“Quasi Grazia”, la pièce di Marcello Fois ispirata a Grazia Deledda e interpretata da Michela Murgia, apre la Stagione di Prosa 2017-18 del CeDAC domenica a Carbonia.
[bing_translator]
Un intrigante gioco di specchi – tra arte e vita – per “Quasi Grazia”, la pièce di Marcello Fois ispirata alla figura della scrittrice nuorese Grazia Deledda e interpretata da Michela Murgia, una delle più interessanti e apprezzate autrici contemporanee, in tournée nell’Isola per la Stagione di Prosa 2017-18 del CeDAC nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna. Note biografiche e storiche e fantasie oniriche s’intrecciano nell’immaginifica mise en scène firmata dalla regista Veronica Cruciani per Sardegna Teatro, con un’intensa e straordinaria Lia Careddu nel ruolo della madre, accanto a Marco Brinzi, Valentino Mannias e Giaime Mannias, per un originale ritratto d’artista in cui i sogni della protagonista si scontrano con la mentalità di «un paese dove la donna era considerata ancora con criteri orientali».
“Quasi Grazia” – che fin dal titolo, con un chiaro rimando a “Cosima”, sembra alludere ai molteplici intrecci fra invenzione letteraria e realtà – domenica 7 gennaio alle 20.45 aprirà il cartellone al Teatro Centrale di Carbonia, per approdare lunedì 8 gennaio alle 21.00 all’Auditorium Comunale di Arzachena e infine martedì 9 gennaio, sempre alle 21.00, al Teatro Comunale di San Gavino Monreale.
Il rito del teatro, in cui la verità si mette a nudo attraverso la finzione, rende possibile il miracolo stravagante di un’incarnazione: Grazia Deledda rivive in Michela Murgia, la scrittrice e conduttrice, autrice de “Il mondo deve sapere” e “Accabadora” fino al recente “Chirù” e alle riflessioni di “Futuro Interiore”, accanto a testi teatrali come “Cento” e “Spadoneri”, presta volto e voce alla narratrice di trame intricate e avvincenti, creatrice di personaggi indimenticabili, complessi e tormentati – da Elias Portolu a Marianna Sirca, dall’Efix e le sorelle Pintor di “Canne al vento”, a Annesa e Paulu ne “L’edera”, Olì e il figlio Anania in “Cenere”.
Focus su alcuni momenti cruciali dell’esistenza della scrittrice nuorese, dalla vigilia della partenza per Roma al viaggio in Svezia in occasione della consegna del Premio Nobel, in cui affiorano i drammi familiari ma anche il profondo legame con la sua Isola, il matrimonio con Palmiro Madesani – che scelse di dedicarsi interamente alla carriera della moglie, in una riuscita comunione di affetti e di intenti non sempre compresa – o volutamente fraintesa – dai contemporanei. Trasferitasi nella capitale, Grazia Deledda prosegue la sua attività di scrittrice, tra frequentazioni mondane e corrispondenze epistolari che testimoniano il respiro decisamente internazionale oltre al valore indiscusso della sua opera, capace di restituire un’immagine affascinante della Sardegna – tra paesaggi aspri e selvaggi e genti dall’animo fiero e dall’antica saggezza – mettendo l’accento sul groviglio delle passioni, sulla crudeltà del destino e i capricci della sorte, nell’eterna guerra fra il bene e il male.
Femmes fatales e giovani ingenui, creature piene di fuoco che inducono o cedono a pericolose tentazioni, pastori filosofi e innocenti traditi compongono un mirabile affresco di varia umanità sullo sfondo di una civiltà arcaica, a contrasto con l’inesorabile scorrere del tempo e l’affermarsi della modernità. Tra nobili sentimenti e impulsi brutali le figure nate dalla fantasia dell’artista prendono forma con tutte le loro contraddizioni, le paure, i pregiudizi, il coraggio e l’audacia: nei romanzi e nelle novelle scorre la vita vera, tra i minuti dettagli del quotidiano e i grandi ideali, i dilemmi interiori, i segreti inconfessabili, con un istintivo senso di giustizia che unisce colpa ed espiazione, peccato e redenzione. Tratti fiabeschi – tra miti e leggende dell’Isola e originali apologhi – e un’esasperata e consapevole sensualità quasi dannunziana si alternano nelle opere della Deledda, che trasfigura la materia incandescente delle umane passioni, fino a renderla universale.
