21 November, 2024
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La prima ad offrirsi come “cavia” per testare il vaccino anti-virus “Sars-2-CCov19” è stata Elisa Granato. Giovedì 23 aprile si è fatta inoculare un vaccino sperimentale presso l’Istituto Jenner di Oxford.

Sappiamo che ha 32 anni ed è nata in Germania da genitori italiani; la sua lingua madre è il tedesco; parla fluentemente l’inglese in quanto studia come Biologa presso l’Università di Oxford; capisce l’italiano. Lei ed un altro giovane sono stati scelti fra 500 volontari sani. Adesso è in osservazione. Mattina e sera viene redatto un diario clinico sul suo stato di salute. Oggi, 27 aprile, sta bene. Tutto il mondo è in gara per la formulazione del vaccino più efficace e più tollerato. Al momento sono pronti, per essere testati, 115 vaccini. Tutti hanno superato la Fase I: è il test sugli animali di laboratorio. La Fase II comporta il test sull’Uomo ed è finalizzata a capire se possono comparire danni imprevisti, di vario grado, alla salute, dal lieve malessere al decesso.

Se la Fase II verrà superata si passerà alla Fase III, con l’inoculazione ad alcune migliaia di esseri umani. Se anche la Fase III sarà superata, e si sarà ottenuta una produzione di anticorpi efficace, si procederà alla produzione industriale del vaccino.

Quindi si passerà alla distribuzione ed alla vaccinazione di 7 miliardi e mezzo di esseri umani. I tempi saranno lunghi.

Stiamo ripercorrendo i passi storici descritti nei testi di “Storia della Medicina”, da Edward Jenner (1700), Robert Koch e Luigi Pasteur (1800).

Esiste una difficoltà nel preparare questo vaccino: il virus è poco immunogeno, cioè fa produrre anticorpi poco efficaci e poco duraturi. A questo punto è entrata in gioco la “genialità italiana”. Si è vista nella scelta fatta in un laboratorio di Biologia Molecolare di Pomezia. Il Coronavirus assomiglia un po’ allo HIV che muta troppo rapidamente e riesce ad ingannare il sistema immunitario.

Le scienziate e gli scienziati di Pomezia hanno astutamente fabbricato un “Cavallo di Troia” virale. Hanno utilizzato un “adenovirus” del raffreddore della scimmia e gli hanno messo “in pancia” un frammento di proteina di Coronavirus. In tal modo il  sistema immunitario è indotto a produrre anticorpi sia contro il virus della scimmia sia contro la proteina della capsula proteica del Coronavirus, uccidendoli entrambi. Si cerca di sapere se il trucco funziona.

Ce lo svelerà Elisa Granato.

La cittadina di Pomezia è grande come Carbonia e Iglesias messe insieme: 62.000 abitanti. Vi ha sede l’Istituto di ricerca “Advent IRBM Science Park”.

L’Istituto è fondato sui programmi di 4 società:

  • IRBM: studia nuovi agenti farmaceutici chimici o biologici;
  • Advent: sviluppa vaccini adenovirali per uso clinico;
  • Promidis è un consorzio pubblico-privato formato da CNR (Centro Nazionale Ricerche), ISS (Istituto Superiore di Sanità);

L’IRBM nacque nel 1990 dalla casa Fermaceutica Angeletti SPA,  dalla Americana Merk-Sharp e dall’italiana Sigma Tau.

Nel 2009 l’Azienda si fuse con l’Americana Schering-Plough, la quale decise subito dopo di dismettere quel ramo d’azienda con cui si era appena fusa. Da allora l’Azienda è totalmente italiana e di proprietà di Piero Di Lorenzo.

Oggi la collaborazione tra l’“Institute” della Oxford University e la Advent IRBM di Pomezia ha messo a punto il vaccino ed è iniziata la sperimentazione di Fase II su volontari.

***

Un’altra donna, legata alla storia delle epidemie  e dei vaccini, è Lady Wortley Montague. Nacque nel diciassettesimo secolo, fu moglie di Edward Wortley Montague, ambasciatore inglese presso l’Impero Ottomano. Questa donna viene ricordata nei testi di storia della Medicina perché, durante la permanenza a Costantinopoli apprese la tecnica della “vaiolizzazione”.

In quei tempi a Londra il vaiolo era endemico ed esplodevano epidemie mortifere ogni 5 anni. Veniva colpito il 60 per cento della popolazione e il 20 per cento moriva. Morivano soprattutto bambini. Anche il virus vaioloso, come il Coronavirus, viene contagiato per via aerea attraverso l’aerosol prodotto dal fiato espirato dal portatore. Lady Wortley aveva notato che nel mondo islamico non si registravano epidemie così virulente di vaiolo. Lei attribuì il fenomeno all’abitudine dei musulmani di scarificare la cute dei bambini con pus estratto da pustole di malati in fase di guarigione. I bambini contraevano il vaiolo in forma leggera, poi diventavano immuni per sempre. Lady Wortley fece “vaiolizzare” i figli. Al rientro in Europa, essendo già nota tra gli intellettuali Illuministi per aver pubblicato opere letterarie, diede il via ad una campagna di informazione sulla “vaiolizzazione”. In questo fu sostenuta in Francia da Voltaire, e in Inghilterra dalla stessa famiglia reale. Tuttavia, il metodo non si diffuse sia perché alcuni soggetti “vaiolizzati” morivano, sia perché il metodo proveniva da un paese islamico.

***

Nel 1798 il medico Edward Jenner pubblicò le sue annotazioni sulla tecnica da lui messa a punto: la “vaccinazione”. Egli da bambino era stato vaiolizzato col metodo islamico.

Aveva notato che le donne mungitrici si ammalavano del “vaiolo delle vacche”. Era una forma leggera di vaiolo che si limitava alla comparsa di pustole sulla cute delle mani. Egli notò anche che queste donne, durante le epidemie di vaiolo, non si ammalavano.

Forte della esperienza trasmessa da Lady Wortley, e avendo immaginato che il “vaiolo delle vacche” fosse un “cugino benigno” di quello dell’uomo, avviò una sperimentazione. Prelevò pus dalle pustole delle mani delle mungitrici e lo scarificò sulla cute di un bambino il cui nome  passò alla storia: James Phipps. Dopo un paio di mesi espose il bambino al contagio tra malati gravi di vaiolo e questi rimase indenne.

Dopo questo primo approccio, scarificò anche la cute di suo figlio di 8 anni. Il risultato fu identico. Ripetè ancora l’esperimento su altri soggetti e dimostrò definitivamente che l’inoculazione di agenti del vaiolo delle vacche protegge contro il temibile vaiolo umano.

Il termine “vaccinazione” sostituì presto la dizione di “ inoculazione da vaiolo delle vacche” e fu usato per la prima volta da un amico di Jenner in un opuscolo che dette alle stampe nel 1800. Successivamente, Pasteur propose di utilizzare, in onore di Jenner, il termine di “vaccinazione”per le nuove e future tecniche similari.

Il primo ad attuare  la vaccinazione di massa antivaiolosa sulle sue truppe fu Napoleone Bonaparte dopo la triste conclusione della Campagna d’Egitto. La Guerra d’Egitto, iniziata da Napoleone nel 1798, era stata gravata da una epidemia di “peste bubbonica” e questa fu una delle cause del suo fallimento. Successivamente Napoleone fallì anche la Campagna di Russia più per una grave epidemia di “tifo esantematico”, che decimò e indebolì le sue truppe, che per l’inverno russo. La malattia veniva trasmessa dai pidocchi.

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Nonostante gli evidenti effetti protettivi del “Vaccino”, il metodo  incontrò gravi difficoltà ad essere accettato dalla cultura del tempo. Si formò una forte corrente di opinione pubblica avversa alimentata anche da medici e uomini di chiesa. Questi erano gli antesignani degli “antivaccinatori odierni”. Essi sostenevano che la “vaccinazione” fosse opera di un complotto internazionale contro il popolo, allo scopo di “minotaurizzarlo” e renderlo succube a poteri occulti. La dietrologia antivaccinatoria ha radici lontane.

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Una donna eccezionale che ha fatto la Storia della assistenza infermieristica ospedaliera in corso di epidemie fu Florence Nightigale. Era anche lei di nobile famiglia inglese con radicate convinzioni religiose. Il padre fu uno dei fondatori della “Epidemiologia”. Essa stessa era particolarmente versata nelle Scienze matematiche e nello studio della “Statistica”. Classificava la “prevalenza” delle malattie e la loro “incidenza”; la “mortalità” e la “ letalità”, con un “istogramma” di sua invenzione: “L’istogramma circolare“. Lei rappresentava le percentuali statistiche, in modo figurato, con una “torta tagliata a spicchi”, dove ogni spicchio corrisponde alla percentuale; l’intero cerchio corrisponde al 100 per cento.

Florence apprese le nozioni di Medicina frequentando un ospedale di diaconesse luterane in Prussia. Era l’ospedale per soldati più avanzato al mondo. Le donne avevano capito che i soldati non morivano a causa delle ferite ma, nella maggior parte dei casi, per malattie contratte negli ospedali da campo. Ne derivò la messa a punto di tecniche di Igiene ospedaliera.

Nell’anno 1854 era in corso la “Guerra di Crimea”  tra l’alleanza formata da Inglesi, francesi ed ottomani, contro i Russi. Partecipò tra le potenze europee anche il piccolo Regno di Sardegna inviando 17.000 soldati sardi. In Crimea era scoppiata una epidemia di colera e tifo esantematico, e faceva molte vittime. I malati venivano trasferiti per nave, attraverso il Mar Nero, a Scutari, un sobborgo di Costantinopoli.

Florence Nightingale, con un gruppo di infermiere addestrate da lei, si fece portare a Scutari da una nave da guerra inglese. Trovò che la mortalità tra i soldati ricoverati in quell’ospedale da campo era altissima. Sappiamo che in quell’occasione morirono 3.000 soldati sardi, quasi tutti per l’epidemia. Florence studiò il campo-ospedale; rilevò la percentuale di feriti e di contagiati; studiò i focolai di contagio e trasformò le informazioni in numeri e grafici statistici. Risultò che la “mappa” della maggiore “incidenza” indicava come responsabile un luogo dove non c’era un drenaggio fognario per le acque sporche. Inviò la relazione al vice-Primo ministro in patria e ottenne finanziamenti, mezzi ed ingegneri per costruire un corretto impianto fognario e di depurazione delle acque. In breve al mortalità calò del 50 per cento.

Rientrata in patria pubblicò i suoi studi di statistica sanitaria e divenne famosa nel mondo. Venne invitata a corte dalla regina Vittoria ma vi si recò solo dopo aver osservato un periodo di “quarantena” nel proprio domicilio, dove non permetteva neppure alle sorelle a alla madre di avvicinarsi. Tale era la consapevolezza dell’importanza dell’autoisolamento per chi proviene da una zona “rossa” epidemica.

Successivamente gli Americani, impegnati nella sanguinosa “Guerra di secessione”, la convocarono e le affidarono il compito di addestrare un esercito di infermiere da far scendere in campo. Fondò l’Ordine delle infermiere americane.

Non si sposò mai. Seguì la sua “mission” sino alla fine.

Era nata a Firenze il 12 maggio 1820. Morì a Londra nel 1910 e fu decisa la sua tumulazione nella Cattedrale di Westminster ma, per suo volere, la famiglia la fece seppellire nel cimitero di “Margareth of Antioch”.

Quest’anno è il bicentenario della sua nascita. Gli Ordini professionali del personale infermieristico di tutto il mondo l’hanno dedicato a lei.

A maggio cade l’anniversario di Florence Nightingale e nello stesso mese passeremo dalla Fase 1 alla Fase 2 dell’epidemia di Coronavirus. Oggi la sua capacità statistica nel classificare il fenomeno epidemico ed il suo rigore nelle scelte di “Igiene ospedaliera” sono  di grande aiuto.

***

Da febbraio 2020 ad oggi abbiamo visto molte donne-scienziato scendere in campo contro il virus. Abbiamo visto come i laboratori di ricerca dove si allevano virus e microbi siano gestiti quasi esclusivamente da donne. Secondo i giornali, sembra che il virologo più apprezzato sia la professoressa Ilaria Capua, che dirige un Istituto di Virologia a Miami.

Numerosissime sono le dottoresse rianimatrici ed infermiere impegnate in un corpo a corpo contro il virus.

Fuori dagli ospedali vediamo le donne sostenere le famiglie, i bambini, i nonni, ma anche alleviare ai giovani e agli adulti la prova dell’isolamento e della sospensione forzata dal lavoro.

Qui nel Sulcis, nei momenti più critici per la mancanza di “presidi” come le mascherine, vi è stato un movimento spontaneo di donne che hanno preso l’iniziativa di cucire le mascherine chirurgiche in quantità tale da soddisfare l’esigenza di Ospedali e delle famiglie.

Adesso inizia la fase più dura: si passa dalla fase di “fuga” alla fase di “attacco” al virus. L’ha iniziata, ad Oxford, un’altra donna: Elisa Granato.

Mario Marroccu

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Con l’epidemia da Coronavirus dell’anno 2020 stiamo vivendo un fenomeno storico che non verrà dimenticato nei secoli futuri.

Gli antichi chiamavano l’epidemia PEIUS”, che significa “la peggiore” malattia; da lì deriva la parola PESTE. Con questo termine sono state indicate tutte le epidemie del passato.

L’epidemia più famosa della Grecia Classica fu quella di Atene nel 430 avanti Cristo, raccontata da Tucidide.

Allora, come oggi non c’erano medicine curative. Questo fatto ci accomuna a tutte le Epidemie precedenti.

IPPOCRATE (V e IV Secolo a.C.), che inventò la Medicina scientifica dei professionisti, dispensò consigli e formule terapeutiche per tutte le malattie ma, davanti alla peste, consigliava ai suoi allievi medici:”FUGE, LONGE, TARDE”. Cioè: «Fuggi subito, vai lontano, torna il più tardi possibile».

GALENO, che fu in assoluto il più grande medico della storia, visse nel II secolo dopo Cristo e conobbe da vicino la “PESTE ANTONINA” del 165.  Egli stesso racconta che fuggì da Roma, abbandonando l’illustre suo paziente, l’imperatore Marco Aurelio, e si rifugiò a Pergamo (nella attuale Turchia) per alcuni anni. La peste arrivò anche a Sulci. Si sa che in tutto l’Impero Romano la peste provocò un danno demografico imponente.

Pochi anni prima, nel 127 d.C., era morto, per martirio, nella popolosa città di SULCI, il medico cristiano ANTIOCO.

Secondo la perizia anatomopatologica eseguita dal professor Paolo Mazzariello, Antropologo presso l’Università di Sassari, il corpo di Antioco venne inumato secondo l’usanza del tempo. Dopo alcuni anni le ossa vennero riportate alla luce e riposte in un ossuario lapideo. L’ossuario venne allogato in una catacomba cristiana, derivata da un ipogeo punico. Su quell’ipogeo venne poi edificata l’attuale Basilica. La sepoltura, secondo la Legge Romana, si trovava “extra-muros”, poi, dopo il 313, venne trasformata in una sede ufficiale per la pratica del culto cristiano ed inglobata in seno alle mura della città. 

La venerazione di Sant’Antioco fu mantenuta anche durante l’occupazione vandalica della Sardegna iniziata nell’anno 456 dopo Cristo. I Vandali, ariani, rispettavano i santi cristiani beatificati anteriormente al Concilio di Nicea. La loro venerazione per il Santo è attestata dalle tombe vandaliche trovate dietro l’abside della Basilica, dove scelsero di farsi seppellire. Vi sono testimonianze evidenti dei rispetto mantenuto nei confronti di quel luogo di culto anche nelle tombe di guerrieri Vandali trovate sotto le fondamenta delle case vicine alla sede della tomba del Santo, contenenti ossa umane, armi e perfino lo scheletro del cavallo di battaglia.

In quei primi secoli la città di Sulci venne radicalmente cristianizzata tanto che i suoi Vescovi parteciparono ai Concili di Cartagine, probabilmente dal III secolo, al tempo di Cipriano, fino al V secolo con Sant’Agostino. Esiste, nei documenti conciliari, il nome di un certo Vescovo Vitale di Sulci.

Ciò conferma l’importanza della Cattedra Sulcitana eretta sulla tomba di Antioco.

Una volta che i Vandali vennero spazzati via dalla storia ad opera del generale Belisario, arrivarono i Bizantini nell’anno 535 dopo Cristo. L’arrivo dei Bizantini in Sardegna ebbe un effetto simile a quello che provocato dall’arrivo di Cristoforo Colombo e degli Spagnoli nelle Americhe che inconsapevolmente recarono con sé il Vaiolo e il Morbillo. Qui arrivò la peste.  Così la città di Sulci, dopo aver conosciuto la “Peste Antonina” che era durata 15 anni, conobbe anche la “PESTE DI GIUSTINIANO” del 541 dopo Cristo.

Fu una Pandemia che imperversò in tutto l’Impero e durò due anni. Lo storico Procopio di Cesarea riporta che al culmine dell’epidemia morivano, nella sola Costantinopoli, dalle 5.000 alle 10.000 persone al giorno. Fatti i debiti rapporti si può immaginare cosa avvenne nella città di Sulci. La popolazione si rifugiava nel conforto della religione cristiana e, già allora, Sant’Antioco ne era l’eroe. In quei giorni a Sulci erano presenti i Monaci Basiliani, giunti dalla lontana Costantinopoli a testimoniare il messaggio di san Basilio. Questi era il Vescovo  che per primo ideò una struttura ospedaliera destinata agli appestati e a tutti i derelitti: la Basiliade.

I Monaci Basiliani avviarono la cristianizzazione di tutta la Sardegna, ancora in gran parte pagana, e venne diffuso il culto di Sant’Antioco martire, medico e difensore dalla peste.  Sorsero chiese ovunque. Tutt’oggi, a distanza di 1500 anni da quell’epidemia, il culto del santo è testimoniato da 68 chiese a lui dedicate, e dalla attualità del suo nome, assieme a quello di Basilio, nelle tradizioni familiari di tutta la Sardegna.

Furono tante le morti di quell’epidemia che, come racconta Procopio, «non si trovavano più luoghi dove seppellire i morti, e i cadaveri dovevano spesso essere lasciati all’aperto». Le crude immagini della peste suscitate da Procopio le abbiamo riviste, ai giorni nostri, in quelle colonne di camion militari che lasciavano gli Ospedali di Bergamo e Brescia per condurre le troppe salme nei vari impianti crematori della Lombardia. A causa dell’impossibilità di trattarle tutte, alcune sono state trasferite anche in Sardegna.

Racconta ancora Procopio che Giustiniano dovette promulgare nuove leggi per snellire le procedure legate alle pratiche ereditarie, che raggiunsero un picco causato dalle innumerevoli morti.

Di questa crisi sanitaria dell’Impero approfittarono gli invasori GOTI che, penetrati in Italia, devastarono Roma. Fu tale la contrazione demografica subita da Roma a causa dell’epidemia che i Goti ben presto perdettero interesse per la Città e l’abbandonarono.

Si suppone che nella Sardegna Bizantina, e quindi a Sulci che assieme a Carales era la città più popolosa, il danno demografico sia stato simile.

La città di Sulci sopravvisse e si riprese, tanto che divenne il porto militare della flotta cristiana Bizantina del Mediterraneo occidentale. Proprio da lì i Bizantini partirono per radere al suolo la città di Rades, nell’attuale in Tunisia, che sorgeva vicino a Cartagine. A causa di questa aggressione, che «suscitò molto scandalo in tutto il mondo islamico, fino a La Mecca e Bagdad» nell’anno 704 una flotta musulmana attaccò Sulci. Da allora la città uscì dalla Storia.

Nel testo “ARABI E SARDI” di Mohamed Bazama, si parla di quell’attacco a Sulci, e viene citata anche la depredazione della chiesa del Santo. Poi, secondo una storia leggendaria riferita da autori musulmani il Santo, offeso, causò il naufragio della flotta. Per rappacificarlo i musulmani portarono, per anni, olio prezioso per le lampade della tomba del Santo.

Nei secoli successivi l’isola si spopolò in quanto gli abitanti, per sfuggire alle incursioni saracene, si distribuirono in altre sedi ma la fama del Santo, invocato come protettore dalle  epidemie e dall’aggressione dei pagani, rimase radicata nei Sardi.

Nell’anno 1096 l’edificio della Basilica venne occupato e ristrutturato dai Monaci Benedettini Vittorini di Marsiglia. Era l’anno in cui il Papa, benedettino francese di Cluny, Urbano II, avviava l’epoca delle Crociate. Il nostro Santo e la sua Basilica erano quindi ben noti ai Benedettini, organizzati in una formidabile rete di monasteri in tutta Europa. Dopo 9 anni i Benedettini se ne andarono.

La Basilica del Santo tornò sotto il controllo del Giudicato di Carales. Il potere di intercessione di Antioco era talmente sentito dai Giudici che Torchitorio e Nispella donarono l’isola al Santo.

Nel 1347, l’anno della “PESTE NERA”, l’isola di Sulci era spopolata e la venerazione del Santo si praticava ormai a Tratalias, nella neonata città pisana di Iglesias e nella rocca fortificata di Carales. Qui, la fede nel Santo Antioco rappresentò un formidabile strumento di supporto morale per la popolazione, rarefatta dal morbo. A supporto di questa affermazione esistono documenti d’archivio che testimoniano l’esistenza della forte venerazione per Antioco. Venerazione attestata dalla pratica dagli imponenti pellegrinaggi del popolo sardo alla Sua tomba Nel secondo Lunedì dopo Pasqua, l’affluenza di fedeli all’isola era tale che i preti arrivavano a celebrare fino a 3000 messe in un solo giorno.

Nel 1300, oltre all’epidemia resa famosa dal Boccaccio, vi furono altre 4 epidemie di peste. Nel 1400 le epidemie furono 3. La peste si ripresentò nel 1500 e nel 1600. Poi nel 1700 vi furono focolai endemici. Nel 1800 scomparve.

Sulla fede dei Sardi nella intercessione di Sant’Antioco per far cessare la Peste, esistono diverse documentazioni pittoriche. Ho ricevuto dal massimo esperto sull’arte pittorica riguardante Sant’Antioco, dottor Roberto lai, le foto di alcune immagini. Risalgono tutte al 1500, quindi antecedenti il ritrovamento delle Reliquie del Santo avvenuto nel 1615. Una di queste rappresenta Sant’Antioco assieme a San Rocco.

