22 December, 2024
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In natura non vi sono regole morali. Al contrario, vige la regola del più forte. La storia naturale delle epidemie e delle catastrofi è la storia di una “prova di forza” continua tra il più forte ed il più debole e, davanti al bisogno di sopravvivere, la lotta viene condotta senza esclusione di colpi. Ecco alcuni esempi.
La “Peste nera” del 1347/1348 si diffuse dopo alcuni anni di freddo globale che gli storici chiamarono “Piccola glaciazione”. Gli unici, tra Europa ed Asia, che riuscirono a produrre cereali per gli uomini e gli animali, furono i contadini dell’Ucraina. Il loro mercato si trovava nei porti della Crimea, sul Mar Nero.
Per questo i commercianti italiani si rivolsero agli armatori genovesi che avevano i granai nei loro magazzini a Caffa, in Crimea. Per arrivarci, le navi italiane dovevano attraversare il Mar Egeo, lo Stretto dei Dardanelli ed il Mar di Marmara. Quindi, superata Istanbul accedevano al Mar Nero. Da qui puntavano la rotta a Nord, verso la Crimea. Si tratta dello stesso percorso seguito dai soldati sardi che combatterono la Guerra di Crimea del 1854-56. La Russia aveva occupato la Crimea (esattamente come oggi) ed il Regno di Sardegna fece parte dell’alleanza che andò a liberarla. I Sardi si trovarono nel pieno di un’epidemia di colera e ne morirono 3.000. In quella occasione vennero assistiti dalla signora Florence Nightingale che, dopo quell’esperienza, fondò l’ordine mondiale delle Infermiere. Anche nel 1347 i marinai genovesi si trovarono implicati in una guerra tra Mongoli e Ucraini e anche allora gli italiani si trovarono nel bel mezzo di un’epidemia. Era avvenuto che i Mongoli, abituali incursori nelle campagne cinesi, quell’anno le avevano trovate deserte e con i granai vuoti. I contadini cinesi erano morti a causa di un’epidemia di Peste provocata dalle pulci del ratto nero (rattus alessandrinus). In mancanza di preda “l’Orda d’Oro” dei guerrieri mongoli si diresse ad Ovest verso i granai di Caffa per impadronirsene. Si misero al loro seguito anche i ratti, con le loro pulci infette, mossi anch’essi dalla fame. I mongoli assediarono la città di Caffa ma vi fu una strenua resistenza. Allora il capo mongolo, Gani Bek, pronipote di Gengis Khan, ebbe l’idea di lanciare oltre le mura, con catapulte, i corpi di soldati mongoli morti di Peste. Così la peste entrò nella città ed il morbo mortifero si diffuse. Alcune navi genovesi riuscirono a scappare col loro carico di grano e, con sé, portarono anche i ratti della peste. Mentre gli equipaggi morivano, le navi entravano nel porto di Messina. Fu la prima città europea ad essere appestata. Da Messina partirono altre navi, col loro carico di merci e di Peste, verso Napoli, Genova, Venezia, Cagliari, Alghero, e diffusero la peste in tutta Italia. L’Italia fu la porta d’ingresso dell’epidemia in Europa.
Esattamente come oggi col Coronavirus, il percorso del contagio fu: Cina, Italia, Europa. E’ dimostrato che la diffusione della Peste Nera fu facilitata dall’estrema debolezza del sistema immunitario delle popolazioni stremate dalla carestia. La carestia, a sua volta, derivava dal lungo periodo di freddo della “piccola glaciazione”. In quel “braccio di ferro” tra uomini e microbi vinsero i microbi.
La pandemia di “Spagnola” del 1919 esplose alla fine della Prima Guerra Mondiale. Le Nazioni erano indebolite dalla scarsità alimentare provocata dalla mancanza di uomini nelle campagne perché impegnati nello sforzo bellico.
Anche le epidemie di Vaiolo e di Febbre Petecchiale esplodevano a ridosso di guerre e di carestie. La Campagna di Russia di Napoleone del 1812 si trasformò in una disfatta a causa di un’epidemia di Tifo Petecchiale da Rikettsia Prowazeki. La Rikettsiosi era endemica negli eserciti ed esplodeva incontrollata per l’associazione tra carenze igieniche e carenze alimentari. Sappiamo che già due anni prima del 1812 era iniziata una grave carestia in Sardegna (“Su famini de s’annu doxi”). Nel vicino Nord Africa la situazione alimentare era ancora più grave perché alla carestia si era sovrapposta anche una invasione di cavallette che divoravano i pochi raccolti. I Bey di Tripoli, Tunisi e Algeri, che già abitualmente equilibravano il bilancio annuale dei loro Stati con i proventi delle scorribande, in quell’anno ripresero con più frequenza a rapinare le coste sarde. Nel 1812 le incursioni barbaresche si aggravarono, soprattutto, sulle coste del Sulcis. In quell’anno la famiglia reale viveva a Cagliari, dove aveva trovato riparo dagli eserciti napoleonici. Fu allora che avvenne l’assalto al “Forte del Ponte” di Sant’Antioco, la cattura di schiavi ed il furto di derrate alimentari. Di quell’episodio esiste un grandioso affresco nel Palazzo Viceregio di Cagliari.
Persistendo la carestia in Nord Africa, i corsari tunisini attuarono una nuova incursione su Sant’Antioco il 16 ottobre 1815. Furono fatti schiavi 130 antiochensi e uccisa parte della popolazione. Nei mesi successivi esplose una epidemia di vaiolo che si portò via tutti i bambini nati nei cinque anni prima un centinaio. Fu un fatto grave ma era stata ben più grave l’incursione su Carloforte del 1798 che era costata quasi 1.000 sequestrati destinati ad essere venduti al mercato degli schiavi di Algeri, Tripoli e Derna.
Le popolazioni cercavano consolazione nella religione pregando: «Alla crisi economica, dalla epidemia, e dalla guerra liberaci o Signore» («A famine, a peste, a bello libera nos Domine»).

Anche oggi le paure delle popolazioni sono le stesse: la crisi economica, la pandemia, i conflitti fra Stati.
La pandemia attuale da Coronavirus avviene in un pianeta afflitto da centinaia di guerre locali e da una competizione commerciale fra i potenti ai limiti della guerra finanziaria come mai si era vista. In modo simile alle pandemie del passato anche oggi assistiamo al crescere di una crisi economica globale. Anche nel nostro piccolo mondo locale assistiamo ai problemi del commercio, dell’iniziativa privata e del lavoro in generale.
Come affermano gli osservatori economici, la crisi finirà solo quando cesserà la crisi sanitaria. E la crisi sanitaria finirà quando verrà posto riparo alla deficienza di Servizio sanitario in cui ci troviamo.
Ieri il direttore generale del CENSIS, il dottor Massimiliano Valeri, ed il presidente dell’Agenzia Nazionale per i Servizi sanitari regionali (AGENAS) dottor Enrico Cosciani, hanno pubblicato un documento, destinato al Governo, in cui si dice testualmente: «La pandemia ha squarciato il velo sulle fragilità strutturali in Sanità. La pandemia ha travolto le nostre vite, con un forte impatto sociale e economico. Ma, di fatto, rappresenta un potente ed improvviso fattore di accelerazione dei processi».

«Ci siamo scoperti vulnerabili dopo anni di contenimento della spesa pubblica che hanno provocato la riduzione dei posti letto e la chiusura di piccoli Ospedali.»
Se analizzassimo la regressione del Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente, attuato ad arte negli ultimi 20 anni ricorderemmo che negli anni ’90 l’Ospedale di Carbonia aveva una dotazione di 384 posti letto, ed era stato appena costruito un padiglione separato destinato ad ospitare il reparto specialistico per le Malattie Infettive. Era Commissario il dottor Tullio Pistis e presidente il geometra Antonello Vargiu. Il padiglione, destinato ai pazienti affetti da AIDS, non venne mai utilizzato ed il Centro Infettivi non sorse mai. Iglesias aveva un ottimo Ospedale Traumatologico Ortopedico attrezzato per fornire un servizio di alto livello secondo la scuola del Rizzoli di Bologna. Vi era inoltre un Ospedale per le patologie generali, il Santa Barbara, che soddisfaceva la popolazione. Ad Iglesias vi era inoltre un grande complesso, l’Ospedale Fratelli Crobu, destinato alla malattia infettiva più diffusa nel secolo scorso: la Tubercolosi.
Nel 1983, quell’Ospedale, venne convertito per ospitare un reparto di Chirurgia pediatrica, un reparto di Pediatria ed uno di Otorinolaringoiatria. All’inizio ebbe successo, poi col calo demografico venne progressivamente ridimensionato fino alla sua completa chiusura. Oggi è nell’abbandono.
Negli anni ’90 il numero degli operatori sanitari dipendenti del Sistema sanitario del Sulcis Iglesiente si attestava sulle 2.000 unità. Oggi, tra Carbonia ed Iglesias, il numero di dipendenti è ridotto ad appena un migliaio.
Dove sono finiti i mille dipendenti che mancano ai nostri Ospedali?
Si capisce immediatamente dove sono andati a finire quei posti di lavoro se si osserva la crescita tumultuosa dei presidi ospedalieri e universitari di Cagliari. Contemporaneamente al depauperamento del nostro personale abbiamo assistito alla chiusura di interi ospedali ad Iglesias ed alla soppressione di reparti e Servizi al Sirai di Carbonia. Carbonia, che aveva in passato 384 posti letto, oggi ne vanta poco più di 100.
Così come le incursioni corsare dei secoli scorsi nelle nostre coste avvennero per motivi economici, anche nell’ultimo ventennio le crisi economiche nazionali sono state contenute depredando i nostri ospedali di personale, strumenti scientifici, interi reparti e fondi destinati “pro rata” al nostro territorio per dirottarli verso altri centri già ricchi e saturi di servizi sanitari.
Il direttore del CENSIS ed il direttore di AGENAS osservano anche, nel loro documento, che la distruzione della rete degli Ospedali provinciali ha condotto alla:
– riduzione e soppressione di visite specialistiche, accertamenti diagnostici;
– riduzione dei ricoveri di medicina interna;
– screening per la prevenzione dei tumori.
Inoltre affermano testualmente: «Anche se non ci fosse stata la pandemia, la transizione demografica ci avrebbe obbligati a rivedere l’offerta sanitaria a causa dell’invecchiamento della popolazione. Investire in Sanità è un moltiplicatore di processi di sviluppo e creazione di occupazione. Servono 58mila medici e 72mila infermieri per la Sanità del futuro.»
Ora bisogna stare molto attenti.
Con i soldi del “Recovery plan” inserito nel “Next Generation EU”, si potrà procedere a quelle assunzioni.
I nostri politici locali dovranno sorvegliare chi stilerà il programma di spesa.
Se non staremo attenti potrà avvenire un ulteriore peggioramento a nostro danno.

Nei nostri Ospedali provinciali abbiamo bisogno di quei 58mila medici e 72mila infermieri. Ci servono per ricostituire i reparti specialistici che ci sono stati sottratti a favore delle città. La teoria degli “Hub and spoke”, cioè della “centralizzazione” è stata il grimaldello con cui sono state divelte le basi della nostra Sanità. Ci hanno sottratto i fondi, il personale, i servizi specialistici, per trapiantarli nella città capoluogo.
Con la sottrazione di quei Servizi ci hanno sottratto almeno 1.000 posti di lavoro, che equivalgono a mille stipendi al mese sottratti alla nostra rete commerciale. La scomparsa di quegli stipendi va di pari passo con la scomparsa di clienti dai negozi per l’edilizia, dai negozi di abbigliamento, dai ristoranti, etc.
La scomparsa di quei mille operatori sanitari va di pari passo con la scarsità di offerta sanitaria nel nostro territorio, con l’allungamento delle liste d’attesa per essere operati e per ottenere le visite specialistiche, le TAC, le Ecografie, le Risonanze magnetiche e l’efficienza dei Pronto soccorso. In un articolo comparso giorni fa in un quotidiano regionale ci è stato riferito che la Regione ha speso per analisi cliniche strumentali nel 2020 una somma pari a 15,6 euro per abitante a Cagliari mentre ha speso 2 euro per abitante nel Sulcis. Questo dato la dice lunga sulla disparità di distribuzione di danaro per la sanità tra Cagliari e Carbonia Iglesias.
La stessa scarsità di personale a cui ci hanno ridotti è all’origine della riduzione dei posti letto nei nostri reparti ospedalieri, che a sua volta ha portato alla fusione di reparti specialistici in piccole Unità Operative, rese obbligatoriamente piccole dalla povertà di medici e infermieri. Il personale, che si trova carente di numero, mal motivato, e sovraccaricato della responsabilità di un bene prezioso come la salute degli altri ha bisogno di un forte supporto politico e popolare.
Come giustamente sostengono il presidente del CENSIS e quello dell’AGENAS, la riassunzione di quelle 1.000 persone che ci mancano dagli Uffici, tra gli Infermieri e tra i Medici, equivarrà ad un investimento economico. Assumere urgentemente nuovo personale è la via giusta per dare più Sanità a tutti e, investito in assunzioni nella nuova generazione, porterà nuovi posti di lavoro, nuove coppie, nuovi figli, e nuovi clienti per negozi e artigiani. Cioè: benessere.
In fondo questo è il fine di chi ha inventato il fondo del Next Generation EU. Dobbiamo volere che la suddivisione dei fondi provenienti dalla Comunità Europea venga fatta con una redistribuzione equa tra le province della Sardegna. Dobbiamo impedire un nuovo catastrofico accentramento di Sanità nel capoluogo. E’ necessario che i politici locali veglino su quei fondi per salvarci dal prossimo disastro: la povertà.

Mario Marroccu

Foto del Premier Mario Draghi licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

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Il virus dilaga. L’ha confermato il ministro della Sanità Roberto Speranza. Le dosi del vaccino, nel breve periodo, non bastano per tutti. Non abbiamo farmaci antivirali efficaci tranne i costosissimi anticorpi monoclonali. E inoltre siamo consapevoli che la eradicazione del virus non è possibile, per ora, e la sua scomparsa, se mai avverrà, sarà preceduta da molti anni in cui dovremo difenderci.
Siamo ancora lontani dall’uscita dalla Pandemia e la mortalità non decresce. Se si considera che a metà febbraio, cioè a un anno dal suo inizio, è previsto il raggiungimento della quota di 95.000 morti e che oggi ne abbiamo in media 550 al giorno, si prevede che entro il prossimo anno potremmo raggiungere i 200.000 decessi. Cioè il doppio di quest’anno.
Gli Scienziati stanno elaborando previsioni matematiche che includono quattro fattori:

1 – l’inizio delle vaccinazioni,

2 – l’aspettativa popolare della cessazione della Pandemia per effetto dei vaccini,

3 – il tempo che si impiegherà per vaccinare almeno il 70% degli italiani,

4 – la scarsità di dosi di vaccino.

