22 November, 2024
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Venerdì 26 maggio, presso il Circolo Soci Euralcoop, a Carbonia, cala il sipario sul Maggio Letterario di LiberEvento, speciale anteprima primaverile del Festival Culturale di LiberEvento 2023. A partire dalle ore 18.30, Monica Murru, avvocato del Foro di Nuoro, Francesca de Carolis, giornalista, Maria Grazia Caligaris, socia fondatrice dell’Associazione Socialismo Diritti Riforme ODV, presenteranno il libro postumo di Mario Trudu “La mia Iliade. Un’odissea di Quarant’anni a inseguire la vita”.

Pastore sardo diplomato all’Istituto d’Arte, Mario Trudu ha trascorso quasi 41 anni in carcere, prima per una condanna di cui si è sempre dichiarato innocente, e poi per un sequestro di persona avvenuto durante il periodo di latitanza.

Condannato all’ergastolo ostativo, a settembre 2019 è riuscito a ottenere gli arresti domiciliari per una grave malattia, ma è morto all’ospedale di Oristano il 24 ottobre dello stesso anno.

L’incontro sarà moderato da Maria Grazia Caligaris, dell’Associazione Socialismo Diritti e Riforme.
Le immagini e i video sono a cura del regista Giovanni Cioni.

“Fili emozionali” è il titolo dell’iniziativa, promossa dall’associazione “Socialismo Diritti Riforme” e da Casa Emmaus per valorizzare le attività creative delle persone private della libertà della sezione femminile della Casa Circondariale di Cagliari-Uta e delle ospiti della struttura di Iglesias. Ideato e curato da Alma Piscedda, artista del ricamo, originaria di Domusnovas, il progetto, che ha impegnato le donne per alcuni mesi, sarà presentato mercoledì 15 giugno nel Parco Scarzella di Domusnovas, alla presenza della sindaca Isangela Mascia. Inserita nella “Festa del Bambino”, allestita dall’associazione “Elda Mazzocchi Scarzella”, la mostra “Fili emozionali” proporrà ai visitatori pregiati lavori di ricamo. Aldilà della qualità delle proposte, l’iniziativa ha un importante significato sociale e culturale com’è nello spirito di chi è impegnato nella salvaguardia dei valori della solidarietà e dell’impegno civile.
«Nel 2018, quando per la prima volta ho incontrato le detenute della Casa Circondariale, non pensavoricorda Alma Pisceddache il ricamo avrebbe suscitato tanto interesse. Il tempo e la pratica invece hanno sviluppato nelle donne private della libertà il desiderio di appropriarsi di quest’arte e la loro dedizione le ha rese padrone di ago e filo. L’esperienza è stata poi trasferita tra le ospiti di Casa Emmaus dove i risultati sono stati sorprendenti. Nella mostra si potranno vedere i lavori realizzati e spetterà ai visitatori valutare gli esiti. Per chi, come me, ha curato il percorso una grande soddisfazione anche per aver contribuito a alleviare il senso di solitudine che spesso domina in queste persone.»
«L’impegno del volontariato nella Casa Circondariale è sempre particolarmente apprezzatosottolinea il direttore Marco Porcu ancora di più quando gli esiti contribuiscono a creare ponti tra associazioni e Comunità di Recupero. Un plauso dunque alla maestra di ricamo e a SDR che propone iniziative di crescita culturale e integrazione dentro e fuori dal carcere.»
«Siamo particolarmente grati ad Alma Piscedda ha aggiunto Giovanna Grillo, presidente di Casa Emmausper avere coinvolto, con la passione che la contraddistingue, le nostre ospiti. I lavori che sono stati realizzati parlano da soli. Ma siamo soprattutto soddisfatti di avere iniziato un percorso di collaborazione con SDR che siamo certi produrrà ulteriori progetti solidali.»
«Mondi fragili, talvolta poco indagati nelle loro espressioni più profondeosserva Maria Grazia Caligaris, socia fondatrice di “Socialismo Diritti Riforme”si affermano con forza nelle pratiche artistiche e mostrano tutta la loro più intima umanità contribuendo ad arricchire il nostro sguardo. E’ così nei “fili emozionali”, dove ogni creazione è ispirata dall’inclusione e dalla passione civile.»