San Rocco è il Santo protettore dalla Peste venerato in tutto il mondo. E’ il patrono degli appestati, dei contagiati, degli operatori sanitari e dei Farmacisti.

E’ il santo più invocato nel Medio Evo. “A famine, a Peste, a Bello , libera nos Domine”.

San Rocco nacque a Montpellier nel 1346, e morì a Voghera nel 1376. Era devoto a San Francesco d’Assisi, e lo imitava assistendo molto umilmente i malati meno avvicinabili, i più evitati da tutti.

Avendo saputo di una nuova epidemia di peste in Italia, partì dalla Francia e, percorrendo la “via Francigena” e “Romea”, arrivò a Roma. Era la peste del 1368; si prodigò per seppellire i morti e assistere gli ammalati ma non si ammalò, segno certo della sua santità. Dopo la sua morte la Chiesa lo dichiarò Santo Taumaturgo.

Nell’opera pittorica inviatami il Santo Medico Antioco è raffigurato in compagnia di san Rocco, che è il massimo intercessore in caso di peste; ciò vuole significare l’esistenza di una   cooperazione fra i due in quella specifica funzione.

Un altro quadro, del 1594, rappresenta Sant’Antioco con i Santi Cosma e Damiano.

Questi Santi, nati nel II secolo in Cilicia, sono Santi Medici, e sono i patroni di: Medici, Chirurghi, Farmacisti, Dentisti.

I simboli che recano in mano sono: la palma e il libro, esattamente come Sant’Antioco. Inoltre fra i loro attributi vi sono gli strumenti chirurgici.

In alcuni dipinti Sant’Antioco è rappresentato con la palma, il libro, e un borsellino contenente le ampolline per farmaci e unguenti. Erano i preparati galenici estratti dai semplici. I “semplici” erano le erbe dell’orto botanico che ogni medico ippocratico curava.

Un’altra immagine di opera pittorica cinquecentesca, che ho ricevuto assieme alle altre, rappresenta “Sant’Antioco a cavallo”, che si dirige ad Alghero per proteggere la città dalla peste che decimò la popolazione nel 1582-1583.

***

Quest’anno 2020, a causa dell’epidemia di Coronavirus, non ci saranno le antiche manifestazioni religiose in onore di Sant’Antioco, Martire e Medico Sulcitano.

Non potremo rivivere un rito millenario che chieda al Santo la Sua intercessione. Perderemo un raro caso di archeologia vivente. Ci mancherà.

Mario Marroccu

Seguono le immagini d’archivio possedute dal dottor Roberto Lai ed un estratto della relazione già pubblicata in Annali sulcitani e sul web, dello stesso Roberto Lai.

…Ѐ palese, inoltre, come il ritratto del santo realizzato da Scano Baciccia, ai primi del Novecento, nel medaglione della volta nella chiesa di San Bernardino a Mogoro, sia una copia fedelissima di questa tavoletta. Il santo sulcitano viene rappresentato imberbe e con una capigliatura riccia, non frequente nella sua ricca iconografia tradizionale, abbigliato con tunica scura e pallio rosso. Tiene in mano la palma, segno del martirio, il libro e un borsellino porta-unguenti che ci riconduce alla sua professione di medico. In questo stesso modo è raffigurato anche nel Retablo di Sant’Anna di Girolamo Imparato, nella chiesa del Carmine a Cagliari, e nel simulacro ligneo seicentesco del Museo Diocesano di Arte Sacra di Ozieri26. A riguardo, poi, del porta-unguenti, viene spontaneo il confronto con il polittico custodito nella Purissima a Cagliari, realizzato da Antioco Casula nel 1594. In esso, Sant’Antioco risulta affiancato dai Santi Cosma e Damiano, entrambi medici come lui; mentre uno reca in mano un’ampolla, all’altro pende dal fianco un oggetto simile a questo del S. Antioco della tavoletta di Mogoro. Anche nel grande retablo che un tempo si trovava nella chiesa di San Giorgio a Perfugas, è raffigurata una borsa analoga, dalla quale San Girolamo si accinge a prendere un medicinale per curare la zampa di un leone.  
Nella foto di copertina, il retablo di Sant’Antioco nella chiesa della Purissima. aI lati del Martire sono raffigurati i santi medici Cosma e Damiano.

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  Il 4 maggio 2020 inizierà un’altra Era.

  • Anno 476 d.C: fine dell’era classica romana. Inizia il Medio Evo.
  • Anno 1492: scoperta dell’America. Fine del Medio Evo. Inizia l’Era Moderna.
  • Anno 1789: Rivoluzione Francese. Inizia l’Era Contemporanea. La nostra Era.
  • Anno 2020: inizia l’Era Post-Pandemia.

Con l’inizio della Fase 2 la gente uscirà e lavorerà di nuovo ma con un compromesso: convivere col virus, sapendo che è indifesa e che alcuni verranno sacrificati.

La Fase 1, della clausura è stata una fuga. La Fase 2 sarà la “discesa in campo”. Ciò è giusto, necessario, ma pericoloso. Lo Stato interviene con decreti di salvaguardia come i seguenti.

Accordo del 10 aprile 2020 tra il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli ed il capo della Polizia Franco Gabrielli. Le ASL, con l’aiuto delle Questure potranno tracciare tutti i contatti telefonici dei pazienti Covid-19. Inoltre, per la futura Fase 2 esisterà una cooperazione tra Apple e Google che metteranno a disposizione le loro tecnologie.

Apple dispone di una “app” che mette in comunicazione tutti i cellulari col sistema “bluetooth”.

Google invece dispone di un suo sistema GPS con cui individua la posizione di tutti i cellulari nel globo terrestre, e ne traccia il movimento.

Chi accetterà di mettere le “app” nel suo telefonino, di fatto accetterà d’esser tracciato nei suoi spostamenti. In cambio, avrà il vantaggio di conoscere in tempo reale se si sta avvicinando a lui un Covid-positivo; inoltre avrà  il vantaggio di sapere se nei 14 giorni precedenti ha avuto, senza rendersene conto, contatti con Covid-positivi.

Chi avrà avuto contatti sospetti potrà farsi controllare col tampone nasofaringeo e, in caso di positività, isolarsi in tempo, dalla sua famiglia e dai compagni di lavoro, prima di diffondere il contagio.

Termoscanner obbligatori all’ingresso di uffici e negozi. La temperatura verrà misurata all’ingresso e poi all’uscita dal luogo di lavoro. Sono già in commercio cellulari che contengono come accessorio il termoscanner. In mancanza di questo si potranno usare termometri a raggi infrarossi.

I soggetti individuati col termoscanner verranno gestiti dall’Ufficio di Igiene pubblica con tre azioni.

1  accertamento diagnostico sull’origine della febbre;

2tampone nasofaringeo per la ricerca dello RNA virale;

3isolamento dei casi positivi fino alla negativizzazione del tampone e la comparsa di anticorpi.

I locali relativi al luogo di lavoro del soggetto verranno immediatamente sanificati con

  1. Ricambio dell’aria;
  2. Lavaggio accurato delle superfici con detersivi;
  3. Sanificazione con soluzioni di ipoclorito di sodio allo 0,5%. Le superfici più delicate verranno sanificate con soluzione alcoolica al 70%.

Nei locali destinati ad uffici pubblici e a negozi e uffici privati si attuerà il “distanziamento sociale” rarefacendo i clienti con vari metodi:

  1. Allungamento degli orari di apertura;
  2. Contingentamento dei clienti;
  3. Lavori “smart working” per gli impiegati;
  4. Ordini online e consegne a domicilio.

OSPEDALI

Per i Covid sintomatici verranno costruiti nuovi Ospedali. Saranno distinti dagli Ospedali Generali.

Reti Sanitarie nel territorio.

Avranno il compito più difficile: individuare i portatori asintomatici ed isolarli immediatamente.

I Test.

Il tampone, per la ricerca dello RNA virale nelle vie respiratorie dei soggetti, servirà ad isolare precocemente i contagiosi inconsapevoli. Servono per lo screening della popolazione.

Il test sierologico, per la ricerca degli anticorpi antivirus, servirà per individuare i soggetti che hanno maturato l’immunità contro il Coronavirus. Sono quelli che riprenderanno il lavoro, restando indenni e preservando indenne il prossimo.

L’aiuto dei Fisici teorici.

Il 31 gennaio 2020 il giornale “La Provincia del Sulcis Iglesiente” fu il primo in Italia a citare lo scienziato sulcitano prof. Nicola Perra che previde la Pandemia di Coronavirus  a partenza dalla Cina. Il suo lavoro indicò due cose importanti. Primo: la necessità di bloccare subito il traffico aereo e di avviare subito la preparazione di un vaccino. Secondo: l’impossibilità di definire la durata dell’epidemia.

Durante l’epidemia, nel Nord-Italia sono emersi gli studi di un altro fisico teorico, il prof. Paolo Giordano, che puntò subito il dito, nei suoi grafici, sull’importanza dei “portatori asintomatici” del virus, e sui soggetti “suscettibili” di infezione. Nella sua esposizione egli concluse che la parte di popolazione su cui concentrare l’attenzione sarebbero stati proprio i “suscettibili” e i “portatori”

Attualmente un altro fisico teorico, il prof. Federico Ricci Tersenghi, autore di un modello matematico per “leggere” l’epidemia di Coronavirus, ha affermato: «Non abbiamo un vero calo della curva dell’epidemia ma, una curva piatta che non tende a scendere». Egli fa notare che la Cina, con la chiusura (lockdown) del 24 gennaio, continuò ad avere infezioni, ed ottenne risultati favorevoli solo quando il Governo dispose di «isolare in zona protetta i pazienti con sintomi lievi e coloro che, pur non avendo tampone positivo, li avevano contattati. Solo allora il fattore di contagiosità Rzero è sceso a 0,3, determinando lo stop dell’epidemia».  Per tale ragione, egli suggerisce l’applicazione di regole di distanziamento molto rigorose prima di impostare la Fase 2. E’ necessaria una gestione molto più attenta in cui gli individui che hanno avuto contatti con un Covid-positivo vengano isolati non a casa ma in luoghi di vera quarantena.

L’isolamento dei Covid-19 deve avvenire in Ospedali  distinti da quelli Generali.

Le affermazioni di questi serissimi Ricercatori  fanno crescere la fiducia nel buon esito della Fase 2.

Purtroppo esistono anche notizie di stampa che polverizzano ogni barlume di fiducia. Il riferimento è ad una  notizia  di giornale in cui si parla di un Ospedale in cui, avendo predisposto locali di degenza per sospetti Covid-19, è stato realizzato il “distanziamento dei percorsi” tra Covid positivi e pazienti generali, incollando al pavimento uno scotch adesivo colorato che divide l’andito della corsia in due. In una metà passano quelli col virus, nell’altra metà quelli senza virus, nella presunzione che il virus si mantenga nel suo lato definito dal nastro adesivo.

Dato questo stato di cose, al pensiero che lo Stato possa controllare tutto e tutti, dobbiamo prepararci a delusioni e a sostenere lo Stato in questo immane braccio di ferro col Coronavirus.

