Eppure, l’esito finale che emerge, sorprendentemente, si trasforma in “disturbo dell’adattamento con sindrome ansiosa”. La mamma chiede, allora, una Consulenza all’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare. Da Presidente e Consulente Tecnico, prendo in carico il caso e la documentazione relativa.

Cosa accade, oggi, a Paolo?

Si ritrova a non poter partecipare ad una attività istituzionale della scuola, che ha organizzato una visita di istruzione all’estero di una settimana. Il papà non ha mai risposto alla richiesta della madre di firmare l’autorizzazione e il Giudice – non apprezzando l’iniziativa della mamma, che aveva comunque firmato e pagato – ha disposto che il ragazzo resti a casa. Non ha apprezzato l’autonomia della madre, che non aveva ritenuto di privare il figlio di questa attività formativa importante e meritata, solo a causa del silenzio del padre.

E, dunque, i suoi compagni domenica sono partiti. Ma Paolo è rimasto a casa.

Il Giudice ha inteso punire la decisione autonoma della madre che non ha ritenuto che il silenzio del padre dovesse penalizzare il figlio. Ma – in maniera tutt’altro che indiretta – ha di fatto punito un ragazzo che non lo merita. 

Un ragazzo che, oggi, sta venendo stigmatizzato e ritenuto malato.

Su questo punto, difficile essere in disaccordo con le parole dell’Avvocato della mamma, Francesco Miraglia: «Ancora una volta devo constatare che anche nel caso de quo la nostra Giustizia Minorile non funziona e, se funziona, funziona male. Ancora più incredibile è il comportamento del Giudice che invece di rimanere super partes e soprattutto di provvedere alla tutela del Minore diventa Esso stesso parte del processo, vietando, di fatto, al Minore di partecipare ad un viaggio studio per punire la mamma la quale, da sempre, ha sottolineato un rapporto conflittuale con i servizi sociali. Questa vicenda merita sicuramente l’attenzione delle Istituzioni affinché violenze del genere da parte delle Autorità deposte a tutela dei Minori non accadano più».”

Le Istituzioni, in questo modo, si stanno accanendo in maniera miope su di lui; invece che intervenire sugli adulti. Un bambino che non ha mai dato motivo di preoccupazione. 

Per “vendetta” sulla madre, insomma, si punisce il bambino. Un bambino che deve credere nelle Istituzioni. E che vuole farlo. A tal punto da desiderare di entrare a far parte dell’Arma dei Carabinieri, servire e rappresentare lo Stato. Ma che, oggi, invece, è oggetto di errore da parte di quelle Istituzioni che lo penalizzano ingiustamente e che gli vogliono imporre di incontrare degli adulti indesiderati, mentre su questi stessi adulti non è stato fatto nessun intervento. Nessun progetto di presa di coscienza e consapevolezza sugli errori commessi, nessun percorso su come potersi riavvicinare a gradienti al loro giovane parente per riconquistarne la fiducia e la relazione.

Da una parte si vuole forzare un adolescente ad incontrare parenti con cui non ha mai avuto rapporti, perché loro per primi non li hanno voluti avere, e, insieme, gli si impedisce di istruirsi. Un ragazzo sano, con il quale si sta sbagliando tutto.

La visita d’istruzione, attualmente in corso presso un Paese dell’Unione Europea che non nomineremo per rendere non riconoscibile l’identità del ragazzo stesso, si sta snodando lungo questi punti:

  • Sistemazione in famiglia
  • Passeggiata per la città: orientarsi con le cartina
  • Visita guidata con un professore di arte della scuola
  • Lezioni di lingua (4 ore al giorno)
  • Pranzi in famiglia
  • Musei

Di fatto, il ragazzo, oggi, sta perdendo 20 ore di lingua straniera e una settimana intera di cultura straniera. La mamma poteva pensare che non sarebbe stato apprezzato l’aderire all’offerta formativa della scuola? 

Cosa chiediamo, dunque, ai Ministri competenti, alla stampa e all’opinione nazionale?

Chiediamo innanzitutto se sia possibile che questo bambino sia rimasto a casa. Paolo è discriminato. Discriminato rispetto ai compagni che si stanno chiedendo come mai non sia andato. E che, da adolescenti, si stanno rispondendo, in proposito. Paolo è esposto a derisione e all’emarginazione. Penalizzato nell’accesso all’Istruzione e nella Relazione con i compagni.

Ma chiediamo, ancor di più, se tutto ciò non rappresenti anche una grave violazione rispetto all’immagine delle Istituzioni.

Che messaggio educativo si veicola?

Domandiamo l’attenzione concreta del ministro per l’Istruzione; e che il Ministro della Famiglia prenda in carico questo caso. Così come il ministro della Giustizia, nel momento in cui un Magistrato ha agito nei confronti di un Minore e della sua Famiglia in modo talmente evidentemente paradossale.

Che idea si farà il ragazzo delle Istituzioni?

Che Cittadino stiamo costruendo?

E’, senza alcun dubbio, un caso non unico – Onorevoli Ministri – ma, anzi, emblematico. 

Sul quale vorremmo sentire la mano restauratrice delle Istituzioni pronte a difendere i Valori, la Famiglia e un giovane adolescente cresciuto in maniera sana e per bene, fino a questo momento.

Prof.ssa Vincenza Palmieri

Presidente Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare