22 November, 2024
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La percezione sullo stato reale della Sanità nostrana è dura. Le esperienze quotidiane dei pazienti sanno spesso di solitudine ed abbandono come esemplificato da questi due casi recentissimi.
Primo esempio: un signore si sveglia al mattino e scopre d’avere paralizzata la parte destra del corpo. Ricovero immediato; TAC ed esami. Diagnosi: trombosi di una importante arteria cerebrale; dimissione dopo due giorni. Il posto letto deve essere libero per il prossimo ricoverato. Questo è il perfetto schema di gestione del paziente acuto. L’hanno ideato eminenti intelligenze economiche di scuola bocconiana milanese. Tuttavia, tra la nostra assistenza sanitaria e quella di Milano, c’è
una bella differenza. Il paziente del Sulcis Iglesiente viene riportato nel proprio domicilio. Se ha soldi e familiari affettuosi, verrà assistito con grande dispendio delle energie parentali. Se non ne ha, scompare dal mondo e nessuno può assisterlo nel dramma della sofferenza e dell’inabilità, finché giunge la morte a graziarlo.

A Milano non è così: tra l’Ospedale ed il domicilio esiste una filiera assistenziale che provvede a ricoverare il paziente, nutrirlo, sottoporlo a riabilitazione e cura della persona, fino al raggiungimento di un’autonomia tale da consentirgli di lavarsi, nutrirsi, vestirsi e tornare in pubblico per le necessità usuali. Avrà sempre un tutor dell’assistenza sociale che sovrintenderà al suo recupero sociale.

Nel Sulcis iglesiente abbiamo un problema; siamo passati da 700 posti letto a 180 circa. Quei 500 posti in più che avevamo, che vennero eliminati per “razionalizzare” il sistema, fungevano da supplenza alla mancanza della filiera assistenziale post-ospedaliera. Qualcuno ha dimenticato di mettere in funzione quel tipo di filiera assistenziale che a Milano è posta tra Ospedale e proprio domicilio. Incredibilmente, si è affrettato a chiudere i posti letto dei nostri Ospedali e a rendere ultrarapidi i ricoveri e le dimissioni. Lo scopo? Dare una parvenza di efficienza milanese nella tempistica del ricambio dei ricoverati. Una volta dimesso, il nostro paziente sulcitano-iglesiente è solo.
Nessuno reagisce: tutti zitti!

Secondo esempio: Un adulto attempato del Sulcis iglesiente ha un tumore diagnosticato tempestivamente e curabile con la radioterapia. Viene messo in lista. L’inizio del ciclo avverrà fra un mese. Alla data prevista l’apparecchio è “guasto”. Passano due mesi. L’apparecchio è sempre “guasto”. Viene fissata la data dopo altri due mesi, ma «con tante scuse … la preghiamo di aspettare altri due mesi». E’ passato un anno e ancora non gli viene assicurata una data certa per iniziare la cura radioterapica. Qualcuno può immaginare che quel reparto sia rimasto chiuso per un anno. Invece no. Ha lavorato sempre a pieno ritmo. ON Y SOIT QUI MAL Y PENSE.
C’è un problema: nel Sulcis iglesiente non abbiamo un reparto di radioterapia e dobbiamo, per forza, rivolgerci agli Ospedali cagliaritani. La sensazione suscitata da questo secondo episodio è di sconforto. Chi deve risolvere il problema?. Chi è il referente per i cittadini del nostro territorio che vorrebbero ottenere assistenza sanitaria nella città capoluogo? Non esiste.
Poi tra febbraio e marzo è esploso il Covid ed abbiamo assistito alla strage di anziani e giovani nel Nord Italia. Gli italiani non erano preparati ad un’epidemia mortifera. Non sapevano come comportarsi. Le uniche notizie scientifiche venivano dalla Cina. Quella prima ondata ha risparmiato il Sud Sardegna. Noi non l’abbiamo vissuta. Oggi, però, sta arrivando. Allora chiedemmo mascherine al mondo intero. Giunsero medici Cubani, Russi, Albanesi, Rumeni e Cinesi. Non bastarono le fosse comuni e i forni crematori per trattare le salme. Il Governo, abituato a legiferare in tempi lunghi si adattò a decretare (DPCM) in tempi brevi, anche nell’arco di 24 ore. E avvenne un fatto nuovo: la sospensione di Diritti Costituzionali (spostamenti fuori dal proprio domicilio; Giustizia; Religione; Scuola; Ospedali; Sport; Commercio; Trasporti). Era il “lockdown”. Fu un coprifuoco più duro di quello della Guerra.