La commissione Sanità, presieduta da Domenico Gallus (Udc) ha ascoltato i rappresentanti delle associazioni dei malati oncologici.
In tutti gli interventi (hanno parlato Maria Grazia Caligaris di Socialismo, diritti e riforme, Alfredo Schirru della Lilt di Cagliari, Francesca Pisu di Sinergia territoriale, Salvatore Piu di Cittadinanza attiva, Vanna Fenu del Comitato ex pazienti di Decimomannu, Giorgio Vargiu di Adiconsum e Mercedes Licheri della Lilt di Oristano) è stata sottolineata la necessità di migliorare il rapporto con le istituzioni regionali, chiamate a dare risposte, punti di riferimento e prospettive ai malati oncologici, aprendosi di più al contributo propositivo e qualificato dell’associazionismo.
Secondo i rappresentanti dei pazienti la qualità complessiva del servizio sanitario in oncologia è peggiorata, soprattutto a causa della politica degli “accorpamenti” portata avanti sia negli anni precedenti (Businco-Brotzu) che annunciata per il futuro (Policlinico universitario).
Al di là dei problemi più evidenti della chemio-terapia nel centro di riferimento regionale del Businco di Cagliari, emerge che tutta la struttura è in grande sofferenza: ritardi nella diagnostica (con liste d’attesa di 40/50 giorni) nell’utilizzo della sale operatorie (attese di 6/8 ore) e, sul piano organizzativo, nella predisposizione del registro regionale dei tumori. In definitiva, i disagi per i pazienti sono aumentati perché manca ancora una “rete oncologica territoriale” che metta al centro la specificità del paziente e della sua famiglia e garantisca alle persone, oltre alle cure, il necessario supporto psicologico.
Qualcosa si sta muovendo, hanno detto ancora le associazioni esprimendo apprezzamento per le nuove strutture del Santissima Trinità ed Is Mirrionis, ma ciò che più interessa è una nuova prospettiva dell’oncologia in Sardegna che auspichiamo sia anche il risultato di una condivisione delle scelte e degli obiettivi.
Nelle conclusioni il presidente Domenico Gallus ha affermato di «condividere molti dei contenuti che le associazioni hanno sottoposto alla commissione. Non ho mai provato grande entusiasmo per gli accorpamenti, ha affermato, e comunque li discuteremo entrando nel merito prestando la massima attenzione al paziente ed alla qualità del servizio».
«Sono convinto – ha aggiunto Domenico Gallus -, che una buona riforma debba essere fondata sul decentramento e non sui grandi ospedali, perché sul territorio si fa meglio la prevenzione, si risparmia e le risposte sono più rapide ed efficaci. Concentreremo quindi il nostro impegno, fra l’altro, proprio nella costruzione di una “rete” oncologica efficiente.
Il supporto psicologico ai pazienti oncologici è l’elemento centrale di una sanità che guarda al futuro e vuole crescere. E’ vero, ha precisato, che in questi anni l’oncologia ha fatto molti passi avanti ma non bisogna dimenticare la percezione delle persone che associano il concetto di tumore a quello di “male incurabile”, con tutto ciò che questo comporta.»
Il vice presidente Daniele Cocco si è invece soffermato sul problema delle strutture di breast unit in Sardegna ribadendo la volontà di migliorare anche con questi strumenti la qualità del servizio pubblico. Riprendendo, infine, le affermazioni del presidente Domenico Gallus ha condiviso la scelta di accompagnare le buone cure ad un supporto psicologico dei pazienti, mettendo l’accento sul fatto che il malato oncologico ha il particolare bisogno di sentire attorno a sé un “ambiente” inclusivo, positivo ed accogliente.