Il professor Nicola Perra ed il suo gruppo di ricercatori, in base ai dati pervenuti dagli Istituti di rilevazione, prevedono un aggravamento della Pandemia e della mortalità in Italia, Francia, e Regno Unito. Questo effetto paradossale sarebbe dovuto al fenomeno psicologico di rilassamento dei comportamenti indotto proprio dalla insperata messa a disposizione del vaccino.
Il lavoro di Nicola Perra, che verrà pubblicato a giorni in una rivista scientifica inglese, conferma che è necessaria una exit strategy (strategia d’uscita) dalla pandemia attraverso una vaccinazione massiva ultrarapida. L’ideale, secondo altri scienziati italiani, sarebbe vaccinare tutti entro due mesi.
Questo concetto della exit strategy è noto agli eserciti in armi che si preparano ad abbandonare un teatro di guerra. Nessuno dimentica i disastri che avvennero al momento dell’uscita degli Americani da Saigon per chiudere in fretta la guerra del Vietnam. Fu una tragedia. Oggi stiamo assistendo alle difficoltà delle truppe americane a mettere in atto l’exit strategy dall’Afghanistan tanto da indurli a chiedere una mediazione con i Talebani. Similmente può avvenire nel nostro caso. Infatti secondo il gruppo del prof Perra si sta registrando, ovunque siano iniziate le vaccinazioni del personale sanitario, un generalizzato rilassamento dei comportamenti di sicurezza e questo rende difficilissima la exit strategy dalla Pandemia.
Nulla oggi consente il rilassamento delle restrizioni e della prudenza perché rispetto ad un anno fa le condizioni sono peggiorate in quanto:
– Un anno fa c’era solo un paziente positivo al Covid all’Ospedale di Codogno,
– Oggi i positivi sono centinaia di migliaia distribuiti ovunque,
– Mancano farmaci antivirali efficaci,
– Sono comparse le più contagiose variante inglese, sudafricana e brasiliana.
– L’allerta di Irlanda e Inghilterra di oggi è più grave dell’allerta dato da Vuhan un anno fa.

Oggi si affaccia un nuovo problema. L’etica del “triage” (scelta, smistamento, dei pazienti da curare). La paura di ammalarsi, le restrizioni di libertà, i problemi economici e politici hanno la capacità di modificare la serenità di giudizio nei rapporti umani e in questi giorni sta emergendo un problema etico che prima della Pandemia non era immaginato dal cittadino comune. Esso consiste nella possibilità che i soggetti più deboli possano non essere più curati. Questo è emerso nella bozza del nuovo Piano Sanitario Nazionale delle emergenze.
In un articolo di tale Piano si ipotizza la possibilità di escludere dalle cure i pazienti più fragili nel caso in cui vi sia scarsità di farmaci o di posti letto. Il che porterebbe a dover scegliere tra chi potrebbe avvalersi dei benefici delle cure e chi no. Al problema è stata trovata la soluzione etica che si può sintetizzare così: «In caso di scarsità di farmaci il terapeuta potrà essere costretto a somministrarli solo a chi ha più possibilità di sopravvivenza».
Il dilemma di capire chi salvare e chi no in corso di disastro è antico. E’ stato frequentemente risolto dando le terapie ai più giovani, forti e recuperabili, e concedendo ai più deboli solo il conforto finale. Ma, secondo le culture, non è sempre stato così.
Nel Giuramento di Ippocrate del quarto secolo a.C. non esiste una facoltà di scelta su chi curare e chi abbandonare alla morte. Nella Grecia classica si riporta la leggenda di Enea che salvò il vecchio padre portandolo sulle sue spalle fuori da Troia in fiamme. Non lo abbandonò al suo destino.
Di converso esiste nella storia il racconto degli Spartani che non consentivano la sopravvivenza ai figli malaticci. Si racconta che praticassero l’eutanasia a scopo eugenetico gettandoli dal monte Taigeto.
Anche tra i Nuragici esisteva la pratica della eutanasia del vecchio genitore che, drogato col mielamaro fermentato di corbezzolo, veniva precipitato da un’alta rupe. Racconta lo storico Diodoro Siculo che i vecchi genitori andavano alla morte accompagnati dai figli, avendo sul volto uno strano e atroce sorriso (il risus sardonicus).
Nella cultura classica greca e romana i poveri e malati venivano in genere ignorati perché sgraditi agli dei. La “carità” fu un elemento culturale nuovo, introdotto dal cristianesimo del terzo e quarto secolo d.C. La misericordia e la compassione irruppero nella Storia come valori per opera di San Basilio, vescovo a Bisanzio. Egli applicò come regola del suo Ordine i valori rivoluzionari insiti nella parabola evangelica che dice: «Scendeva un uomo da Gerusalemme a Gerico. Si imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e lo lasciarono messo morto sul ciglio della strada. Passò un Levita che lo vide ma lo ignorò. Passò un sacerdote del tempio che lo ignorò anch’esso. Passò poi un samaritano che si fermò, gli medicò le ferite con olio e vino; quindi lo mise sulla sua giumenta e lo portò in un albergo. Dette due denari all’oste perché lo assistesse e disse: abbi cura di lui e al mio ritorno ti pagherò.»

Questa parabola fu il seme che dette origine alla invenzione degli Ospedali del mondo occidentale cristianizzato.
In Italia, nel quinto e sesto secolo d.C., San Benedetto da Norcia fece suoi gli stessi principi ed insegnò che i «pauper Christi (i poveri di Cristo) rappresentano, nella sofferenza delle loro carni, il Cristo in terra». L’assistenza ai malati abbandonati fu la regola del suo Ordine. Le decine di migliaia di hospitalia dei monaci benedettini diffusi in Europa evolvettero e, dopo mille anni, divennero Ospedali. Qui i ricchi del Medioevo versavano le loro quote per curare gli incurabili e meritarsi il Paradiso.
Sia nelle guerre romane che in quelle del Medio Evo i feriti morivano sul campo e venivano sommariamente assistiti dal compagno d’arme più vicino. Non ottenevano cure mediche.
Il primo generale a non abbandonare i morenti sul campo fu Napoleone Bonaparte; aveva costituito la Sanità Militare e fondato ospedali per gli invalidi. L’amore che avevano per lui i suoi soldati non fu casuale. Il Duca di Wellingthon che lo battè a Waterloo, al contrario di lui non era amato e considerava i suoi soldati “carne da cannone”, e non metteva presidi sanitari in campo.
Come si vede la storia della solidarietà umana è lunga e combattuta.
Nel 1856 Florence Nightingale costituì il primo corpo di infermiere della storia per l’assistenza dei feriti in guerra e curò i morenti della Guerra di Crimea combattendo contro una epidemia di tifo e di colera. Dei 17.000 soldati dell’esercito Sardo combattenti in quella guerra ne rientrarono solo 14.000. Tremila morirono d’epidemia.
Nel 1859 lo svizzero Henry Dunant, dopo aver assistito all’atroce abbandono dei feriti morenti nella battaglia di Magenta, fondò la Croce Rossa Internazionale che da allora dette assistenza ai feriti gravi e ai malati di tutti i fronti e si pose la regola di non scegliere mai tra chi curare e chi no.
La Prima e la Seconda guerra Mondiale videro per la prima volta (dopo Napoleone) i medici chirurghi scendere in campo assieme ai soldati per soccorrerli immediatamente.
A Pearl Harbor il proditorio attacco giapponese alla flotta americana fu una tragedia immane. Medici ed infermieri erano in numero esiguo. In quel caso l’ingresso dei feriti all’Ospedale fu controllato da alcune infermiere che fungevano da filtro. Esse contrassegnavano con un colore i feriti che avevano prospettiva d’essere salvati e quelli che non si potevano salvare. Era il “triage”. I feriti gravi non salvabili non superavano la porta d’ingresso dell’Ospedale.
Il 1950 fu l’anno in cui la Sanità passò ad un’altra epoca. Da allora iniziò la metamorfosi dell’etica sanitaria in una direzione più evoluta.
Gli ospedali di tutto il mondo, dopo lo sviluppo tecnologico della chirurgia di guerra, iniziarono a dotare le sale operatorie dei nuovi respiratori automatici collegabili ai pazienti in coma. Ciò dimostrò la possibilità di far sopravvivere i traumatizzati gravi del cranio e del torace. Inoltre la guerra aveva dimostrato l’importanza e la fattibilità delle emotrasfusioni, della chirurgia toracica e promosso l’ingresso degli antibiotici nella pratica medica.
A modificare in meglio le implicazioni etiche nei trattamenti curativi dei pazienti intervennero gli effetti giurisprudenziali delle sentenze, contro i criminali nazisti, del Processo di Norimberga del 1946. Le sentenze si espressero duramente contro chiunque avesse, nella pratica medica, manifestato disprezzo per la salute e la vita dei più deboli, applicando comportamenti selettivi e soppressivi ispirati ai principi del razzismo e della eugenetica.
In Italia i principi della Sentenza di Norimberga vennero recepiti nell’articolo 32 della Costituzione del 1948 («la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…») E’ l’articolo della solidarietà civile.

Nel 1978 la Legge di Riforma Sanitaria n. 833 fu talmente estensiva sul diritto alle cure che venne definita la “Legge della assistenza dalla culla alla tomba”.
Dagli anni ’90 del secolo scorso si succedettero diverse crisi economiche e il Sistema Sanitario Nazionale venne progressivamente trasformato in una struttura a gestione simil-privatistica in cui al centro della sua mission non c’era più soltanto il diritto alla salute ma anche l’effetto limitante del bilancio economico. Così il paziente divenne cliente e le Unità Sanitarie Locali (USL) divennero Aziende Sanitarie Locali (ASL). (legge sull’aziendalizzazione della Sanità n. 502/92).
A capo dell’Azienda Sanitaria, come in ogni fabbrica, venne messo un manager il quale, con potere monocratico , concentra le sue attenzioni sugli incassi e sulle spese. A questo potere si aggiunge una facoltà del tutto nuova: il premio per la buona gestione del bilancio che il Manager può deliberare a proprio favore. Il premio deve essere giustificato dal raggiungimento degli obiettivi di “efficienza ed efficacia” che ha dato a se stesso. Naturalmente il beneficio sanitario deve avvenire con risparmio sulle spese. Tale risparmio si tradusse in una progressiva riduzione delle spese in Sanità tramite la riduzione di investimenti su attrezzature, immobili, posti letto, e personale. Col blocco del turn over il personale andato in pensione non venne equamente sostituito con nuove assunzioni e questo portò alla drastica riduzione dei dipendenti. Oggi, per effetto di queste dinamiche contabili, assistiamo nel Sulcis Iglesiente alla chiusura di ospedali, di reparti specialistici e alla necessaria emigrazione di pazienti nostrani da Carbonia e Iglesias verso gli Ospedali pubblici e privati di Cagliari o Milano.

Questo breve escursus storico serve a capire che l’etica sanitaria è relativa ai tempi che si vivono.
– C’è quella religiosa, basata sulla misericordia e compassione,
– C’è quella politica, basata sulla solidarietà,
– C’è quella contabile, basata sul bilancio.
La nuova etica è quella del raggiungimento degli obiettivi di “efficienza ed efficacia”. Colui che stabilisce che è stato raggiunto il successo dell’azione amministrativa è il manager. Ma questo non significa che gli obiettivi sanitari del manager siano simili agli obiettivi che ha il cittadino nei riguardi della propria salute. Il cittadino, che ha possibilità finanziarie, raggiunge i propri obiettivi portando se stesso o i suoi cari negli ospedali della città capoluogo o in quelli della Capitale politica o economica. Le amministrazioni degli Ospedali non rispondono ai cittadini ma agli assessori regionali. Quest’ultimi rispondono al ministro della Sanità e a quello delle Finanze.
In questo contesto oggi sta emergendo il problema etico su chi salvare e chi no nel caso ci sia penuria di farmaci in condizioni di emergenza Covid. Tuttavia, coloro che lo pensano, per applicare questo nuovo principio avranno necessità di modificare il codice etico dei medici, e anche la giurisprudenza. Mi pare che dovranno modificare un po’ l’articolo 32 della Costituzione, la sentenza di Norimberga, la cultura della Solidarietà, quella della compassione e misericordia e, naturalmente, avranno bisogno di modificare anche la parabola del buona samaritano. A queste condizioni mi sembra molto difficile che si possa creare un nuovo codice etico.
Per capire quale possa essere la soluzione userò come metafora un fatto realmente avvenuto molti anni fa nell’ospedale di Carbonia. Un chirurgo ostetrico doveva assistere due donne, ambedue anemizzate da un’emorragia, ma aveva a disposizione una sola unità di sangue. Risolse istantaneamente il problema trasfondendo la sacca ad una delle due pazienti. Poi procedette ad estrarre dal proprio braccio una intera sacca di sangue e a trasfonderla all’altra paziente.
E’ evidente che questo esempio non è da considerare imitabile. Però ha il significato di indicazione sulla strada da seguire. La strada è sempre la stessa indicata dalla parabola da cui sono nati tutti gli ospedali. Il Buon Samaritano rappresenta gli Enti finanziatori che nel tempo hanno pagato le cure.
Di volta in volta sono le associazioni caritative religiose, oppure le società filantropiche laiche. Oggi lo è la più grande Società di Mutuo soccorso della nostra storia lo Stato.
Il problema della penuria di farmaci non va risolto modificando il codice etico dei medici ma va neutralizzato con investimenti preventivi per l’acquisto di scorte, l’impianto di fabbriche farmaceutiche dedicate e con il finanziamento della ricerca scientifica. Così pure vale per gli Ospedali da costruire, i reparti da attrezzare e il personale da assumere. E’ un argomento da Next Generation EU. Andando in questa direzione resteremo sul percorso già tracciato dalla Costituzione italiana, e dalla legge 833/78.

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Sono passati 11 mesi di epidemia; sta iniziando l’anno 2021, eppure la lezione non è stata appresa. Il contagio si è esteso più che mai e la paura di ammalarsi è scemata con l’inizio simbolico delle vaccinazioni. Calma! Noi il vaccino lo vedremo fra sei o sette mesi. Nei mesi in cui saremo scoperti dalla protezione del vaccino il virus farà ancora molti danni. Inoltre, sta per arrivare la “variante inglese” che, come si sta vedendo a Londra, colpisce in fretta e si espande velocemente. Pertanto, guardiamoci attorno: la nostra Sanità del Sulcis Iglesiente è in ginocchio. I reparti più importanti dell’Ospedale di Carbonia non possono più accettare ricoveri a causa di un ampio focolaio di Covid che imperversa fra il personale medico ed infermieristico. La malattia si è estesa a macchia d’olio nelle loro famiglie. Il personale delle strutture territoriali anti-Covid è scarso. Le risposte dei tamponi molecolari tardano ad arrivare. Le famiglie colpite non hanno sempre la possibilità di essere assistite per le più elementari cure della persona. Il problema ci accompagnerà per molti mesi ancora e dobbiamo cercare di trascorrerli nel modo più prudente possibile. Non ci rimane che resistere.
Disfatte collettive sono già avvenute in passato. La lezione della storia ci dice che è più prudente avere un atteggiamento guardingo e non aspettare che arrivi un “Superman” da fumetto a salvarci. Dobbiamo salvarci con le nostre forze, altrimenti si finisce male.
La Prima Guerra Mondiale ci offre una tremenda dimostrazione di cosa sia un disastro nazionale. Prendiamo un esempio dal racconto nel libro di Gabriele Loi “Antiochensi nella leggenda del Piave”.
Il 24 ottobre 1917 iniziò la disfatta di Caporetto. L’attacco austro-tedesco era iniziato con furiosi bombardamenti sulle vette delle montagne dove erano appostate le artiglierie italiane e situati i comandi delle operazioni. Mentre nell’alto dei monti si scatenava l’inferno, a fondo valle avvenivano, in silenzio, cose strane. Sulla destra del fiume Isonzo, cadevano proiettili che non facevano rumore ma liberavano un gas terribile. Era il gas iprite (mustard gas). L’iprite produceva dei vapori di cloro che, entrando nei polmoni e combinandosi col vapore acqueo dell’alito, produceva acido cloridrico, il quale corrodeva i bronchi e gli alveoli. Quei poveri soldati che finivano nella nube di gas, perdevano conoscenza per mancanza d’ossigeno. Subito dopo arrivavano, in silenzio, i tedeschi che, armati di mazze ferrate, fracassavano il cranio ai poveretti.
Altri soldati, sorpresi dalle squadre del tenente Rommel, venivano fatti prigionieri a migliaia. Le truppe italiane, senza ordini e senza un piano per reagire a quello strano attacco, caddero nel panico. Erano rimaste sole e prive della copertura dell’artiglieria da montagna che non intervenne. I fuggiaschi tentarono di raggiungere i ponti del fiume Isonzo ma ebbero un’atroce sorpresa. Il Comando italiano li aveva fatti minare e saltare in aria per impedire ai soldati il rientro al di qua delle linee. Molti giovani soldati in fuga vennero fermati dalla polizia militare e fucilati seduta stante con l’accusa di diserzione. La Brigata Sassari, invece, protesse l’ultimo ponte e facilitò il rientro delle truppe in rotta, poi per ultima, rientrò al di qua dell’Isonzo.