Quell’aspra esperienza e quelle paure hanno maturato nei cittadini la cosiddetta “Coscienza popolare”. Oggi è fortissima la percezione del valore della diritto Costituzionale a godere del Servizio Sanitario Nazionale, che è lo strumento per raggiungere la Buona Salute e la Felicità, valore, quest’ultimo, riconosciuto dal
giurista italiano Gaetano Filangieri; condiviso da Benjamin Franklin nel prologo alla Costituzione americana; sostenuto dall’Assemblea nazionale francese nella Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino. Ambedue i valori sono proclamati dagli articoli 32 e 2 della Costituzione Italiana.
E’ vero che “sono tutte belle parole”, però sono anche Diritti reali certificati dalla Madre di tutte le leggi e siamo legittimati a pretenderli.
In tutti i casi, questa esperienza ha fatto maturare la coscienza di quanto sia necessario avere una Sanità efficiente e onnipresente, vicino alla residenza dei Cittadini.
Associata a questa consapevolezza, l’esperienza dell’Estate scorsa ha fatto percepire la pericolosità insita nello “spostamento di masse umane”, dannosissima anche in regioni naturalmente protette come la Sardegna (vedi il caso del Billionaire e delle coste turistiche da cui sono promanati i focolai attualmente recrudescenti nei nostri territori).
«Nulla sarà come prima neppure nella nuova urbanistica post-Covid». L’ha detto l’architetto urbanista Massimiliano Fuksas. Egli sostiene che le periferie-dormitorio delle grandi città sono polveriere epidemiogene a causa della estrema densità di popolazione e l’eccesso di contatti umani. In futuro sarà necessario  invertire la rotta dell’inurbamento e facilitare il ripopolamento nelle cittadine del territorio. Ciò rende necessario che il capoluogo, piuttosto che grande accentratore, si limiti ad essere sede esclusiva degli atti amministrativi della Politica e lasci che i Servizi tornino dentro i maggiori centri abitati della provincia.
Questo concetto è stato chiaramente esposto tra i principi che devono ispirare i programmi di spesa del RECOVERY FUND e del MES. Secondo il documento programmatico del finanziamento europeo bisogna produrre progetti finalizzati a riequilibrare i Servizi nei Territori. I Servizi espressamente citati dalla Commissione Europea sono: GIUSTIZIA – OSPEDALI – SCUOLA.
Entro il 15 ottobre, l’Italia dovrà presentare alla Commissione europea Il PNRR. Si tratta del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. Il termine “Resilienza” indica il principio fisico per cui certi oggetti, quando vengono deformati da una forza che viene loro impressa, hanno la capacità di riprendere la “forma” che avevano prima di ricevere il colpo (per esempio un oggetto in gomma elastica).
L’”oggetto” di cui qui si tratta è la Sanità. Essa ha subito un durissimo colpo che deformandola l’ha degradata. Oggi la nostra Sanità non riesce a riprendere l’efficienza precedente, a causa di due meccanismi inibitori che ne impediscono la “resilienza”. Essi sono:

A – La “miopia” dei Politici che espulsero i rappresentanti dei Territori dal controllo amministrativo delle ASSL;

B – L’“assenza di potere dei Sindaci” in tema di sicurezza sanitaria.