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E’ stata presentata questa mattina, nella Sala Transatlantico del Consiglio regionale, la prima edizione del Premio regionale “Gianni Massa” sui temi delle disparità di genere. Erano presenti i relatori: Mario Cabasino, presidente del Corecom Sardegna, Susi Ronchi, coordinatrice di Giulia giornaliste Sardegna, Gianfranco Ganau, presidente del Consiglio della Regione Sardegna, Francesco Mola, Prorettore Vicario dell’Università di Cagliari, Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”.

Inoltre sono intervenuti alcuni dei nomi storici del giornalismo in Sardegna quali Franco Siddi, Gianni Filippini, Gianni De Candia, e ancora Cristina Maccioni, Marzia Cilloccu, assessore delle Attività produttive, Turismo e Politiche delle Pari opportunità del Comune di Cagliari, Dandy Massa, figlio di Gianni Massa a cui è dedicato il Premio, Tiziana Troja delle Lucido Sottile che ha curato la drammaturgia e la regia dello spettacolo teatrale “La conosci Giulia?”, promosso dal Corecom e da Giulia giornaliste Sardegna.

«Ringrazio il Corecom per il grande lavoro che sta portando avanti, rispondendo appieno in questi anni al mandato che il Parlamento sardo e questa Presidenza gli ha dato al momento del suo insediamento – ha detto il presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau -. Per noi è stato da subito evidente appoggiare la scelta, accogliendo la richiesta di patrocinio, di lavorare al progetto per istituire un premio regionale intitolato a Gianni Massa e dedicato a Piera Mossa. Quando la memoria di figure così autorevoli e significative che hanno contribuito a rendere migliore la nostra terra serve a promuovere iniziative di questo genere, credo sia il modo migliore e forse più giusto per onorarle e ricordarle. Un plauso va anche all’associazione “Giulia giornaliste Sardegna” per il contributo e la collaborazione che sta offrendo al Corecom in questi mesi, non solo con l’organizzazione del premio ma anche per la realizzazione dello spettacolo “La conosci Giulia”. Dopo il successo cagliaritano, lo spettacolo verrà replicato anche a Sassari, a gennaio al teatro Verdi, nell’ottica di un’attività di decentramento anche dei servizi che in questi anni abbiamo portato avanti insieme al Corecom.»

«Parto da un dato molto aggiornato che ci fa riflettere: siamo molto lontani oggi dal trovare una pari rappresentanza all’interno dell’informazione, tra i generi – ha detto Susi Ronchi, coordinatrice di Giulia giornaliste –. Lo spazio mediatico riservato alle donne è solo il 21% e da lì non ci allontaniamo, un dato fermo da anni. Uno spazio dedicato alle donne come voci qualificate, come esperte. Cosa significa? Che il restante spazio del 79% è riservato agli uomini. Ne consegue che il mondo è raccontato, visto e interpretato sotto un unico punto di vista, con occhi e con voci di uomini. Quindi noi, Giulia giornaliste, con questo primo Premio regionale sulla parità di genere vogliamo prima di tutto arrivare a tutte le fasce di età tra scuola, università e professione, per orientare l’opinione pubblica su queste tematiche e superare insieme questo squilibrio del 79% che al giorno d’oggi è veramente diventato inaccettabile. Il premio è dedicato al giornalista Gianni Massa, per me un grande maestro, e per la sezione “Giornalismo” abbiamo proposto al Corecom che fosse intitolato a una donna, Maria Piera Mossa, regista e programmista della sede Rai Sardegna. Una professionista che malgrado non fosse iscritta all’Ordine dei Giornalisti ha portato avanti un grande lavoro di informazione sulla cultura e sulla identità della Sardegna. Ci ha lasciato decine e decine di documentari e filmati che sono stati super premiati. È stata inoltre una donna attentissima alle questioni di genere, e ha lavorato all’interno del centro di produzione Rai finché era attivo.»

