17 July, 2024
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Il dottor Massimo Temussi, 50 anni, laurea a Sassari in Economia e Commercio, Master negli Stati Uniti, ha ricoperto incarichi direttivi nell’AOU di Sassari e poi a Sanluri e, infine, a Cagliari sia nell’assessorato regionale della Sanità, sia in quello del Lavoro, in qualità di Direttore Generale dell’ASPAL.

I dipendenti che hanno lavorato con lui lo ammirano. Le loro valutazioni sono: preparato, esperto, intelligente, scaltro, ecc. Non è un medico. è uno specialista di scienze matematiche applicate all’Economia, all’Organizzazione, alla Sociologia, e sa trattare con la Politica. Con queste caratteristiche ci aspettiamo che sappia: comunicare, ascoltare le istanze popolari e trattare le aspettative di tutti con “gentilezza”. Noi, del Sulcis Iglesiente abbiamo molte ed urgenti aspettative. Proviamo a scrivergli.

La Sanità pubblica del nostro territorio è costituita dalle strutture ospedaliere di Iglesias e Carbonia. Carbonia e Iglesias sono storicamente due città improntate da una cultura mineraria ed ospedaliera.

Le Miniere, sia quelle metallifere che quelle carbonifere sono state, nel ventesimo secolo, uno dei motori economici della Nazione italiana. Oggi le miniere sono dismesse. Tuttavia la cultura mineraria è radicata nell’identità popolare e costituisce il trait-d’union che le unisce alle popolazioni delle città minerarie tedesche, belga, francesi e inglesi. Questa peculiare cultura è un valore aggiunto alla cultura prevalentemente agropastorale dei sardi.

Ambedue sono anche città ospedaliere fin dalla loro fondazione. Iglesias, città medioevale, ha le sue radici nel 13° secolo, e già da allora, in qualità di Comune pazionato di Pisa, aveva un suo Sistema Sanitario di cui restano le tracce nei resti archeologici dell’Ospedale di Santa Chiara e nella chiesa Bizantina di San Salvatore, di cui si conserva ancora il “giardino dei semplici” che era la Farmacia dei monaci hospitaleri. Nello stesso periodo il Libero Comune di Sassari si confederava a Genova mentre Iglesias si confederava a Pisa. Sono di allora le prime strutture sanitarie Iglesienti e Sassaresi. In quei tempi il borgo di Cagliari, intorno al Castello Pisano non era ancora ben strutturato mentre la città di Santa Igia, nell’isola di san Simone dello Stagno di Santa Gilla era stata appena distrutta.

Mentre Iglesias ha circa 800 anni d’età, Carbonia ne ha circa 80. Carbonia fu destinata dai fondatori ad essere città mineraria ed ospedaliera. L’una è il Comune più antico della Sardegna, assieme a Sassari, l’altra è la città di fondazione più giovane d’Italia. L’una testimonia il più antico sistema sanitario medioevale della Sardegna; l’altra la storia sanitaria del 1900 sardo.

Fino al 2000 Iglesias era dotata di 3 Ospedali, differenziati per specialità; due sono stati chiusi; il terzo è stato ridotto ai minimi termini. Contemporaneamente, l’Ospedale di Carbonia ha subìto perdite gravissime con la scomparsa di interi reparti e la drastica riduzione di Medici specialisti. Il danno al Servizio Sanitario del Sulcis Iglesiente è avvenuto nella sordità assoluta alle lamentele dei Sindaci del territorio. Si ha la sensazione che le istanze popolari per il legittimo diritto ad esercitare il controllo democratico del Servizio Sanitario non contino. Il popolo viene interpellato solo al momento della raccolta del consenso elettorale.

Quantifichiamo il danno. Fino a 25 anni fa i posti letto ospedalieri a Carbonia erano 384 e ad Iglesias erano 250 circa, per un totale di quasi 700 posti letto. Oggi esistono 130 posti letto all’Ospedale di Carbonia e una cinquantina al CTO di Iglesias. In tutto sono 180. Se si considera che la popolazione della Asl è di 122.000 abitanti, ne deriva che abbiamo soltanto 1,4 posti letto ospedalieri per 1.000 abitanti. Il recente bando pubblicato dalla Comunità Europea per avere diritto ai sussidi e prestiti del Recovery Fund e ai prestiti agevolati del MES, dispone che i progetti per la riparazione del danno strutturale apportato in questi 20 anni alla Sanità, prevedano che il numero dei posti letto sia riportato al parametro di “3,7 posti letto per 1.000 abitanti”. Pertanto, l’Europa dichiara che il rapporto di 1,4 posti letto per 1.000 abitanti è vistosamente insufficiente. L’Europa riconosce che al Sulcis Iglesiente spettano oggi n° 451 posti letto ospedalieri. La differenza tra i 180 posti letto del CTO e Sirai ed i 451 (minimali) imposti dal parametro europeo, certifica una carenza strutturale di 271 posti letto.

A causa di questa miserrima dotazione di posti letto, i nostri Ospedali sono condannati ad applicare il metodo della “medicina e chirurgia da corsa”. I Medici sono obbligati a fare tutto “in fretta” per liberare i letti e renderli disponibili per i nuovi pazienti che premono.

Sono così inevitabili due fenomeni da sanità del terzo mondo:

– Le lunghe liste d’attesa per essere ricoverati e operati;

– La “mobilità passiva” ed il relativo indebitamento con le altre ASL.

Gli effetti perversi di tale politica sanitaria sono due:

1 – L’ulteriore decadimento degli Ospedali con la riduzione della capacità ricettiva di alcuni reparti, e la chiusura forzata di altri;

2 – La riduzione del Personale.

Oggi, con l’arrivo della Pandemia, la deficienza organizzativa esploderà. Quando la richiesta di ricoveri per Covid aumenterà non saremo in grado di affrontarla. Già oggi, appena all’inizio dell’Inverno, L’Ospedale Covid di Cagliari è saturo e ha difficoltà a ricevere i nostri. Il futuro che si prospetta pare evidente dai dati ufficiali forniti dagli organi Governativi.

Il numero dei contagiati sta raddoppiando ogni settimana. Il numero dei contagiati sta raddoppiando ogni settimana. Andando così le cose, nella prossima settimana si passerà da circa 250.000 a 500.000; poi seguirà un altro raddoppio dopo un’altra settimana.

L’ultimo Bollettino dell’Istituto Superiore di Sanità ci fornisce dati allarmanti.

Oggi gli attualmente positivi in Italia sono 255.090, tra i quali:

– I contagiati asintomatici il 55-56%;

– I contagiati con sintomi lievi il 24-26%;

– I contagiati con sintomi severi/critici il 4-7%.

In questo calcolo stiamo ignorando i morti e i guariti, perché non hanno più bisogno di un posto in Ospedale. Gli Italiani “Suscettibili” d’essere infettati sono 56 milioni. La possibilità di espansione dei contagi è enorme.

Mettiamo il caso che nel Sulcis Iglesiente si arrivi a 1.000 contagiati. Secondo l’Istituto Superiore di sanità il 4-7% (media 5,5%) avrà bisogno d’essere ricoverato in un reparto di Terapia Intensiva. Ne consegue che n° 55 pazienti avrebbero bisogno di cure molto serie.

Come farebbero i nostri Ospedali a ricoverarli? Non potrebbero. Allora, potremmo trasferirli a Cagliari? «No! perché l’Ospedale Covid del Santissima Trinità di Is Mirrionis è saturo e già oggi sta dirottando i nuovi ricoveri al Policlinico, che però non è attrezzato per riceverli.»

Quale sarebbe la soluzione?

«Se adottassimo una soluzione di tipo svizzero si dovrebbe rifiutare il ricovero in Terapia Intensiva agli Anziani d’età superiore ai 65 anni, e lasciarli a casa, in seno alle famiglie.»

Cosa avverrebbe delle famiglie?

«Si infetterebbero e verrebbero messe in quarantena, fino alla guarigione o alla morte di chi è sintomatico.»

E i giovani? E’ vero che non si ammalano?

«Non è vero. Pochi giorni fa al SS Trinità è stata ricoverata per Covid una famigliola: padre, madre e ragazzino. Il ragazzino è morto. La morte dei giovani non è per niente rara

A questo punto, il problema si espande. Si può presumere che su 122.000 abitanti del Sulcis Iglesiente potranno ammalarsi con sintomi il 30%, come avviene ogni anno con il Virus influenzale. Se ciò avvenisse, tra novembre ed aprile potranno essere contagiate, nel nostro territorio, 36.600 persone. Se di queste 36.600 persone, il 5,5% (come valuta il ISS) avrà sintomi severi o critici, saranno necessari n° 2.013 ricoveri in Terapia Intensiva nei nostri Ospedali.

Se vivessimo in Germania, morirebbero pochi ricoverati, perché Angela Merkel ha fatto attrezzare ben 40.000 posti di terapia intensiva. Invece in Italia ne abbiamo solo 4.500. In questa condizione potranno perdere la vita dal 4 al 12% dei pazienti critici ricoverati nel Sulcis Iglesiente. Cioè 200 circa. Gli altri avranno bisogno d’essere trattenuti in Ospedale per alcuni mesi.

Supponiamo di dover subire quella percentuale di decessi, ma poi, come faremmo a tenere ricoverati a lungo gli altri 1.800 pazienti gravi? (ricordiamo che la durata dei ricoveri va da 1 a 6 mesi). Non c’è risposta. Con i nostri 180 posti letto, tra Iglesias e Carbonia, non ce la faremmo neppure se chiudessimo gli Ospedali a tutte le altre patologie come: infarti, blocchi intestinali, tumori, ostetricia, incidenti, ecc. è bene fare i calcoli secondo i dati del Comitato Tecnico Scientifico e immaginare gli sviluppi futuri.

Tutto ciò premesso e, tenuto conto che dobbiamo inviare progetti di ristrutturazione Ospedaliera entro aprile alla Commissione europea, sarà meglio affrettarsi a prendere carta e penna e scrivere le nostre richieste. Dobbiamo farlo noi. Gli altri non lo faranno. Dobbiamo stare attenti alla confusione che genera la proposta di costruire l’“Ospedale unico”. Si tratta di una proposta giusta ma va formulata meglio. Ti propongono l’“Ospedale Unico” futuribile, e ti chiedono di aspettare che arrivi. Nel frattempo tutto rimane come è oggi.

Ti chiedono: «Vuoi l’uovo oggi o la gallina domani?» A questa proposta si può rispondere solo in un modo: «Voglio tutto e subito: cioè, voglio l’uovo, la gallina, e anche il soldo».

– Il “soldo”: restituire al Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente tutti i Servizi Ospedalieri che sono stati sottratti negli ultimi 20 anni;

– L’“uovo”: Consolidiamo il nostro capitale strutturale Ospedaliero riportandolo all’efficienza conosciuta;

– La “gallina domani”: Appena avrete costruito ed attrezzato il nuovo Ospedale lo accetteremo. Nel frattempo, ci teniamo ben stretti, e rafforzati, i nostri Ospedali.

Oggi ci serve con urgenza che il dottor Massimo Temussi finalmente tratti questo territorio con la dovuta gentilezza e, in attesa dell’“Ospedale Unico”, faccia due azioni:

1 – Attrezzi l’Ospedale Covid al Santa Barbara, prima che sia tardi;

2 – Ci restituisca subito tutti i Medici Specialisti, i Tecnici, gli Infermieri e i posti letto che ci sono stati sottratti.