Nel giro di pochi giorni la disfatta fu totale. Furono fatti prigionieri 265.000 soldati italiani e spediti nei campi di concentramento austriaci ed ungheresi. Il comandante in capo, il generale Luigi Cadorna, aveva fatto cadere le colpe della disfatta su di loro, dichiarandoli disertori. Per effetto di ciò, mentre Francia ed Inghilterra inviarono pacchi postali, contenenti viveri e indumenti, ai loro soldati prigionieri degli austro-tedeschi, gli italiani non ricevettero alcun conforto dall’Italia e molti morirono di stenti. Morirono in silenzio, innocenti e sottomessi.
In questa sintesi della disfatta di Caporetto, vi sono alcuni elementi sui quali riflettere:
1 – La disfatta avvenne più per la mancanza di un piano di difesa che per il valore degli austro-tedeschi,
2 – Molti italiani morirono per mano italiana, a seguito delle accuse di colpa avanzate dal Comandante in capo,
3 – Quella strage immane, autoinflitta, avvenne nel “silenzio” della Nazione spaventata.
Oggi stiamo subendo un’altra disfatta: il disastro sociale, economico e politico da Covid. E’ anche questa una strage “silenziosa”. Nei prossimi giorni supereremo le 80.000 vittime e poi raggiungeremo le 90.000. Oltre ai morti avremo, come nelle guerre, gli “invalidi”. E saranno numerosi.
Il virus attacca le nostre cellule e penetra dentro di esse attraverso la proteina “Spike”, che si attacca ai recettori di parete cellulare noti col nome “Ace-2”. La “Spike” è la chiave; l’Ace-2 è la toppa della serratura della porta d’entrata delle cellule. Il virus entra in silenzio, come se fosse un amico o un familiare ben noto. Poi comincia a riprodursi nel “citoplasma cellulare”. A questo punto, intervengono in difesa le cellule chiamate macrofagi. I “macrofagi” non fanno alcun tentativo di salvare le cellule infettate. Al contrario, le uccidono. Ci ricordano la polizia militare italiana che fucilava i militari che cercavano di mettersi in salvo. Poi, i macrofagi iniziano a produrre l’”interleuchina 6”. Si attivano anche i “linfociti”. Essi producono altre “interleuchine” che intossicano le cellule infette, in una disordinata reazione globale di difesa (difesa aspecifica delle citochine) provocando la sofferenza e anche la morte di cellule malate e sane in tutti gli organi e tessuti. Il loro attacco provoca danni infiammatori e degenerativi delle arterie (arterite di Tokaiasu), delle vene (lebiti e flebotrombosi), del rene (nefriti), del fegato (epatiti), del cuore (miocarditi), del cervello (encefaliti), dei nervi (euriti), dei polmoni (polmoniti), della pelle (dermatiti). La morte cellulare massiva provoca necrosi tessutali che avranno conseguenze invalidanti come: scompenso respiratorio, scompenso cardiaco, insufficienza renale, insufficienza epatica, danni cerebrali (disturbi neurologici complessi con amnesia, deficit sensitivi, e anche danni psichici e della personalità). Un danno neurologico tremendo che può manifestarsi è la “sindrome di Guillon-Barrè”. E’ simile alla SLA. Se non viene diagnosticata e curata in tempo, provoca la morte per insufficienza respiratoria. Queste patologie possono dar luogo a  invalidità permanente. Gli invalidi da Covid saranno di un numero oggi imprecisabile.
Nonostante l’arrivo del vaccino, non abbiamo idea di quanto tempo ancora il virus continuerà a circolare e fare vittime. Inoltre, nonostante il clamore dell’inizio delle vaccinazioni, il virus si sta ancora diffondendo a ritmo sostenuto. C’è da temere che la gente ritenga che la battaglia sia finita, perché è giunto il vaccino e si abbandoni al disarmo dell’attenzione e della voglia di lottare.

Nelle disfatte il “silenzio” e la rassegnazione, sono gli elementi dominanti. Anche nel Sulcis Iglesiente il numero degli infettati si è moltiplicato in tutte le città, grandi e piccole. Secondo quanto leggiamo nei quotidiani, vi sono dei problemi nell’ospedale di Iglesias e in quello di Carbonia: molti professionisti della sanità sono stati infettati ed essi, inconsapevoli ed incolpevoli, sono stati messaggeri del virus all’interno delle loro famiglie.
In passato, questo giornale suggerì di mettere le “briglie” al virus, con uno screening di massa tramite tampone molecolare. A questo stimolo rispose solo la Fondazione di Sardegna che donò all’ATS una somma destinata all’acquisto di un “processatore di tamponi”. Dopo una lunga attesa l’ATS decise di accettare il dono e oggi è stata diffusa la notizia, dalla stampa del 29-12-2020, che quel processatore non è mai entrato realmente in funzione per problemi con i reagenti. Di fatto, il momento dello screening (estate) passò ed il virus, dalle discoteche, traboccò sulla popolazione di tutta la Sardegna. A questo punto, si poteva ancora tentare di “imbrigliare” il virus con il “tracciamento”. Però il personale dedicato, tra Carbonia e Iglesias, si contava sulle dita di una mano. La conseguenza è oggi evidente.
Ora esiste un focolaio che sarà durissimo da spegnere. Si sperava che venisse aperto il “Covid Hospital” del Santa Barbara di Iglesias ma ciò non è avvenuto per mancanza di fondi regionali. Tuttavia, sono stati trovati i fondi per l’apertura del “Covid Hospital” al Binaghi. Pare sia in preparazione un altro “Covid Hospital” all’Ospedale Marino di Cagliari.
Il Santissima Trinità, il massimo centro Covid per tutta la Provincia, ha tutti i posti occupati ed è difficile accogliere per tempo anche i malati Covid di Carbonia e Iglesias.
La mancata apertura del Covid Hospital al Santa Barbara ha reso necessario mantenere i sospetti infetti, e gli infetti accertati, negli ospedali generali di Carbonia e Iglesias. Tempo fa la stampa rese noto che era stato deciso di creare una “zona grigia” all’Ospedale di Carbonia, allo scopo di evitare la commistione tra infetti dal virus e malati d’altro genere negli stessi locali. Purtroppo, la “zona grigia” appena organizzata al Sirai venne chiusa dopo pochi giorni. La conseguenza è stata la inevitabile prossimità tra malati Covid e non-Covid.
Il focolaio Covid dell’Ospedale Sirai, con un effetto a cascata, ha provocato l’impossibilità di ricoverare nuovi pazienti nei reparti di Medicina e di Chirurgia. Considerato che le vittime del dilagare del virus si trovano anche tra il personale sanitario dell’Anestesia, della Radiologia e del Pronto Soccorso, ne consegue che di fatto l’ospedale intero non è più disponibile. In più, si legge negli organi di informazione, che la Dialisi di Carbonia, già falcidiata dai pensionamenti e dalle mancate assunzioni per il ricambio, sta per essere fortemente indebolita con la chiusura del turno di dialisi notturna. E’ incredibile. Si sta procedendo a depotenziare ulteriormente un reparto che era classificabile tra i migliori in tutto il territorio nazionale. Altri innocenti stanno per pagare colpe che non hanno.

In sintesi: oggi Il Sulcis Iglesiente non ha più un’assistenza ospedaliera come è previsto che esista.

Il giorno 29 dicembre, abbiamo tutti appreso dalla stampa che finalmente il nuovo commissario della ASSL di Carbonia Iglesias ha ordinato l’acquisto di nuovi apparecchi ultraveloci per processare i tamponi di screening del Coronavirus. Sono esattamente quelli che andavano acquistati con la donazione della Fondazione di Sardegna erogata a maggio 2020, durante la prima ondata.
Ormai è andata così. Immagino che la sorpresa di questa pandemia inaspettata, dovuta ad un virus sconosciuto, abbia giocato un ruolo importante. Tuttavia sorgono molte domande:
– Perché fin dall’inizio della pandemia il Sulcis Iglesiente non venne inserito nella lista delle ASSL destinatarie di un processatore molecolare, mentre si procedeva agli acquisti per tutte le restanti ASSL della Sardegna?
– Perché con i soldi donati venne acquistato un processatore inusabile?
– Perché non venne aperto il “Covid Hospital” al Santa Barbara di Iglesias?
– Perché venne chiusa la “zona grigia” al Sirai e si lasciarono i pazienti Covid positivi in ambienti non idonei e non isolabili dai circuiti indenni da Covid?
Prendiamo atto che questo è avvenuto e che oggi il virus circola più di prima.
Caporetto insegna molte cose. Per esempio, insegna che quei poveri soldati innocenti, che cercavano di salvarsi da un fronte distrutto, si videro accusati dai loro Comandanti d’essere causa della disfatta e puniti a perdere la vita. Morirono perché la loro difesa rimase in silenzio e perché la verità la decide il più forte. Ma poi venne il generale Armando Diaz e le sorti della Guerra si invertirono.
Speriamo che l’acquisto di questi nuovi processatori ultrarapidi, sia il segno dell’inizio della riscossa.
Basta con il silenzio e “Fortza Paris”.