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Da questa lunga premessa, che è necessaria per definire la situazione oggi, si evince che i problemi sono due:

  1. Necessità di riprendere a LAVORARE;
  2. Necessità di lavorare in SICUREZZA.

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  • La data di ripresa dell’attività produttiva della Nazione la deciderà il Governo.
  • A garantire la SICUREZZA dobbiamo provvedere tutti.
  • La sicurezza in Ospedale è competenza delle ASL.
  • La sicurezza nel territorio dipende dai nostri comportamenti.

Passando dalla Fase 1 alla Fase 2 sarà ancora più necessario che tutti indossino le mascherine chirurgiche ed i guanti. Con questi accessori ridurremo la carica virale nell’ambiente.

Sarà essenziale mantenere la “distanza sociale” nei luoghi di lavoro e nei mezzi di trasporto.

Sarà necessario che tutti si convincano d’essere potenzialmente infetti e diffusori di virus, e che è necessario avere rispetto della salute del prossimo.

Esistono chiare prescrizioni sia per i comportamenti  nei luoghi di lavoro sia per la sanificazione degli ambienti. Si trovano nella Circolare del ministero della Salute  n. 5443 del 22 febbraio 2020.

Oggi l’attenzione degli organi di controllo si concentra sulla responsabilità del lavoratore nel rispetto della norma e sulla responsabilità del datore di lavoro nella applicazione del Principio di precauzione”  per la salvaguardia della salute dei dipendenti e degli utenti.

Nella Fase 2 si assisterà ad un forte ampliamento dei doveri e responsabilità nei confronti del prossimo.

Sono già in corso indagini della Magistratura nelle RSA dove maggiormente vi sono state vittime. Le indagini si estenderanno capillarmente a tutte le attività umane: dal grande Ospedale e dalla grande Industria ai più piccoli negozi e uffici pubblici o privati. Le attenzioni si concentreranno sul rispetto delle precauzioni contro l’attacco di agenti infettivi.

Forse è vero, come dicono i sociologi, che diverremo tutti più sospettosi del prossimo e anche egoisti. Questa sarà una patologia secondaria derivata dalla Pandemia.

La Pandemia diventerà Endemia, cioè si trasformerà in focolai sparsi di contagio.

I “focolai di contagio (cluster)” potranno evolvere in due modi: il “contenimento” oppure una “nuova espansione epidemica”.

Una nuova Pandemia comporterebbe un disastro economico difficilmente sanabile.

E’ evidente la necessità di individuare subito i portatori di virus e contenerli in luoghi dedicati.

L’individuazione del “portatore” del virus si può fare esclusivamente con il “tampone” e la successiva ricerca del virus con tecnica PCR (Polymerase Chain Reaction).

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Nella cittadina di Vò Euganeo, dove si sviluppò un grave focolaio, tutta la popolazione è stata sottoposta a screening con tampone nasofaringeo per la ricerca del virus. E’ stata redatta una mappa degli infetti e dei sani.  I soggetti positivi sono stati isolati fino a guarigione. In questo modo i casi si sono ridotti a zero.

Questa tecnica è relativamente costosa, ma la spesa è “nulla” rispetto all’imponente danno economico che si prospetta. Lo strumento per la PCR che legge il tampone impiega 20 minuti per dire se il virus c’è o non c’è.

Considerati i tempi per il prelievo e la compilazione del referto, possono occorrere 30 minuti di lavoro. Se il laboratorio lavora per 10 ore senza sosta può fare 20 esami. Questo nel caso che si esamini un campione per volta.

Il Governatore della Regione Veneto ha proposto di rilasciare un patentino a coloro che risultano indenni da virus e anticorpi antivirali nel sangue. Non è una novità. Già di faceva nella Repubblica Marinara di Venezia nel 1400 e si chiamava “bollettino di salute”. Il lavoratore, in questo stato di “protetto” dal virus, sarebbe l’ideale per la ripresa della vita sociale e della catena produttiva.

Invece, nella Fase 2, con la libertà di circolazione di “tutti”, portatori e sani, si creeranno situazioni imbarazzanti. Potrà accadere che il commesso abbia paura del cliente, sospetto portatore di virus, e che il cliente abbia paura del commesso per la stessa inconfessata ragione. Ovunque, vi sarà questo imbarazzo. Il sospetto lo avrà il Paziente che verrà visitato dal Medico, e il Medico che visiterà il Paziente. Lo avrà il Pubblico Ufficiale che convocherà il Cittadino, come lo avrà il cittadino che verrà convocato dal pubblico ufficiale; lo stesso varrà per gli Insegnanti e gli studenti, per i fedeli e i sacerdoti, per l’operaio e l’impresario, eccetera.

Questa situazione confliggerà con l’interesse di tutti.

E’ evidente che esiste  l’urgenza di attenuare il sospetto e gli atteggiamenti egoistici che ne deriveranno.

Per uscire da questa trappola mortale lo schema utilizzato a Vò Euganeo e in Sud Corea sembra ineludibile. 

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Veniamo al caso nostro.

In questo momento, nel Sulcis Iglesiente, il tampone è stato utilizzato in pazienti sintomatici.

Nonostante il risultato del tampone e dell’esame su siero possano dare falsi negativi, l’effetto sociale è impagabile.

A questo punto la domanda è: quanto costa?

Risposta: si trova nelle pubbliche delibere con cui l’Ospedale Brotzu si è dotato di tali presidi diagnostici.

Dalla delibera n. 447 del 21 marzo 2020 si evince quanto segue:

  • Sono stati acquistati dalla ditta ROCHE DIAGNOSTICS SPA circa 20.000 tamponi

Al costo di 500.000 euro + iva.

Pertanto, ogni tampone costa 25 euro + iva.

  • Inoltre è stato acquistata un’estensione da applicare all’apparecchio lettore del risultato del PCR, al prezzo di 18.000 euro circa.
  • Per quanto riguarda la ricerca di anticorpi anti-coronavirus sul siero del paziente , sono stati acquistati il 23 marzo 2020: n. 20.000 test VIVA DIAG COVID 19, al prezzo di 200.000 euro + iva. Pertanto, ogni test sierologico costa 10 euro in materiale di consumo.

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Da questo si desume che, con la spesa di circa 40 euro, si può sottoporre chiunque, sia alla ricerca del virus nel secreto nasale, sia alla ricerca degli anticorpi nel sangue.

Decisamente la spesa non sembra enorme se si pensa a quanti ticket da 40 euro tutti abbiamo speso per comuni esami di laboratorio. 

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Il limite più importante a procedere allo screening della popolazione del Sulcis Iglesiente non sembra essere la spesa, ma piuttosto il fatto che l’esame lo stia facendo solo il Brotzu per tutto il Sud Sardegna.

A breve inizierà anche il San Martino di Oristano.

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Premesso che è stato riferito dai giornali che i test acquistati a Cagliari serviranno per esaminare tutti i dipendenti del Sistema Sanitario Regionale, bisogna concludere che noi, abitanti del Territorio non lo saremo. Dovremo sollecitare una soluzione ai nostri Alti rappresentanti Politico-Amministrativi.

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Se esistesse una unità di intenti, si potrebbero incaricare i laboratori d’analisi convenzionati per dotarsi di strumenti per PCR, Tamponi e reagenti.

Tra l’altro, si può invocare l’utilizzo dei Fondi europei dedicati al contrasto all’epidemia.

Il Brotzu l’ha fatto: ha affrontato la spesa, senza intaccare il bilancio ordinario, in attesa dei contributi europei.

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Sicuramente, se ciò fosse possibile, ogni imprenditore sarebbe interessato a mettere in sicurezza i suoi dipendenti, eseguendo uno screening accurato di sani e portatori, così come ogni cliente sarebbe interessato a contrattare con una ditta esente da virus.

La stessa esigenza è sentitissima dagli studenti e dagli insegnanti che dovranno rientrare a scuola e convivere in spazi forzatamente ristretti.

Similmente, sarebbe un sollievo negli uffici pubblici sia per i dipendenti sia per i cittadini che vi affluiscono.

Gli studi professionali privati potrebbero certificare ai clienti il proprio stato di salute ed i clienti si presenterebbero negli studi senza provocare patemi d’animo.

Naturalmente, i più avvantaggiati sarebbero i “portatori sani” che verrebbero isolati, curati e poi reintegrati  in seno alle loro famiglie.

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Una volta raccolti i dati, e mappati i casi sospetti, tutti indistintamente accetteremmo la “app” di Apple e Google per la ripresa della serena convivenza.

La “app” scelta si chiama “Immuni”.

Mario Marroccu

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L’Ospedale di “Carbonia” ha un gemello. Si trova a PAIMIO in Finlandia. Fu progettato da ALVAR AALTO e dalla moglie AINO MARSIO, architetti finlandesi. Quel progetto nel 1928 vinse un concorso e divenne famoso tanto che oggi viene studiato in tutte le Università del mondo e citato nei testi di Storia della Architettura. Gli Americani si convertirono subito al progetto di ALVAR AALTO e presero a costruire ospedali simili. Quell’Ospedale venne portato a termine nel 1933.
Il primo Ospedale costruito in Italia con quei criteri futuristici fu: il “Sirai” di Carbonia. Venne edificato 4 anni dopo l’Ospedale di Paimio.
ALVAR AALTO è tutt’oggi considerato uno dei più grandi architetti del 1900, assieme a LE CORBUSIER.
ALVAR AALTO e AINO MARSIO, nati nel 1898, avevano vissuto gli orrori della Pandemia Influenzale chiamata “SPAGNOLA”. La Pandemia durò dal 1918 al 1920 e fece 50 milioni di morti. Immediatamente dopo, a causa di quella pestilenza e della fame patita per gli effetti economici della Grande Guerra il popolo, indebolito nel fisico e nelle difese immunitarie, divenne preda di una massiccia diffusione della tubercolosi. Anche questa si prese le sue vittime.
Negli anni della Spagnola tutte le Nazioni adottarono le procedure di “distanziamento sociale” che oggi stiamo sperimentando. La gente indossava mascherine chirurgiche simili a quelle di oggi e si manteneva in “isolamento domiciliare”.
Nei pochi Ospedali dell’epoca, già provati dallo sforzo di curare i soldati massacrati dalla Guerra, entrò un popolo di derelitti che, in gran parte, non ne uscì più. All’interno si sviluppavano focolai che decimavano Pazienti, Medici e Personale di assistenza. AALTO e la moglie, appena 7 anni dopo la Pandemia di Spagnola, progettarono l’Ospedale sotto l’ impressione di quella esperienza.
AALTO conosceva l’esigenza del “distanziamento sociale” per contenere il virus e progettò un Ospedale che avesse la fondamentale funzione di “barriera architettonica” ai contagi. Inoltre si prese la cura di creare un posto gradevole dove gli esseri “umani” trascorressero le lunghe giornate godendosi gli effetti benefici della luce solare, viricida e antibatterica. «Dove entra il sole non entra il dottore», si diceva allora. Nell’idea di Alvar la luce solare doveva essere usata come ulteriore ostacolo agli agenti infettivi.
L’Ospedale di AALTO , da cui fu copiato il “Sirai”, era un ospedale a sviluppo “verticale”. Già in questo di differenziava radicalmente dagli “Ospedali Maggiori” di tutta Europa che erano a sviluppo “orizzontale” su un unico piano. L’“Ospedale Maggiore” di Milano fu fatto costruire dal Cardinal Rampini nel 1480 circa; fu il primo Ospedale pubblico gestito dallo Stato. Da notare che anche l’Ospedale Maggiore era nato per contrastare le epidemie che allignavano facilmente negli “ospedali caritativi” privati; in essi ogni letto ospitava da 4 a 10 malati contemporaneamente. Il Cardinal Rampini volle, come “misura di distanziamento” i letti “singoli”. Fu una grande rivoluzione presto copiata da tutta Europa.