Mario Marroccu

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Da sempre i Governanti, in corso di Epidemia, si pongono una domanda: «Andare appresso al virus e tamponare i danni che lascia nel suo percorso…oppure precedere il virus ed impedirgli di far danni?».
Questa domanda se la pose il Doge della Repubblica di Venezia, durante l’Epidemia mortifera dell’anno 1423. Ormai, dalla fine dell’epidemia di “Peste Nera” del 1347, si erano abbattute sulla città ben altre cinque ondate epidemiche che ne avevano ridotto la popolazione al lumicino. Quella del 1423 era la sesta ed il Doge Tommaso Mocenigo decise di prendere il “toro per le corna” ed anticiparlo. Si era capito che le epidemie venivano portate dalle navi che entravano in porto ed attraccavano tra l’Arsenale e Piazza San Marco. Bisognava fermare le navi sospette, senza danneggiare l’economia di Venezia. Individuò una delle isole della Laguna e decise che vi sarebbero stati ospitati gli equipaggi sospetti. Egli non conobbe i risultati della sua ordinanza, perché morì di Peste nel mese di aprile, però Francesco Foscari, il Doge successivo, si trovò alleviato da un peso enorme: l’Epidemia si era attenuata fino a scomparire.
Quel fatto, venne risaputo in tutto il mondo delle città portuali e tutte, sia in Europa sia nel Vicino Oriente, individuarono un luogo dove accogliere gli equipaggi sospetti di contagio. Era nato l’“isolamento preventivo”.
Esattamente 5 mesi fa (24 maggio 2020), in piena Epidemia e Lockdown, questo giornale si espresse per l’utilizzo di due strumenti mirati ad anticipare l’ingresso del Virus negli Ospedali del Sulcis Iglesiente:
1° – Adozione dell’Estrattore di RNA virale per diagnosi precoci e screening.
2°- Una “zona grigia” dove sistemare i sospetti in attesa di tampone.
Però facemmo la fine della Sacerdotessa Cassandra che si opponeva all’ingresso del Cavallo di Legno a Troia. Così i Greci sono entrati in città e l’hanno presa.
Tutt’oggi il processatore di tamponi (benché donato) non funziona come dovrebbe e, solo adesso, come leggiamo nei giornali, ci si pone il problema della “Zona Grigia”.
Cos’è la “zona grigia?”.
Lo spiegammo citando l’esempio di quel Cardiochirurgo che per primo la adottò a Milano. Si tratta del dottor Massimo Medda, di Sant’Antioco. Egli, intervistato dalla più importante rete televisiva lombarda, stupì tutta l’Europa raccontando che, in piena “zona Rossa” e nell’infuriare dell’Epidemia, continuavano ad operare i pazienti che giungevano al Pronto Soccorso del suo Ospedale per “infarto acuto del miocardio”. Raccontò che gli infartuati affetti da COVID venivano immediatamente operati in un settore isolato. Gli altri infartuati, indenni da virus, venivano operati nel reparto dedicato, mentre gli infartuati sospetti di COVID, venivano dirottati in un luogo isolato e, senza perdere un minuto per attendere il referto del tampone, venivano subito operati e salvati. Egli stesso disse: «Allestire una “ Zona Grigia” è il provvedimento più importante. Tra l’altro, essendo fisicamente isolata dagli altri reparti che ospitano malati comuni, non è pericolosa. Qui i pazienti vengono trattati da personale protetto con lo scafandro, la maschera FFP3, i filtri e i calzari, che si usano in Rianimazione per pazienti COVID gravi».
Questo giornale propose esattamente 5 mesi fa questo esempio virtuosissimo, affinché ne traesse ispirazione l’azione di governo del Virus nel nostro Ospedale.
Dopo 5 mesi di silenzio, infine, oggi 21 ottobre 2020, se ne parla.
Quale provvedimento verrà adottato? Il Giornale quotidiano di oggi non ne parla. Noi possiamo supporlo, conoscendo sia quanto si è fatto nell’Ospedale Santissima Trinità, sia la dotazione di immobili ospedalieri del Sirai.
Al Santissima Trinità è stato facile. Quell’Ospedale è costituito da più padiglioni fisicamente separati.
Quella Direzione Sanitaria ha trovato facile e ovvio applicare lo schema del Doge di Venezia nel 1423, quando decise di non far entrare estranei nella Città e fermare i sospetti in un’isola separata. Al Santissima Trinità è stato impiegato un padiglione separato dagli altri.
La situazione immobiliare del complesso di Carbonia è fortunatamente simile. Attorno all’edificio centrale esistono tre edifici isolati, collegati tramite tunnel sotterranei, e comunque perfettamente serviti sia dal Laboratorio Analisi, che dalla Radiologia, dalle Sale Operatorie e dalla Rianimazione.
I tre edifici isolati sono:
1 – La Dialisi;
2 – Il reparto ex-Infettivi (oggi sede della Diabetologia);
3 – L’ex-Pediatria (oggi sede degli Ambulatori).
Di questi tre, l’unico edificio intoccabile è quello della Dialisi.
L’ex-Infettivi, destinato al ricovero dei pazienti HIV e costruito negli anno ’90, è particolarmente attrezzato con apparecchi per la circolazione dell’aria a pressione negativa.
L’Edificio della ex-Pediatria è tutt’oggi un perfetto reparto di ricovero e cura. In passato venne costruito distante dall’Edificio Centrale, allo scopo di isolare i Bambini dalle malattie degli Adulti, e di isolare gli Adulti dai Bambini portatori di malattie infettive contagiose (Difterite, Morbillo, Erisipela, Poliomielite, etc.)
Questo edificio è strutturalmente adeguato a riprendere la funzione di reparto per pazienti da tenere isolati.
Gli obiettivi raggiunti, scegliendo uno di questi due edifici, sarebbero molti:
1 – Isolare i sospetti, ma non privarli delle cure fino al momento della diagnosi certa e dell’eventuale invio ad un Ospedale COVID;
2 – Impedire il ristagnare di pazienti sospetti nell’Astanteria del Pronto Soccorso;
3 – Impedire l’accesso di pazienti sospetti nei reparti generali dell’edificio centrale;
4 – Avere percorsi assolutamente separati del Personale-Covid dal Personale non-Covid;

5 – Poter disporre degli Specialisti per ogni procedura d’urgenza non procrastinabile (incidenti della strada, Ostetricia, Emodinamica, Chirurgia e Traumatologia d’urgenza, etc.)
6 – Facile comunicazione con il Laboratorio Analisi e Radiologia.
Naturalmente l’esistenza di una “Zona Grigia” necessita di una sala operatoria “grigia” isolata dalle altre.
La spesa da bilanciare:
1 – per assunzione di Personale;
2 – Arredi
Tutte voci previste dal Next Generation EU e dal MES.

Perché è giusto anticipare il Virus?
a – Perché stanno arrivando i mesi dei Virus invernali;
b – Perché il vaccino, seppure arriverà, non verrà distribuito a tutti in poco tempo;
c – Perché il confronto tra Umanità e Coronavirus sarà ancora lungo;
d – Perché è necessario che l’edificio centrale dell’Ospedale non interrompa la sua attività usuale per le malattie comuni: Tumori, Infarti, Chirurgie, Ostetricia, Traumatologia, Medicina, Neurologia Dialisi. Soprattutto: deve assolutamente essere separato dall’edificio dove si trovano i reparti generali, per evitare diffusione di un focolaio.
E’ necessario che la politica e la popolazione, partecipino attivamente al dibattito sulla Sanità.