Da ciò sono derivati:
1 – L’esistenza di amministratori della Sanità avulsi dal Territorio;
Si tratta di personale molto preparato nella pratica contabile ma impreparato nell’interpretazione delle istanze provenienti dalla Popolazione.
2 – Lo svuotamento degli Ospedali in termini di:
– Uomini di scienza e
– Strumenti aggiornati di Diagnosi e cura.
3 – La mancata produzione dal territorio di Medici e Professionisti delle Scienze infermieristiche, destinati a risiedere accanto all’Ospedale con le proprie famiglie.
4 – Il distacco culturale degli Ospedali, in termini di dotazione tecnologica, di ricerca e aggiornamento rispetto ai grandi Centri europei.

Il nostro territorio ha oggi queste esigenze strutturali immediate. L’istituzione di:
1 – Un laboratorio di VIROLOGIA, microbiologia, immunologia, associato ad un settore dedicato alla Biologia Molecolare (DNA – RNA) e ad un Centro di Ricerca.
Deve essere dotato di un Primario e di Personale dedicato.
2 – Un REPARTO DI INFETTIVOLOGIA (Ospedale Santa Barbara; oggi previsto per i Covid sintomatici).
3 – Un organico di VIGILI SANITARI per il controllo territoriale dei pazienti in isolamento.
4 – Un PREVENTORIO per l’isolamento dei casi sospetti e dei portatori sani;
5 – Un Reparto di PNEUMOLOGIA con CAMERA IPERBARICA e Riabilitazione respiratoria, con Primario;
6 – Un REPARTO DI NEUROLOGIA, con Primario.
7 – Un reparto di PEDIATRIA
8 – Un REPARTO di ONCOLOGIA MEDICA
9 – Un SERVIZIO DI RADIOTERAPIA.
10 – Un reparto di CHIRURGIA ONCOLOGICA
11 – Un reparto di CHIRURGIA VASCOLARE
12 – Un servizio di EMODINAMICA con Primario
13 – Un HOSPICE
E’ necessario istituire subito il reparto di terapia intensiva per pazienti Covid al Santa Barbara e liberare gli Ospedali generali dall’impegno di assistenza ai Covid positivi, garantendo la ripresa di tutte le attività di: MEDICINA, CHIRURGIA, ORTOPEDIA, PRONTO SOCCORSO.
Programmare l’evoluzione del Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente è facile. E’ difficile trovare i REALIZZATORI.
I finanziamenti esistono, sono: il RECOVERY FUND ed il MES.
Tutto questo è necessario, per evitare il ritorno ai tempi bui del depotenziamento degli Ospedali.

Mario Marroccu

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Per capire lo straordinario fenomeno sociale indotto dal Covid-19, che lascerà traccia nei libri di storia, dobbiamo ridefinire con chiarezza quali differenze sostanziali esistono tra la malattia individuale e la malattia contagiosa collettiva.
Se dovessimo esaminare con superficialità i numeri dei decessi quotidiani non ci preoccuperemmo. Tutti i giorni muoiono di ictus ed infarti, in Italia, una media di 630 persone, mentre per tumore ne muoiono 485. Attualmente abbiamo una media di soli 10 decessi quotidiani per Coronavirus. Questo dato sembrerebbe confortante. In realtà, da un punto di vista della convivenza sociale, non è così.
Le “malattie individuali” come tumori, diabete, ictus, traumi stradali, ecc., non suscitano paura per la propria incolumità perché ognuno di noi può entrare in contatto con questi malati senza subirne alcun danno.
Le “malattie contagiose” invece sono “diffusive” e “collettive”. Cioè passano da una persona all’altra per il contatto o la semplice vicinanza. Ogni portatore di Coronavirus contagia, in media, 6 persone. Queste a loro volta contagiano 36 persone. Queste 36 ne contageranno 1.296. Nel caso del Coronavirus il numero dei contagiati cresce in modo esponenziale ogni 7 giorni. Abbiamo visto cosa è avvenuto dopo il primo caso di Codogno: dopo due settimane i casi in Lombardia erano già diverse migliaia. Di questi contagiati ne vennero ricoverati il 20% e ne morirono la metà.
Mentre l’80% dei contagiati ebbe pochi sintomi. In 40 giorni avemmo quasi 20.000 morti in una piccola area d’Italia compresa fra Milano, Bergamo e Brescia. Morti che si aggiungevano agli altri morti per diverse cause. Vi fu un numero di salme aggiuntive tanto enorme che non si trovarono spazi nei cimiteri e nei forni crematori, tanto che molte salme vennero imbarcate per lo “smaltimento” nei forni crematori della Sardegna. Appena l’Epidemia è esplosa in America abbiamo visto lo stesso triste fenomeno, di ammassamento di cadaveri, a NewYork.
Questo è avvenuto perché il Covid è una malattia contagiosa per cui non esiste una cura specifica.
Quando si tratta di una malattia contagiosa per cui esistono le cure e i vaccini, l’allarme è basso.
Quando , invece, si tratta di malattia contagiosa per cui non esistono né cure specifiche né vaccino, l’allarme è alto.
E’ un errore enorme paragonare questo tipo di malattia a quelle comuni.
Per capirne la portata sociale e economica si può paragonare soltanto al “Fall-out” della pioggia radioattiva dopo una esplosione nucleare o agli effetti di uno “tsunami”. Tutti eventi in cui la collettività intera è senza difesa.