«Il motivo principale del mandato del Rettore è quello di portare l’Università fuori dall’Università e quindi questa diventa un’occasione ghiotta per fare questa operazione, e per questo ringraziamo abbiamo aderito all’invito del Corecom e di Giulia giornaliste per collaborare alla realizzazione del premio Gianni Massa – ha sottolineato Francesco Mola, prorettore vicario dell’Università di Cagliari -. Ci sarebbero tanti motivi per giustificare il perché. Io sono anche il presidente del Comitato di garanzia dell’Ateneo dove trattiamo anche i temi della parità di genere. Uno per tutti è legato a quello che fa l’Università: la ricerca. Per definizione “discriminazione” e “ricerca” non vanno mai a braccetto. Anzi. Per un ricercatore accettare la discriminazione significa fare ricerca nascondendo dei risultati, nascondendo quindi l’evidenza, e questo non appartiene al nostro modo di operare. L’impegno quindi diventa un meccanismo fondamentale e questo impegno della ricerca si rivolge anche alla didattica. E la prossima settimana proprio nell’ambito delle comunicazioni verrà presentato il Corso magistrale di produzioni multimediali. Era un corso che mancava, una cosa importante proprio perché tra Cagliari e Sassari si possa dare la possibilità ai nostri giovani di rimanere qui a fare quello che poi per necessità farebbero fuori dall’isola.»

«Ringrazio tutti i presenti che hanno accolto calorosamente il nostro invito a partecipare: il Presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau, il Prorettore dell’Università di Cagliari Francesco Mola,  Susi Ronchi coordinatrice di Giulia giornaliste Sardegna, Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti e Riforme”, la Commissaria delle Pari opportunità, l’Ordine degli Avvocati, tutte le associazioni di donne quali i centri antiviolenza, Maria De Matteis, con cui abbiamo portato avanti un bel lavoro sulla tutela dei minori, i maestri del giornalismo, Gianni Filippini, direttore storico dell’Unione Sarda, Gianni De Candia, Franco Siddi, Giorgio Greco, Mauro Manunza, Filippo Peretti, e tantissimi colleghi», ha detto Mario Cabasino, presidente del Corecom Sardegna.

«Ringrazio il presidente Gianfranco Ganau per l’ospitalità, Mario Cabasino per essere riuscito a promuovere e sostenere con determinazione il Premio “Gianni Massa” – ha detto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”. Grazie anche a Giulia giornaliste e a Susi Ronchi per avermi concesso questa opportunità. Gianni Massa è stato socio fondatore, ideologo e segretario della associazione “Socialismo Diritti e Riforme”, l’unica in Sardegna che entra nei penitenziari, che vuole dare voce ai diritti in un periodo in cui il rispetto delle prerogative dei cittadini senza aggettivi e delle comunità sono spesso calpestate. Un’associazione che cerca di interpretare e dare corpo allo spirito di Gianni Massa, un giornalista integerrimo, militante, idealista: un giornalista che è entrato nella storia della professione per le scelte che ha fatto.»

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La commissione Sanità e Politiche sociali, presieduta da Raimondo Perra (Cps-Psi) ha ascoltato questa mattina le rappresentanti delle associazioni “Fondazione Taccia per la ricerca sul cancro” e “Mai più sole contro il tumore ovarico” sulla condizione delle pazienti oncologiche.

A nome della “Fondazione Taccia per la ricerca sul cancro”, la presidente Albachiara Bergamini ha auspicato in apertura che il primo confronto con la commissione sia «un ponte fra donne oncologiche ed istituzioni per far emergere in tutta la sua complessità la condizione delle donne ed il loro rapporto con la sanità pubblica». Riferendosi in particolare alla realtà di Cagliari, la Bergamini ha lamentato che l’accorpamento fra gli ospedali Brotzu, Oncologico e Microcitemico ha, di fatto, snaturato l’identità della struttura oncologica «dove regnano confusione ed approssimazione ma soprattutto mancano sia la capacità di una presa in carico complessiva della persona che quella di assicurare risposte umane in tempi certi».

Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo, diritti e riforme” ha richiamato l’attenzione della commissione «sull’enorme peso psicologico con cui devono convivere le donne-pazienti che cercano di lottare per la loro integrità» ed ha proposto una conferenza pubblica su questi temi con la partecipazione di istituzioni, medici ed operatori, per arrivare a tracciare «un percorso dal quale, attraverso il confronto fra tutte le figure interessate, emerga una strategia nuova che consenta fra l’altro alle pazienti oncologiche di evitare la mobilità passiva e restare in Sardegna accanto ai propri familiari».

Molto significativa la testimonianza coraggiosa di due pazienti oncologiche che hanno raccontato alla commissione «cosa si prova quando scopri di avere una malattia che ti cambia per sempre la vita e può portati alla morte», uno stato d’animo di profondo disagio interiore in cui tutto assume una dimensione diversa: il modo di essere accolte in una struttura, le parole ed il contesto con cui viene formulata la diagnosi, la tempestività degli accertamenti diagnostici e delle visite di controllo, il semplice rinvio di un appuntamento, l’impossibilità (a volte) di perdere il contatto con i propri affetti più vicini e la famiglia.

Nel dibattito hanno preso la parola i consiglieri regionali Giorgio Oppi (Udc Sardegna), Edoardo Tocco (Forza Italia), Augusto Cherchi (Pds), Luigi Ruggeri (Pd), Emilio Usula (Misto-Rossomori) e Luca Pizzuto (Art.1-Mdp). Pizzuto si è espresso in modo fortemente critico sulla mancata attuazione della arte della riforma che riguarda l’oncologia e, dopo aver proposto una risoluzione della commissione, ha dichiarato che «dalle risposte che riceveremo su questi problemi dipenderà la conferma della nostra fiducia all’assessore».

Nelle conclusioni il presidente della commissione Raimondo Perra ha parlato di una audizione «preziosa, perché porta alla luce la sofferenza fisica e psicologica di tante persone e delle loro famiglie, in modo particolare di quelle costrette alla mobilità passiva; se quelle risorse fossero investite nel potenziamento delle nostre strutture ne deriverebbe un grande giovamento sia ai pazienti che al sistema sanitario regionale».

«La previsione di una rete oncologica nella recente riforma della rete ospedaliera – ha concluso Raimondo Perra – non ci esime dal continuare a lavorare con il massimo impegno, anche perché se la condizione complessiva dei malati che si rivolgono alla rete non migliora, il fatto che magari possano migliorare di qualcosa i conti vale fino ad un certo punto.»

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La pesante sconfitta subita dal centrosinistra nelle elezioni Politiche di domenica 4 marzo, è al centro del dibattito politico e motivo di profonda riflessione in seno alle forze politiche e sociali che si identificano nell’area riformista.

31 donne di Campo Progressista lanciano oggi un appello per la ricostruzione di un’area riformista, progressista e democratica del Paese.

«L’esito elettorale ha ribadito una volta di più la necessità di ricostruire l’area riformista, progressista e democratica del nostro Paese – scrivono in una nota Emilia Agnesa, Maria Grazia Banni, Bruna Biondo, Laura Brughitta, Annamaria Busia, Maria Grazia Caligaris, Arianna Carola, Marzia Cilloccu, Elisa Cogodi, Elisa Comparetti, Marilena Coni, Francesca Fradelloni, Francesca Ghirra, Adriana Iannoni, Emanuela Lampis, Valentina Lo Bianco, Carla Madeddu, Maria Cristina Mancini, Elisabetta Milia, Lucia Mocci, Paola Molinas, Rossella Pes, Simona Pinna, Anna Puddu, Alessandra Ruzzu, Marirosa Schiano, Elisabetta Scorcu, Roberta Uras, Anna Rosa Zedda, Elisabetta Zedda e Margherita Zurru -. Una ricostruzione che non può ridursi all’avvicendarsi del leader di turno, ma che deve essere prima di tutto ricomposizione programmatica e politica. Occorre ripartire dalle identità, dalle relazioni, dalle comunità e dal confronto tra appartenenze.»