Mario Marroccu

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Da oggi, lunedì 19 ottobre 2020, la Sanità del Sulcis Iglesiente è acefala. Ha perso la testa per strada, nell’accidentato percorso del Covid. Il Commissario-Direttore Generale si è dimesso e della Direzione Sanitaria si perdono le tracce.
Si può obiettare: «…ci sono sempre i Medici ed il personale Infermieristico ed Amministrativo…». No.
Non è così. Oggi il potere decisionale è concentrato in pochissime teste. E’ detenuto solo dai Direttori Generale e Sanitario. I Primari dei reparti ospedalieri non contano nulla. Il loro parere non è vincolante. Sono soltanto nella condizione di ricevere ordini ed eseguirli, in uno stato di obbedienza assoluta, contro la pena di procedimenti disciplinari per disobbedienza e sospensione dal ruolo di Primario alla fine dei 5 anni di incarico.
Prima non era così. I Primari venivano nominati in virtù di un’idoneità nazionale conseguita a Roma, dopo un durissimo concorso, basato sul merito e la preparazione, condotto sotto il controllo dei Carabinieri della Giudiziaria. Poi potevano essere assunti come Primari con contratto a tempo indeterminato; pertanto, erano difficilmente condizionabili dal potente di turno. Il Presidente dell’Ospedale, prima di deliberare, chiedeva il parere del Consiglio dei Sanitari. Questo era formato dai Primari e i rappresentanti degli Aiuti e degli Infermieri. Il parere del Consiglio dei sanitari era vincolante in materia organizzativa, di organico e di dotazione strumentale diagnostico terapeutica.
Oggi il Consiglio dei sanitari non ha alcun valore, pertanto, non può sopperire alla mancanza del Direttore generale.
Fino al 1978, il Presidente dell’Ospedale era anche Sindaco della città e rispondeva delle sue deliberazioni al Consiglio comunale. Immaginiamo cosa sarebbe successo allora se all’improvviso il Presidente avesse deciso, sentito il Consiglio comunale, di ridurre la Radiologia di 4 Radiologi specialisti, la Cardiologia di 3 Cardiologi, la Traumatologia di 3 Traumatologi, la Dialisi di 2 Nefrologi e la città di due Ospedali. Come minimo, avrebbe perso le elezioni. Oggi no. Il parere dei cittadini, il cui voto influenzava anche la gestione della Sanità pubblica territoriale, oggi non ha alcun peso.
Fino al 1978, i consiglieri comunali erano la “cinghia di trasmissione” tra i Cittadini ed il Presidente dell’Ospedale. Questa era l’organizzazione data alla Sanità pubblica dall’Alto Commissariato per l’Igiene e Sanità nel 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. In quei tempi, non esisteva ancora il ministero della Sanità. Tale organizzazione venne perfezionata dalla Legge di Riforma Mariotti N° 128 del 1969.
Oggi, intorno al Direttore generale della ASL (o Commissario) e il Direttore sanitario, c’è il nulla decisionale, e i Sindaci non hanno alcun canale per incidere realmente sulla Gestione della Sanità territoriale. Hanno l’unica opzione di riunirsi nel Consiglio di Distretto per esprimere un loro parere, ma questo non vincola nessuno e cade nel nulla. Lo stesso trattamento è riservato ai cittadini i quali, privati dei loro rappresentanti nella ASL, non hanno il referente politico locale a cui rivolgersi.
Eppure dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla Riforma Mariotti del 1969, il dibattito sull’assistenza sanitaria non si era mai interrotto. Anzi, era diventato centrale in tutti i partiti politici in Parlamento. Eravamo ancora ai tempi delle epidemie di Difterite, Morbillo, Pertosse, e della terribile Poliomielite. Allora la gente, a 60 anni d’età, era già vecchissima e moriva per aver consumato l’aspettativa di vita del tempo.
Nacque un’utopia: «Lo Stato deve dare l’assistenza sanitaria a tutti indistintamente dalla culla alla tomba». C’era da realizzare l’articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti […]. La Legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della Persona umana».
Era evidente che, per realizzare un programma così intenso, non si potevano lasciare le redini della Sanità ad un gruppetto di oligarchi capaci di perpetuarsi, anche senza consenso, con tecniche autoreferenziali.
Tutte le parti politiche furono concordi nello stabilire che la gestione della Sanità pubblica dovesse avvenire col metodo democratico della “Partecipazione” dei cittadini tramite i loro delegati. I delegati naturali dei cittadini sono i Sindaci e i Consigli comunali. Così venne votata la più grande Riforma del Dopoguerra: la legge 833/78.
Fu la Riforma più ampia, capillare e radicale, mai varata in tutto il mondo occidentale in fatto di sanità. In essa, all’articolo 15, si disponeva che l’Amministrazione delle ASL, venisse affidata ad un Presidente, coadiuvato da un Direttore amministrativo e Sanitario, e fosse sotto il controllo del “Comitato di gestione”. Questo era composto fra gli eletti dei Consigli comunali del territorio competenti in materia sanitaria ed amministrativa.
Se in quei tempi fosse accaduta la disgregazione della dirigenza della ASL, come è avvenuto oggi, il Comitato di gestione avrebbe preso immediatamente le redini mantenendo il controllo del Sistema sanitario. La catena di raccordo che univa i cittadini al vertice della Sanità non si sarebbe interrotta, e le istanze popolari sarebbero state recepite sempre.
Oggi le istanze popolari, con la nuova organizzazione sanitaria, sono inefficaci, perché non hanno un referente.
La ridottissima dirigenza delle ASL fa riferimento ad un’altra ridottissima oligarchia regionale che si chiama ATS (Azienda Tutela Salute). E’ formata dal Direttore generale regionale, il Direttore sanitario, e il Direttore amministrativo. In tutto fanno 3 teste e 6 occhi. E’ evidente che l’“uomo solo al comando” è insufficiente per un tema così complesso.
Come si è arrivati a questo?
Il primo ad intaccare la Legge 833/78 fu il ministro Carlo Donat Cattin. Egli trovava che l’esistenza dell’“Assemblea generale” di tutti i Comuni, che doveva eleggere il Comitato di gestione, fosse un fardello eccessivo per la ASL e nel 1987 la eliminò. Rimasero però in piedi i “Comitati di gestione” che affiancavano il Presidente nell’allestire il programma sanitario e ne controllavano sia la realizzazione che la qualità percepita.
Successivamente nel 1992-93, negli anni della grande crisi politica e la fine dei grandi partiti, i Presidenti vennero sostituiti dai “Manager”, ma il “Comitati di gestione” rimasero in piedi. In quegli anni la Sanità funzionava oltremodo bene. Poi nel 1999, con la riforma Bindi, avvenne l’“aziendalizzazione” delle ASL. Fu il momento in cui vennero soppressi i Comitati di gestione e le ASL rimasero nelle mani dei Manager. La catena di trasmissione fra i cittadini e la dirigenza della ASL si era interrotta. Da allora i metodi di gestione ebbero un carattere puramente “aziendalistico”, cioè erano equiparati a quelli delle aziende private che, come si sa, hanno un fine: il bilancio deve chiudersi positivamente con un profitto economico, o col pareggio. La Sanità pubblica stava assumendo le connotazioni del “prodotto commerciale”.
Purtroppo, il pareggio di bilancio può, in certi casi, per necessità, essere raggiunto sacrificando l’interesse del lavoratore.
Per trasformare le prestazioni sanitarie in un prodotto commerciale aziendale, vennero adottati i “DRG”. Questi sono un sistema di valutazione economica che adottano le assicurazioni americane per quantificare il costo delle prestazioni sanitarie ottenute dai loro clienti.
Da quel momento, vennero tenuti corsi di gestione anche per i medici ospedalieri al fine di addestrarli al nuovo percorso privatistico della Sanità. Una delle prime cose che vennero insegnate fu che la parola “paziente” andava sostituita col termine “cliente”. Cioè il paziente diventava un generatore di profitto tramite l’incasso del DRG.
Ne derivò che le ASL anziché produrre le prestazioni sanitarie potevano anche comprarle da un altro Ospedale o da una Clinica privata, e poi passarle agli assistiti. Naturalmente bisognava che l’assistito dovesse abituarsi a mettersi in viaggio e portare il suo corpo malato in altri Ospedali, ai quali il proprio Ospedale l’aveva ceduto.
Lo scopo era: garantire l’assistenza tramite altri, pagarla con i fondi del proprio bilancio secondo il valore del DRG, per poi coprire il debito con il risparmio ottenuto, diminuendo il numero dei propri dipendenti, dei propri reparti, e dei propri Ospedali.
E’ sotto gli occhi di tutti il fallimento di questo metodo aziendalistico di gestione della Sanità pubblica. L’epidemia di Covid è oggi un test di prova inesorabile. Sono stati falliti due obiettivi fondamentali:
1°- Il bilancio è andato in negativo come non mai. La nostra ASL si è indebitata per i troppi DRG pagati ad Ospedali e Cliniche private cagliaritane. Per risparmiare, ha ulteriormente chiuso posti letto ospedalieri e non ha mai aperto i posti letto delle “Case della Salute” previste per il territorio.
2°- L’insoddisfazione dei cittadini è massima. Ormai essi ricorrono alla “mobilità passiva”, abbandonando gli Ospedali del luogo, impoveriti da questo genere di gestione, per altri.

Se fossero esistiti i “Comitati di gestione” previsti dalla 833/78, un fatto così grave, antieconomico e antidemocratico, non sarebbe mai avvenuto.
Oggi, in tempo di Pandemia, il Covid è diventato un’utile coperta per nascondere il fallimento dell’“Aziendalizzazione” delle ASL. Tutto ciò che stiamo provando: l’ impossibilità ad accedere liberamente agli Ospedali, la scarsa assistenza per le usuali patologie, l’atteggiamento respingente alle porte dell’Ospedale e al suo interno, passano come effetto del virus. In realtà, si tratta di una situazione che precede la Pandemia e che oggi è peggiorata.
A questo degrado organizzativo, maturato negli ultimi 20 anni, oggi si sta associando un decadimento della solidarietà pubblica. Il fenomeno più vistoso è la tendenza di suddividere la popolazione che ha diritto all’assistenza sanitaria in sottogruppi. Quello degli anziani è preso di mira per la sua intrinseca fragilità e sta maturando l’idea malsana che si debba lasciare al virus la funzione di selezionare i più forti dai più deboli. In assenza di una forte guida morale pubblica, si sta aprendo la strada a teorie sociali neodarwiniste. E’ l’effetto del diffuso oblio della cultura democratica per cui la cura della “Persona umana” è un diritto costituzionale ed il riconoscimento che “la salute è un diritto fondamentale dell’individuo”.
Se fosse ancora presente il controllo democratico e popolare delle ASL tramite i Sindaci, questo decadimento assistenziale, e anche morale, non sarebbe così vivido.

Mario Marroccu

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I “nodi” della Sanità sono “arrivati al pettine”. Naturalmente il pettine è il Coronavirus.
Su di lui si stanno infrangendo le “distorsioni ottiche” che hanno fatto dirottare il Sistema Pubblico dalla via tracciata dallalegge di Riforma Sanitaria n. 833/78.
Il dirottamento avvenne a metà degli anni ’90, quando dagli apparati burocratici dei Ministeri emerse un’idea innovativa: trasformare le ASL pubbliche in Aziende di tipo privato. Bisognava che i sistemi di amministrazione assomigliassero a quelli delle Aziende lombarde, che erano divenute il motore economico dell’Europa. L’idea era semplice: espellere i Consigli di Amministrazione delle ASL ed affidare tutto ad un Manager con pieni poteri. Fino ad allora i “Consigli di Amministrazione delle ASL” erano costituiti da delegati dei Sindaci del territorio.
Fino a quel momento la ASL Carbonia Iglesias (17) aveva avuto molta creatività e risultati concreti.
– Era stato rimesso in funzione l’Ospedale “Crobu” ed erano stati istituite la “Chirurgia pediatrica”, la “Otorinolaringoiatria” e la “Oculistica”.
– Il nuovo Ospedale Santa Barbara era stato dotato di una forte Chirurgia generale con un reparto di Anestesia e Rianimazione; erano stati inoltre istituiti i Servizi di Cardiologa, Dialisi, Diabetologia e di Endoscopia digestiva.
– Al “Sirai” di Carbonia erano state istituite la Cardiologia, l’Urologia, e la Dialisi. Inoltre, erano stati attrezzati un efficientissimo reparto di Anestesia e Rianimazione, un Centro Trasfusionale autonomo, una sezione di Pneumologia e un Servizio di Medicina nucleare.
– Era stato sviluppato e portato a realizzazione il progetto della nuova Psichiatria. Inoltre, era stato costruito un edificio isolato per Malattie infettive, dotato di sistemi anti-diffusione di contagio avveniristici.
– L’amministrazione venne situata in una sede più ampia nel centro città.
– Nel territorio fiorirono i Consultori per l’utenza femminile, e a Carloforte venne istituito il Pronto soccorso.
– Vennero istituiti i Centri Dialisi territoriali di Buggerru e Carloforte.
– Di pari passo si procedette all’assunzione di Medici, Infermieri, Tecnici, Amministrativi ed Ingegneri.
Gli ultimi amministratori di quell’epoca felice furono il geometra Antonello Vargiu ed il dottor Tullio Pistis.
Poi iniziò la “distorsione ottica” del mondo reale, indotta dalle nuove teorie di gestione sanitaria.
Dal Continente arrivarono, ad innovare, intelligentissimi “bocconiani” che decretarono la fine dei Consigli di Amministrazione delle ASL.
Iniziò l’era del potere concentrato in un “uomo solo al comando”.
Tutto il personale dipendente venne appositamente addestrato a pensare in un modo diverso.
La prima lezione di quei professori cominciò così: «Conoscete la storia del dentifricio Colgate? E’ questa: la grande azienda aveva conquistato il mercato di tutto il mondo e non sapeva cosa fare per espandere ulteriormente il mercato di dentifricio. Un cameriere che serviva il caffè buttò lì quest’idea: fate il buco più grande».
In effetti, fino ad allora, il tubo da cui si spremeva la pasta dentifricia aveva all’uscita un piccolo pertugio di 2 mm. Dietro quel consiglio il pertugio venne ampliato fino al diametro di 6 mm. Ogni volta che si spremeva usciva il triplo della pasta dentifricia necessaria e l’eccesso andava sprecato.
Il consumo del prodotto e le vendite aumentarono di tre volte e l’Azienda si arricchì ulteriormente.
La morale del docente era: «Trovate qualunque via pur di incassare di più». Questo obiettivo fu la conseguenza di un’altra innovazione: oltre ai “Manager” e alla “Aziendalizzazione” delle ASL, erano stati introdotti i DRG. Cosa sono? Sono un sistema contabile per quantificare il valore di ogni singola prestazione sanitaria. Chi sapeva usare con destrezza i DRG, poteva aumentare gli incassi dell’Azienda. Si creava così un automatismo di autofinanziamento basato sulla quantità di DRG prodotti, spendendo il meno possibile per produrli. Era stato inventato un prototipo contabile, capace, in teoria, di far funzionare l’Azienda in modo autonomo. Era qualcosa di simile al prototipo delle auto che viaggiano senza autista, o dell’aereo senza pilota. Lo scopo? Ridurre la spesa per gli stipendi di autisti e piloti d’aereo, senza modificare l’obiettivo del trasporto degli utenti da un punto all’altro. Ne derivò che certi servizi sanitari, invece che produrli, si potevano comprare da altri ospedali (cagliaritani) risparmiando sul personale, sui posti letto e sulle attrezzature. Così si svuotò progressivamente di significato il ricorso agli ospedali territoriali e iniziò la mobilità passiva della Sanità. Il bilancio della nostra Asl finì sempre più in rosso.
L’applicazione del nuovo meccanismo gestionale del Sistema Sanitario condusse alla rimozione del pilota umano (Sindaci) e all’affidamento della Sanità ad un Sistema senz’anima, funzionante con i riflessi meccanici di un algoritmo.
Il Coronavirus ci ha messi di fronte al crudo risultato di quella ideologia contabile applicata alla sanità Pubblica.
Il Sistema Sanitario Milanese è crollato al primo impatto. La percentuale di morti lombardi non è stata ancora superato neppure dal Brasile e dagli Stati Uniti.
L’ottima Sanità Privata Lombarda è, appunto, ottima per la cosa privata ma del tutto inadeguata a contenere l’impatto devastante di una pandemia. L’esperienza ci ha spiegato che chi non ha una buona Sanità pubblica, non si salva.
Noi non abbiamo ancora visto gli effetti del Coronavirus nel Sulcis Iglesiente, però vediamo quotidianamente il decadimento della Sanità Pubblica. L’unica che abbiamo.
Il sistema gestionale del “tubo di dentifricio” ha indotto una distorsione ottica del mondo reale e si è tradotto in un raggiro. La macchina sanitaria, privata dall’anima dell’Amministrazione territoriale, ha applicato un algoritmo rovinoso. Per raggiungere il fine contabile del bilancio ha provveduto a riequilibrare i conti con:
– La chiusura di reparti ospedalieri;
– La chiusura di Ospedali;
– Il mancato turn-over di personale qualificato andato in quiescenza;
– La riduzione dei posti letto ospedalieri da 700 circa a 180 circa;
– La mancata apertura delle Case della Salute;