L’altra caratteristica architettonica rivoluzionaria stava nell’orientamento dell’Ospedale rispetto all’arco solare. Le camere di degenza vennero, da AALTO, tutte orientata verso Sud Sud-Est in modo da ricevere luce solare diretta per la gran parte del giorno. Le camere, esposte al sole, erano fornite di ampie fenestrature ad ante scorrevoli. Le ampie fenestrature e gli alti soffitti, assicuravano un rapido ricambio dell’aria, senza produrre correnti. Questo è tutt’oggi un metodo efficace per allontanare rapidamente i microrganismi sospesi nell’aria ed abbassarne drasticamente la carica.
I reparti del nuovo Ospedale erano sistemati tutti su piani diversi. Si poteva accedere alle corsie di degenza solo dopo aver attraversato una zona filtro. Nella zona filtro e nelle camere erano disposti lavandini per il lavaggio delle mani.
Per evitare che il rumore dello scorrere dell’acqua disturbasse gli altri malati, AALTO progettò lavandini con il piano di fondo inclinato, insonorizzando il getto.
Il riscaldamento era “a pavimento”.
Il personale Medico ed Infermieristico alloggiava in corpi separati ed accedeva all’Ospedale in divisa da lavoro.
I parenti in visita dovevano fermarsi prima della zona filtro e non potevano accedere alle corsie di degenza per non portarvi batteri e virus.
I servizi e le sale operatorie erano sul versante Nord dell’edificio. Il versante soleggiato era riservato alle ampie fenestrature delle camere di degenza.
Questi pochi elementi descrittivi sintetizzano l’intelligente uso delle barriere architettoniche per contrastare la  circolazione degli agenti d’infezione all’interno dell’Ospedale.
Ogni piano era perfettamente isolato da quello sottostante e soprastante. Non vi era contiguità dei reparti, ma un efficace “distanziamento” ottenuto con intermezzi strutturali.
Chi conobbe l’Ospedale Sirai negli anni ’60-’70, ricorderà che i pazienti accedevano al ricovero dopo essere stati accettati dal Pronto Soccorso, che era disposto al piano terra. In quella sede avvenivano tre operazioni.
PRIMO: la visita.
SECONDO: la compilazione dei moduli di accettazione,
TERZO: la presa in carico del paziente. Che avveniva così:

-1- il paziente veniva completamente privato dei suoi indumenti e, se il caso lo richiedeva, immerso in vasca e lavato.  Gli indumenti venivano sistemati in un sacchetto e contrassegnati; quindi venivano introdotti in una “bocca di lupo” della parete, e fatti cadere direttamente nel reparto lavanderia, situato nei sotterranei. Gli indumenti, una volta lavati e sanificati, venivano confezionati e riconsegnati al paziente in camera. Idem per le calzature.

-2- Venivano controllati i capelli e, se vi era il sospetto di una malattia del capillizio e cuoio capelluto a carattere infestante o contagioso, si procedeva alla rasatura.

-3- Il paziente, così sapientemente sanificato, veniva rivestito con abbigliamento da camera sterile, adagiato su una barella, e condotto in reparto.

Negli anni ’90, quando era presidente della Giunta regionale Antonello Cabras, assessore della Sanità Giorgio Oppi, commissario straordinario della USL Tullio Pistis e presidente del Consiglio di amministrazione Antonello Vargiu, venne costruito un corpo separato destinato al Reparto Infettivi, per contrastare la temuta epidemia di AIDS. Questo corpo, posto a debita distanza dall’edificio centrale, non venne mai utilizzato perché l’epidemia fu scongiurata dall’avvento dei nuovi farmaci anti-retrovirali. Venne utilizzato per sistemarvi il Centro Diabetologico; il centro Trasfusionale e la Sterilizzazione. Quell’edificio, unico nel suo genere in Sardegna, per caratteristiche strutturali e dotazioni, era stato progettato da un team di Ingegneri e Architetti venuti da Roma, e costruito da un’impresa specializzata. Tanto grande era l’interesse del Governo per il contrasto all’epidemia.

Attualmente il complesso ospedaliero del Sirai è costituito dal corpo centrale ed altri corpi separati.
Questi sono: Il Centro DIALISI, la PSICHIATRIA, la RADIOLOGIA, la ex PEDIATRIA, l’ex INFETTIVI. Il corpo centrale ha subìto modifiche aggiuntive al Piano Terra: la RIANIMAZIONE posta a Est; il Nuovo PRONTO SOCCORSO a Sud-Est; il nuovo INGRESSO a Ovest.
Fino agli anni ’90 il corpo centrale ospitava:
– Pronto Soccorso e Traumatologia al piano terra;
– Chirurgia Generale al primo piano;
– Medicina Generale al secondo piano,
– Ostetricia e Ginecologia al terzo piano.
L’elemento architettonico ideato da ALVAR AALTO ha sempre conservata il “DISTANZIAMENTO” fisico-strutturale fra i reparti. Questa distanza fisica di garanzia è mantenuta ancora oggi, nonostante la comparsa di nuovi Reparti, che sono:
– La CARDIOLOGIA al V piano;
– La STROKE UNITY al III piano;
– ONCOLOGIA al IV piano;
– UROLOGIA al II piano.
Questi reparti non contengono “Infettivi”.

Con questa dotazione difensiva della Sanità Ospedaliera Sulcitana dovremo, con grande attenzione, e senza commettere imprudenze, affrontare la FASE 2 dell’epidemia da Coronavirus.
L’idea di Ospedale di Alvar Aalto ci protegge ancora. Speriamo che nessuno la modifichi.

Mario Marroccu

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E’ tutto cambiato ma ancora non si vede.

La nostra rappresentazione mentale del mondo ce lo mostra ancora uguale a prima: i ritrovi della gente (i bar, i ristoranti, le chiese, i partiti politici, le scuole, i luoghi di lavoro, le strade, le piazze, la spiaggia, le stazioni sciistiche, il treno, la metropolitana, l’aereo, la nave, i cinema e teatri, il Parlamento, il colonnato e la piazza del Bernini davanti al Vaticano) sono, nella nostra immaginazione, temporaneamente sospesi e , nella nostra illusione, destinati a “ripopolarsi” come prima; appena questa “grande esercitazione di distanziamento sociale” sarà finita.

Cos’è la Fase 2? E’ il ritorno a come si viveva prima? Molti credono questo. Soprattutto, lo hanno creduto quei 75 turisti americani che oggi sono atterrati a Fiumicino, attirati dall’Italia dove si dice che l’epidemia stia “svanendo”. Il messaggio che sta passando è proprio questo. I più stanno immaginando che il Coronavirus abbia fatto le valigie per tornarsene là da dove è venuto. Ma non è così. E’ esattamente il contrario. Il 23 febbraio 2020 avemmo a Codogno il primo malato da virus. Oggi, dopo 40 giorni, secondo il professor Massimo Galli, virologo dell’Ospedale Sacco di Milano, ne abbiamo 1 milione. Secondo l’Imperial College di Londra ne abbiamo 10 volte di più. La verità è che il Coronavirus si è installato in tutta Italia e ci resterà. L’altra verità è che :

1°- la sua virulenza mortifera è sempre la stessa;

2°- non abbiamo farmaci che lo fermino;

3°- non abbiamo il vaccino;

4°- non sappiamo se gli anticorpi siano capaci di contrastare il virus. Nel caso dell’AIDS per esempio, gli anticorpi si formano ma non funzionano.

Non sappiamo quanto tempo resterà a vivere con noi. La Peste del 1347 si ripresentò, in Italia, altre 4 volte nello stesso secolo. Poi si ripresentò 4-5 volte per tutti i secoli successivi. Infine, nel 1700 scomparve spontaneamente. Molte malattie infettive arrivano ad ondate. La più comune è l’”Influenza”, che si manifesta tutti gli anni con virus lievemente mutati, e poi scompare spontaneamente con la Primavera.

C’è chi spera che il Coronavirus scompaia spontaneamente col caldo della buona stagione. In realtà questo virus non è sensibile al variare delle stagioni. L’unico vantaggio che potrà darci il caldo sta nel fatto che le “goccioline” si asciugano in fretta, e il secco crea un problema al virus.

Pertanto, dobbiamo essere consapevoli che il virus resterà tra noi, indipendentemente dalla stagione, e continuerà a fare le sue vittime.

Tutto sommato la qualità della vita nella Fase 1 non è stata deteriorata in modo grave. Non abbiamo avuto problemi nella fornitura dei beni di consumo ed abbiamo fatto una strana vacanza chiusi in casa. Questo è stato possibile perché la Nazione aveva accumulato una buona riserva. Ma questa è destinata ad esaurirsi rapidamente se non torniamo al lavoro. 

Questi 40 giorni di inattività ci hanno resi consapevoli di alcune cose.

  • Abbiamo un avversario pericoloso che convive con noi;
  • Non possiamo continuare a nasconderci dal virus;
  • Dobbiamo riprendere a lavorare e produrre ricchezza per contribuire alle casse dello Stato.

Dobbiamo essere consapevoli che la Fase 2 è necessaria.

Cos’è la Fase 2?

E’ un compromesso.

Torneremo a lavorare rischiando di contrarre l’infezione da Coronavirus, perché sarà inevitabile ridurre la “distanza sociale” che adesso ci sta proteggendo.

Sarà necessario realizzare  una nuova forma di ”distanza sociale” con altri mezzi.

Non potremo garantire sempre la “distanza fisica” tra le persone ma dovremo aumentare le schermature” fra una persona e l’altra.

Quali sono le schermature? Sono i mezzi che impediscono al virus di passare dal contagiato senza sintomi (che è il vettore inconsapevole) a chi ne è ancora indenne.

Visto che il virus esce dalle vie respiratorie del portatore per passare alle vie respiratorie del soggetto sano, dobbiamo concentrare la nostra attenzione sul come fare.

– Ripetiamo il meccanismo di contagio: il virus viene “sparato” nell’aria dal fiato espirato; quindi esce dalla bocca e dal naso dell’inconsapevole “vettore”, e viene proiettato verso tutto ciò che gli sta davanti. Davanti c’è, prima di tutto, l’aria dell’ambiente, e qui viene nebulizzato.

Poi ci sono gli oggetti e, su questi, lo spray di goccioline va a depositarsi.

Infine, davanti al soggetto “vettore” ci sono le altre persone.

Le goccioline “infette” vanno verso il naso, la bocca e gli occhi. Vengono inspirate dal naso e dalla bocca e penetrano nell’apparato respiratorio. Quelle che vanno verso gli occhi si mescolano alle lacrime; queste entrano nei condotti lacrimali e finiscono dentro il naso; da qui il virus va all’apparato respiratorio.

Altre goccioline vanno sul volto e sui capelli. Il soggetto si tocca i capelli, il viso, e poi la bocca, il naso e gli occhi. L’ingresso del virus è così assicurato.

Le mani toccano gli oggetti inquinati dallo spray e poi, per antica abitudine,  toccano il viso e la bocca.

Se non si ferma questo semplice meccanismo siamo destinati all’infezione da Coronavirus.

Quali sono le azioni basilari per ridurre la carica virale nell’ambiente?