Mario Marroccu

Incombe sull’Italia una pioggia di miliardi di euro. Dalla “Next generation EU” proverranno 209 miliardi di euro. Di questi, 82 sono sussidi, cioè non dovranno essere restituiti. Invece i restanti 117 miliardi di euro dovranno essere restituiti, in tempi molto dilazionati ma…dovranno essere restituiti. Oggi abbiamo già un debito pubblico mostruoso pari al 160% del PIL (Prodotto Interno Lordo) annuale e, col nuovo debito che ci apprestiamo a contrarre, sfonderemo un tetto pericoloso. Crollerà il tetto? Resteremo sotto le macerie? Pochi giorni fa Mario Draghi ha messo tutti sull’avviso. Semplificando il discorso ha detto che il Recovery Plan (cioè il regolamento sul modo di spendere) impone che i Governanti spendano i fondi per investimenti produttivi. Cioè, deve trattarsi di investimenti che servano a produrre ricavi, sotto forma di materiali, servizi e benefici per le prossime generazioni. Con quei ricavi si pagheranno i debiti contratti per ricevere i prestiti del Next Generation EU. E’ vietato sprecare i soldi in progetti meramente consumistici, o colmare vecchie falle di imprese decotte o, peggio ancora, per soddisfare appetiti clientelari. La Commissione europea valuterà i progetti, boccerà quelli che non corrisponderanno ai crismi e, nel caso di evidente incapacità, applicherà le “Condizionalità”. Queste sono temute da molti, perché in caso di fallimento potrà essere necessario l’intervento di una “trojka europea” a correggere i bilanci della Nazione inefficiente. Stesso discorso vale per il “MES” (Meccanismo Europeo di Stabilità). Il MES sanitario prevede 36 miliardi di euro di prestiti agevolati per la ristrutturazione della rete ospedaliera e della sanità territoriale italiana. Nello schema governativo (PNRR) di utilizzo della Next Generation EU è stato previsto di destinare a tutta la sanità italiana la somma di 9 miliardi di euro. Vi è stata l’immediata reazione del ministro della Sanità Roberto Speranza che ha fatto rilevare che, secondo i calcoli dei tecnici dei suoi uffici, sarebbero necessari 25 miliardi di euro solo per la sanità territoriale, senza contare gli ospedali. Questa discrepanza, tra necessità reale e gli irrisori fondi stanziati dal Governo, la dice lunga. Sulla base dei 9 miliardi di euro per tutta la sanità nazionale, la Regione Sardegna ha programmato di destinare una somma che si aggira intorno ai 250 milioni di euro per la sanità nostrana. Se si pensa che per costruire l’Ospedale unico del Sulcis Iglesiente non basterebbero 100 milioni di euro, si capisce quanto sia irrealistica l’aspettativa della nostra Provincia di avere il nuovo “Ospedale unico”. Pertanto, ne nasce che il suggerimento di tenerci stretti gli ospedali che abbiamo e di pretendere la ricostituzione dei reparti specialistici sottratti, è più che mai valido. Il Recovery Plan dispone di realizzare programmi di Digitalizzazione di tutte le attività umane investendo in “Conoscenza”, “Formazione”, e “Ricerca”. Inoltre impegna tutte le Nazioni europee alla Green Economy (Economia verde). Cos’è? Si tratta di una rivoluzione culturale, economica e sociale. Per rivoluzione si intende proprio: “ribaltamento” , “capovolgimento”. Si tratta cioè di un cambiamento epocale, come altri ci sono stati nella storia umana. Antecedentemente alla “Prima Rivoluzione industriale” il mondo era ancora medioevale e le malattie erano, soprattutto, da infezione: lebbra, peste, vaiolo, colera, tifo petecchiale. Allora la gente viveva prevalentemente nelle campagne e nei borghi sotto i castelli. Il potere politico e la borghesia abitavano dentro le cinte murarie. Allora l’energia per la produzione di lavoro era generata dalla fatica muscolare di uomini ed animali. Con la Prima Rivoluzione industriale del 1700, le macchine a vapore richiesero la necessità di aggregare molti operai vicino alla sede delle Industrie. Queste sorgevano nelle periferie delle città manufatturiere. Ne conseguì l’aumento della densità di popolazione. Il forte addensamento di persone nelle filande e nelle industrie metallurgiche fece esplodere le epidemie di vaiolo. Londra, la città più industrializzata d’Europa, ne fu la più colpita. Il medico Edward Jenner, sotto quella spinta letale, sperimentò il vaccino antivaioloso con successo. Gli Illuministi del tempo diffusero la cultura della vaccinazione. Voltaire, lady Wortley Montague, e Mary Shelley ne furono instancabili promotori. Anche allora in Italia vi fu una corrente di antivaccinatori che si opponeva alla scarificazione con pus di pustola di bovini perché, dicevano, “ci si espone al pericolo di essere minotaurizzati”. Era il tempo della Rivoluzione Francese. Nella seconda metà del 1800, la produzione industriale aumentò fortemente con l’uso del carbon fossile e l’invenzione del motore a combustione interna che produceva elettricità. Dall’iniziale produzione industriale di tessuti e ferro, si passò a produrre acciaio ed altri mezzi meccanici. I padroni dell’Industria divennero sempre più ricchi e le fabbriche attirarono in città le masse di contadini disoccupati. Era la disoccupazione del tempo in cui le leggi istituirono le “enclosures” e le “chiudende”, trasformando i terreni agricoli demaniali in terreni privati. I contadini emigrati in città trovarono alloggio nei caseggiati popolari costruiti vicino alle fabbriche, e divennero “operai salariati”. L‘inurbamento, le masse operaie ed il forte arricchimento dei padroni delle industrie generarono fenomeni sociali, politici e sanitari nuovi. Intellettuali come Friedrich Engels, John Stuart Mill e Karl Marx posero le basi di un nuovo ordine sociale e politico, e la distinzione della società in “classi”: classe operaia, borghese e capitalista. Nel 1800, tra le masse operaie accalcate in ambienti igienicamente miserabili, la TBC epidemica esplose facendo molte vittime. Anche il vaiolo ed il colera continuarono ad imperversare; il fattore facilitante fu la scarsità di igiene (assembramenti eccessivi, rete idrica e fognaria insufficienti) conseguente alla rivoluzione urbanistica dovuta al sorgere dei quartieri operai. Con Pasteur e Koch, a fine 1800, si posero le basi della Microbiologia e dell’Igiene pubblica. La guerra ai microbi e l’Anestesiologia consentirono di sviluppare la Chirurgia addominale e ginecologica. Il passaggio dal “lavoro muscolare”, come fonte di energia, alle “macchine a vapore” aveva cambiato l’ordine sociale. Le migliorate condizioni economiche delle Nazioni furono il terreno da cui germogliarono le Università e i Centri di ricerca. Nel 1900 vennero messi a punto tutti i vaccini oggi conosciuti e cessarono le epidemie mortifere di vaiolo, colera, TBC e poliomielite, nel mondo occidentale. La ricerca sviluppò gli “antibiotici”, e l’“insulina”, e si disegnò la rete ospedaliera moderna. Nacquero dapprima le “Casse Mutue”, poi il Sistema Sanitario Nazionale. Con la “Terza Rivoluzione industriale”, avvenuta nel 1960, si assistette all’applicazione dell’elettronica alla produttività industriale. La fonte di energia era, ed è, l’elettricità prodotta con il carbon fossile, il petrolio, il gas naturale e l’energia nucleare. Migliorarono ulteriormente le condizioni economiche delle Nazioni, la Ricerca e la Sanità Pubblica. Ne derivò un notevole miglioramento della qualità e l’allungamento della prospettiva di vita. Avvenne un fatto nuovo nella storia dell’Umanità: il cambiamento demografico ottenuto attraverso il controllo farmacologico delle nascite. Ne derivarono anche l’inquinamento ambientale, la distruzione delle foreste, l’estinzione di specie animali, la desertificazione, il buco dell’ozono, il riscaldamento atmosferico, la  progressiva fusione dei ghiacciai, il sollevamento del livello dei mari ne il sovvertimento delle stagioni. Iniziarono a prevalere le malattie tumorali e quelle degenerative legate all’inquinamento, all’alimentazione, e all’invecchiamento della popolazione. Agli ospedali si aggiunsero le RSA per accogliere gli anziani non più assistibili dalle famiglie, ormai anch’esse invecchiate e senza l’aiuto di una nuova generazione per la scarsità di figli. Comparve un imponente fenomeno migratorio dalle regioni povere del pianeta verso il mondo occidentale (Europa, Nord America, Australia). Contemporaneamente al calo demografico e all’invecchiamento dell’Occidente comparve il forte incremento di natalità in Asia, Africa e Sud America. Si passò da una popolazione mondiale di tre miliardi del 1960 ai sette miliardi e mezzo del 2020. Ne conseguì un problema alimentare che venne affrontato con l’iperproduzione di cereali e riso di nuovo tipo: gli OGM (organismi geneticamente modificati). Per produrli fu necessario conquistare nuovi terreni agricoli attraverso la deforestazione e l’impiego di glifosato. Avvennero l’ulteriore impoverimento della “biodiversità” ed il cambiamento degli habitat naturali. Le specie animali sopravvissute furono costrette in spazi più limitati e ne derivò un conflitto, per la sopravvivenza, contro l’Uomo. Finché gli animali selvatici, con i loro virus e batteri, vissero separati fisicamente dall’Uomo, vi furono rare incursioni virali e batteriche al di fuori della foresta. Quando però la pressione dell’Uomo sul ristretto mondo selvatico si fece eccessivo, avvenne il travaso (spillover) di malattie virali e batteriche da quel mondo al mondo degli umani. Oggi, l’epidemia di Coronavirus, dopo quelle precedenti di SARS del 2002, quella di MERS del 2011 e di Ebola del 2014, è la naturale conseguenza del ribaltamento delle proporzioni tra umani ed animali selvatici. Il tutto, nacque dall’esigenza di sottrarre terreni coltivabili alla Natura selvatica e trasformarli in campi per colture OGM. Oggi il Mondo occidentale è al “redde rationem”. C’è arrivato dopo catastrofi naturali accelerate dal lavoro umano della Terza Rivoluzione industriale. Anno 1976: avvenne il disastro di Seveso. Un incidente nell’azienda ICMESA di Meda causò la fuoriuscita di una nube tossica di diossina, un potente cancerogeno. Anno 1986: avvenne la catastrofe nucleare di Chernobyl in Ucraina. Alle vittime immediate si aggiunsero poi le vittime degli anni successivi in tutta Europa. Vi fu un forte aumento delle leucemie nei bambini e dei tumori negli adulti. In particolare: cancro della tiroide, della mammella e dei polmoni. Le polveri radioattive, diffuse dai venti e dalle correnti d’alta quota, ricaddero ovunque sulle colture e, attraverso gli alimenti, giunsero all’Uomo. Gli animali erbivori, pascolando su prati inquinati, concentrarono i radioisotopi nelle loro carni e nel latte. Per tale ragione nel 1987 l’Italia votò a favore del referendum abrogativo delle centrali nucleari. Negli anni precedenti, corrispondenti alla crisi delle miniere del Sulcis Iglesiente, i Governi avevano approvato Piani per delocalizzare le industrie metallurgiche del Nord e concentrarle in Sardegna. L’area più impegnata dalla neo-industrializzazione fu Portovesme. Ne conseguì un inquinamento ambientale tale da sovvertire per sempre la vocazione agricola della zona. Le colture di tutto il Sulcis Iglesiente andarono in crisi, sia per sottrazione di personale all’agricoltura, all’allevamento ed alla pesca a favore dell’industria, sia per la carenza d’acqua, destinata in massima parte agli impianti di raffreddamento. Il danno ambientale fu tale che nel novembre 1990 fu votata dal Parlamento la legge per il recupero e disinquinamento della cosiddetta “Area ad alto rischio di crisi ambientale del Sulcis Iglesiente”. Fu un “Recovery Plan” dell’epoca. Il Governo Italiano stanziò 200 miliardi di lire per il disinquinamento e la conversione produttiva in “Economia verde”. Quel Piano di 30 anni fa è ormai dimenticato ma, in questo momento di crisi economica e sociale da disastro sanitario, oggi ritorna alla mente. E’ un ottimo esempio per capire sia il nostro presente pandemico che il prossimo futuro di ricostruzione economica con i fondi della “Next Generation EU” e del “MES”. Quel genere di industrializzazione venne eliminato in quasi tutta Italia. Oggi ne abbiamo pochi residui come le acciaerie ex ILVA di Taranto. Il problema ambientale venne provocato, soprattutto, dalle polveri sottili emesse in atmosfera dai camini degli alti forni in cui si bruciavano derivati del petrolio e carbon fossile, per produrre energia elettrica. In quegli anni, allo scopo di rivitalizzare i mari trasformati in deserti dall’inquinamento di scarichi tossici, il Governo finanziò le “Aree marine protette”. Nell’anno 2004, l’Amministrazione comunale di Sant’Antioco deliberò l’istituzione dell’Area marina protetta dell’Arcipelago del Sulcis. Il progetto non andò in porto, a causa del mancato consenso di gruppi di pescatori. Nell’anno 2011 avvenne il disastro nucleare di Fukushima in Giappone. Tutt’oggi il problema non è risolto. Dopo quell’evento la Germania votò a favore del referendum per l’eliminazione delle Centrali nucleari e la per conversione in “Economia verde”. Nel 2019 la Commissione europea ha votato il programma ambientalista denominato “European Green New Deal“ (nuovo patto europeo sull’ambiente). Il programma accoglie tutti i principi del “Paris Agreement” (accordi di Parigi) del 2015. Questo è un accordo fra gli Stati Membri della “Convenzione quadro delle Nazioni Unite“ sui cambiamenti climatici. Riguarda la riduzione di emissioni di gas serra e i relativi finanziamenti, a partire dall’anno 2020. Oggi il Coronavirus ha creato una tale prospettiva di disastro economico, che la Commissione europea si è affrettata ad allestire il più grande Piano economico della storia dell’Europa. E’ il “Next Generation EU”. Ad esso si associano il “MES” ed il programma di acquisto di debito pubblico delle Nazioni ideato dalla presidente della BCE, Christine Lagarde. Il “Next Generation  EU” contiene, al suo interno, il regolamento per la formulazione di progetti che consentirà l’accesso ai sussidi e ai prestiti. All’Italia spettano 209 miliardi di euro. E’ una somma enormemente più grande del “Piano Marshall” americano per gli aiuti all’Europa alla fine della II Guerra Mondiale. La presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha ribadito che verranno finanziati, soprattutto:
  • La Digitalizzazione per l’Industria 4.0,
  • La “Green economy”. Le tre Donne dell’Europa, Angela Merkel, Ursula Von der Leyen e Christine Lagarde hanno sostenuto insieme la necessità che l’Europa realizzi il progetto del: “European Green New Deal”. In esso trovano piena legittimazione i progetti del “nuovo patto di economia verde” così sintetizzabili: 1 – Ripristino dell’ambiente inquinato, 2 – Protezione dell’ambiente dall’attacco dell’Uomo, 3 – Riduzione del gas serra pari a: 55% in meno di emissioni industriali di SO2, NO, e polveri sottili da combustione di derivati del carbone e del petrolio entro il 2030, 4 – Liberarsi dai metodi produttivi della terza rivoluzione industriale entro il 2050 (carbon free) 5 – Cessazione dei motori a combustione, 6 – Promozione dei motori elettrici o a idrogeno, 7 – Produzione elettrica con le fonti rinnovabili (sole, vento, moto ondoso, aree, etc.), 8 – Economia circolare (riutilizzo materiali),
9 – Riciclo rifiuti ed eliminazione progressiva della plastica, 10 – Controllo della dispersione termica, 11 – Centrali elettriche a idrogeno, 12 – Riduzione del riscaldamento dell’atmosfera e dei mari, 13 – Protezione della biodiversità, 14 – Incremento dei trasporti in mare e canali d’acqua, 15 – Aree marine protette; aree terrestri protette, 16 – Etc. Una tale rivoluzione, digitale e green, avrà estremo bisogno di un apparato burocratico efficiente. L’attuale inefficienza burocratica della Pubblica amministrazione è dovuta a scarsità di Personale. Nei Paesi del Nord Europa esiste un rapporto medio di dipendenti pubblici per 1.000 abitanti pari a 150/1.000. In Italia siamo gravemente deficitari: il rapporto è pari a 50/1.000. La “Nuova Generazione” sarà totalmente assorbita da questo nuovo modo di produrre ricchezza e avrà bisogno di un grande apparato burocratico. Una città come Carbonia ha oggi soltanto 1.500 dipendenti della Pubblica amministrazione. Ne dovrebbe avere almeno 4.500. Similmente dicasi di Iglesias. Con questi nuovi rapporti numerici avremo: 1 – Migliore efficienza degli uffici comunali, 2 – Migliore efficienza dei tribunali, 3 – Migliore efficienza degli ospedali, 4 – Migliore efficienza delle scuole, dei Centri di Ricerca e di Formazione. Ci auguriamo che il Piano si realizzi. Buon anno 2021. Mario Marroccu