Oggi il nodo più grosso che è arrivato al pettine del Coronavirus è: l’effetto dello “Esautoramento dei Sindaci dal controllo della Sanità”.
Questo è il guasto più grave della distorsione ottica insita nella “Aziendalizzazione della Sanità”.
Per effetto di ciò, stanno avvenendo fatti che sfuggono al controllo come:
– La scarsa efficienza dello strumento diagnostico di processazione dei tamponi, e l’immane lavoro di prevenzione affidato ad un manipolo di Medici e Assistenti Sanitari la cui dotazione di personale si può contare sulle dita di una mano. Purtroppo, laddove ci vorrebbe un esercito, siamo difesi da un plotone di ardimentosi, bravi ma pochissimi. Eppure, quell’apparato è fondamentale per tracciare l’avanzata capillare del virus nelle nostre case e nelle scuole;
– L’impotenza dei nostri rappresentanti politici alla Regione, a cui va comunque riconosciuto lo sforzo di opporsi alla carenza strumentale e personale del servizio;
– Il pubblico lamento del sindaco di Gonnesa che dice ai suoi cittadini “Dobbiamo fare da soli”. In queste parole c’è il senso di massimo abbandono di una comunità.
C’è solo una terapia per salvare la Sanità che ancora ci resta: ricostituire il Consiglio di Amministrazione delle ASL, formato dai Sindaci del territorio.

Mario Marroccu

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La percezione sullo stato reale della Sanità nostrana è dura. Le esperienze quotidiane dei pazienti sanno spesso di solitudine ed abbandono come esemplificato da questi due casi recentissimi.
Primo esempio: un signore si sveglia al mattino e scopre d’avere paralizzata la parte destra del corpo. Ricovero immediato; TAC ed esami. Diagnosi: trombosi di una importante arteria cerebrale; dimissione dopo due giorni. Il posto letto deve essere libero per il prossimo ricoverato. Questo è il perfetto schema di gestione del paziente acuto. L’hanno ideato eminenti intelligenze economiche di scuola bocconiana milanese. Tuttavia, tra la nostra assistenza sanitaria e quella di Milano, c’è
una bella differenza. Il paziente del Sulcis Iglesiente viene riportato nel proprio domicilio. Se ha soldi e familiari affettuosi, verrà assistito con grande dispendio delle energie parentali. Se non ne ha, scompare dal mondo e nessuno può assisterlo nel dramma della sofferenza e dell’inabilità, finché giunge la morte a graziarlo.

A Milano non è così: tra l’Ospedale ed il domicilio esiste una filiera assistenziale che provvede a ricoverare il paziente, nutrirlo, sottoporlo a riabilitazione e cura della persona, fino al raggiungimento di un’autonomia tale da consentirgli di lavarsi, nutrirsi, vestirsi e tornare in pubblico per le necessità usuali. Avrà sempre un tutor dell’assistenza sociale che sovrintenderà al suo recupero sociale.

Nel Sulcis iglesiente abbiamo un problema; siamo passati da 700 posti letto a 180 circa. Quei 500 posti in più che avevamo, che vennero eliminati per “razionalizzare” il sistema, fungevano da supplenza alla mancanza della filiera assistenziale post-ospedaliera. Qualcuno ha dimenticato di mettere in funzione quel tipo di filiera assistenziale che a Milano è posta tra Ospedale e proprio domicilio. Incredibilmente, si è affrettato a chiudere i posti letto dei nostri Ospedali e a rendere ultrarapidi i ricoveri e le dimissioni. Lo scopo? Dare una parvenza di efficienza milanese nella tempistica del ricambio dei ricoverati. Una volta dimesso, il nostro paziente sulcitano-iglesiente è solo.
Nessuno reagisce: tutti zitti!

Secondo esempio: Un adulto attempato del Sulcis iglesiente ha un tumore diagnosticato tempestivamente e curabile con la radioterapia. Viene messo in lista. L’inizio del ciclo avverrà fra un mese. Alla data prevista l’apparecchio è “guasto”. Passano due mesi. L’apparecchio è sempre “guasto”. Viene fissata la data dopo altri due mesi, ma «con tante scuse … la preghiamo di aspettare altri due mesi». E’ passato un anno e ancora non gli viene assicurata una data certa per iniziare la cura radioterapica. Qualcuno può immaginare che quel reparto sia rimasto chiuso per un anno. Invece no. Ha lavorato sempre a pieno ritmo. ON Y SOIT QUI MAL Y PENSE.
C’è un problema: nel Sulcis iglesiente non abbiamo un reparto di radioterapia e dobbiamo, per forza, rivolgerci agli Ospedali cagliaritani. La sensazione suscitata da questo secondo episodio è di sconforto. Chi deve risolvere il problema?. Chi è il referente per i cittadini del nostro territorio che vorrebbero ottenere assistenza sanitaria nella città capoluogo? Non esiste.
Poi tra febbraio e marzo è esploso il Covid ed abbiamo assistito alla strage di anziani e giovani nel Nord Italia. Gli italiani non erano preparati ad un’epidemia mortifera. Non sapevano come comportarsi. Le uniche notizie scientifiche venivano dalla Cina. Quella prima ondata ha risparmiato il Sud Sardegna. Noi non l’abbiamo vissuta. Oggi, però, sta arrivando. Allora chiedemmo mascherine al mondo intero. Giunsero medici Cubani, Russi, Albanesi, Rumeni e Cinesi. Non bastarono le fosse comuni e i forni crematori per trattare le salme. Il Governo, abituato a legiferare in tempi lunghi si adattò a decretare (DPCM) in tempi brevi, anche nell’arco di 24 ore. E avvenne un fatto nuovo: la sospensione di Diritti Costituzionali (spostamenti fuori dal proprio domicilio; Giustizia; Religione; Scuola; Ospedali; Sport; Commercio; Trasporti). Era il “lockdown”. Fu un coprifuoco più duro di quello della Guerra.

Quell’aspra esperienza e quelle paure hanno maturato nei cittadini la cosiddetta “Coscienza popolare”. Oggi è fortissima la percezione del valore della diritto Costituzionale a godere del Servizio Sanitario Nazionale, che è lo strumento per raggiungere la Buona Salute e la Felicità, valore, quest’ultimo, riconosciuto dal
giurista italiano Gaetano Filangieri; condiviso da Benjamin Franklin nel prologo alla Costituzione americana; sostenuto dall’Assemblea nazionale francese nella Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino. Ambedue i valori sono proclamati dagli articoli 32 e 2 della Costituzione Italiana.
E’ vero che “sono tutte belle parole”, però sono anche Diritti reali certificati dalla Madre di tutte le leggi e siamo legittimati a pretenderli.
In tutti i casi, questa esperienza ha fatto maturare la coscienza di quanto sia necessario avere una Sanità efficiente e onnipresente, vicino alla residenza dei Cittadini.
Associata a questa consapevolezza, l’esperienza dell’Estate scorsa ha fatto percepire la pericolosità insita nello “spostamento di masse umane”, dannosissima anche in regioni naturalmente protette come la Sardegna (vedi il caso del Billionaire e delle coste turistiche da cui sono promanati i focolai attualmente recrudescenti nei nostri territori).
«Nulla sarà come prima neppure nella nuova urbanistica post-Covid». L’ha detto l’architetto urbanista Massimiliano Fuksas. Egli sostiene che le periferie-dormitorio delle grandi città sono polveriere epidemiogene a causa della estrema densità di popolazione e l’eccesso di contatti umani. In futuro sarà necessario  invertire la rotta dell’inurbamento e facilitare il ripopolamento nelle cittadine del territorio. Ciò rende necessario che il capoluogo, piuttosto che grande accentratore, si limiti ad essere sede esclusiva degli atti amministrativi della Politica e lasci che i Servizi tornino dentro i maggiori centri abitati della provincia.
Questo concetto è stato chiaramente esposto tra i principi che devono ispirare i programmi di spesa del RECOVERY FUND e del MES. Secondo il documento programmatico del finanziamento europeo bisogna produrre progetti finalizzati a riequilibrare i Servizi nei Territori. I Servizi espressamente citati dalla Commissione Europea sono: GIUSTIZIA – OSPEDALI – SCUOLA.
Entro il 15 ottobre, l’Italia dovrà presentare alla Commissione europea Il PNRR. Si tratta del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. Il termine “Resilienza” indica il principio fisico per cui certi oggetti, quando vengono deformati da una forza che viene loro impressa, hanno la capacità di riprendere la “forma” che avevano prima di ricevere il colpo (per esempio un oggetto in gomma elastica).
L’”oggetto” di cui qui si tratta è la Sanità. Essa ha subito un durissimo colpo che deformandola l’ha degradata. Oggi la nostra Sanità non riesce a riprendere l’efficienza precedente, a causa di due meccanismi inibitori che ne impediscono la “resilienza”. Essi sono:

A – La “miopia” dei Politici che espulsero i rappresentanti dei Territori dal controllo amministrativo delle ASSL;

B – L’“assenza di potere dei Sindaci” in tema di sicurezza sanitaria.

Da ciò sono derivati:
1 – L’esistenza di amministratori della Sanità avulsi dal Territorio;
Si tratta di personale molto preparato nella pratica contabile ma impreparato nell’interpretazione delle istanze provenienti dalla Popolazione.
2 – Lo svuotamento degli Ospedali in termini di:
– Uomini di scienza e
– Strumenti aggiornati di Diagnosi e cura.
3 – La mancata produzione dal territorio di Medici e Professionisti delle Scienze infermieristiche, destinati a risiedere accanto all’Ospedale con le proprie famiglie.
4 – Il distacco culturale degli Ospedali, in termini di dotazione tecnologica, di ricerca e aggiornamento rispetto ai grandi Centri europei.