– Primo: tutti devono indossare la mascherina chirurgica. Ricordiamo che la mascherina chirurgica non protegge dal virus. La sua vera funzione consiste nell’impedire che dalla nostra bocca e dal nostro naso, vengano proiettate nell’ambiente le goccioline di saliva sospette.

Se tutti indossassero la mascherina chirurgica, nessuno riuscirebbe a proiettare le goccioline infette verso di noi, e la carica virale nell’aria e negli oggetti sarebbe molto bassa.

Quindi le mascherine chirurgiche sono assolutamente “altruiste”. Se tutti fossimo rispettosi del prossimo, indossandole, tutti potremmo scampare al pericolo di infezione. Non dobbiamo vergognarci a pretendere che chi ci sta davanti indossi la mascherina chirurgica. Dobbiamo metterci al sicuro.

– Secondo: tutti devono indossare i guanti usa e getta. Sono fondamentali per impedire che i virus delle goccioline finite sugli oggetti vengano in contatto con la cute delle mani. I guanti indossati devono essere lavati frequentemente con sapone oppure con soluzione alcoolica.

In tutti i casi è necessario non toccarsi mai il volto. Il riflesso di toccamento del volto (bocca, naso, occhi, collo e capelli) avviene un migliaio di volte al dì, e non ce ne rendiamo conto. Chi porta la maschera chirurgica e i guanti alle mani si tocca di meno, e comunque difficilmente si autoinquina.

– Terzo: portare gli occhiali. Servono a impedire che lo spray di goccioline raggiunga i nostri occhi.

***

Per lavori particolari il numero e la qualità dei presidi sale di grado.

Per esempio i medici rianimatori che intubano i pazienti Covid per collegarli al respiratore automatico (ventilatore) devono essere dotati di :

a) tuta completa di materiale sintetico impermeabile usa e getta;

b) cuffia per il capo;

c) gambali e sovrascarpe usa e getta;

d) Maschera per bocca e naso del tipo FFP3 che filtra l’aria inspirata con efficienza del 98%.

e) Visiera trasparente.

Il personale che sta a distanza dalla bocca e dal naso del paziente utilizza maschere FFP2 che hanno il 93% di potere filtrante.

In situazioni ancora più pericolose si useranno caschi con visiera.

Il personale sanitario che opera a notevole distanza dal paziente deve indossare le maschere chirurgiche.

I pazienti poco sintomatici devono indossare le maschere chirurgiche per ridurre lo spray con virus che inevitabilmente diffondono nell’ambiente.

Tutti devono lavarsi le mani (e anche  il viso)  frequentemente.

Nota bene: le maschere FFP3, munite di valvola per l’espirazione di fiato non filtrato, sono raccomandate solo per il medico intubatore. Da queste maschere fuoriesce il fiato dell’operatore; tale fiato finisce in un ambiente inquinato e non modifica lo stato di sicurezza del paziente che  sta di fronte.

In tutti gli altri casi le maschere devono essere senza valvola. Coloro che usano le maschere con valvole in altri ambienti commettono una imprudenza. Mettere a rischio il prossimo che è costretto a  respirare  il fiato non filtrato di chi ha la valvola di espirazione.

Negli ambienti comuni è imperativo che tutti indossino le mascherine chirurgiche.

***

Nella Fase 2 si deve aderire alla prescrizione della “distanza sociale” , e il “divieto di assembramento”:

Queste semplici regole non potranno essere trasgredite per tutta la Fase 2, Il motivo è rappresentato dal fatto che in questa fase si riprenderanno le attività produttive e i lavori intellettuali in un mondo in cui i soggetti portatori del virus potranno essere ovunque, e dovremo convivere col pericolo. La Fase 2 è basata sul “compromesso” che si potrà uscire di casa e

lavorare nella consapevolezza del rischio di contagio e nella sua accettazione.

Di fatto si accetta il rischio che un numero non prevedibile di vite verrà sacrificato. Questo rischio è inevitabile e deve essere inevitabilmente accettato.

Tuttavia l’accettazione del rischio va di pari passo con l’accettazione che tutti dovremo rispettare severamente le regole di distanza sociale  e un nuovo tipo di abbigliamento che serva da schermo dai virus dello sconosciuto soggetto contagiatore, sempre incombente.

***

Dopo questa premessa si comprende che la Fase 2 sarà molto più impegnativa della Fase 1 in via di conclusione.

La Fase 1 è stata caratterizzata da una chiusura totale e temporanea. La Fase 2 sarà caratterizzata da una apertura  quasi totale, con esposizione accettata al contagio, ed il mantenimento di un altro modo di attuare la “distanza sociale”. Questo sarà basato sull’uso degli schermi corporei appena descritti.

Non conosciamo la durata della Fase 2. Potrà essere “temporanea”, oppure “persistente”, o anche “perenne”. Dipenderà da quanto tempo ci vorrà per la disponibilità universale del vaccino. Se il vaccino comparisse domani, tutto questo che stiamo elencando non avverrà.

***

Se il vaccino tarderà ad arrivare, la Fase 2 cambierà totalmente il modo di convivere nel mondo.

I luoghi di assembramento sociale come: teatri, cinema, bar, ristoranti, piazze, mercati, negozi, uffici pubblici, cambieranno radicalmente. La massa umana sparirà. Immaginiamo le chiese che non potranno consentire l’affollamento dei fedeli. Potranno entrare in pochi, abbigliati di maschere, visiere, tute, guanti e subiranno il controllo di sistemi di verifica sanitaria. Similmente avverrà per i Supermercati i quali forse opteranno per la consegna della spesa a domicilio e dovranno avvalersi di vettori provvisti di presidi di protezione individuale. Forse i cinema verranno surclassati per sempre dalla televisione e gli attori di teatro, per arrivare al pubblico, dovranno esibirsi davanti a telecamere. 

Molte attività pubbliche avverranno in teleconferenza come: processi nei tribunali, discussioni nei consigli comunali, regionali, o addirittura nelle Camere.

I lavori più difficili da adattare a questa nuova condizione saranno quelli che non possono prescindere dal contatto umano come:

  • Organi di polizia,
  • Militari,
  • Medici di base e ospedalieri;
  • Medici dentisti;
  • Fisioterapisti;
  • Scuole e Asili infantili.
  • Personale di assistenza agli anziani e badanti.

Le scuole saranno forse il capitolo più difficile da governare in sicurezza. A settembre rientreranno a scuola 8 milioni di alunni e studenti,  1 milione di insegnanti più 1 milione di personale amministrativo.

Parte delle lezioni si faranno in videoconferenza ma esisteranno ancora le lezioni frontali. In tal caso sia l’insegnante che gli studenti dovranno adottare un abbigliamento per mantenere al “distanza sociale”: maschere, guanti, occhiali e, forse, tute. Tutto questo rappresenterà un costo aggiuntivo notevole.

Vi è il problema degli asili infantili. I bambini non potranno essere dotati di mascherine e guanti, inoltre dovranno giocare a stretto contatto fra di loro.

E’ vero che i bambini sembrano essere più protetti dal virus, ma è anche vero che basta che uno solo sia contagioso e tutta la comunità verrà contagiata. Poi i bambini rientrando a casa «a trovare la mammina» le regaleranno il virus. Grande problema da risolvere.

Vi è inoltre il grande problema dei mezzi di trasporto pubblico come: treni, aerei, navi. In quei contesti è difficile evitare il “contatto sociale”. Forse si dovrà trovare la soluzione nella adozione di un abbigliamento con copertura totale (tute, copricapo, maschere, guanti, calzari), e comunque sarà vietato l’affollamento. Fatto che non sarà evitabile nelle metropolitane delle grandi città.

L’affollamento sarà il nuovo nemico pubblico numero 1. Forse in tutte le attività pubbliche si attuerà il contingentamento degli utenti. Fatto che abbiamo visto essere molto efficace nei supermercati. Prenderanno vigore i piccoli negozi di quartiere che oltre ad essere gestiti da persone conosciute potranno evitare gli spostamenti con mezzi pubblici o automobile.

La vita privata cambierà. Si pensi ai giovani che non potranno frequentare i locali d’incontro e frequentare la persona partner ideale se non con  l’interposizione  di maschere, guanti e occhiali. Ma anche questo verrà reso digeribile dalla moda.

Tutti diventeremo sospettosi nei confronti dell’altro, e tutti diventeremo sospetti per il prossimo. Il motivo sta nel fatto che l’elemento più pericoloso della Fase 2 saranno i portatori inconsapevoli di virus, cioè i portatori sani e soggetti con la malattia in incubazione e ancora senza sintomi.

Paradossalmente i luoghi meno sospetti saranno gli ospedali dove i Covid positivi saranno noti e ben sorvegliati e dove chi guarisce diventa immune mentre chi muore finisce di essere una fonte di contagio.

Durante la Fase 2 compariranno le “patenti di immunità” che verranno rilasciate ai pazienti guariti diventati immuni, e con tampone negativo.

Gli “immuni” riavvieranno la macchina produttiva della Nazione e daranno vita al nuovo mondo.

Ecco perché la Fase 2 sarà la più impegnativa e perché sarà questa a cambiare il mondo che abbiamo conosciuto.

Appena arriverà il vaccino ciò che ho descritto finirà, tuttavia molti costumi cambieranno per sempre.

Mario Marroccu

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Il Centro emergenze Covid-19 a Carbonia e non più a Iglesias. E’ questo il nuovo scenario che si sta aprendo in queste ore per dare soluzione all’emergenza nel territorio del Sulcis Iglesiente. E’ del 21 marzo scorso la notizia che il comune di Iglesias ha chiesto che l’ospedale Santa Barbara sia adibito a struttura di emergenza per il Coronavirus, per tre motivazioni precise:
1 – Tutela operatori sanitari
2 – Evitare promiscuità tra reparti
3 – Rischio di compromettere le funzioni del CTO di Iglesias e del Sirai di Carbonia, a causa della continua mobilità di operatori tra i due ospedali.

Oggi, a distanza di poco più di due settimane, si apprende che il Centro emergenze Covid-19 si vorrebbe crearlo dentro i reparti di degenza dell’ospedale Sirai di Carbonia. E’ quantomeno imprudente solo pensare una soluzione di questo genere, perché un reparto siffatto dovrebbe avere percorsi separati dagli altri (ascensori, scale vitto, farmacia, bombole d’ossigeno, salme, medici ed infermieri, prodotti di risulta come camici e mascherine inquinati, etc.). E’ quello che è successo prima a Codogno e poi a Sassari e sappiamo che da lì ha iniziato ad infuriare il virus in Italia e nel Nord Sardegna.
Va assolutamente evitato l’“assembramento” con aggregazione di reparti in uno spazio ristretto, come impone il “Decreto Conte”.
I Sindaci, le più alte autorità sanitarie, dovrebbero darne notizia alla Protezione Civile guidata da Angelo Borrelli, perché fermi sul nascere un progetto tanto rischioso.

Mi pare necessario che i sindaci di tutto il territorio pretendano che i Covid ospedalizzati vengano sistemati in un padiglione separato, lontano dai ricoveri ordinari. E ricordo ancora una volta, che all’ospedale Sirai di Carbonia, c’è una megastruttura per infettivi, con tanto di camere a pressione negativa, realizzata negli anni ’90, negli anni di maggior diffusione dell’epidemia di AIDS. Si tratta dell’edificio in cui è ospitato l’attuale Servizio di Diabetologia, situato dietro l’ex Pediatria e, giustamente, situato a distanza di sicurezza da tutti gli altri reparti. La struttura è inoltre dotata di un impianto di sterilizzazione tecnicamente preparato per infettivi.