Come ha detto alcuni giorni fa Papa Francesco «da tutte le crisi si esce cambiati… nel bene e nel male… e nessuno può riuscirci da solo…» Quando a Maggio si intravvide la fine del periodo peggiore della Prima Pandemia, questo giornale scrisse che «si vede il fondo del tunnel…ma alla fine non c’è la luce…C’è un baratro». Sembrava l’apoteosi del pessimismo. In realtà fu facile prevedere che sarebbe arrivata la Seconda Pandemia e la crisi politica ed economica. La previsione si basava sulla conoscenza della storia delle Epidemie nel Medio Evo. Sembra incredibile, ma dopo la grande moria della Peste Nera del 1347 avvennero importanti rivoluzioni sociali ed economiche che determinarono una svolta positiva nella civiltà in Europa e che determinarono l’epoca d’oro del Rinascimento del 1500. La carenza di mano d’opera causata dall’alta mortalità accelerò la “rivoluzione dell’aratro a versoio” e l’introduzione delle donne nel mondo della produzione agricola, pastorale, e manufatturiera. L’aratro a versoio in ferro e l’invenzione del collare dei cavalli facilitarono la produzione cerealicola. La donne sostituirono i maschi, scomparsi per peste, nel lavoro dei campi e nell’artigianato. Ne derivò la necessità di inventare macchine per produrre energia di supporto agli scarsi lavoratori. Ne conseguì una sovraproduzione di prodotti agricoli e artigianali. L’eccesso che non serviva alle famiglie veniva tesaurizzato e messo in vendita. Per poter commerciare fu necessario abbandonare definitivamente il baratto e passare più diffusamente alla moneta. Per trasferire i pagamenti a distanza fu necessario inventare le “lettere di credito”, e queste dovevano essere emesse dalle Banche. Con le Banche a interporsi nella dinamica dello scambio commerciale prese avvio l’”economia di mercato” e chi più produceva, e vendeva, diventava ricco. I neo-ricchi furono benedetti dalle nuove religioni protestanti del centro Europa perché arricchire era segno delle buone pratiche delle virtù del cristiano basso medioevale mittel europeo. Oggi, a distanza di 7 secoli vivremo fenomeni sociali e economici simili. Già ne vediamo i segni nella esplosione del quattro punto zero (4.0). E’ la nuova industria digitale, ma anche dell’economia digitale, della comunicazione digitale, del commercio e della Sanità digitale e della Giustizia digitale. Cos’è il 4.0 ? Questo numero è stato associato alla parola “Industria”. Appunto “Industria 4.0”, ovverosia “Quarta Rivoluzione Industriale”. Si tratta della rivoluzione tecnica e organizzativa, che ha ammodernato le Aziende, integrando Investimenti sul “Digitale”, Scuole di “Formazione”, Nuovi “Sistemi Energetici” e “Enti di Ricerca” allo scopo di aumentare la Conoscenza, la Produttività, e migliorare le Condizioni di Lavoro. L’espressione “Industria 4.0” venne utilizzata per la prima volta da 3 scienziati tedeschi alla Fiera di Hannover nel 2011, e poi trasformata in progetto nel 2013. In Italia tale espressione venne usata da presidente del Consiglio Matteo Renzi tra il 2014 e il 2016. Storicamente la prima Rivoluzione Industriale 1.0 avvenne con l’invenzione delle macchina a vapore nelle filande inglesi e tedesche. L’Industria 2.0 fu quella che utilizzò l’energia del carbone. L’Industria 3.0 fu quella che impiegò come fonte di energia l’elettricità. I tre Scienziati tedeschi nel 2011 battezzarono col nome di “Industria 4.0” il miglioramento produttivo dell’”Era Digitale”. Ciò che è stato rivoluzionato è il “Lavoro”, con l’intento di produrre beni scambiabili con monete o altri benefici. Tra gli altri benefici è compreso il “miglioramento della qualità della vita”. Pertanto, l’effetto dell’Era Digitale non è stato solo sulla produttività dell’”Industria 4.0”, ma si è esteso ad altri campi come: – L’Economia Digitale, – Il Commercio Digitale, – La Comunicazione e la Conoscenza, – La Giustizia, – La Sanità, – La Burocrazia – I Trasporti. Non è cambiata solo la Produzione, ma è cambiata l’Umanità in tutte le sue manifestazioni come: – La circolazione di moneta digitale, – La scuola a distanza, – Il processo digitale, – Il lavoro in 3D, – Il telelavoro, – I trasporti di merci e uomini, sia individuali che collettivi, su ruota, nave o aereo. Ciò ha comportato un forte incremento degli spostamenti dei prodotti del lavoro e delle persone. I contatti umani sono aumentati in modo esponenziale sia in modo virtuale che fisico. Tuttavia, la Pandemia ha dimostrato i punti di debolezza del sistema di convivenza dell’Umanità, e il mondo oggi si prepara ad una nuova forma di scambio, di produzione e di trasmissione della Conoscenza. Un sistema che dovrà essere rivoluzionato è quello della Sanità Pubblica. Il virus ne ha dimostrato l’inadeguatezza. E’ fallita la teoria dell’Organizzazione sanitaria basata sul “Hub and Spoke” (centro e raggi). Questo metodo ha portato al depotenziamento degli Ospedali Territoriali (vedi gli Ospedali di Iglesias e Carbonia), e al concentramento dei Servizi sanitari nelle città capoluogo (vedi Cagliari o altri capoluoghi di ragione). Il territorio, sguarnito, si è trovato senza protezione sia dal virus SARS-COV 2, sia da tutte le altre patologie. Oggi, a causa del terrore della Covid, gli Ospedali sono paralizzati (tranne rari casi), e i tumori, le insufficienze respiratorie, le malattie addominali, le cardiovascolari, quelle neurologiche e quelle degenerative sia dell’anziano che del giovane e del bambino trovano una assistenza inadeguata alla richiesta. La Sanità centralizzata è un errore. Al contrario della centralizzazione il Sistema Sanitario deve essere una “rete”, e ogni Ospedale capo-maglia deve fornire tutta l’assistenza di base necessaria. Per Sanità di Base si intende ogni branca specialistica della Sanità tranne 3 settori che invece vanno centralizzati: la Cardiochirurgia, la Neurochirurgia, i Trapianti d’Organo. Invece tutto ciò che riguarda la Chirurgia Addominale, la Toracica, la Vascolare, la Traumatologia, l’Ostetrica e Ginecologia, la Neurologia, la Pediatria, l’Oncologia e Radioterapia, la Psichiatria, devono essere distribuite nella rete ospedaliera del territorio. Sarà difficile e costoso, ma si dovranno recuperare tutti i Servizi specialistici che sono stati sottratti al territorio e adeguarli ad uno standard avanzato da “Sanità 4.0”. La Commissione Europea ha messo a disposizione fondi ingentissimi per la Sanità. E’ nato un problema, perché il MES sanitario è vincolato alla ristrutturazione della rete sanitaria, mentre alcuni Stati vorrebbero avere mani libere e utilizzare quei fondi anche per altri scopi. Ciò non è ammesso dal protocollo di utilizzo del MES. Forse da ieri esiste un accordo in extremis. Esiste l’altro enorme fondo deliberato dalla Commissione Europea. E’ il “Next Generation EU”, meglio conosciuto con il nome del suo regolamento di utilizzo, il “Recovery Plan”. Questo regolamento impone una disciplina piuttosto rigida sia nel metodo di utilizzo, sia sui progetti che devono essere finalizzati a investimenti produttivi, sia sui tempi, sia sulle garanzia di efficienza ed efficacia. Si pretende un tempo di presentazione molto rapido. L’Italia avrebbe dovuto presentarlo già da alcune settimane. Per ora l’hanno presentato il Portogallo, la Germania, la Francia, la Spagna, l’Olanda e i Paesi del Nord. Si pretende che quei fondi non vengano impiegati per tamponare necessità estemporanee ma vengano destinati, come dice il nome, ad investimenti per la “Futura Generazione”. Si pretende ancora che il 70 per cento dei progetti vengano realizzati entro 3 anni. Gli altri 30 per cento devono essere realizzati entro 7 anni. Nella guida che accompagna il testo vengono indicati alcuni obiettivi imprescindibili, come: – Digitalizzazione – Green Economy. La “Digitalizzazione“ di tutte le forme di produzione di beni, dei Servizi, e della Convivenza Sociale aprirà le porte ad un mondo che oggi possiamo solo immaginare. Nessuno di noi immaginava come sarebbe cambiata la nostra vita, quando negli anni ’80 ’90 venne introdotto il “Web”, che appariva come un metodo di trasmissione di dati, e che invece ebbe implicazioni nel mondo della Conoscenza, della Comunicazione, della Produzione, della Pubblica Amministrazione, dell’Arte e del Tempo Libero, degli affetti e della pianificazione della vita privata, del mondo della Finanza, dei viaggi, della ricerca, della Scuola e della Sanità, e anche della guerra e del terrorismo. Col Next Generation EU e il MES, la qualità della Sanità in rete non sarà più distinguibile tra Sanità della città capoluogo e Sanità di Provincia. Entreremo in una nuova epoca: quella della digitalizzazione in “5G”, cioè quella di quinta generazione. In cosa si differenzia dal “4G”?. Vi è un elemento che la rende impressionante per l’intelligenza umana. Si tratta del “tempo” in cui si trasmetterà l’informazione, Il “tempo di latenza” sarà di 1-4 millesimi di secondo. Questo è anche il tempo con cui i neuroni del cervello umano trasmettono i loro impulsi. Attraverso i dendriti e neuriti l’impulso passa agli altri neuroni della corteccia cerebrale e al midollo spinale, sia per costruire la percezione delle sensazioni provenienti dal mondo esterno (per esempio la costruzione della immagine di un oggetto), sia per trasmettere un pensiero, o comandare i muscoli perché la mano e le dita si muovano per lavorare, o scrivere, o gesticolare, o accarezzare. I nuovi apparecchi digitali in “5G” potranno comunicare contemporaneamente con 1 milione di computers, o altri strumenti digitali, nell’area di 1 chilometro quadrato. Col termine “comunicare” si intende: la capacità di trasmettere informazioni, di riceverne, e di integrarle. Ciò è qualcosa di simile al “pensare” della mente umana. Le informazioni che si propagano in modo massivo e ultrarapido possono essere utilizzate per fabbricare immagini e volumi virtuali a distanza. Si pensi agli “ologrammi”. Nella pratica sanitaria si può immaginare che il Medico si presenti a casa del paziente, nella sua camera da letto, in forma di ologramma, materializzandosi davanti a lui, e proceda ad interrogarlo, a prendere atto della clinica, essendo virtualmente presente. Da qui, disporre esami, elettrocardiogrammi o altre procedure strumentali a distanza. Potrà anche convocare altri specialisti per un consulto virtuale in presenza. Già oggi negli Ospedali si eseguono interventi in laparoscopia o in chirurgia robotica. Con l’avvento della Sanità in “5G” i metodi usati oggi verranno declassati a vecchi “videogiochi” ed abbandonati. Anche gli esami radiologici e le risonanze magnetiche evolveranno oltre la semplice ricostruzione spaziale degli organi: si giungerà sino all’esame istologico dei tessuti in Anatomia Patologica. Similmente una goccia di sangue sarà sufficiente per uno screening sia genetico che metabolico che microbiologico. Il “5G” attingerà ad una banca dati mondiale che consentirà l’accesso a schemi di terapia personalizzati e geneticamente adeguati al paziente. Questo non significa che i Medici non serviranno più. La pratica professionale utile per ascoltare un cuore, estrarre un corpo  estraneo, far nascere un bambino, ascoltare uno psicotico, confortare un incurabile, sarà sempre necessaria. Ciò che cambierà sarà la formazione, il nuovo bagaglio di conoscenza e l’attitudine a governare la nuova tecnologia. Similmente gli Ospedali e gli studi specialistici avranno una nuova evoluzione strutturale adeguata al nuovo modo di comunicare. L’assistenza agli Anziani non autosufficienti forse non sarà più nelle RSA ma a domicilio. Si svilupperanno vari tipi di robot per la cura della persona così come oggi avviene nei ristoranti coreani dove non c’è più il personale di sala ma piccoli robot, alti 1 metro, che assistono e servono la clientela. Tutto questo avverrà relativamente presto e noi non siamo preparati. a – Non siamo preparati a presentare i progetti per il “Recovery Plan”. b – Non sappiamo ancora cosa vogliamo. c – Nel nostro territorio (Sulcis Iglesiente) non esiste ancora un dibattito né pubblico né privato su questi temi. Accadrà che altri, estranei a questo territorio (come da troppo tempo sta avvenendo), prenderanno l’iniziativa anche per noi. In tal caso dobbiamo aspettarci un trattamento da “periferia”. Attualmente esistono già iniziative per sollecitare la politica a dibattere questi temi. Stanno avvenendo nel Sassarese, nel Nuorese e nel Cagliaritano. Bisogna prendere coscienza che nel nostro territorio non siamo preparati a questo futuro che sta per accadere. Mario Marroccu

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Sessant’anni fa si usava una metafora bellissima per spiegare gli equilibri mondiali. Era questa: «Se una farfalla batte le ali a Hong Kong, a Londra scoppierà un uragano». A gennaio di quest’anno la “farfalla” ha battuto le “ali” a Vuhan in Cina e, dopo aver scombussolato il mondo, il suo effetto è arrivato negli Stati Uniti dove si è abbattuto un “uragano” elettorale che ha fatto perdere il prestigio all’Uomo più potente del Mondo: il presidente Donald Trump. Durante questa prima settimana di novembre, hanno votato il 67 per cento degli americani aventi diritto, fatto mai avvenuto. In passato, non era raro che votassero solo il 25-30 per cento degli elettori. Questa volta un’eccezionale marea di democratici e di repubblicani hanno dato un brusco risveglio alla Democrazia.
La metafora della “farfalla” funzionerà anche per l’Europa? Vedremo.
Dobbiamo aspettarci che, dopo aver attraversato il Continente, una brezza arriverà anche nel Sulcis Iglesiente.

L’esplosione americana è stata avviata dalla piccola “miccia” del Coronavirus, ma la deflagrazione è stata alimentata dai pericoli che correvano l’Economia degli Stati Uniti e la Sicurezza; questo lo sostengono i politologi.
La nostra situazione, in Europa, non è diversa. Da noi, in Italia, la Pandemia è stata il rivelatore chimico che ha mostrato la “fragilità” del nostro Sistema Economico, e l’insicurezza del futuro di:
– Giovani,
– Anziani,
– Lavoro.
Purtroppo, è vero che oggi, nel 2020, il livello del nostro debito nazionale ha superato quello che aveva l’Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale nel 1918. Neppure alla fine della Seconda Guerra Mondiale avemmo un debito così elevato. Il Sulcis Iglesiente si poteva permettere un Sistema Sanitario con ben tre ospedali ad Iglesias e un ospedale a Carbonia. Oggi abbiamo ad Iglesias le macerie, e i residui del terzo, ridotto ai minimi termini. A Carbonia abbiamo un ospedale che, una volta completo di tutti i reparti fondamentali, oggi è grandemente depotenziato ed impoverito. Per quanto riguarda l’altro servizio essenziale per una società civile, la Giustizia, la situazione è anche peggiore: le due città avevano due Tribunali ed oggi nessuno.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, per far risollevare l’Europa dal disastro economico, gli Stati Uniti intervennero con un piano di aiuti chiamato: “European Recovery Program”. Il discorso di presentazione del piano fu tenuto dal segretario di Stato George Marshall nel 1947, e da allora il progetto prese il nome di “Piano Marshall”.

Tra quel Piano Americano del 1947 e l’attuale Piano di Ripresa allestito dalla Commissione europea in questo 2020 vi sono molti parallelismi.
– L’European Recovery Program americano NON era finalizzato a soddisfare i bisogni immediati della popolazione, ma a porre le basi per una nuova economia della macchina produttiva europea proiettata nel futuro. La finalità di quel piano assomigliava all’attuale Next Generation EU di cui parliamo in questi giorni in Europa. Nel Piano europeo esistono alcune “Condizionalità”, come:
– La presentazione di progetti innovativi entro aprile 2021,
– La ristrutturazione del Sistema sanitario,
– La Giustizia più agile,
– La Green Economy,
– La Digitalizzazione e la banda larga,
– Il beneficio per la prossima Generazione.
– I progetti devono essere realizzati entro 3 anni.
Anche il Recovery Program del Piano Marshall prevedeva aiuti limitati a 4 anni (1948-1951).
La somma totale stanziata dagli americani fu di 14 miliardi di dollari per tutta l’Europa.
Nel piano erano compresi anche gli aiuti per l’Europa dell’Est (Unione Sovietica e paesi satelliti), tuttavia questi Stati decisero di rifiutare il Recovery Program americano temendo risvolti negativi.
Invece l’Europa Occidentale accettò e dal 1948 al 1951 ricevette tutte le somme stanziate.
All’Italia furono erogati due miliardi e mezzo di dollari, inoltre fu avviato un formidabile interscambio culturale con l’invio di imprenditori italiani come osservatori nella macchina produttiva industriale americana. Fu una sorta di Erasmus del dopoguerra.
Anche oggi, col Recovery Fund Europeo stiamo assistendo all’ostruzione di alcune componenti politiche che vorrebbero rifiutare sia Next Generation EU, sia il MES per motivi simili a quelli che nel 1947 spinsero l’Unione Sovietica ed i Paesi dell’Est a rifiutare. Si videro poi i risultati di quel rifiuto.
C’è un punto in cui il piano Marshall del 1947 ed il Next Generation EU del 2020 si differenziano. Si tratta dell’entità della somma messa a disposizione dall’Europa a favore di tutti i Paesi dell’Unione.
Quella europea è una somma enormemente più grande. All’Italia potranno essere erogati 209 miliardi di euro di cui 81 in forma di sussidio; il resto in forma di prestito molto agevolato. E’ inoltre disponibile il MES che verrà erogato in forma di prestito agevolato con un bassissimo interesse.
Nel 1947 il Piano Marshall fu concepito e fortemente sostenuto dal Partito Democratico Americano. Dopo somministrazione degli aiuti per 4 anni, nel 1951 il Piano non venne rinnovato a causa dello scoppio della guerra in Corea e perché le elezioni Presidenziali quell’anno vennero vinte dal Partito Repubblicano che era contrario agli aiuti all’Europa.
Oggi l’Uragano elettorale Americano ha ristabilito, per l’Europa, una condizione favorevole simile al 1947. Inoltre, forse, esistono anche altri aspetti, meno influenti ma significativi come le origini irlandesi di Joe Biden, che potrebbero moderare le pretese di Boris Johnson con la Brexit ed i rischi connessi al ristabilimento di una frontiera tra Irlanda del Nord e Irlanda. Inoltre potrebbe avere influenza la fede cristiano cattolica di Joe Biden ed i suoi rapporti col Papa di Roma. Forse un altro buon auspicio è dato dalle origini siciliane della moglie del Presidente, Jill Jacobs, e ciò è favorente per l’instaurarsi di buoni rapporti con l’Italia.
Potrebbe essere maturo il tempo del una “New Deal”, cioè di un “nuovo contratto sociale” alla John Kennedy. Oggi pare si intravedano i prodromi di ripresa della vitalità politica come quella degli anni ’60 quando esplose la partecipazione popolare che si manifestò in varie forme e dette l’avvio a riforme sociali come la legge di Riforma sanitaria 833 del 1978. Fu il più grande esempio di partecipazione democratica dei territori alla gestione di un servizio pubblico imponente come quello sanitario. Oggi, che stiamo vivendo un dramma economico nato da una tragedia sanitaria, risulta evidente che l’aver modificato la Legge di Riforma, con esclusione dei Sindaci dal Consiglio di Amministrazione delle ASSL è stato un grave errore. E’ ormai evidente che il Problema Sanitario Nazionale si risolverà con l’impegno a ricostituire i Sistemi Sanitari Locali dei territori. Lo scopo è: ricostituire il meccanismo di comunicazione tra territori e Centro Amministrativo Regionale che oggi è inceppato.
In questa fase di progettazione per accedere ai fondi europei del Next Generation EU, i Sindaci e le Amministrazioni locali dovrebbero essere convocati. Ci serve una politica che oltre ad avere funzioni puramente contabili abbia un atteggiamento più inclusivo e assuma connotati dal tratto più umano.
I territori a loro volta non possono accettare l’esclusione dai tavoli dove, prestissimo, si dovrà programmare la Sanità futura.
La pandemia finirà. L’annuncio della Azienda farmaceutica Pfizer che il suo vaccino anti-Covid è pronto, l’entrata in produzione degli anticorpi monoclonali della Regeneron Pharmaceutics, e l’annuncio dato oggi dalla Azienda Eli Lilly che è pronto ed è stato approvato dalla FDI americana un altro anticorpo monoclonale anti-Covid da produrre industrialmente, sono i segni certi che presto ci batteremo ad armi pari con il Virus, e vinceremo.
Per questo è già tempo di progettare il Sistema sanitario del Sulcis Iglesiente destinato ai decenni futuri. Naturalmente deve essere progettato per la Generazione successiva alla nostra, la Next Generation Eu, appunto.
Oggi, su questo tema, sono già in corso negoziati fra Governi europei. Fra una settimana inizieranno i negoziati tra 41 Parlamenti (nazionali e regionali) d’Europa: verrà messo a punto il “Regolamento sulla Recovery and Resilience facility”. Il momento è cruciale.
La nostra attuale ASSL ha 122.000 abitanti. Se la futura Provincia del Sulcis Iglesiente comprenderà anche Teulada e Siliqua, arriveremo a 140.000 abitanti.
A questo punto saremo come una grande città e, come tale, ci spetta una struttura dei Servizi adeguata per avere miglioramenti su:
– Scuola e Università,
– Tribunali,
– Ospedali,
– Trasporti,
– Un sistema produttivo di energia che supporti le manifatture, le industrie, l’agricoltura,