Il nostro territorio ha oggi queste esigenze strutturali immediate. L’istituzione di:
1 – Un laboratorio di VIROLOGIA, microbiologia, immunologia, associato ad un settore dedicato alla Biologia Molecolare (DNA – RNA) e ad un Centro di Ricerca.
Deve essere dotato di un Primario e di Personale dedicato.
2 – Un REPARTO DI INFETTIVOLOGIA (Ospedale Santa Barbara; oggi previsto per i Covid sintomatici).
3 – Un organico di VIGILI SANITARI per il controllo territoriale dei pazienti in isolamento.
4 – Un PREVENTORIO per l’isolamento dei casi sospetti e dei portatori sani;
5 – Un Reparto di PNEUMOLOGIA con CAMERA IPERBARICA e Riabilitazione respiratoria, con Primario;
6 – Un REPARTO DI NEUROLOGIA, con Primario.
7 – Un reparto di PEDIATRIA
8 – Un REPARTO di ONCOLOGIA MEDICA
9 – Un SERVIZIO DI RADIOTERAPIA.
10 – Un reparto di CHIRURGIA ONCOLOGICA
11 – Un reparto di CHIRURGIA VASCOLARE
12 – Un servizio di EMODINAMICA con Primario
13 – Un HOSPICE
E’ necessario istituire subito il reparto di terapia intensiva per pazienti Covid al Santa Barbara e liberare gli Ospedali generali dall’impegno di assistenza ai Covid positivi, garantendo la ripresa di tutte le attività di: MEDICINA, CHIRURGIA, ORTOPEDIA, PRONTO SOCCORSO.
Programmare l’evoluzione del Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente è facile. E’ difficile trovare i REALIZZATORI.
I finanziamenti esistono, sono: il RECOVERY FUND ed il MES.
Tutto questo è necessario, per evitare il ritorno ai tempi bui del depotenziamento degli Ospedali.

Mario Marroccu

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Per capire lo straordinario fenomeno sociale indotto dal Covid-19, che lascerà traccia nei libri di storia, dobbiamo ridefinire con chiarezza quali differenze sostanziali esistono tra la malattia individuale e la malattia contagiosa collettiva.
Se dovessimo esaminare con superficialità i numeri dei decessi quotidiani non ci preoccuperemmo. Tutti i giorni muoiono di ictus ed infarti, in Italia, una media di 630 persone, mentre per tumore ne muoiono 485. Attualmente abbiamo una media di soli 10 decessi quotidiani per Coronavirus. Questo dato sembrerebbe confortante. In realtà, da un punto di vista della convivenza sociale, non è così.
Le “malattie individuali” come tumori, diabete, ictus, traumi stradali, ecc., non suscitano paura per la propria incolumità perché ognuno di noi può entrare in contatto con questi malati senza subirne alcun danno.
Le “malattie contagiose” invece sono “diffusive” e “collettive”. Cioè passano da una persona all’altra per il contatto o la semplice vicinanza. Ogni portatore di Coronavirus contagia, in media, 6 persone. Queste a loro volta contagiano 36 persone. Queste 36 ne contageranno 1.296. Nel caso del Coronavirus il numero dei contagiati cresce in modo esponenziale ogni 7 giorni. Abbiamo visto cosa è avvenuto dopo il primo caso di Codogno: dopo due settimane i casi in Lombardia erano già diverse migliaia. Di questi contagiati ne vennero ricoverati il 20% e ne morirono la metà.
Mentre l’80% dei contagiati ebbe pochi sintomi. In 40 giorni avemmo quasi 20.000 morti in una piccola area d’Italia compresa fra Milano, Bergamo e Brescia. Morti che si aggiungevano agli altri morti per diverse cause. Vi fu un numero di salme aggiuntive tanto enorme che non si trovarono spazi nei cimiteri e nei forni crematori, tanto che molte salme vennero imbarcate per lo “smaltimento” nei forni crematori della Sardegna. Appena l’Epidemia è esplosa in America abbiamo visto lo stesso triste fenomeno, di ammassamento di cadaveri, a NewYork.
Questo è avvenuto perché il Covid è una malattia contagiosa per cui non esiste una cura specifica.
Quando si tratta di una malattia contagiosa per cui esistono le cure e i vaccini, l’allarme è basso.
Quando , invece, si tratta di malattia contagiosa per cui non esistono né cure specifiche né vaccino, l’allarme è alto.
E’ un errore enorme paragonare questo tipo di malattia a quelle comuni.
Per capirne la portata sociale e economica si può paragonare soltanto al “Fall-out” della pioggia radioattiva dopo una esplosione nucleare o agli effetti di uno “tsunami”. Tutti eventi in cui la collettività intera è senza difesa.

Le malattie comuni vanno trattate nell’ambito degli strumenti messi già a disposizione dal Sistema Sanitario. Le malattie epidemiche prive di cure specifiche vanno trattate in un altro apparato sanitario parallelo costituito ad hoc.
Una esperienza di diversificazione strutturale l’avemmo già al tempo della TBC. In quel caso si riuscì a debellarla costituendo un sistema di ospedali e presidi specifici (Tubercolosari, Preventori antitubercolari, Dispensari antiTBC, Ospedali Marini, Colonie montane e marine). Si sviluppò una specialità: la Tisiologia. Essa comprendeva: Medici pneumologi, Radiologi, Pediatri, e chirurghi specificamente preparati.
Oggi non esiste ancora un apparato ospedaliero e territoriale specificamente dedicato al Covid-19.
Il problema di strutturarne uno si porrà nella malaugurata ipotesi il vaccino non fosse efficace.

Fenomenologia sociale del contagio.
Il “contagio” fa esplodere la “ Paura del prossimo“.
Chi è il “Prossimo?”.
E’ chiunque: l’amico, il vicino di casa, il collega di lavoro, il compagno di classe, il parente, l’impiegato dell’ufficio pubblico, etc..
Il termine collettivo per identificare questo insieme è: “Società civile”.
La Società Civile è quell’insieme umano che utilizza il “Contatto sociale” per attuare lo scopo per cui ci si incontra: “Lo scambio sociale”.
Lo “scambio sociale” o “commercio umano” si sviluppa su tutti i campi della convivenza come:
– La “Cultura”: scuola, cinema, arte, sport, religione, politica, etc.
– I “Servizi”: il Sistema sanitario, banche, poste, pubblica amministrazione, difesa, giustizia, etc.
– Le “Attività produttive”: professioni, mestieri, agricoltura, industria, etc.
– Il “Commercio”.
Quando esplode il “Sospetto collettivo” sul prossimo e la “paura dell’altro”, l’individuo si ritira nel proprio privato e si autoesclude, cioè si “isola”. L’isolamento può essere “volontario”“obbligato”, come nel caso del lockdown che abbiamo sperimentato.
L’”isolamento” comporta la perdita di 4 Libertà Costituzionali, cioè:
– La libertà di movimento nel territorio, e di scambio commerciale.
– La “libertà di cure”: blocco del Sistema Sanitario per le patologie comuni.
– L’ “Istruzione”: chiusura delle scuole.
– La “Giustizia”: chiusura dei tribunali.
L’impedimento all’esercizio di questi diritti costituzionali comporta la “Sospensione del commercio umano.
A questo arresto degli scambi di beni materiali ed immateriali consegue:
– L’arresto degli scambi commerciali.

– Il crollo delle Borse.
– La perdita di fiducia nella moneta.
– L’impoverimento della Nazione.
– La crisi politica.
– La perdita di rappresentanza dei partiti e la caduta dei governi.
Questi sono scenari possibili nel caso non vengano opposti provvedimenti che stronchino la spirale del degrado.
La “paura dell’altro” è all’origine della disgregazione dell’impianto economico di una società.
C’è voluto Mario Draghi per sintetizzare in una frase questo complesso fenomeno psicologico ed i provvedimenti da prendere per scongiurarlo. Cioè:
“Test di massa per rilanciare l’economia”.
Solo così ognuno di noi saprà se il suo vicino è contagioso o no, e potrà riprendere a produrre ricchezza senza il freno della paura.

Secondo gli Scienziati citati in un recente articolo del Sole 24 ore servono 30 milioni di tamponi per fare uno screening agli Italiani. Cioè deve essere sottoposto a tampone oltre la metà della popolazione d’Italia. Ne consegue che devono essere subito esaminati con tampone almeno 70.000 abitanti del Sulcis Iglesiente.
Davanti a questi autorevoli messaggi il Sulcis Iglesiente non riesce ancora a rendere immediatamente disponibile per tutti un laboratorio specificamente dedicato. Ne sono prova questi fatti:
– Il forte ritardo nell’acquisto del processatore di RNA virale,
– Il forte ritardo nello accreditamento dello strumento donato a Carbonia Iglesias dalla Fondazione di Sardegna,
– Le enormi difficoltà che incontrano i Medici di Base per ottenere i referti dei tamponi eseguiti su pazienti sintomatici.
E’ urgente la disponibilità di un laboratorio perché stanno per arrivare momenti critici, e cioè:
– Fra due settimane in Italia riapriranno le scuole. Vi saranno inevitabili assembramenti. Si muoverà quotidianamente una massa dei 12 milioni di individui. Fra questi vi saranno i “diffusori silenziosi”, come abbiamo sperimentato al Billionnaire di Porto Cervo e nelle discoteche nostrane.
– Stanno per arrivare i 3 mesi portatori di Virus: Ottobre, Novembre, Dicembre, con i loro Rinovirus, Adenovirus, Enterovirus e Virus Influenzali. Ogni tosse e febbricola creeranno il sospetto sul vicino di banco, e la paura del contagio da Coronavirus.
I banchi monoposto, i doppi turni, ed il contingentamento delle classi non saranno sufficienti a dare sicurezza. Ogni ragazzino febbricitante verrà sottoposto a: isolamento in un camera apposita dell’Istituto, visita medica e, forse, tampone rinofaringeo. Poi si dovranno attendere 24-48 ore, o più, per la risposta. Nel frattempo tutti staranno all’erta e disposti all’autoisolamento fiduciario.
Se verrà accertato più di un caso , l’Istituto potrà essere chiuso in quarantena.

Ogni ragazzo sospetto indurrà la caccia a tutti i “contatti” dei 14 giorni precedenti. Per il tracciamento dovranno essere eseguiti dai 100 ai 150 tamponi (prof. Andrea Crisanti). In alternativa il Governo sta valutando lo screening di tutti gli allievi dell’Istituto con i tamponi per “test rapidi”. Nel caso un  ragazzo positivo venisse isolato, lo sarà anche la famiglia.
A queste condizioni è evidente quanta ragione abbia avuto Mario Draghi quando ha dichiarato, in un consesso economico: «E’ necessario eseguire i test di massa per rilanciare l’Economia». Ne beneficerebbe anche la Scuola.

E’ auspicabile che i buoni Politici sollecitino lo sviluppo dello screening con tampone e rimuovano gli oscuri ostacoli per cui oggi è ancora difficile ottenere l’esame.
A conclusione si deve convenire che il “ritardo” di Carbonia Iglesias nella attivazione del suo processatore di RNA virale, è il massimo avversario a cui si trova di fronte il nostro territorio.
Si concorda con Carlo Bonomi, presidente di Confindustria: «…questo ritardo è incomprensibile…».