«Per chi come noi non vuole arrendersi all’idea che a governare siano formazioni politiche che fanno della discriminazione etnica, religiosa, politica e sociale i propri cavalli di battaglia esiste solo una strada: l’unità del centrosinistra. Con questo appello, noi donne di Campo Progressista, chiediamo di superare divisioni e timori per la costruzione di un progetto concreto e condiviso di società, che dia risposte vere e realizzabili ai problemi delle persone. Un progetto fondato su progresso solidale, lavoro, economia eco-sostenibile, tutela dell’ambiente, cultura, istruzione e formazione come via fondamentale per l’emancipazione dal ricatto del bisogno. Per l’Italia e per la Sardegna. Vogliamo una società di diritti, fondata sulla parità di genere, ma anche sulla consapevolezza dei doveri di partecipazione e solidarietà. Vogliamo rafforzare le autonomie: dei territori, delle città e delle periferie. 

Rivendichiamo i diritti acquisiti in 70 anni di Repubblica e rilanciamo l’idea di un Paese di uguali, nel quale vogliamo essere protagoniste in prima linea. A 72 anni dal suffragio femminile (ieri 10 marzo l’anniversario), il nostro appello – concludono Emilia Agnesa, Maria Grazia Banni, Bruna Biondo, Laura Brughitta, Annamaria Busia, Maria Grazia Caligaris, Arianna Carola, Marzia Cilloccu, Elisa Cogodi, Elisa Comparetti, Marilena Coni, Francesca Fradelloni, Francesca Ghirra, Adriana Iannoni, Emanuela Lampis, Valentina Lo Bianco, Carla Madeddu, Maria Cristina Mancini, Elisabetta Milia, Lucia Mocci, Paola Molinas, Rossella Pes, Simona Pinna, Anna Puddu, Alessandra Ruzzu, Marirosa Schiano, Elisabetta Scorcu, Roberta Uras, Anna Rosa Zedda, Elisabetta Zedda e Margherita Zurru – è rivolto a tutti coloro che si riconoscono dentro il campo della democrazia e del progresso, per costruire insieme un progetto politico orientato a superare gli svantaggi e le diverse velocità che ancora caratterizzano le nostre società.»

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«Sono circa  un centinaio gli infermieri che prestano servizio nella Casa Circondariale di Cagliari. Un numero spropositato che, a causa della parcellizzazione delle ore, non è in grado tuttavia di garantire la continuità terapeutica. Nel Centro Clinico sono inoltre del tutto assenti gli operatori socio assistenziali, indispensabili per le caratteristiche dei pazienti ricoverati. La situazione insomma è non solo insoddisfacente ma per certi versi caotica con un andirivieni di persone molte delle quali non sono nelle condizioni di svolgere il compito loro assegnato non conoscendo appieno le dinamiche interne alla struttura detentiva». Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, facendo osservare «l’improcrastinabilità di promuovere un programma di stabilizzazione degli infermieri e dei medici per garantire ai cittadini privati della libertà referenti costanti e pieno diritto alla salute”.

«Sempre più spesso detenuti e familiari lamentano con i volontari – sottolinea Maria Grazia Caligaris -la difficoltà di rapportarsi all’infermiere o al medico con il quale hanno avviato un rapporto di fiducia. Riferiscono che incontrano sempre persone diverse e ogni volta sono costretti a ricostruire una relazione. In qualche caso, benché sporadico, devono rammentare all’interlocutore l’interruzione o l’avvio di una terapia che un altro al suo posto ha individuato per lenire un disturbo o sospeso. La pletora di presenze e il continuo cambio di referenti incidono negativamente sul rapporto confidenziale e fiduciario tra medico-infermiere e paziente-detenuto rendendo talvolta difficile anche la riabilitazione.»