– Un apparato di sicurezza di terra e di mare,
– Un piano di Green Economy, che comprenda anche le Aree Marine Protette e le Aree Terrestri Protette.
Le nostre città ospedaliere hanno necessità di ridiventare centri autonomi e altamente specialistici sia di cure che di ricerca medica.
Il territorio ha bisogno delle sue Case della Salute, del Covid Hospital, del Covid Hotel, degli Hospice. Gli Ospedali hanno necessità di un Centro Tumori che si occupi di: Anatomia Patologica, Chemioterapia, Radioterapia, Laboratori di Medicina Nucleare, di Genetica e di Virologia.
Il campo da coltivare è ampio. Gli spazi sono vuoti e incolti. Chi doveva “prendersi cura delle cure” ha delegato a questa funzione persone e città estranee a questo territorio. Ne stiamo vedendo i risultati.

Mario Marroccu

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Ormai è chiaro il fallimento del piano di protezione della salute pubblica dal Coronavirus. Le istanze provenienti dai Sindaci cadono nel vuoto, proprio adesso che ci servono dei leaders locali che coordinino un gabinetto di crisi. Mentre oggi a Vuhan la gente va a fare shopping senza mascherina e tutte le attività civili hanno ripreso in pieno, noi stiamo sprofondando nel nuovo lockdown. In Cina, recentemente, per un focolaio di 9 casi di Covid hanno fatto un tracciamento con 9 milioni di tamponi. I sospetti sono stati isolati dal resto della popolazione e tutto è rientrato nella norma. Noi invece siamo entrati in una fase talmente grave che oggi, fare il tracciamento e i tamponi a tappeto, non è più possibile. Ci dobbiamo limitare a fare il tampone ai casi sintomatici. Il motivo? «Pochissimo personale addetto al tracciamento e all’esecuzione dei tamponi». Il fallimento è evidente, soprattutto, negli ambiti familiari.

Questi sono i dati sulla distribuzione dei focolai:

  • In famiglia: 82,6% dei focolai;
  • In ambito lavorativo: il 3,2%;
  • In attività ricreative: il 2,6%;

I ragazzi trovati positivi a scuola avevano contratto il virus in ambito familiare.

Dei restanti focolai non si è capita l’origine.

Visto che abbiamo dimenticato la lezione impartitaci dalla prima ondata e, vista la crisi in cui sta entrando il Sistema Sanitario pubblico, non ci resta che prepararci ad una difesa individuale, studiando di nuovo il virus per scoprire i suoi punti deboli.

Questo Virus è difficile. Ha un unico scopo: riprodursi. Il luogo ideale che ha trovato per farlo, siamo noi esseri umani. I Virus sono antichissimi. Esistevano già 3 miliardi di anni prima degli ominidi, quando iniziò la vita sulla Terra. Essi sono strutture semplici di Acido Ribonucleico (RNA) o di acido Desossiribonucleico (DNA) che, probabilmente, associandosi ed assommandosi in masserelle più grandi, hanno dato luogo ai Batteri. Batteri e Virus, sommandosi, hanno dato luogo ai Protozoi. Questi, mettendo insieme il DNA virale, batterico e protozoario, hanno dato luogo ai metazoi, e così via fino agli animali di grandi dimensioni. Il problema sta qui: i Virus ci conoscono da sempre e, nella loro infinita semplicità, ci dominano perché sono il nostro antecedente biologico nella scala dei viventi.

L’Uomo moderno iniziò a percepire l’esistenza dei virus circa 1 secolo fa quando scoprì, in una malattia chiamata “mosaico del tabacco” che esistevano esseri infinitamente più piccoli dei microbi. Nel 1910, venne scoperto il Virus polio (quello della Poliomielite). Successivamente, in tutto il 1900, si scoprirono tutti gli altri virus che oggi conosciamo; tuttavia, il numero reale delle loro varietà è enorme e sconosciuto.

Per ora non abbiamo farmaci disponibili, tranne gli Anticorpi Monoclonali (impiegati per curare Donald Trump), e il Remdesevir. I primi sono irraggiungibili: una cura costa centinaia di migliaia di dollari. Il secondo viene prodotto in scarsa quantità ed è efficace in meno della metà dei casi. Di fatto non abbiamo difese.

Stando così le cose ci chiediamo: «Che differenza c’è tra noi Uomini del 21° secolo e gli Uomini del Medio Evo? Risposta: «Non c’ è differenza sostanziale».

Dobbiamo evitare la presunzione e prendere coscienza che siamo tutt’oggi ridotti alla stregua di Uomini medioevali e dobbiamo usare gli stessi metodi che usavano i nostri antenati per difendersi, e cioè.

  • Distanziamento,
  • Isolamento,
  • Barriere fisiche.

All’inizio dell’Epidemia si pensava che il contagio avvenisse da malato a sano attraverso le “droplets”, cioè le goccioline di secrezioni delle vie aeree che vengono emesse con la tosse e gli starnuti. Poi si è scoperto che il Virus si diffonde benissimo anche in assenza di tosse e starnuti. Lui usa l’aerosol dell’alito che emettiamo quando parliamo. L’Uomo è l’animale più garrulo che esista, anche più degli uccelli. Ed è l’unico animale che trasmette infezioni dall’uno all’altro attraverso la parola.

I suoni vengono emessi dalla bocca dopo essere stati modulati dalle corde vocali, dalla lingua e dalle labbra. Inoltre la potenza della voce viene regolata dalla forza con cui si contrae il diaframma e la cassa toracica per espirare  l’aria dai polmoni.

E’ evidente che un individuo infetto irrora l’ambiente circostante con l’aerosol, emesso dal suo apparato vocale, proveniente dai polmoni, dai bronchi, dalla trachea, dalla glottide, dalla bocca e dal naso. E l’aerosol emesso contiene miliardi di Virus. Il numero dei Virus e la distanza a cui vengono proiettati è direttamente proporzionale alla forza di emissione del fiato e al tono della voce.

Pochi giorni fa ho ricevuto da un collega un articolo della rivista “Science” che contiene i risultati delle ultime ricerche sulla diffusione della Pandemia. Questa rivista viene pubblicata a Washington D.C. dall’American Association for the Advancemente of Science “ fin dal 1880. E’ la più prestigiosa al mondo assieme alla rivista inglese “Nature” del 1869 ed ha il merito di aver posto molte basi alla scienza medica moderna. I loro articoli sono particolarmente attendibili.

Ambedue le riviste nacquero dopo le pubblicazioni di Darwin sulla evoluzione delle specie, di Pasteur sulla teoria dei microbi, e di Mendelejeev sulla tavola periodica degli Elementi chimici. Quelle pubblicazioni, apparse nel trentennio fra il 1850 e il 1880, posero le basi dello sviluppo scientifico del 1900 e 2000.

Nella seconda metà del 1800 si misero a punto le tecniche della disinfezione e sterilizzazione. Ciò dette grande impulso alla Chirurgia. La Medicina Interna ebbe, nella prima metà del 1900, un grande impulso con l’applicazione delle scoperte della Genetica, della l’Immunologia, dei vaccini, dei sulfamidici e degli antibiotici. La Medicina fece un balzo in avanti nel 1953 quando James Watson e Francis Crick, genetisti, dimostrarono la struttura del DNA e dello RNA. Quando la loro scoperta venne capita nella sua grandezza si affermò che era stato scoperto il linguaggio con cui Dio aveva creato la Natura Vivente. Dopo la scoperta del fuoco, della ruota e della macchina a vapore quella di Watson e Crick fu la quarta scoperta più importante della Storia dell’Uomo.

Negli anni ’90 la Genetica esplose, soprattutto, tra gli scienziato americani ed il 26 giugno 2.000 Francis Collins e Craig Venter, presentati al mondo intero da Bill Clinton, dichiararono d’aver decodificato l’intera sequenza del DNA umano. Quegli apparecchi che misero a punto per decodificare il DNA erano i progenitori degli apparecchi che oggi si usano per decodificare l’RNA dei tamponi eseguiti per cercare il Coronavirus.

Craig Venter scoprì che il corredo genetico dell’Uomo è compreso in una piccolissima parte del DNA totale che si trova nelle cellule: il 5%. Il restante 95% di DNA umano non si sa a cosa serva e vien chiamato “DNA spazzatura”. Cos’è?

La teoria più accreditata è che si tratti di DNA e RNA virale che si è accumulato nei millenni dentro le cellule umane.

Se questo è vero si comprende anche quanto i Virus hanno abitato, e continuano ad abitare, dentro di noi, e quanto il materiale virale contenuto nelle nostre cellule sia abbondantemente preponderante rispetto al DNA umano. E’ difficile distinguere se siamo noi ad ospitare agenti estranei, oppure se siamo noi stessi ospiti di altri progenitori genetici. In futuro la Scienza chiarirà.

Alla luce delle attuali conoscenze possiamo capire quanto sia insidioso l’attacco di questo Coronavirus, che sta cercando domicilio nel nostro serbatoio genetico e che lo sta usando per riprodursi.

Oggi, data l’evidente inferiorità dell’Uomo rispetto all’attacco virale ed il fallimento nel controllo dell’Epidemia, dobbiamo ripartire da “zero”, e ridare importanza alle regole basilari per la difesa individuale. E cioè:

Primo: «Mantenere le distanze».

Secondo: «Interporre barriere tra noi e i possibili contagiati” (esempio: le mascherine).

Terzo: «Lavarsi le mani frequentemente” per impedire che esse ci portino alla bocca i Virus che abbiamo captato toccando gli oggetti dell’ambiente.

Quarto: «Evitare gli ambienti a rischio».

Quinto: «Evitare i comportamenti a rischio».

Questi due ultimi punti sono accomunati dall’intento di prevenire il meccanismo di contagio che è rappresentato da: «L’espulsione forzata di Virus dalle nostre bocche verso il prossimo».

L’articolo su “Science” che ho prima citato riporta i risultati di svariati milioni di tamponi eseguiti in tutto il mondo. Questi hanno dimostrato un fatto interessantissimo, e cioè: «Presi 100 soggetti portatori del Virus, l’80% non contagerà nessuno, mentre il 20%  diffonderà il contagio”.

Per spiegare questo  fenomeno si è pensato alla genetica degli individui, ai gruppi sanguigni, e anche all’immunologia. Si è visto che la verità è più semplice. Oggi tutti gli studi, eseguiti soprattutto in Corea del Sud, in Giappone, in India, e negli Stati Uniti, hanno dimostrato che in realtà il contagio è legato alle due circostanze elencate prima (ambienti e comportamenti).

Secondo lo studio Indiano, eseguito su 500mila portatori di Coronavirus, si scopre che il 60% delle persone contagiate è riconducibile all’8% degli infetti. Sorge la  domanda: «Perché il restante 92% degli infetti indiani non è contagioso?”.

Un altro studio concluso a Hong Kong dimostra che il 10-20% delle persone positive è responsabile di almeno l’80% dei contagi. Qui ci si deve porre la stessa domanda che ci si pone per gli Indiani.

La risposta data fino ad oggi era che “esistono i superdiffusori”. Questo termine è stato coniato dopo la pubblicazione di uno studio della Corea del Sud intorno al tracciamento di un “cluster” di 5.000 persone contagiate da 50 fedeli di una chiesa, contagiati a loro volta da una donna che cantava nel coro.

Un Cluster molto noto e studiato è quello avvenuto alla Casa Bianca il 26 settembre scorso quando Donald Trump, e altri si infettarono nel corso della cerimonia per la nomina di Amy Coney Barrett a Giudice della Corte Suprema. I presenti che indossavano la mascherina e rispettavano le distanze non si infettarono.

Cosa accomuna questi Cluster?

Sono tutti accomunati da circostanze simili, e cioè:

  • Assembramenti in luoghi affollati, chiusi e poco ventilati.
  • Componenti che cantavano o parlavano a voce alta per farsi sentire dagli altri.

Con questo abbiamo definito le caratteristiche del “luogo a rischio” e del “comportamento a rischio”.

Il luogo a rischio” con “comportamenti a rischio” è lo “spazio chiuso, affollato, con scarsa ventilazione”, in cui i presenti:

  • Non indossano la mascherina per poter bere e mangiare o per loro scelta;
  • Parlano a voce alta per farsi capire in quanto l’ambiente ha un rumore di fondo elevato.
  • Cantano in coro,
  • Fanno attività fisica.

Dai nuovi studi si è capito che la Biologia conta poco. Non esistono soggetti “superuntori”. Piuttosto esistono “ omportamenti  super-untori  in ambienti a rischio”.

La maggior parte dei contagi avvenuti nel mondo  si è verificata su mezzi di trasporto affollati, in bar e ristoranti dove si parla e si discute animatamente, si racconta eccitando gli astanti, si ride, si conversa a voce alta. Inoltre avviene in palestre dove si compiono sforzi estremi e si inspira ed espira con forza l’aria dai polmoni. Avviene nelle riunioni di lavoro dove si discute animatamente. Avviene ancora nei luoghi di culto dove si prega e si canta a voce alta. Avviene nel Cal Center, dove gli operatori, per farsi sentire in un contesto rumoroso, devono alzare la voce. Nei matrimoni, dove si canta, si ride, si urla per farsi sentire da ospiti distanti e per inneggiare agli sposi. Nei funerali durante i canti corali e i riti di condoglianza. Nelle feste private dove, tra musiche e canti il rumore di fondo è alto e si deve comunicare alzando la voce.