Mario Marroccu

 

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Oggi negli Ospedali le “liste d’attesa” non sono più lunghissime, sono mostruose. Prendiamo il caso delle visite diabetologiche, cardiologiche, neurologiche, internistiche, pneumologiche, e anche oncologiche: siamo sicuri che l’allungamento dei tempi d’attesa, stabiliti per regolamento anti-Covid, sia meno dannoso del Covid stesso? La Sanità per le patologie più comuni è come “congelata”, immobilizzata da regolamenti.
Oggi se ne parla nella stampa perché è deceduto un noto avvocato sassarese, fratello di un esponente politico di spicco, a causa di un “aneurisma dell’aorta” diagnosticato tardivamente per effetto delle norme di distanziamento dell’Ospedale dal Cittadino.
E’ bene riconoscere rapidamente che oggi nulla è come prima, e che il Covid ha cambiato molte cose della nostra vita quotidiana; soprattutto ha “distanziato” gli Ospedali dal Cittadino.
Occorre un “nuovo contratto” tra Pazienti e Ospedale.
Per noi sulcitani la città di Cagliari, con i suoi mille ospedali, è ormai ad una distanza intollerabile a causa degli ostacoli posti dalle norme anti-Covid.
Abbiamo la necessità assoluta di abbreviare la distanza dai Servizi. L’unico modo consiste nell’istituire qui, vicino alle nostre cittadine, tutto il Servizio sanitario che ci serve quotidianamente.
Voglio portare ad esempio un caso recentemente rimbalzato su Facebook sui tormenti di una famiglia isolana che, nel periodo di Ferragosto ha chiesto soccorso per una ragazzina di 13 anni.
La ragazzina cominciò a lamentare, di sera, dolori al quadrante inferiore destro dell’addome, accompagnati da nausea, vomito e febbricola. Durante la notte peggiorò. La madre la condusse al Pronto Soccorso di Carbonia. Qui, dopo il “triage” e la fila d’attesa, la paziente venne visitata. Il medico era indeciso. Alla fine riferì alla madre che, data l’età, il caso non poteva essere trattato a Carbonia ma presso un Servizio specialistico di Pediatria.
La madre prese la figlia e la condusse ad Iglesias. Erano le 2.00 di notte. Qui il Pediatra si orientò per una patologia chirurgica e consigliò il ricovero presso la “Chirurgia pediatrica” del Brotzu a Cagliari. Alle 4.00 di notte la famiglia riprese il viaggio. Giuntavi alle 5.00, dopo un’altra fila d’attesa, la bambina venne vista dal chirurgo. Questi decise di seguire un comportamento “attendistico”: non ricoverò la paziente e la rispedì a Sant’Antioco. Verso le 7.00 del mattino la famigliola era a casa. Fortunatamente la piccola paziente oggi sta bene.
La madre su Facebook ha lamentato: il disagio, le sofferenze, l’attesa, le incomprensioni, la stanchezza di una notte di viaggi, l’atteggiamento “respingente” legato alle regole di distanziamento, e la sostanziale “inutilità” di tutto.
Dopo la pubblicazione sono comparse altre segnalazioni simili.

Questo fatto documenta la necessità che le Autorità si dedichino a studiarci sopra. Vi sono contenute: segnalazioni, denunce di disagio e sottintesi suggerimenti per il ripristino della normalità.
Analisi degli elementi salienti:
– Il medico di base, per regolamento anti-Covid, può solo raccogliere l’anamnesi telefonica e spedire in ospedale il paziente.
– All’ospedale di Carbonia non c’è più la Pediatria da 10 anni, e non si operano più i bambini da 37 anni.
– Ad Iglesias è stata chiusa la “Chirurgia pediatrica”. Oggi il Servizio si trova solo a Cagliari.
– Il chirurgo pediatra di Cagliari, in questo caso specifico, ha scelto un atteggiamento di tipoosservazional, attendistico”, e ha rispedito a casa la bambina nella supposizione che potesse guarire spontaneamente. Naturalmente, questa scelta attendista comporta anche la raccomandazione di ripresentarsi nel caso peggiorassero i sintomi. Questa scelta è logica nel contesto di un regolamento di distanziamento Covid, ma è assurda e deleteria per chi deve adeguarsi: la famiglia. Nessuno ha tenuto conto delle enormi distanze percorse dalla piccola paziente per raggiungere dapprima Carbonia, poi Iglesias e, infine Cagliari alle 2.00 e alle 4.00 della notte. E’ evidente che anche il programma di controllare un sospetto “addome acuto” su una paziente che risiede a 100 chilometri di distanza è intollerabile. Ed è intollerabile la minimizzazione schematicamente burocratica di questo fatto così grave. Se si va ad analizzare, si scopre che nessuno ha la benché minima responsabilità per tanta carenza sanitaria. La burocrazia difensiva ha vinto.
– Se la paziente fosse stata ricoverata subito in osservazione a Carbonia, con la corretta assistenza pediatrica, avremmo avuto la soluzione ideale. Ma non si può fare per due motivi. 1: Non c’è più la Pediatria. 2: Non vengono più operati i ragazzini sotto i 17 anni.

Il fatto raccontato ci obbliga a prendere coscienza che le nostre città del Sulcis Iglesiente sono, da un punto di vista sanitario, una periferia sottoservita. La carenza di Sanità, Scuola, Lavoro, scoraggiano le giovani coppie dall’avere figli e inducono a lasciare il territorio per stabilirsi dove ci si sente più sicuri. Si chiama: “Spopolamento”.

Fino a 37 anni fa, non era così.
Tutti i bambini e gli adolescenti fino ai 16 anni venivano ricoverati all’Ospedale di Carbonia, o di Iglesias, e qui venivano osservati, studiati, curati ed operati. Si operavano con successo casi difficilissimi. Tra le corsie di Chirurgia Generale vi erano corsie per i bambini. Questi venivano operati regolarmente per tutte le urgenze addominali, urologiche e traumatiche.
Un caso che vale la pena citare, come urgenza pediatrica, avvenuto al Pronto Soccorso di Carbonia, è quello che segue. Un giorno molto lontano di almeno 50 anni fa, un giovane signore conduceva per mano una bimbetta di 4 anni. Una manina teneva quella del padre; l’altra teneva una bambolina. All’apparenza la bambina stava bene, ma il padre, per prudenza l’aveva portata a controllo al Pronto Soccorso. Era successo che, mentre imbiancava i muri di casa, stava su una scala “a libro”. La scala era caduta colpendo la bambina a sul fianco sinistro. Apparentemente non era successo nulla. All’improvviso la bambina chiese di fare la pipì: urinò sangue. Poi sbiancò ed il polso divenne impercettibile. Era in quel momento in sala operatoria il professor Lionello Orrù. Uscì in fretta; visitò la bambina e si orientò subito per la diagnosi di “anemia emorragica acuta da rottura del rene sinistro”. Valutò anche il fatto che la scala, cadendo, aveva contuso il fianco sinistro e, tra il fianco ed il rene c’è la milza. La bambina venne subito portata in sala operatoria. In pochi minuti era già in condizioni disperate. Il Professore aprì l’addome. Era pieno di sangue.
Rimosse il sangue e vide che proveniva dalla milza, che era spappolata. Asportò la milza. Subito la pressione arteriosa della bambina risalì; il ritmo cardiaco migliorò, e l’anestesista disse: «Professore…presa per i capelli». Esposto il rene sinistro, ne suturò un’ampia rima di frattura. La bambina sopravvisse e penso che oggi sia madre e nonna. Se questo fatto fosse avvenuto oggi, la bambina non si sarebbe salvata.
Questa chirurgia, fino al 1983, si faceva comunemente sia sugli adulti che sui pazienti pediatrici. Si operarono migliaia di appendiciti acute, ernie strozzate, peritoniti, occlusioni intestinali, e andavano bene. Fino ad allora il Chirurgo generale operava regolarmente anche i bambini. Poi il caso veniva seguito dai Pediatri fino alla dimissione.
Nel 1983 venne inaugurato il reparto di Chirurgia pediatrica al Fratelli Crobu di Iglesias. Da allora nei reparti di Chirurgia Generale non si operarono più i bambini.
Oggi le cose si sono capovolte rispetto al 1983. La Chirurgia Pediatrica di Iglesias è stata chiusa da qualche anno ed i bambini, fino ai 16 anni, devono recarsi a Cagliari.
Secondo la teoria degli “Hub and Spoke” noi siamo i raggi ( spoke) e Cagliari è l’Hub, cioè il centro della ruota verso cui devono convergere i raggi. Lì devono convergere tutti i malati pediatrici.
Si può capire che questa teoria possa essere valida per i trapianti d’organo, la cardiochirurgia e la neurochirurgia, ma per tutte le altre chirurgie addominali urinarie e traumatologiche, questo non ha senso. Ne stiamo vivendo le conseguenze.
E’ necessario che le nostre Chirurgie generali si facciano nuovamente carico dell’assistenza ai pazienti pediatrici. Naturalmente devono urgentemente riaprire le Unità specialistiche di Pediatria.
Oggi che Cagliari è stata resa ancora più lontana dalle norme di distanziamento anti-Covid, dal traffico pazzesco e dall’atteggiamento respingente dei Pronto Soccorso per eccessivo carico di lavoro, abbiamo la necessità assoluta di riprenderci la nostra Sanità, e ridiventare autosufficienti, ricostituendo i nostri Ospedali.
Naturalmente è necessario che l’opinione pubblica sia consapevole di questi fatti dimenticati e spinga i Politici competenti e i Sindaci, a farci restituire tutto il maltolto.

Mario Marroccu

 

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A Carloforte, in pochi giorni, è stato circoscritto e spento sul nascere, un potenziale focolaio di Coronavirus. L’attore principale del colpo di mano è stato il sindaco Salvatore Puggioni. Ha applicato quella che gli scienziati Americani chiamano: regola delle “3T” (Tracciare-Testare-Trattare). E ha vinto. Non solo. Ha trascinato tutto il Sulcis nell’applicazione del metodo. Oltre ai 21 casi dell’isola (17 di residenti di Carloforte, 3 di Sant’Antioco e 1 di San Giovanni Suergiu), sono stati identificati ed isolati 1 caso a Narcao e 1 a Sant’Antioco (con altri 200 tamponi). Bonificata la zona.
Il primo ad applicare questo metodo fu, tra febbraio ed aprile, il professor Andrea Crisanti nella cittadina di Vò Euganeo, in Veneto. Quella cittadina, assieme alla cittadina lombarda di Codogno, furono i centri in cui si svilupparono i primi focolai di Coronavirus. Tuttavia, nei due centri, l’evoluzione dell’epidemia fu diversa: a Vò Euganeo il focolaio si spense; a Codogno avvenne la diffusione verso Bergamo, Brescia, Milano. Nel primo caso, fu salvata l’intera regione Veneto; nel secondo caso, fu compromessa l’intera regione Lombardia.
Il professor Andrea Crisanti è uno studioso di Microbiologia e Virologia specializzatosi ad Oxford. Quando, a gennaio, iniziarono ad arrivare in Italia le notizie dell’epidemia a Vuhan, egli capì immediatamente quale sarebbero state l’evoluzione e diffusione globale.
Già allora, esistevano gli strumenti per decodificare lo RNA virale col PCR (Polimerase chain reaction). Questa tecnica, ideata negli anni ’90 per la decodifica del DNA, consente di vedere ciò che non si può vedere con i comuni microscopi di laboratorio. I “geni” vengono amplificati dall’enzima Polimerasi e, con una reazione a catena, vengono ingranditi, poi con un metodo di migrazione elettrica delle molecole (“foresi”), vengono visualizzati nel computer, sotto forma di bande colorate. Queste “bande”, di varia lunghezza e spessore, dello RNA virale, sono come il codice a barre dei prodotti esposti nei supermercati. Ogni virus ha un suo “codice a barre” e se ne possono identificare le mutazioni. Con tale metodo, è stato possibile identificare la breve sequenza di RNA che sintetizza la “proteina Spike” che riveste il virus e che, come il vischio per gli uccelli, si attacca alle cellule della preda umana.
L’avere identificato la sequenza per la proteina “Spike”, ha consentito agli scienziati di aprire le porte alla preparazione di un vaccino specifico, senza dover usare tutto il virus. Per questo, i ricercatori, compresi quelli dell’azienda IRBM di Pomezia, pensano di poter ottenere un vaccino non pericoloso. Il vaccino, infatti, non sarà costituito dall’intero virus attenuato, ma da una minima frazione: cioè solo la sequenza di RNA virale che sintetizza la proteina “Spike”.
Tuttavia, il vaccino non è pronto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità pretende che si portino a termine tutt’e tre le fasi di sperimentazione sull’Uomo. La precipitazione potrebbe costare cara. Fino al momento della disponibilità mondiale del vaccino.