Le malattie comuni vanno trattate nell’ambito degli strumenti messi già a disposizione dal Sistema Sanitario. Le malattie epidemiche prive di cure specifiche vanno trattate in un altro apparato sanitario parallelo costituito ad hoc.
Una esperienza di diversificazione strutturale l’avemmo già al tempo della TBC. In quel caso si riuscì a debellarla costituendo un sistema di ospedali e presidi specifici (Tubercolosari, Preventori antitubercolari, Dispensari antiTBC, Ospedali Marini, Colonie montane e marine). Si sviluppò una specialità: la Tisiologia. Essa comprendeva: Medici pneumologi, Radiologi, Pediatri, e chirurghi specificamente preparati.
Oggi non esiste ancora un apparato ospedaliero e territoriale specificamente dedicato al Covid-19.
Il problema di strutturarne uno si porrà nella malaugurata ipotesi il vaccino non fosse efficace.

Fenomenologia sociale del contagio.
Il “contagio” fa esplodere la “ Paura del prossimo“.
Chi è il “Prossimo?”.
E’ chiunque: l’amico, il vicino di casa, il collega di lavoro, il compagno di classe, il parente, l’impiegato dell’ufficio pubblico, etc..
Il termine collettivo per identificare questo insieme è: “Società civile”.
La Società Civile è quell’insieme umano che utilizza il “Contatto sociale” per attuare lo scopo per cui ci si incontra: “Lo scambio sociale”.
Lo “scambio sociale” o “commercio umano” si sviluppa su tutti i campi della convivenza come:
– La “Cultura”: scuola, cinema, arte, sport, religione, politica, etc.
– I “Servizi”: il Sistema sanitario, banche, poste, pubblica amministrazione, difesa, giustizia, etc.
– Le “Attività produttive”: professioni, mestieri, agricoltura, industria, etc.
– Il “Commercio”.
Quando esplode il “Sospetto collettivo” sul prossimo e la “paura dell’altro”, l’individuo si ritira nel proprio privato e si autoesclude, cioè si “isola”. L’isolamento può essere “volontario”“obbligato”, come nel caso del lockdown che abbiamo sperimentato.
L’”isolamento” comporta la perdita di 4 Libertà Costituzionali, cioè:
– La libertà di movimento nel territorio, e di scambio commerciale.
– La “libertà di cure”: blocco del Sistema Sanitario per le patologie comuni.
– L’ “Istruzione”: chiusura delle scuole.
– La “Giustizia”: chiusura dei tribunali.
L’impedimento all’esercizio di questi diritti costituzionali comporta la “Sospensione del commercio umano.
A questo arresto degli scambi di beni materiali ed immateriali consegue:
– L’arresto degli scambi commerciali.