Da  questi studi emerge che le scuole sono molto meno a rischio. In effetti a scuola si parla uno per volta, con sobrietà  e nel rispetto dei ruoli.

E’ difficile diffondere i Virus se si parla con tono di voce normale o basso, e le distanze sono  rispettate.

Il Coronavirus si diffonde in modo stocastico, cioè casuale, e non dipende dal numero di contagiati ma dal numero  di persone che hanno un comportamento a rischio in un ambiente a rischio. Queste persone, la cui presenza e comportamento sono imprevedibili, rappresentano il 10-20% della popolazione degli infetti.

Esiste un interessante studio coreano che invece riesce a distinguere con precisione i “diffusori” dai “non diffusori”. E’ stato condotto su una palestra in cui si esercitavano di mattina i sollevatori di peso e i body builder, mentre la sera si esercitavano gli allievi di una scuola di Yoga. Quelli della mattina si sono contagiati. Quelli dello Yoga, no. La differenza sta nei diversi comportamenti.

In attesa del Vaccino, degli Anticorpi Monoclonali e dei farmaci antivirali dobbiamo trarre una lezione da questi studi, e cioè:

  • Mascherina,
  • Distanziamento,
  • Evitare luoghi chiusi ed affollati,
  • Stare lontani da gente che parla e canta a voce alta, o sbuffa in palestra o allo stadio,
  • Applicare le buone regole nell’ambito familiare, massimamente se c’è un sospetto,
  • Preferire la frequentazione di persone che bisbigliano e non alzano il tono della voce,
  • Stare lontani dagli entusiasti simpaticoni e grandi parlatori.

Ne può andare di mezzo la vita. Meglio applicarsi ad un lockdown di silenzio.

Mario Marroccu

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Il dottor Massimo Temussi, 50 anni, laurea a Sassari in Economia e Commercio, Master negli Stati Uniti, ha ricoperto incarichi direttivi nell’AOU di Sassari e poi a Sanluri e, infine, a Cagliari sia nell’assessorato regionale della Sanità, sia in quello del Lavoro, in qualità di Direttore Generale dell’ASPAL.

I dipendenti che hanno lavorato con lui lo ammirano. Le loro valutazioni sono: preparato, esperto, intelligente, scaltro, ecc. Non è un medico. è uno specialista di scienze matematiche applicate all’Economia, all’Organizzazione, alla Sociologia, e sa trattare con la Politica. Con queste caratteristiche ci aspettiamo che sappia: comunicare, ascoltare le istanze popolari e trattare le aspettative di tutti con “gentilezza”. Noi, del Sulcis Iglesiente abbiamo molte ed urgenti aspettative. Proviamo a scrivergli.

La Sanità pubblica del nostro territorio è costituita dalle strutture ospedaliere di Iglesias e Carbonia. Carbonia e Iglesias sono storicamente due città improntate da una cultura mineraria ed ospedaliera.

Le Miniere, sia quelle metallifere che quelle carbonifere sono state, nel ventesimo secolo, uno dei motori economici della Nazione italiana. Oggi le miniere sono dismesse. Tuttavia la cultura mineraria è radicata nell’identità popolare e costituisce il trait-d’union che le unisce alle popolazioni delle città minerarie tedesche, belga, francesi e inglesi. Questa peculiare cultura è un valore aggiunto alla cultura prevalentemente agropastorale dei sardi.

Ambedue sono anche città ospedaliere fin dalla loro fondazione. Iglesias, città medioevale, ha le sue radici nel 13° secolo, e già da allora, in qualità di Comune pazionato di Pisa, aveva un suo Sistema Sanitario di cui restano le tracce nei resti archeologici dell’Ospedale di Santa Chiara e nella chiesa Bizantina di San Salvatore, di cui si conserva ancora il “giardino dei semplici” che era la Farmacia dei monaci hospitaleri. Nello stesso periodo il Libero Comune di Sassari si confederava a Genova mentre Iglesias si confederava a Pisa. Sono di allora le prime strutture sanitarie Iglesienti e Sassaresi. In quei tempi il borgo di Cagliari, intorno al Castello Pisano non era ancora ben strutturato mentre la città di Santa Igia, nell’isola di san Simone dello Stagno di Santa Gilla era stata appena distrutta.

Mentre Iglesias ha circa 800 anni d’età, Carbonia ne ha circa 80. Carbonia fu destinata dai fondatori ad essere città mineraria ed ospedaliera. L’una è il Comune più antico della Sardegna, assieme a Sassari, l’altra è la città di fondazione più giovane d’Italia. L’una testimonia il più antico sistema sanitario medioevale della Sardegna; l’altra la storia sanitaria del 1900 sardo.

Fino al 2000 Iglesias era dotata di 3 Ospedali, differenziati per specialità; due sono stati chiusi; il terzo è stato ridotto ai minimi termini. Contemporaneamente, l’Ospedale di Carbonia ha subìto perdite gravissime con la scomparsa di interi reparti e la drastica riduzione di Medici specialisti. Il danno al Servizio Sanitario del Sulcis Iglesiente è avvenuto nella sordità assoluta alle lamentele dei Sindaci del territorio. Si ha la sensazione che le istanze popolari per il legittimo diritto ad esercitare il controllo democratico del Servizio Sanitario non contino. Il popolo viene interpellato solo al momento della raccolta del consenso elettorale.

Quantifichiamo il danno. Fino a 25 anni fa i posti letto ospedalieri a Carbonia erano 384 e ad Iglesias erano 250 circa, per un totale di quasi 700 posti letto. Oggi esistono 130 posti letto all’Ospedale di Carbonia e una cinquantina al CTO di Iglesias. In tutto sono 180. Se si considera che la popolazione della Asl è di 122.000 abitanti, ne deriva che abbiamo soltanto 1,4 posti letto ospedalieri per 1.000 abitanti. Il recente bando pubblicato dalla Comunità Europea per avere diritto ai sussidi e prestiti del Recovery Fund e ai prestiti agevolati del MES, dispone che i progetti per la riparazione del danno strutturale apportato in questi 20 anni alla Sanità, prevedano che il numero dei posti letto sia riportato al parametro di “3,7 posti letto per 1.000 abitanti”. Pertanto, l’Europa dichiara che il rapporto di 1,4 posti letto per 1.000 abitanti è vistosamente insufficiente. L’Europa riconosce che al Sulcis Iglesiente spettano oggi n° 451 posti letto ospedalieri. La differenza tra i 180 posti letto del CTO e Sirai ed i 451 (minimali) imposti dal parametro europeo, certifica una carenza strutturale di 271 posti letto.

A causa di questa miserrima dotazione di posti letto, i nostri Ospedali sono condannati ad applicare il metodo della “medicina e chirurgia da corsa”. I Medici sono obbligati a fare tutto “in fretta” per liberare i letti e renderli disponibili per i nuovi pazienti che premono.

Sono così inevitabili due fenomeni da sanità del terzo mondo:

– Le lunghe liste d’attesa per essere ricoverati e operati;

– La “mobilità passiva” ed il relativo indebitamento con le altre ASL.

Gli effetti perversi di tale politica sanitaria sono due:

1 – L’ulteriore decadimento degli Ospedali con la riduzione della capacità ricettiva di alcuni reparti, e la chiusura forzata di altri;

2 – La riduzione del Personale.

Oggi, con l’arrivo della Pandemia, la deficienza organizzativa esploderà. Quando la richiesta di ricoveri per Covid aumenterà non saremo in grado di affrontarla. Già oggi, appena all’inizio dell’Inverno, L’Ospedale Covid di Cagliari è saturo e ha difficoltà a ricevere i nostri. Il futuro che si prospetta pare evidente dai dati ufficiali forniti dagli organi Governativi.

Il numero dei contagiati sta raddoppiando ogni settimana. Il numero dei contagiati sta raddoppiando ogni settimana. Andando così le cose, nella prossima settimana si passerà da circa 250.000 a 500.000; poi seguirà un altro raddoppio dopo un’altra settimana.

L’ultimo Bollettino dell’Istituto Superiore di Sanità ci fornisce dati allarmanti.

Oggi gli attualmente positivi in Italia sono 255.090, tra i quali:

– I contagiati asintomatici il 55-56%;

– I contagiati con sintomi lievi il 24-26%;

– I contagiati con sintomi severi/critici il 4-7%.

In questo calcolo stiamo ignorando i morti e i guariti, perché non hanno più bisogno di un posto in Ospedale. Gli Italiani “Suscettibili” d’essere infettati sono 56 milioni. La possibilità di espansione dei contagi è enorme.

Mettiamo il caso che nel Sulcis Iglesiente si arrivi a 1.000 contagiati. Secondo l’Istituto Superiore di sanità il 4-7% (media 5,5%) avrà bisogno d’essere ricoverato in un reparto di Terapia Intensiva. Ne consegue che n° 55 pazienti avrebbero bisogno di cure molto serie.

Come farebbero i nostri Ospedali a ricoverarli? Non potrebbero. Allora, potremmo trasferirli a Cagliari? «No! perché l’Ospedale Covid del Santissima Trinità di Is Mirrionis è saturo e già oggi sta dirottando i nuovi ricoveri al Policlinico, che però non è attrezzato per riceverli.»

Quale sarebbe la soluzione?

«Se adottassimo una soluzione di tipo svizzero si dovrebbe rifiutare il ricovero in Terapia Intensiva agli Anziani d’età superiore ai 65 anni, e lasciarli a casa, in seno alle famiglie.»

Cosa avverrebbe delle famiglie?

«Si infetterebbero e verrebbero messe in quarantena, fino alla guarigione o alla morte di chi è sintomatico.»

E i giovani? E’ vero che non si ammalano?

«Non è vero. Pochi giorni fa al SS Trinità è stata ricoverata per Covid una famigliola: padre, madre e ragazzino. Il ragazzino è morto. La morte dei giovani non è per niente rara

A questo punto, il problema si espande. Si può presumere che su 122.000 abitanti del Sulcis Iglesiente potranno ammalarsi con sintomi il 30%, come avviene ogni anno con il Virus influenzale. Se ciò avvenisse, tra novembre ed aprile potranno essere contagiate, nel nostro territorio, 36.600 persone. Se di queste 36.600 persone, il 5,5% (come valuta il ISS) avrà sintomi severi o critici, saranno necessari n° 2.013 ricoveri in Terapia Intensiva nei nostri Ospedali.

Se vivessimo in Germania, morirebbero pochi ricoverati, perché Angela Merkel ha fatto attrezzare ben 40.000 posti di terapia intensiva. Invece in Italia ne abbiamo solo 4.500. In questa condizione potranno perdere la vita dal 4 al 12% dei pazienti critici ricoverati nel Sulcis Iglesiente. Cioè 200 circa. Gli altri avranno bisogno d’essere trattenuti in Ospedale per alcuni mesi.

Supponiamo di dover subire quella percentuale di decessi, ma poi, come faremmo a tenere ricoverati a lungo gli altri 1.800 pazienti gravi? (ricordiamo che la durata dei ricoveri va da 1 a 6 mesi). Non c’è risposta. Con i nostri 180 posti letto, tra Iglesias e Carbonia, non ce la faremmo neppure se chiudessimo gli Ospedali a tutte le altre patologie come: infarti, blocchi intestinali, tumori, ostetricia, incidenti, ecc. è bene fare i calcoli secondo i dati del Comitato Tecnico Scientifico e immaginare gli sviluppi futuri.

Tutto ciò premesso e, tenuto conto che dobbiamo inviare progetti di ristrutturazione Ospedaliera entro aprile alla Commissione europea, sarà meglio affrettarsi a prendere carta e penna e scrivere le nostre richieste. Dobbiamo farlo noi. Gli altri non lo faranno. Dobbiamo stare attenti alla confusione che genera la proposta di costruire l’“Ospedale unico”. Si tratta di una proposta giusta ma va formulata meglio. Ti propongono l’“Ospedale Unico” futuribile, e ti chiedono di aspettare che arrivi. Nel frattempo tutto rimane come è oggi.

Ti chiedono: «Vuoi l’uovo oggi o la gallina domani?» A questa proposta si può rispondere solo in un modo: «Voglio tutto e subito: cioè, voglio l’uovo, la gallina, e anche il soldo».

– Il “soldo”: restituire al Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente tutti i Servizi Ospedalieri che sono stati sottratti negli ultimi 20 anni;

– L’“uovo”: Consolidiamo il nostro capitale strutturale Ospedaliero riportandolo all’efficienza conosciuta;

– La “gallina domani”: Appena avrete costruito ed attrezzato il nuovo Ospedale lo accetteremo. Nel frattempo, ci teniamo ben stretti, e rafforzati, i nostri Ospedali.

Oggi ci serve con urgenza che il dottor Massimo Temussi finalmente tratti questo territorio con la dovuta gentilezza e, in attesa dell’“Ospedale Unico”, faccia due azioni:

1 – Attrezzi l’Ospedale Covid al Santa Barbara, prima che sia tardi;

2 – Ci restituisca subito tutti i Medici Specialisti, i Tecnici, gli Infermieri e i posti letto che ci sono stati sottratti.