La prima volta che si utilizzò la tecnica di diagnosi ed isolamento dei pazienti colpiti dal morbo, fu nel 1378, con Bernabò Visconti. Egli istituì gli “Ispettori di Sanità”. Questi avevano il compito di individuare gli infetti. Poi arrivava l’esercito che procedeva ad inchiodare porte e finestre, rinchiudendo dentro le loro abitazioni gli appestati; il cibo veniva lanciato da debita distanza. Nel caso tutti morissero, si procedeva ad incendiare l’abitazione, per distruggerne il suo contenuto. Il metodo fu rude ma efficace. La mortalità per peste in Lombardia fu bassissima. Quel metodo di individuazione e trattamento, raggiunse lo scopo.
A Firenze, invece, fu una strage. Nel 1423, il doge di Venezia mise a punto la tecnica dell’“isolamento”. Individuò l’”isola di Santa Maria di Nazareth” per riunirvi tutti gli appestati. L’isola venne data in gestione all’Ordine di San Lazzaro. Dalla fusione dei nomi “Lazzaro” e “Nazareth”, derivò il termine “Lazzaretto”.
La “quarantena”, invece, era stata ideata molti secoli prima, da Ippocrate di Kos. Egli sosteneva che una malattia acuta si manifesta entro 40 giorni dal contatto con uno colpito dall’epidemia. I Francesi nel Medio Evo chiamarono quel lasso di tempo “une quarantaine de jours”. Da cui “quarantena”.
Come si vede, la regola delle “3T” ha radici molto antiche ed i metodi per applicarla furono senza dubbio rudi nel passato ma sono “gentili” oggi. L’ingentilimento del metodo attuale, deriva tutto dalla tecnologia. Abbiamo oggi a disposizione il “sequenziator” di DNA. Lo strumento decodifica l’RNA virale e riproduce il corrispondente DNA. Questo viene amplificato e sottoposto a “foresi”, per conoscere il “codice a barre” del virus infettante.
Il prelievo è molto semplice: si esegue con un microtamponcino che entra in contatto con la mucosa delle cavità nasali e con quella del faringe. Queste sono sedi particolarmente ricche di virus nei casi positivi. Il paziente che viene identificato è molto fortunato: viene seguito e curato precocemente, inoltre viene isolato in modo da non contagiare la propria famiglia ed i compagni di lavoro. Il risultato è duplice: la cura del paziente e la tutela della società.
La sequenza di atti clinici che ho descritto, è semplice dal punto di vista metodologico e strumentale, tuttavia è difficilissima dal punto di vista umano. Infatti, non tutti riescono a riprodurre i risultati ottenuti a Vò Euganeo dal professor Andrea Crisanti. Nel caso dell’area sanitaria del Sulcis Iglesiente, esiste una difficoltà in più. E’ l’unica area in Sardegna che, fino al primo caso di Covid-19 a Carloforte, non era dotata dell’apparecchio estrattore di DNA. L’Amministrazione regionale non aveva ricompreso il Sulcis Iglesiente fra i destinatari di questo strumento.
Due mesi fa, dopo pressioni di gruppi di opinione come lo SPI CGIL di Carbonia e la Consulta Anziani di Iglesias, è intervenuto un Ente benefico privato, la Fondazione di Sardegna, che ha donato alla Regione la somma necessaria per l’acquisto dello strumento da destinarsi specificamente alla popolazione del Sulcis Iglesiente.
Dopo un lungo lasso di tempo, lo strumento è stato ordinato ed acquisito, tuttavia, quando esplose il focolaio di Carloforte non avevamo ancora un nostro strumento diagnostico in funzione.

Qui entra in gioco la genialità del sindaco Salvatore Puggioni. Non so come abbia fatto a riuscirci. Quando prese coscienza che in pochi giorni si era passati da 3 a 9 casi di Covid-19, ha messo in moto
una macchina complessa che ha utilizzato lo schema della “3T” degli Americani, usato dal professor Andrea Crisanti a Vò Euganeo. Ha sottoposto a screening di massa, con tampone faringeo, oltre 800 persone ed ha rilevato l’esistenza di ben 21 casi positivi fino ad allora insospettabili. Quindi ha coinvolto tutte le cittadine del circondario inducendo uno screening tra tutti coloro che, teoricamente, potevano essere entrati in contatto con il primo “gran diffusore” di virus che provocò il focolaio. Ha vinto.
Una volta individuato l’avversario. l’ha isolato mettendo al sicuro tutti. Questo fantastico esempio è da indicare a tutti i Sindaci del Sulcis Iglesiente. Se tutti mettessero in campo i talenti per cui vennero eletti, sicuramente scopriremmo che sono tutti titolari anche di una genialità sanitaria che alla fine salverà la nostra Sanità dal degrado a cui la programmazione politica passata e presente l’ha condannata.
I complimenti di questo giornale a Salvatore Puggioni sono sicuramente piccola cosa rispetto a quelli che ha ricevuto da Barbara Serra, la giornalista dell’emittente televisiva Al Jazeera di Londra, quando l’ha dichiarato “migliore di Boris”, ma sono altrettanto meritati.

Mario Marroccu

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Il 31 gennaio 2020, nel n° 334 del periodico mensile cartaceo “La Provincia del Sulcis Iglesiente”, quando il Coronavirus era ancora assai lontano dall’“invadere” l’Italia e, di lì a poco, la Sardegna, abbiamo pubblicato l’articolo di Mario Marroccu che ci sembra molto interessante ri-pubblicare e rileggere.

Un Coronavirus proveniente dai serpenti e dai pipistrelli sta provocando sintomi simili all’influenza, con casi mortali in Cina

Pandemia da Coronavirus di Vuhan. Osservatori planetari

Mentre gli scienziati americani e inglesi monitorizzano il mondo, in Sardegna le cose economiche e sanitarie non vanno proprio così.

Il professor Nicola Perra è un giovane professore associato della cattedra di Fisica nella facoltà di Economia dell’Università di Greenwich, in Inghilterra.

Maturato al Liceo scientifico di Sant’Antioco, si è laureato a Cagliari in Fisica Teorica, e si è specializzato al MIT di Boston negli Stati Uniti, dove fu Lettore Senior.

Perché un professore di Fisica insegna in una Facoltà di Economia in America e poi in Inghilterra? Perché le formule della Fisica di diffusione spaziale dell’energia, sia essa elettromagnetica o gravitazionale, avviene in forma di onde, simili a quelle che si generano nell’acqua di uno stagno quando vi si getta un sasso. Le stesse formule di “Fisica di diffusione delle onde” sono applicabili allo studio del modo in cui si propagano molti fenomeni riguardanti l’Uomo, come: le malattie contagiose, l’economia, le idee politiche, la pubblicità, la comunicazione, etc.

Già un anno fa, il professor Perra mi fece avere un suo libro scientifico intitolato: «CHARTING THE NEXT PANDEMIC. DIFFUSIONE DELLE MALATTIE INFETTIVE: DAI DATI AI MODELLI», pubblicato negli Stati Uniti.

Tale pubblicazione, altamente specialistica, contiene la cartografia delle possibili future epidemie e pandemie.

Tutti abbiamo notato come le maggiori Borse Europee, subito dopo le prime notizie sul contagio da animale ad uomo di un Coronavirus in Cina, hanno registrato un calo immediato del valore dei titoli azionari dei beni di lusso. Si teme che un’eventuale epidemia possa determinare il crollo della richiesta di beni di lusso da parte del consumatore cinese. Qualora i timori del mondo finanziario si estendessero ulteriormente, potremmo assistere ad un tracollo delle maggiori Borse mondiali, delle banche e, infine, degli Stati. I pericoli percepiti dal mondo finanziario possono indurre dinamiche di riduzione del valore dei prodotti industriali e, a valanga, il fallimento delle imprese ed il conseguente impoverimento della popolazione. Ecco perché le facoltà economiche del Regno Unito e degli Stati Uniti finanziano un gruppo di Fisici, Biologi ed Economisti per redigere studi di previsione delle diffusione geografica delle malattie contagiose che potrebbero influenzare negativamente l’Economia mondiale. Lo scopo è quello di opporre, in tempo, provvedimenti atti a contrastare il degrado economico.

Il libro del professor Nicola Perra non è un testo profetico. È uno strumento che consente di formulare modelli matematico-fisici, basati su algoritmi che disegnano il decorso di future pandemie. Analizza il carattere degli agenti infettivi e fa un salto di qualità nello studio delle dinamiche di diffusione, tenuto conto delle variate condizioni di mobilità della popolazione mondiale.

Quando parliamo di pandemie, ci riferiamo a quelle più note del passato. È utile ricordare che i virus ed i batteri sono specie-specifici. Ovverosia, se si sono adattati geneticamente a vivere dentro le cellule di esseri di una data specie, come ad esempio i mammiferi, gli uccelli, i sauri o gli antropomorfi e l’uomo, vivono sempre come ospiti nella stessa specie e non passano ad altre forme di vita, cioè “non fanno il salto di specie”. Quindi un virus degli uccelli non contagia la specie umana o altri mammiferi.

Tuttavia, nella storia, a causa di mutazioni genetiche, il “salto di specie” è avvenuto più volte. Per esempio il Plasmodio della malaria, millenni fa, era specie – specifico per certe scimmie africane; poi, per una improvvisa mutazione, si è adattò all’uomo, e la malaria si diffuse su tutto il pianeta attraverso i percorsi delle migrazioni umane. Il virus della HIV, similmente, era specie-specifico esclusivamente per le scimmie africane, poi ha fatto il salto di specie passando all’uomo. Similmente è successo per il virus Ebola.

Un virus degli uccelli che annualmente passa con facilità dalla specie aviaria a quella umana è quello dell’influenza, la cui evoluzione, in genere, è abbastanza benigna. Ma non è stata sempre così benigna; nel caso dell’influenza Spagnola del 1918 la mortalità fu altissima. Nel 2002 un Coronavirus degli uccelli fece il salto di specie all’uomo ed avemmo l’epidemia di SARS. Avvenne in Cina nella provincia di Guangdong (Canton).