Mario Marroccu

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A tutti i livelli si riconosce che l’aver degradato il sistema sanitario per motivi contabili sia alla base dell’impreparazione alla pandemia Covid-19. Ebbene si persiste. Da indiscrezioni che circolano in ambienti sanitari, che è auspicabile trovino adeguata e circostanziata smentita, pare che si stia per procedere ad un’ulteriore destrutturazione dell’Ospedale Sirai di Carbonia. Sarebbero state date disposizioni per accorpare reparti ed ottenere, nello stesso contesto, camere destinate a Covid positivi. Il risultato di un simile intervento, sarebbe l’inevitabile messa fuori uso di reparti già sacrificati e portati ai minimi termini e la fabbricazione preordinata di un focolaio Covid tra i pazienti ordinari.

Probabilmente, molti non sanno che nel presidio ospedaliero Sirai di Carbonia, esiste già una megastruttura per infettivi, con tanto di camere a pressione negativa, realizzata negli anni ’90, negli anni di maggior diffusione dell’epidemia di AIDS. Si tratta dell’edificio in cui è ospitato l’attuale Servizio di Diabetologia, situato dietro l’ex Pediatria e, giustamente, situato a distanza di sicurezza da tutti gli altri reparti. La struttura è inoltre dotata di un impianto di sterilizzazione tecnicamente preparato per infettivi.

Adesso, chi glielo dice a chi è impegnato a trovare soluzioni per fronteggiare gli effetti provocati dal Covid-19?

Mario Marroccu

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Il nostro stile di vita è già cambiato. In futuro si modificherà ancora e in modo stabile. Non sappiamo quanto durerà l’epidemia. Ad un certo punto la curva statistica raggiungerà un “plateau”, poi inizierà la discesa. Pian piano, si passerà da Epidemia ad Endemia, con focolai sparsi.
Quando arriverà il vaccino, e se sarà efficace nel tempo, si tornerà ad uno stile di vita simile, ma diverso da quello precedente. Ma quando arriverà il vaccino? Se tutto va bene fra 18, 24 mesi.
Questa è una visione ottimistica. Nel caso della Malaria il vaccino non è stato ancora trovato, nonostante lo si cerchi dalla fine del 1800. Il fatto che la Malaria sia endemica, in luoghi isolati dal Mondo Occidentale, la rende tollerabile e non se ne parla. Così pure non si parla più del virus Ebola, della Chikungunia, della Dengue, della Zika, della febbre del Nilo Occidentale e altre malattie contagiose.
L’epidemia da Coronavirus invece si è installata nella parte più ricca del Mondo, la nostra, e per ora è in rapida espansione. Il Mondo Occidentale adeguerà il suo stile di vita alla esigenza di
evitare il contagio.
Nel termine stesso “CONTAGIO” vi è descritto il meccanismo della diffusione del virus. Contagio deriva del latino “CUM TANGERE, “TOCCARE INSIEME”. Da cui deriva la parola “contatto”. Il “contatto interumano” è la via di trasmissione del virus. La sospensione del contatto tra persone è l’unico metodo efficace per arrestarne la diffusione. Il contatto può essere “fisico”. Questo avviene toccando con le mani le secrezioni provenienti dalle vie respiratorie di un soggetto infetto; poi con le mani tocchiamo il nostro volto, e nel volto ci sono  la bocca, il naso, gli occhi. Da queste tre vie il virus entra nel nostro sistema respiratorio. E’ praticamente inevitabile controllare l’istinto di toccarsi il viso, visto che in media lo tocchiamo 1000-1500 volte al dì. Da questa tendenza all’autopalpazione inconscia deriva l’ordine tassativo di lavarsi le mani con grande frequenza.
Esiste un altro tipo di contatto interumano: il contatto “verbale”. Esso è necessario per la comunicazione da vicino. L’essere umano è, tra le specie animali, quella più garrula, anche più di certi uccelli. Ha sviluppato la capacità di comunicare utilizzando la modulazione della voce.
La modulazione dei suoni è il meccanismo propulsivo che usa il virus per diffondersi. Esso avviene attraverso l’attivazione dell’apparato vocale che è costituito da: le corde vocali, il velopendulo, il palato, la lingua, le labbra e i denti. La produzione vocale avviene esercitando una compressione dell’alito espirato dalla trachea, che viene emesso facendo vibrare le corde vocali, atteggiando la
lingua e le labbra in modo da emettere suoni variabili. Questo comporta l’espulsione, con l’alito, di microgoccioline potenzialmente ricche di batteri e virus. Quando questi sono patogeni si trasmettono, all’indirizzo dell’ascoltatore che sta davanti a noi. Egli riceve il messaggio verbale accompagnato da migliaia di invisibili microgoccioline potenzialmente infette. Chi è davanti a colui che parla respira e, nella fase inspiratoria, aspira con l’aria quanto gli viene proiettato.

Lo scopo della mascherina chirurgica posta sul volto è quello di frenare il getto di microgoccioline di chi parla. Non impedisce al virus l’uscita ma attenua notevolmente la forza del getto di gocce verso l’ascoltatore. Se poi l’ascoltatore indosserà a sua volta la mascherina chirurgica, avrà indosso una barriera capace di attenuare ulteriormente lo spray di goccioline di saliva e aerosol dell’alito che gli verrà proiettato da chi parla. La maschera chirurgica ha lo scopo di attenuare la forza di proiezione del virus dalla bocca all’ambiente, e di ridurre fortemente la carica virale destinata all’ascoltatore. Nel caso in cui la mascherina dell’ascoltatore avesse lo strato esterno di tela verniciato di resina idrorepellente, le goccioline verrebbero ancor più respinte e attenuate. Naso e bocca sarebbero in tal caso ancor più riparate.
Gli occhi devono essere protetti a loro volta con una barriera trasparente, atta a sbarrare al virus, la strada delle congiuntive.
Le mani devono essere protette con guanti idrorepellenti.
La protezione del volto e delle mani deve essere adottata da tutti indistintamente. Il motivo sta nel fatto che tutti siamo potenzialmente portatori sani del virus, e pertanto contagiosi. Questi provvedimenti vanno presi nel rispetto del prossimo che deve essere tenuto indenne dalla nostra sospetta contagiosità.
Visto che la Pandemia non potrà cessare del tutto finché non si troverà il vaccino, è evidente che fino a quel momento il nostro stile di vita si adeguerà alla nuova esigenza della distanza sociale.
Il saluto con stretta di mano e gli abbracci e baci sono già sospesi. Cambieremo il modo di salutarci da vicino . Forse basterà un cenno del capo, o un semplice sorriso, o un parola di augurio.
La stretta di mano entrò nell’uso anticamente come segno di pace o per suggellare un contratto.
Tale usanza si radicò in Occidente durante la Guerra dei 100 Anni tra Inghilterra e Francia (1336- 1452). La mano tesa senza armi offriva allo sconosciuto la prova di non aggressività e la pace. Durante quella guerra, i viandanti procedevano sul lato sinistro della strada e controllavano il viandante dell’altro lato che veniva incontro, pronti a sfoderare l’arma per proteggersi da un attacco. Dopo 600 anni il costume di viaggiare a sinistra persiste ancora oggi in Inghilterra mentre è scomparso nell’Europa continentale. La guida a sinistra in Inghilterra è una eredità della Guerra dei 100 Anni.
Nei regni e ducati dell’Italia e dell’Europa Medioevale, al tempo delle epidemie, ero d’uso certificare il proprio stato di buona salute quando si entrava in un’altra città o si superava un confine. Il documento si chiamava “bollettino di sanità”. Anche le navi che attraccavano nei porti dovevano avere le “Fedi di Sanità”. In mancanza di queste non potevano avvicinarsi e se non si allontanavano venivano cannoneggiate. I confini e gli ingressi alle città erano presidiati dai “magistrati di sanità”, che erano gli equivalenti degli attuali “ufficiali sanitari”. Il dovere di lavarsi le mani e fare abluzioni 6 volte al dì, raccomandato dal Corano, è un comandamento religioso nato da esigenze sanitarie. Attraverso la penisola Arabica e la Persia passavano la “via della seta” e la “via delle spezie”. Queste vie mettevano in comunicazione la Cina e l’India con l’Occidente. Quando esplodevano epidemie asiatiche, i virus e i batteri attraversavano queste vie di commercio e prima di raggiungere l’Europa attraversavano il territorio islamico lasciando la loro traccia mortifera. Per reazione l’Islam produsse regole igieniche rigorosissime, rafforzate dall’imperativo religioso.
Secondo gli storici della Medicina Medioevale per questo motivo la “peste nera” che spopolò l’Europa nella epidemia del 1347-1348, non si diffuse tra i musulmani.
Anche l’usanza di celare il volto in teli avvolgenti di lino e cotone in quei Paesi aveva lo scopo sia di proteggersi dal sole e dalle polveri, che quello igienico di filtrare l’aria respirata. I costumi femminili  dell’Islam hanno una forte motivazione igienica – preventiva nei confronti delle malattie respiratorie da contagio.
Il divieto di mangiare carne di maiale, secondo gli storici della medicina, era in origine una prescrizione di tipo sanitario per contrastare la diffusione della “Cisticercosi”, che era (ed è ancora in certe aree della Sardegna) una piaga sanitaria gravissima provocata dal consumo di carne di maiale nei Paesi mediorientali.