«Ad aggravare la situazione si aggiunge – osserva ancora la presidente di SDR – la totale assenza di operatori socio-assistenziali che hanno il delicato compito di assistere chi è ricoverato nel Centro Clinico per qualche intervento o non è autosufficiente perché disabile. Quando la sanità era in carico del Ministero della Giustizia svolgevano il ruolo degli OSS i “piantoni” cioè detenuti con mansioni di cura ai quali veniva riconosciuto anche un piccolo compenso. Attualmente invece a farsi carico dei compagni più deboli sono carcerati volontari che operano gratuitamente. Se è assurdo che un detenuto malato e con problemi di autosufficienza possa restare in un Istituto penitenziario e non sia possibile collocarlo in una struttura alternativa, appare del tutto paradossale che in un Centro Clinico non ci siano gli operatori socio-assistenziali. C’è infine – ma non è un particolare secondario – la questione della cartella clinica digitalizzata, indispensabile in un presidio altamente dispersivo, ancora inesistente nella Casa Circondariale di Cagliari-Uta.»

«E’ evidente che continuare a trascurare questi aspetti così importanti non giova al sistema detentivo, ma soprattutto non garantisce la parità di trattamento dei cittadini limitando gravemente i livelli minimi di assistenza ai detenuti. Sarebbe opportuno un intervento dell’assessorato regionale della Sanità per ridistribuire i carichi di lavoro secondo logiche di efficienza ed efficacia. A Cagliari-Uta sono recluse 570 persone per le quali sarebbero sufficienti una trentina di infermieri stabili. Mandarne 100 equivale quasi a non averne neppure uno. Così come appare illogico e fonte di spreco preparare con appositi corsi operatori socio-assistenziali e poi non impiegarli dove sono indispensabili. Nel Centro Clinico di Uta – conclude Maria Grazia Caligaris – ne basterebbero 5/8 e molti problemi sarebbero risolti. Purtroppo non sempre il buon senso e la logica prevalgono. E se si tratta di risparmiare forse è meglio agire su altri fronti perché chi ha perso la libertà non ha rinunciato agli altri diritti fondamentali.»

«La Sanità Penitenziaria, a quattro mesi dal trasferimento dei detenuti nel Villaggio di Cagliari-Uta, nell’area industriale di Macchiareddu, non è ancora in grado di dare adeguate risposte ai ristretti». Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, sottolineando che «l’organizzazione del lavoro e l’assenza di alcune strumentazioni rendono particolarmente difficile assicurare costantemente il diritto alla salute dietro le sbarre».

«Nella nuova Casa Circondariale di Cagliari – osserva Caligaris – si presentano delle condizioni paradossali. Da un lato si sta provvedendo a dotare l’Istituto di una TAC(tomografia assiale computerizzata), dall’altro mancano i telefoni e i computer per poter comunicare direttamente all’esterno e con i Magistrati. Una situazione incredibile che ogni giorno mette a dura prova l’attività dei medici, sprovvisti perfino di carta intestata. L’aspetto più preoccupante tuttavia è l’assenza della strumentazione per gli esami radiologici. I detenuti infatti non vengono sottoposti alle schermografie indispensabili per scongiurare infezioni polmonari incipienti o in atto.»

«Non si può del resto tacere sulle carenze nel Reparto femminile, dove non è stato previsto un centro clinico ma soltanto un’infermeria, e su un’organizzazione dove sono assenti gli operatori socio-sanitari, indispensabili per garantire il supporto ai detenuti ammalati. Ancora assente la figura del Farmacista previsto dalle linee-guida regionali. I detenuti inoltre non possono avere la continuità terapeutica in quanto l’elevato numero di Medici e di Infermieri e il loro continuo alternarsi secondo gli orari di servizio impediscono ai pazienti di avere – sostiene la presidente di SDR – referenti sanitari certi che possano seguire con continuità le problematiche della salute di ciascuno.»

«Sono ritornati nella Casa Circondariale cagliaritana una trentina di detenuti che erano stati trasferiti a Sassari-Bancali, oltre due mesi fa, per favorire lo spostamento in giornata dei reclusi dal carcere di Buoncammino a quello di Uta.»

Lo ha reso noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che si era fatta interprete del disagio espresso dalle famiglie per effettuare regolari colloqui a causa della distanza e dei costi dei viaggi.