Nel 2012 fu la volta di un altro Coronavirus che fece il salto di specie passando dallo Zibeto, un animale selvatico della penisola Araba, all’uomo. L’epidemia fu chiamata MERS, e fu più mortifera della SARS (40% di mortalità fra gli infetti, come nel caso della Spagnola).

Da pochi giorni si è saputo che un altro Coronavirus, questa volta proveniente dai serpenti e dai pipistrelli, ha subito una mutazione genetica ed ha acquisito la capacità di infettare l’uomo compiendo il salto di specie. Si tratta del virus che sta provocando sintomi simili all’influenza, con casi mortali, nella città di Vuhan, in Cina.

Già due anni fa, il libro di Nicola Perra ha previsto questa nuova epidemia di Coronavirus in Cina. Non è un libro profetico, è invece un compendio di calcoli matematici con cui è possibile elaborare mappe e grafici che rendono possibile prevedere l’andamento e la diffusibilità di future pandemie. Le elaborazioni tengono conto di nuove variabili introdotte dal modo di spostarsi dell’uomo sulla superficie del pianeta terra. In un capitolo egli scrive: «È interessante ed estremamente rilevante nella comprensione della diffusione delle malattie infettive, osservare le differenze di tipologia tra il lungo raggio ed il corto raggio della mobilità della rete (aerea)».

Egli continua poi distinguendo il diverso modo di diffusione del contagio che può essere generato dai viaggiatori d’aereo “pendolari” (come potremmo essere noi quando percorriamo brevi tratte come Cagliari-Roma), ed i viaggiatori delle lunghe tratte intercontinentali.

Nella seconda parte del libro, esistono molte carte del planisfero terrestre in cui viene prevista la diffusione mondiale delle future possibili epidemie secondo le città di origine del focolaio. Rappresenta, su carta delle rotte aeree, la diffusione mondiale di epidemie insorte in città come: Barcellona, Melbourne, New York, Joahnneburg, Hanoi, Buenos Aires, Lagos, Kisangai (Congo), Arna (Uganda), Jeddah e, infine, la diffusione internazionale di un Coronavirus da Guanzhou (Canton) in Cina. Per questa città, già due anni fa, disegnò la mappa delle rotte aeree che il Coronavirus avrebbe preso (oggi) per diffondersi da lì al mondo intero. Ricordiamo che Guanzhou è la città da cui, nel 2002, prese inizio l’epidemia di SARS. Non è molto distante da Vuhan.

Nelle mappe e nei grafici allegati, descrisse esattamente in quanto tempo la malattia avrebbe raggiunto l’Australia, l’Indonesia, gli Stati Uniti (già oggi lo stiamo sentendo dai telegiornali) e, infine, l’Europa. Ma non si limitò a questo. Previde gli strumenti che si sarebbero dovuti adottare subito per limitare l’estensione dell’epidemia e cioè: l’interruzione delle rotte aeree e la diffusione dei vaccini. Previde in quale percentuale si sarebbe limitato il danno in base alla tempestività dei provvedimenti.

Un testo, come questo del professor Perra, che ho rapidamente sintetizzato, non è destinato al pubblico, ma agli operatori politici ed economici degli Stati. Gli operatori finanziari, che hanno fatto cadere in Borsa il valore dei titoli dei beni di lusso alcuni giorni fa, basano le loro operazioni su strumenti scientifici come questa pubblicazione. Alla luce di essa il mondo economico produce i suoi anticorpi contro le crisi finanziarie e produttive che potrebbero conseguire a danno delle aziende. I benefici di queste previsioni, dovrebbero ricadere a cascata su tutti noi.

A nostra insaputa, esistono guardiani sanitari ed economici del pianeta, anche contro il Coronavirus della città Vuhan. Dobbiamo prendere atto che mentre gli scienziati americani e inglesi (nati e formati a casa nostra) monitorizzano il mondo, da noi, nel nostro piccolo angolo di Sardegna, le cose sanitarie ed economiche non vanno proprio così.

Mario Marroccu

Il professor Nicola Perra, da qualche giorno si trova in vacanza nella “sua” Sant’Antioco. Ne abbiamo approfittato, per intervistarlo.

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Il campionato mondiale 2020 di motociclismo si sviluppa su 13 gare da disputarsi in 4 mesi. Le prime due sono state corse a Jerez, in Andalusia, una città a 12 km dall’Oceano Atlantico, e a 85 km da Gibilterra. E’ una provincia bellissima fin dai tempi della dominazione moresca.
Nel corso della prima gara, il campione del mondo in carica Marc Marquez ha fatto un capitombolo a 149 km orari, in curva. Ha volato in alto come un proiettile. Durante quel secondo di volo si è attivato l’air-bag della tuta che gli ha evitato di sfracellarsi; tuttavia, mentre il corpo planava a terra, il braccio destro, disteso in avanti a protezione, è stato investito dalla ruota anteriore della moto, che a sua volta volava un po’ dietro di lui. Miracolosamente il danno si è limitato ad una frattura scomposta della parte lunga dell’omero.
Marc Marquez fa parte della scuderia della Honda. Gli altri atleti corrono per altrettante case produttrici di motociclette. Il gruppo è costituito da un capitale umano ed economico pregiatissimo del mondo motociclistico e gode di tutele di alto livello. Viene seguito, ovunque si muova, da una “Clinica mobile” che si prende cura dell’integrità dei loro corpi, data l’alta esposizione agli incidenti. Per la parte traumatologica, il gruppo di atleti è stato curato, fino a poco tempo fa dal mitico dottor Claudio Costa. Attualmente, il responsabile medico traumatologo è il dottor Xavier Mir, che esercita nella Dexeus University di Barcellona.
Il dottor Mir, dopo aver ridotto la frattura ed immobilizzato il braccio, ha sistemato Marc Marquez su un aereo e l’ha portato nella sua Università a Barcellona. Lì, lo ha operato 48 ore dopo l’incidente.
Il paziente non aveva sintomi neurologici alla mano. Muoveva bene dita e mano, sia in estensione sia in flessione, ed era capace di eseguire una presa e rilasciare. Non aveva disturbi ai movimenti del pollice e non presentava disturbi sensitivi. La clinica dimostrava che tutt’e tre i nervi importanti del braccio erano integri (radiale, mediano, ulnare). Il nervo che in questi casi corre più pericoli è il nervo radiale. Questo nervo, ad un certo punto, corre lungo un solco osseo e si rompe quando la rima di frattura è vicina. Allora il guaio è serio. Compaiono disturbi sensitivi e difficoltà ad aprire la mano; fatto che compromette la capacità di manipolare i comandi nel manubrio della moto. In tali casi, è necessario preparare chirurgicamente i due monconi di nervo e procedere alla “riunione fascicolare microscopica”. Il recupero avviene, se l’intervento riesce, in 6 mesi. Comunque, prima dell’intervento, non c’erano sintomi da compromissione del nervo radiale.
A questo punto, parole di Xaver Mir: «Si poteva ricostruire la continuità dell’osso inserendo nel suo canale interno un chiodo endomidollare di titanio», oppure si poteva applicare una placca in titanio da avvitare su un lato dei monconi. Il dottor Xavier Mir ha optato per la seconda scelta: ha praticato un’ampia incisione sul versante postero-laterale del braccio; ha isolato il nervo radiale; poi ha fissato con 10 viti una lunga placca di titanio direttamente alla parte esterna dell’omero fratturato, raddrizzandolo. Quindi ha fissato un frammento osseo, che si era staccato, con due viti ai monconi maggiori. In tutto 12 viti. Con questa tecnica si vuole che la placca funga da “stampella” all’omero e, su questa guida si formi il callo fibroso, e poi osseo. Si paga, tuttavia, il prezzo di un ampio taglio e 12 viti che, perforando l’osso, lo indeboliscono intaccandone la continuità strutturale.
E’ stata una buona scelta? Secondo la “AO Trauma Foundation” lo è stata. Secondo il mitico Claudio Costa, no. Lui l’aveva detto subito: «…per accelerare i tempi di recupero bisognava intervenire con un chiodo endomidollare, non con una placca. […] Avrei consigliato di rischiare un po’ e di mettere un chiodo, per fare un impianto più affidabile dal punto di vista della traumatologia motociclistica. Probabilmente, hanno pensato che con una placca più grande e più viti, l’impianto potesse tenere; me lo auguro. Il chiodo, probabilmente, viene tenuto come emergenza in caso di malaugurata sfortuna».
E la “sfortuna” c’è stata. Dopo 3 giorni dall’intervento Marc Marquez è salito in moto, per fare un giro di prova, e la placca si è rotta. Alla fine del giro, il campione non sentiva più la mano. Brutto segno di compromissione dei nervi del braccio. Adesso il braccio è inutilizzabile.
Dalla radiografia si vede chiaramente che la placca, con le sue 12 viti, non può dare la certezza dalla guarigione senza altre rotture in caso di banali cadute. E si vede chiaramente che, invece, il chiodo endomidollare, mostrato nella radiografia di un altro paziente fratturato di omero, operato a Carbonia, dà più sicurezza. Se il povero Marc Marquez si fosse fratturato l’omero nei tornanti del Sulcis Iglesiente sarebbe stato operato da noi con l’inserimento di un solido “chiodo endomidollare”, ma ad una condizione: avrebbe dovuto aspettare in “lista d’attesa” per 8-10 giorni, come tutti, perché da un po’ di tempo i nostri Ospedali sono carenti di Anestesisti ed Ortopedici. E bisogna aspettare. Ma Marc Marquez non aspetta.
Questa della “lista d’attesa” è un problema che non riesce ad entrare nella testa dei politici che ci hanno governato e di quelli che ci governano ora. L’umiliazione delle “liste d’attesa” viene subita da tutti con una rassegnazione tipica dei sardi, sopravvissuti a secoli di dominazioni straniere.
Però, pochi giorni fa, abbiamo avuto il fulgido esempio di un sarda che non si è rassegnata ad aspettare i tempi della assistenza ospedaliera: si tratta della bambina di Calasetta che, dopo una corsa non ha atteso ed ha preferito nascere in macchina prima di arrivare al CTO d’Iglesias.
Certamente questo non sarebbe successo se il Reparto di Ostetricia si fosse trovato ancora a Carbonia, che si trova a 27 km da Calasetta, e non a 50 km come è invece il CTO di Iglesias. Pertanto, non ce l’ha fatta.
Quattro anni fa il reparto di Ostetricia e Ginecologia di Carbonia venne soppresso. Quel taglio, attuato nell’assurda credenza che dovesse tradursi in un risparmio, in realtà si è trasformato nello immiserimento dell’Ospedale e nell’aggravio di spese per le famiglie. Alcune portano le gravide a termine ad Iglesias, ma le più ricorrono agli Ospedali di Cagliari, spendendo più soldi e facendo più sacrifici. Questo assurdo allungamento della percorrenza per raggiungere i Servizi Ospedalieri equivale, per sofferenza e spese, all’allungamento delle “liste d’attesa”.
La fantastica bambina di Calasetta ha rotto l’incantesimo: ha dimostrato che si può nascere secondo i ritmi della natura. La “Burocrazia sanitaria” con lei non ha vinto.
Tanti Auguri alla bambina calasettana, al povero Marc Marquez, e anche a noi.

Mario Marroccu