PROBABILI CAMBIAMENTI DEI COSTUMI DOPO IL CORONAVIRUS
Da quanto detto si capisce che l’unico strumento di difesa dal virus è il “DISTANZIAMENTO TRA LE PERSONE”.
– Lo stare a casa ci distanzia dalle altre famiglie.
– La mascherina che copre naso e bocca crea un diaframma tra noi e l’altro.
– I guanti sono un impedimento al contatto diretto con gli oggetti toccati dagli altri.
– Gli occhiali distanziano le nostre congiuntive dallo spray di aerosol del fiato espirato dagli altri.
– il lavaggio reiterato delle mani allontana da esse le goccioline espirate dagli altri.
Vi è dell’altro:
– Anche tutto il capo è interessato dalla ricaduta di goccioline sospette.
– Così pure gli abiti e anche le scarpe.
PERTANTO
Il distanziamento dagli altri, in casi particolari, deve essere perfezionato con la copertura del capo e del corpo con una tuta integrale, gambali e sovrascarpe. Il volto, compresa la fronte e il collo saranno ancora meglio protetti indossando uno schermo totale in plexiglas trasparente.
Le mani saranno perennemente vestite con guanti usa e getta o sterilizzabili.
Il futuro della ripresa dei contatti umani verrà regolato da un ordine perentorio:
“GRADUALITA’”.
Significa che ci vorrà molto tempo per entrare nella “normalità” e che questa sarà di nuovo tipo. Pertanto per un lungo periodo il nostro modo di vivere subirà modificazioni. Alcune di queste resteranno per sempre.
Visto che sarà necessario riprendere il lavoro per creare ricchezza e contribuire alle casse dello Stato, dovremo accettare dei compromessi tra il rischio del contagio e la necessità di ridare vita all’economia produttiva.
Passeremo dall’“abolizione” del contatto col prossimo al “contatto controllato”. Il rischio sarà elevato e tutti ne saremo consapevoli. Tale consapevolezza aumenterà la nostra attenzione allo stato di salute dell’“altro” e saremo molto sospettosi. La mascherina chirurgica verrà indossata da tutti. Diventerà un capo d’abbigliamento. La moda ne produrrà di tutte le fogge: quelle per ragazzi e quelle per adulti; quelle più seriose e quelle più vezzosette; quelle esibizioniste e quelle più dimesse; quelle impreziosite da artisti e quelle poverelle. Forse assumerà diverse forme come: sciarpe impermeabilizzate; mantelle chiuse sotto la linea degli occhi, o passamontagna coprenti anche il capo.
L’unico luogo in cui saremo liberi dalla schermatura del viso sarà l’ambito familiare. Sarà l’unico luogo in cui avremo certezza dello stato di salute degli altri, sia per la conoscenza più intima dei nostri  congiunti, sia perché ci preoccuperemo di preservarli dai contagi.
La Famiglia diventerà una fortezza dell’isolamento dal virus. Si rafforzeranno i legami familiari e si ricostituiranno quei rituali millenari di convivenza ristretta nel proprio ambito privato. Si rivedrà la Famiglia riunita nella sua casa, sia per esigenze quotidiane come il desinare e programmare il futuro immediato, sia nelle riunioni delle cerchie parentali per nascite e morti. Un caso particolare saranno i matrimoni, condizione in cui due ambiti familiari diversi si fonderanno nel progetto di una progenie comune a cui verrà trasmessa la certezza di sostegno per la salvaguardia della salute.
La convivenza si baserà sulla fiducia che tutti i componenti si adopereranno per non portare mai il virus all’interno della comunità familiare.
Quando si augurerà il “Buongiorno” o si dirà “salve” si eserciterà il preciso controllo sulla salute dell’altro interrogandolo esplicitamente: «Come stai?».
Il lavoro verrà fortemente condizionato dall’incombenza del contagio.
L’artigiano abituato a lavorare in solitudine non modificherà il suo stile di vita.
Il lavoro intellettuale avverrà fondamentalmente sotto forma di “lavoro agile online”.
Il lavoro più complesso che comporta l’impiego di ruoli differenziati e interdipendenti imporrà la dotazione dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale).
Nelle scuole le lezioni saranno online, ma per certe materie la lezione sarà frontale. In tal caso saranno necessari i DPI. L’Insegnante sarà munito di maschera chirurgica come gli allievi.
Il lavoro clinico del Medico sul paziente imporrà l’uso di tute complete impermeabili al virus, copricapo, occhiali, maschere filtranti FFP2 e FFP3, visiere totali, guanti e
sovrascarpe. Nei casi più pericolosi il Medico indosserà schermature da astronauta.
Sterilizzerà o distruggerà i DPI. Il ritorno alla pratica religiosa, con l’esclusione di assembramenti, sarà incrementato dalla speranza e dalla necessità di conforto. Lo stesso vale per il ritorno all’arte come ricerca del “bello” condiviso a distanza.
La politica locale, nazionale e internazionale subirà cambiamenti; è difficile capire quali, ma certamente sarà espressione della ricerca di sicurezza e salute.
La “globalizzazione” dei prodotti commerciali resterà ma subirà cambiamenti. Si è visto lo stato di penuria di certi prodotti (vedi mascherine e alta tecnologia) dovuti alla passata politica industriale della delocalizzazione in altri paesi, e il rischio di chiusura delle frontiere e del traffico aereo e navale per ragioni sanitarie.
Il traffico navale e aereo delle merci sarà mantenuto, tuttavia il traffico delle persone subirà controlli serrati. Nelle frontiere fisiche fra stati, in quelle portuali e aeroportuali compariranno, rafforzate, delle figure di verifica sanitaria equivalenti ai “magistrati di Salute” del Basso Medio Evo.

I viaggi turistici in crociera subiranno una attenuazione seppure temporanea in attesa del vaccino.
L’uso di moneta digitale subirà un incremento visto che garantisce il distanziamento sociale. Anche i metalli di valore, le pietre preziose e le monete metalliche verranno scambiati ed accettati con facilità vista la possibilità di sterilizzazione. Nel Medio Evo i commercianti usavano, a fine giornata, immergere monete e pietre preziose in aceto per bonificarle.
Vedremo modifiche sostanziali nel Cinema e nella Letteratura. L’Epidemia, in tutte le sue implicazioni nel mondo dei sentimenti e degli interessi sociali diventerà il tema dominante.
Cambierà anche il sistema fiscale perché gli Stati dovranno reintegrare le perdite e finanziare il welfare per una sana convivenza civile. Ci sarà una laurea che avrà grande successo: Bioingegneria. I Bioingegneri saranno, oltre agli Epidemiologi, i controllori necessari dei DPI di ogni commercio umano. Con essi collaboreranno le parafarmacie che si convertiranno a distribuire, come novelli centri di abbigliamento, presidi sanitari totali.
Il burka sarà tollerato e la moda, nella sua rappresentazione del “bello”, lo renderà utile e gradevole.
Forse cambierà il modo di mangiare; aumenterà il consumo di pasti nel proprio domicilio.
Nei ristoranti verranno applicate norme igieniche ferree. I camerieri porteranno copricapo, maschere, e guanti usa e getta. Non vedremo più i cuochi maneggiare gli alimenti a mani nude, né cuoche che impastano la farina con mani guarnite di anelli e bracciali.
I guanti e le mascherine domineranno la scena. Impareremo a riconoscerci con pochi elementi di identificazione: gli occhi, la montatura degli occhiali, la mascherina e la voce.
Talvolta dovremo dichiarare il nostro nome.
Il lavoro della cura delle campagne, degli orti e dei piccoli allevamenti riprenderà vigore.
Riprenderanno vigore anche i piccoli negozietti di strada o di quartiere, dove il garante della salubrità del venduto sarà il gestore, che dovrà essere persona nota per affidabilità. La fonte di alimenti sarà rappresentato da prodotti locali garantiti. Ricompariranno i piccoli mattatoi comunali, la cui chiusura determinò la fine del piccolo allevamento familiare.
La cura dell’ambiente sarà un’esigenza più sentita. Prenderanno piede le “aree marine protette” ed i mari si ripopoleranno. Allora la pesca ridiventerà la regina del nostro territorio.

Mario Marroccu

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Ieri abbiamo dato notizia dell’iniziativa del team di lavoro Salidu-Pinna-Marroccu per la produzione di mascherine utili a fronteggiare l’emergenza Coronavirus e a contenere il pericolo di contagio, in una fase molto difficile e particolarmente delicata proprio per la carenza dei dispositivi di difesa.

Il team di lavoro Salidu-Pinna-Marroccu fornisce oggi i dati sulle nuove mascherine chirurgiche che ha realizzato e provato.

Materiali:

• 2 strati (misure 20×21 cm) di cotone a trama fitta

• 1 strato di cotone cinzato idrorepellente delle stesse misure dei primi, che verrà posizionato come strato “esterno” della mascherina.

Piegare la mascherina seguendo il lato da 21 cm per ottenere una dimensione finita nel lato corto di 10 cm, questa è una misura standard adattabile a tutti i visi.

Le fettuccine nel lato con dimensioni maggiori misurano 1 metro, quindi si otterranno 40 cm di legacci a lato.

Mascherina chirurgica in triplo strato di cotone a trama fitta, fornita di 4 lacci, sterilizzabile e riusabile.

Nota bene: le mascherine in TNT, oltre ad essere introvabili, non sono sterilizzabili, e vanno smaltite, inoltre se ne dovrebbero usare da 4 a 6 al giorno. Queste mascherine, in quanto sterilizzabili a fine giornata (varecchina diluita al 10%, 1 bicchiere in 1 litro d’acqua) sono riutilizzabili il giorno dopo. Supposto che se nebutilizzino due al giorno, con due mascherine in cotone si è autosufficienti per due mesi.

Alleghiamo le fotografie del modello definitivo ed il filmato del processo di confezionamento.

Da un’idea di Mario Marroccu, Giorgio Salidu, Luisella Pinna. Realizzata da Luigi Marroccu, montaggio di Loretta Piras.

«Non abbiamo stoffa cerata né fettuccine per poterne fabbricare altre – spiega il medico chirurgo Mario Marroccu -. Ci stiamo adoperando per stabilire un contatto con una ditta di Como e con il laboratorio che può resinare la tela di cotone. Il laboratorio dovrebbe essere lo stesso che sta trattando con resina il cotone destinato alle mascherine approvate dalla Regione Piemonte e dalla Lombardia. Ne riparleremo presto.»
«Nel frattempo – raccomanda Mario Marroccu -: ponete grande attenzione ai contatti umani, anche i più fidati. Tenete lontani coloro che negano l’esistenza dell’epidemia e, non proteggendosi, sono pericolosi per il prossimo. State distanti da coloro che indossano maschere con valvole perché la valvola fa uscire il fiato non filtrato e potenzialmente pericoloso.»

«Il nostro è un impegno sociale, privo di interesse commerciale – ribadisce e conclude Mario Marroccu -. Noi suggeriremo il metodo. Chi crede lo può applicare autarchicamente.»

 

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Ieri abbiamo dato notizia dell’iniziativa del team di lavoro Salidu-Pinna-Marroccu per la produzione di mascherine utili a fronteggiare l’emergenza Coronavirus e a contenere il pericolo di contagio, in una fase molto difficile e particolarmente delicata proprio per la carenza dei dispositivi di difesa.

Il team di lavoro Salidu-Pinna-Marroccu fornisce oggi i dati sulle nuove mascherine chirurgiche che ha realizzato e provato.

1 – La tela dello strato esterno deve essere “CERATA”. E’ chiamata anche “tela cinzata”. E’ resa impermeabile dalle goccioline invisibili di saliva proiettata da chi parla, ride, starnutisce o tossisce, dal trattamento del cotone con “resina” (1 strato esterno).
2 – I due strati interni della mascherina devono essere di cotone semplice.
3 – Le abbiamo provate su di noi per due giorni e ci siamo adattati facilmente a respirare con le mascherine senza soffrire fastidi particolari.
4 – Le abbiamo sterilizzate con varechina diluita.
Alleghiamo le fotografie del modello definitivo.
«Non abbiamo stoffa cerata né fettuccine per poterne fabbricare altre – spiega il medico chirurgo Mario Marroccu -. Ci stiamo adoperando per stabilire un contatto con una ditta di Como e con il laboratorio che può resinare la tela di cotone. Il laboratorio dovrebbe essere lo stesso che sta trattando con resina il cotone destinato alle mascherine approvate dalla Regione Piemonte e dalla Lombardia. Ne riparleremo presto.»
«Nel frattempo – raccomanda Mario Marroccu -: ponete grande attenzione ai contatti umani, anche i più fidati. Tenete lontani coloro che negano l’esistenza dell’epidemia e, non proteggendosi, sono pericolosi per il prossimo. State distanti da coloro che indossano maschere con valvole perché la valvola fa uscire il fiato non filtrato e potenzialmente pericoloso.»

«Il nostro è un impegno sociale, privo di interesse commerciale – ribadisce e conclude Mario Marroccu -. Noi suggeriremo il metodo. Chi crede lo può applicare autarchicamente.»