Mario Marroccu

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Da sempre i Governanti, in corso di Epidemia, si pongono una domanda: «Andare appresso al virus e tamponare i danni che lascia nel suo percorso…oppure precedere il virus ed impedirgli di far danni?».
Questa domanda se la pose il Doge della Repubblica di Venezia, durante l’Epidemia mortifera dell’anno 1423. Ormai, dalla fine dell’epidemia di “Peste Nera” del 1347, si erano abbattute sulla città ben altre cinque ondate epidemiche che ne avevano ridotto la popolazione al lumicino. Quella del 1423 era la sesta ed il Doge Tommaso Mocenigo decise di prendere il “toro per le corna” ed anticiparlo. Si era capito che le epidemie venivano portate dalle navi che entravano in porto ed attraccavano tra l’Arsenale e Piazza San Marco. Bisognava fermare le navi sospette, senza danneggiare l’economia di Venezia. Individuò una delle isole della Laguna e decise che vi sarebbero stati ospitati gli equipaggi sospetti. Egli non conobbe i risultati della sua ordinanza, perché morì di Peste nel mese di aprile, però Francesco Foscari, il Doge successivo, si trovò alleviato da un peso enorme: l’Epidemia si era attenuata fino a scomparire.
Quel fatto, venne risaputo in tutto il mondo delle città portuali e tutte, sia in Europa sia nel Vicino Oriente, individuarono un luogo dove accogliere gli equipaggi sospetti di contagio. Era nato l’“isolamento preventivo”.
Esattamente 5 mesi fa (24 maggio 2020), in piena Epidemia e Lockdown, questo giornale si espresse per l’utilizzo di due strumenti mirati ad anticipare l’ingresso del Virus negli Ospedali del Sulcis Iglesiente:
1° – Adozione dell’Estrattore di RNA virale per diagnosi precoci e screening.
2°- Una “zona grigia” dove sistemare i sospetti in attesa di tampone.
Però facemmo la fine della Sacerdotessa Cassandra che si opponeva all’ingresso del Cavallo di Legno a Troia. Così i Greci sono entrati in città e l’hanno presa.
Tutt’oggi il processatore di tamponi (benché donato) non funziona come dovrebbe e, solo adesso, come leggiamo nei giornali, ci si pone il problema della “Zona Grigia”.
Cos’è la “zona grigia?”.
Lo spiegammo citando l’esempio di quel Cardiochirurgo che per primo la adottò a Milano. Si tratta del dottor Massimo Medda, di Sant’Antioco. Egli, intervistato dalla più importante rete televisiva lombarda, stupì tutta l’Europa raccontando che, in piena “zona Rossa” e nell’infuriare dell’Epidemia, continuavano ad operare i pazienti che giungevano al Pronto Soccorso del suo Ospedale per “infarto acuto del miocardio”. Raccontò che gli infartuati affetti da COVID venivano immediatamente operati in un settore isolato. Gli altri infartuati, indenni da virus, venivano operati nel reparto dedicato, mentre gli infartuati sospetti di COVID, venivano dirottati in un luogo isolato e, senza perdere un minuto per attendere il referto del tampone, venivano subito operati e salvati. Egli stesso disse: «Allestire una “ Zona Grigia” è il provvedimento più importante. Tra l’altro, essendo fisicamente isolata dagli altri reparti che ospitano malati comuni, non è pericolosa. Qui i pazienti vengono trattati da personale protetto con lo scafandro, la maschera FFP3, i filtri e i calzari, che si usano in Rianimazione per pazienti COVID gravi».
Questo giornale propose esattamente 5 mesi fa questo esempio virtuosissimo, affinché ne traesse ispirazione l’azione di governo del Virus nel nostro Ospedale.
Dopo 5 mesi di silenzio, infine, oggi 21 ottobre 2020, se ne parla.
Quale provvedimento verrà adottato? Il Giornale quotidiano di oggi non ne parla. Noi possiamo supporlo, conoscendo sia quanto si è fatto nell’Ospedale Santissima Trinità, sia la dotazione di immobili ospedalieri del Sirai.
Al Santissima Trinità è stato facile. Quell’Ospedale è costituito da più padiglioni fisicamente separati.
Quella Direzione Sanitaria ha trovato facile e ovvio applicare lo schema del Doge di Venezia nel 1423, quando decise di non far entrare estranei nella Città e fermare i sospetti in un’isola separata. Al Santissima Trinità è stato impiegato un padiglione separato dagli altri.
La situazione immobiliare del complesso di Carbonia è fortunatamente simile. Attorno all’edificio centrale esistono tre edifici isolati, collegati tramite tunnel sotterranei, e comunque perfettamente serviti sia dal Laboratorio Analisi, che dalla Radiologia, dalle Sale Operatorie e dalla Rianimazione.
I tre edifici isolati sono:
1 – La Dialisi;
2 – Il reparto ex-Infettivi (oggi sede della Diabetologia);
3 – L’ex-Pediatria (oggi sede degli Ambulatori).
Di questi tre, l’unico edificio intoccabile è quello della Dialisi.
L’ex-Infettivi, destinato al ricovero dei pazienti HIV e costruito negli anno ’90, è particolarmente attrezzato con apparecchi per la circolazione dell’aria a pressione negativa.
L’Edificio della ex-Pediatria è tutt’oggi un perfetto reparto di ricovero e cura. In passato venne costruito distante dall’Edificio Centrale, allo scopo di isolare i Bambini dalle malattie degli Adulti, e di isolare gli Adulti dai Bambini portatori di malattie infettive contagiose (Difterite, Morbillo, Erisipela, Poliomielite, etc.)
Questo edificio è strutturalmente adeguato a riprendere la funzione di reparto per pazienti da tenere isolati.
Gli obiettivi raggiunti, scegliendo uno di questi due edifici, sarebbero molti:
1 – Isolare i sospetti, ma non privarli delle cure fino al momento della diagnosi certa e dell’eventuale invio ad un Ospedale COVID;
2 – Impedire il ristagnare di pazienti sospetti nell’Astanteria del Pronto Soccorso;
3 – Impedire l’accesso di pazienti sospetti nei reparti generali dell’edificio centrale;
4 – Avere percorsi assolutamente separati del Personale-Covid dal Personale non-Covid;

5 – Poter disporre degli Specialisti per ogni procedura d’urgenza non procrastinabile (incidenti della strada, Ostetricia, Emodinamica, Chirurgia e Traumatologia d’urgenza, etc.)
6 – Facile comunicazione con il Laboratorio Analisi e Radiologia.
Naturalmente l’esistenza di una “Zona Grigia” necessita di una sala operatoria “grigia” isolata dalle altre.
La spesa da bilanciare:
1 – per assunzione di Personale;
2 – Arredi
Tutte voci previste dal Next Generation EU e dal MES.

Perché è giusto anticipare il Virus?
a – Perché stanno arrivando i mesi dei Virus invernali;
b – Perché il vaccino, seppure arriverà, non verrà distribuito a tutti in poco tempo;
c – Perché il confronto tra Umanità e Coronavirus sarà ancora lungo;
d – Perché è necessario che l’edificio centrale dell’Ospedale non interrompa la sua attività usuale per le malattie comuni: Tumori, Infarti, Chirurgie, Ostetricia, Traumatologia, Medicina, Neurologia Dialisi. Soprattutto: deve assolutamente essere separato dall’edificio dove si trovano i reparti generali, per evitare diffusione di un focolaio.
E’ necessario che la politica e la popolazione, partecipino attivamente al dibattito sulla Sanità.

Mario Marroccu

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Da oggi, lunedì 19 ottobre 2020, la Sanità del Sulcis Iglesiente è acefala. Ha perso la testa per strada, nell’accidentato percorso del Covid. Il Commissario-Direttore Generale si è dimesso e della Direzione Sanitaria si perdono le tracce.
Si può obiettare: «…ci sono sempre i Medici ed il personale Infermieristico ed Amministrativo…». No.
Non è così. Oggi il potere decisionale è concentrato in pochissime teste. E’ detenuto solo dai Direttori Generale e Sanitario. I Primari dei reparti ospedalieri non contano nulla. Il loro parere non è vincolante. Sono soltanto nella condizione di ricevere ordini ed eseguirli, in uno stato di obbedienza assoluta, contro la pena di procedimenti disciplinari per disobbedienza e sospensione dal ruolo di Primario alla fine dei 5 anni di incarico.
Prima non era così. I Primari venivano nominati in virtù di un’idoneità nazionale conseguita a Roma, dopo un durissimo concorso, basato sul merito e la preparazione, condotto sotto il controllo dei Carabinieri della Giudiziaria. Poi potevano essere assunti come Primari con contratto a tempo indeterminato; pertanto, erano difficilmente condizionabili dal potente di turno. Il Presidente dell’Ospedale, prima di deliberare, chiedeva il parere del Consiglio dei Sanitari. Questo era formato dai Primari e i rappresentanti degli Aiuti e degli Infermieri. Il parere del Consiglio dei sanitari era vincolante in materia organizzativa, di organico e di dotazione strumentale diagnostico terapeutica.
Oggi il Consiglio dei sanitari non ha alcun valore, pertanto, non può sopperire alla mancanza del Direttore generale.
Fino al 1978, il Presidente dell’Ospedale era anche Sindaco della città e rispondeva delle sue deliberazioni al Consiglio comunale. Immaginiamo cosa sarebbe successo allora se all’improvviso il Presidente avesse deciso, sentito il Consiglio comunale, di ridurre la Radiologia di 4 Radiologi specialisti, la Cardiologia di 3 Cardiologi, la Traumatologia di 3 Traumatologi, la Dialisi di 2 Nefrologi e la città di due Ospedali. Come minimo, avrebbe perso le elezioni. Oggi no. Il parere dei cittadini, il cui voto influenzava anche la gestione della Sanità pubblica territoriale, oggi non ha alcun peso.
Fino al 1978, i consiglieri comunali erano la “cinghia di trasmissione” tra i Cittadini ed il Presidente dell’Ospedale. Questa era l’organizzazione data alla Sanità pubblica dall’Alto Commissariato per l’Igiene e Sanità nel 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. In quei tempi, non esisteva ancora il ministero della Sanità. Tale organizzazione venne perfezionata dalla Legge di Riforma Mariotti N° 128 del 1969.
Oggi, intorno al Direttore generale della ASL (o Commissario) e il Direttore sanitario, c’è il nulla decisionale, e i Sindaci non hanno alcun canale per incidere realmente sulla Gestione della Sanità territoriale. Hanno l’unica opzione di riunirsi nel Consiglio di Distretto per esprimere un loro parere, ma questo non vincola nessuno e cade nel nulla. Lo stesso trattamento è riservato ai cittadini i quali, privati dei loro rappresentanti nella ASL, non hanno il referente politico locale a cui rivolgersi.
Eppure dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla Riforma Mariotti del 1969, il dibattito sull’assistenza sanitaria non si era mai interrotto. Anzi, era diventato centrale in tutti i partiti politici in Parlamento. Eravamo ancora ai tempi delle epidemie di Difterite, Morbillo, Pertosse, e della terribile Poliomielite. Allora la gente, a 60 anni d’età, era già vecchissima e moriva per aver consumato l’aspettativa di vita del tempo.
Nacque un’utopia: «Lo Stato deve dare l’assistenza sanitaria a tutti indistintamente dalla culla alla tomba». C’era da realizzare l’articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti […]. La Legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della Persona umana».
Era evidente che, per realizzare un programma così intenso, non si potevano lasciare le redini della Sanità ad un gruppetto di oligarchi capaci di perpetuarsi, anche senza consenso, con tecniche autoreferenziali.
Tutte le parti politiche furono concordi nello stabilire che la gestione della Sanità pubblica dovesse avvenire col metodo democratico della “Partecipazione” dei cittadini tramite i loro delegati. I delegati naturali dei cittadini sono i Sindaci e i Consigli comunali. Così venne votata la più grande Riforma del Dopoguerra: la legge 833/78.
Fu la Riforma più ampia, capillare e radicale, mai varata in tutto il mondo occidentale in fatto di sanità. In essa, all’articolo 15, si disponeva che l’Amministrazione delle ASL, venisse affidata ad un Presidente, coadiuvato da un Direttore amministrativo e Sanitario, e fosse sotto il controllo del “Comitato di gestione”. Questo era composto fra gli eletti dei Consigli comunali del territorio competenti in materia sanitaria ed amministrativa.
Se in quei tempi fosse accaduta la disgregazione della dirigenza della ASL, come è avvenuto oggi, il Comitato di gestione avrebbe preso immediatamente le redini mantenendo il controllo del Sistema sanitario. La catena di raccordo che univa i cittadini al vertice della Sanità non si sarebbe interrotta, e le istanze popolari sarebbero state recepite sempre.
Oggi le istanze popolari, con la nuova organizzazione sanitaria, sono inefficaci, perché non hanno un referente.
La ridottissima dirigenza delle ASL fa riferimento ad un’altra ridottissima oligarchia regionale che si chiama ATS (Azienda Tutela Salute). E’ formata dal Direttore generale regionale, il Direttore sanitario, e il Direttore amministrativo. In tutto fanno 3 teste e 6 occhi. E’ evidente che l’“uomo solo al comando” è insufficiente per un tema così complesso.
Come si è arrivati a questo?
Il primo ad intaccare la Legge 833/78 fu il ministro Carlo Donat Cattin. Egli trovava che l’esistenza dell’“Assemblea generale” di tutti i Comuni, che doveva eleggere il Comitato di gestione, fosse un fardello eccessivo per la ASL e nel 1987 la eliminò. Rimasero però in piedi i “Comitati di gestione” che affiancavano il Presidente nell’allestire il programma sanitario e ne controllavano sia la realizzazione che la qualità percepita.
Successivamente nel 1992-93, negli anni della grande crisi politica e la fine dei grandi partiti, i Presidenti vennero sostituiti dai “Manager”, ma il “Comitati di gestione” rimasero in piedi. In quegli anni la Sanità funzionava oltremodo bene. Poi nel 1999, con la riforma Bindi, avvenne l’“aziendalizzazione” delle ASL. Fu il momento in cui vennero soppressi i Comitati di gestione e le ASL rimasero nelle mani dei Manager. La catena di trasmissione fra i cittadini e la dirigenza della ASL si era interrotta. Da allora i metodi di gestione ebbero un carattere puramente “aziendalistico”, cioè erano equiparati a quelli delle aziende private che, come si sa, hanno un fine: il bilancio deve chiudersi positivamente con un profitto economico, o col pareggio. La Sanità pubblica stava assumendo le connotazioni del “prodotto commerciale”.
Purtroppo, il pareggio di bilancio può, in certi casi, per necessità, essere raggiunto sacrificando l’interesse del lavoratore.
Per trasformare le prestazioni sanitarie in un prodotto commerciale aziendale, vennero adottati i “DRG”. Questi sono un sistema di valutazione economica che adottano le assicurazioni americane per quantificare il costo delle prestazioni sanitarie ottenute dai loro clienti.
Da quel momento, vennero tenuti corsi di gestione anche per i medici ospedalieri al fine di addestrarli al nuovo percorso privatistico della Sanità. Una delle prime cose che vennero insegnate fu che la parola “paziente” andava sostituita col termine “cliente”. Cioè il paziente diventava un generatore di profitto tramite l’incasso del DRG.
Ne derivò che le ASL anziché produrre le prestazioni sanitarie potevano anche comprarle da un altro Ospedale o da una Clinica privata, e poi passarle agli assistiti. Naturalmente bisognava che l’assistito dovesse abituarsi a mettersi in viaggio e portare il suo corpo malato in altri Ospedali, ai quali il proprio Ospedale l’aveva ceduto.
Lo scopo era: garantire l’assistenza tramite altri, pagarla con i fondi del proprio bilancio secondo il valore del DRG, per poi coprire il debito con il risparmio ottenuto, diminuendo il numero dei propri dipendenti, dei propri reparti, e dei propri Ospedali.
E’ sotto gli occhi di tutti il fallimento di questo metodo aziendalistico di gestione della Sanità pubblica. L’epidemia di Covid è oggi un test di prova inesorabile. Sono stati falliti due obiettivi fondamentali:
1°- Il bilancio è andato in negativo come non mai. La nostra ASL si è indebitata per i troppi DRG pagati ad Ospedali e Cliniche private cagliaritane. Per risparmiare, ha ulteriormente chiuso posti letto ospedalieri e non ha mai aperto i posti letto delle “Case della Salute” previste per il territorio.
2°- L’insoddisfazione dei cittadini è massima. Ormai essi ricorrono alla “mobilità passiva”, abbandonando gli Ospedali del luogo, impoveriti da questo genere di gestione, per altri.

Se fossero esistiti i “Comitati di gestione” previsti dalla 833/78, un fatto così grave, antieconomico e antidemocratico, non sarebbe mai avvenuto.
Oggi, in tempo di Pandemia, il Covid è diventato un’utile coperta per nascondere il fallimento dell’“Aziendalizzazione” delle ASL. Tutto ciò che stiamo provando: l’ impossibilità ad accedere liberamente agli Ospedali, la scarsa assistenza per le usuali patologie, l’atteggiamento respingente alle porte dell’Ospedale e al suo interno, passano come effetto del virus. In realtà, si tratta di una situazione che precede la Pandemia e che oggi è peggiorata.
A questo degrado organizzativo, maturato negli ultimi 20 anni, oggi si sta associando un decadimento della solidarietà pubblica. Il fenomeno più vistoso è la tendenza di suddividere la popolazione che ha diritto all’assistenza sanitaria in sottogruppi. Quello degli anziani è preso di mira per la sua intrinseca fragilità e sta maturando l’idea malsana che si debba lasciare al virus la funzione di selezionare i più forti dai più deboli. In assenza di una forte guida morale pubblica, si sta aprendo la strada a teorie sociali neodarwiniste. E’ l’effetto del diffuso oblio della cultura democratica per cui la cura della “Persona umana” è un diritto costituzionale ed il riconoscimento che “la salute è un diritto fondamentale dell’individuo”.
Se fosse ancora presente il controllo democratico e popolare delle ASL tramite i Sindaci, questo decadimento assistenziale, e anche morale, non sarebbe così vivido.

Mario Marroccu