«E’ per noi un sollievo – hanno detto i parenti dei detenuti esprimendo soddisfazione per il ritorno a Cagliari-Uta dei propri cari – non dover affrontare una trasferta lunga e disagevole per poter incontrare i nostri familiari ristretti. Nelle ultime settimane abbiamo affrontato le difficoltà consapevoli che si trattava solo di un sacrificio transitorio, ma ormai non riuscivamo più a sostenere la fatica e la spesa. Desideriamo quindi ringraziare il Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di aver accolto la nostra richiesta.»

«Garantire regolari rapporti con i familiari ai cittadini privati della libertà – osserva Maria Grazia Caligaris – non è soltanto un’esigenza condivisibile, ma necessaria proprio per rendere più incisiva, come del resto recitano l’ordinamento penitenziario e le circolari ministeriali, l’azione rieducativa del carcere. E’ evidente che condizioni socio-economiche difficili condizionano negativamente la possibilità di svolgere regolari colloqui con i parenti generando nei reclusi instabilità emotiva ciò a maggior ragione in presenza di figli minori.»

«Non si può del resto dimenticare – conclude la presidente di SDR – che i detenuti hanno perso la libertà ma hanno diritto a coltivare i rapporti affettivi indispensabili per il loro reinserimento sociale. E’ altresì evidente che i loro parenti non devono scontare alcuna pena come implicitamente accade quando viene meno il rispetto della territorialità.»

Mario Trudu racconta se stesso nel libro “Totu sa beridadi – Tutta la verità”, pubblicato nella collana “Le strade bianche di Stampa Alternativa” in cui ricostruisce la propria vita da giovane pastore ogliastrino fino alle vicende giudiziarie che lo vedono in carcere da ormai 35 anni. Condannato la prima volta per il sequestro dell’ing. Giancarlo Bussi, del quale da sempre si dichiara innocente, si è riconosciuto responsabile del sequestro di Eugenio Gazzotti conclusosi tragicamente.

«Un racconto – sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che negli ultimi anni ha sostenuto la richiesta dell’ergastolano di poter far ritorno in Sardegna per continuare a scontare la pena vicino ai suoi parenti – che offre numerosi spunti di riflessione. E’ un documento diretto sul clima culturale in Sardegna alla fine degli anni Settanta quando il sequestro di persona a scopo estorsivo era una drammatica realtà così come la pratica della carcerazione preventiva e del confino. Testimonia però anche le condizioni di vita dentro strutture penitenziarie come Buoncammino e l’Asinara nonché il regime del 41bis.»

«Trudu – osserva Maria Grazia Caligaris – più che narrare rivive gli episodi più drammatici e porta il lettore a condividere stati emotivi, paesaggi, silenzi. Le parole, spesso in arzanese, aiutano a comprendere in modo diretto quali sentimenti animassero i giovani che vivevano nell’entroterra sardo. Documenta però con forza e determinazione le ingiustizie subite nelle diverse strutture penitenziarie in cui è stato ristretto.»

«Chi è colpevole – scrive Mario Trudu – è giusto che paghi. Per quanto mi riguarda subisco un’ingiustizia in più. Dal 1986, grazie alla legge Gozzini chi aveva tenuto un comportamento regolare in carcere e scontato un quarto di pena (gli ergastolani dopo dieci anni) poteva uscire in permesso. Ma nel 1992 nacque l’emergenza mafia e tutti noi che eravamo nei termini di poter usufruire dei benefici fummo bloccati. Non solo. Nel mio caso ci fu anche un ritardo nel completamento della relazione del gruppo di osservazione con la conseguenza che per 20 anni non ho usufruito dei benefici di legge.»

«Mario Trudu – conclude la presidente di SDR – si è macchiato di un reato odioso ma dopo 35 anni di carcere non solo è cambiato ma ha acquisito almeno il diritto a tornare in Sardegna. Lo stabiliscono le norme, lo suggerisce il buon senso. Lo Stato non può usare la vendetta con chi ha sbagliato.»