Un donna intraprendente e quasi temeraria nello sfidare quasi inevitabilmente le convenzioni dell’epoca per seguire la propria inclinazione, determinata, dotata di talento e ricca di ispirazione, autodidatta per necessità ma decisa a perfezionarsi affinando progressivamente i propri strumenti espressivi: Grazia Deledda ha saputo conquistare i suoi lettori e lasciare un segno nella storia della letteratura – rivelando l’esistenza della sua Sardegna al mondo. La sfida di “Quasi Grazia” è restituirne la figura, senza retorica, come quella di una scrittrice “vivente” – che agisce, pensa, soffre, commenta – in un gioco delle parti in cui un’altra scrittrice, sarda e contemporanea, restituisce l’amarezza delle critiche, dell’incomprensione, della forse invidiosa svalutazione e insieme la certezza di non potere essere altro che se stessa. Attrice – perché “dentro” una pièce e un meccanismo (meta)teatrale e (meta)letterario – Michela Murgia diventa “quasi” Grazia, in un universo caratterizzato da segni e simboli ancestrali potentemente evocati sulla scena, si fa testimone e portatrice di una sua verità – di donna e d’artista – e insieme empaticamente condivide gioie e dolori, turbamento e quiete della vincitrice del Nobel, in una visione lucida, insieme soggettiva e soggettiva di sé e del mondo.
Figura centrale di un microcosmo familiare – in cui si spiccano i fratelli con le loro tragiche esistenze e specialmente la madre, donna severa e “all’antica”, custode delle tradizioni e dei valori, muta presenza, imprescindibile eppure distante, con cui è inevitabile confrontarsi, e “scontrarsi” – Grazia Deledda, circondata dalle cure affettuose del marito intraprende la sua avventura romana. Dialoga con il mondo – la scrittrice (quasi) “illetterata” – apprezzata da Maksim Gorkij e D.H. Lawrence. da Luigi Capuana e Giovanni Verga oltre che da Enrico Thovez, Emilio Cecchi, Pietro Pancrazi, Antonio Baldini, eppure la sua Isola resta al centro dei suoi pensieri e della sua opera, e la sua affermazione come scrittrice e il riconoscimento del suo valore e della sua importanza nel panorama culturale saranno più ardui proprio in patria, nella sua città, Nuoro, come in Sardegna e più in generale in Italia. “Quasi Grazia” nasce proprio con l’esigenza di riportare l’attenzione su un’autrice che – come ricorda Marcello Fois – «non è nemmeno compresa nel canone ministeriale, pur essendo a tutt’oggi l’unica donna italiana ad avere ricevuto l’ambito premio Nobel». Infatti, sottolinea l’autore della saga dei Chironi: «Decidere di parlare della Deledda è un atto che può avere del temerario. Specialmente per uno scrittore, specialmente per uno scrittore nuorese. L’ipotesi poi di parlarne portandola in scena rasenta la follia se è vero che il teatro è un medium impietoso e rituale». Ma la pièce scaturisce da una necessità, da una spinta interiore, se si vuole da una sorta di imperativo morale: «La mia idea, direi la mia ossessione», ammette Fois, «era che di questa donna, tanto importante per la cultura letteraria del nostro Paese, bisognasse rappresentare la carne. Come se fosse assolutamente necessario non fermarsi a una rievocazione “semplicemente” letteraria, quanto di una rappresentazione vivente. I grandi scrittori, i grandi artisti sopravvivono», e innegabilmente «La vita di ogni grande scrittore racconta qualcosa della grande scrittura».
Una “sfida” che ha coinvolto, e affascinato una scrittrice come Michela Murgia: «Quando Marcello Fois ha immaginato questo testo su Deledda e mi ha chiesto di interpretarlo, il potenziale rivoluzionario della sua figura mi ha convinta ad accettare senza riserve. È infatti evidente che Deledda per realizzare sé stessa abbia pagato, oltre ai sacrifici personali, anche un altissimo prezzo sociale: enorme su di lei la diffidenza radicale del mondo letterario italiano, capace perfino di ignorarne il Nobel, e un giudizio sulla sua vita privata che ha portato persino i grandi nomi della letteratura italiana a storcere il naso davanti al suo matrimonio paritario e sodale, così simile alle coppie di potere dello star business contemporaneo, ma del tutto insolito nella bigotta Italia degli anni ‘30.
La sua storia di determinazione personale è un paradigma non solo per le donne di tutti i tempi, ma per chiunque voglia realizzare un sogno partendo da una condizione di minorizzazione sociale».
Una sfida che approda di nuovo sui palcoscenici dell’Isola – sotto le insegne del CeDAC – con una mise en scène che grazie alla sapiente regia di Veronica Cruciani fonde arditamente e felicemente l’elemento “identitario” della cultura sarda al ritratto di una donna e un’artista decisamente all’avanguardia per l’epoca e tuttora capace di parlare alla mente e al cuore dei suoi lettori.