– Il crollo delle Borse.
– La perdita di fiducia nella moneta.
– L’impoverimento della Nazione.
– La crisi politica.
– La perdita di rappresentanza dei partiti e la caduta dei governi.
Questi sono scenari possibili nel caso non vengano opposti provvedimenti che stronchino la spirale del degrado.
La “paura dell’altro” è all’origine della disgregazione dell’impianto economico di una società.
C’è voluto Mario Draghi per sintetizzare in una frase questo complesso fenomeno psicologico ed i provvedimenti da prendere per scongiurarlo. Cioè:
“Test di massa per rilanciare l’economia”.
Solo così ognuno di noi saprà se il suo vicino è contagioso o no, e potrà riprendere a produrre ricchezza senza il freno della paura.

Secondo gli Scienziati citati in un recente articolo del Sole 24 ore servono 30 milioni di tamponi per fare uno screening agli Italiani. Cioè deve essere sottoposto a tampone oltre la metà della popolazione d’Italia. Ne consegue che devono essere subito esaminati con tampone almeno 70.000 abitanti del Sulcis Iglesiente.
Davanti a questi autorevoli messaggi il Sulcis Iglesiente non riesce ancora a rendere immediatamente disponibile per tutti un laboratorio specificamente dedicato. Ne sono prova questi fatti:
– Il forte ritardo nell’acquisto del processatore di RNA virale,
– Il forte ritardo nello accreditamento dello strumento donato a Carbonia Iglesias dalla Fondazione di Sardegna,
– Le enormi difficoltà che incontrano i Medici di Base per ottenere i referti dei tamponi eseguiti su pazienti sintomatici.
E’ urgente la disponibilità di un laboratorio perché stanno per arrivare momenti critici, e cioè:
– Fra due settimane in Italia riapriranno le scuole. Vi saranno inevitabili assembramenti. Si muoverà quotidianamente una massa dei 12 milioni di individui. Fra questi vi saranno i “diffusori silenziosi”, come abbiamo sperimentato al Billionnaire di Porto Cervo e nelle discoteche nostrane.
– Stanno per arrivare i 3 mesi portatori di Virus: Ottobre, Novembre, Dicembre, con i loro Rinovirus, Adenovirus, Enterovirus e Virus Influenzali. Ogni tosse e febbricola creeranno il sospetto sul vicino di banco, e la paura del contagio da Coronavirus.
I banchi monoposto, i doppi turni, ed il contingentamento delle classi non saranno sufficienti a dare sicurezza. Ogni ragazzino febbricitante verrà sottoposto a: isolamento in un camera apposita dell’Istituto, visita medica e, forse, tampone rinofaringeo. Poi si dovranno attendere 24-48 ore, o più, per la risposta. Nel frattempo tutti staranno all’erta e disposti all’autoisolamento fiduciario.
Se verrà accertato più di un caso , l’Istituto potrà essere chiuso in quarantena.

Ogni ragazzo sospetto indurrà la caccia a tutti i “contatti” dei 14 giorni precedenti. Per il tracciamento dovranno essere eseguiti dai 100 ai 150 tamponi (prof. Andrea Crisanti). In alternativa il Governo sta valutando lo screening di tutti gli allievi dell’Istituto con i tamponi per “test rapidi”. Nel caso un  ragazzo positivo venisse isolato, lo sarà anche la famiglia.
A queste condizioni è evidente quanta ragione abbia avuto Mario Draghi quando ha dichiarato, in un consesso economico: «E’ necessario eseguire i test di massa per rilanciare l’Economia». Ne beneficerebbe anche la Scuola.

E’ auspicabile che i buoni Politici sollecitino lo sviluppo dello screening con tampone e rimuovano gli oscuri ostacoli per cui oggi è ancora difficile ottenere l’esame.
A conclusione si deve convenire che il “ritardo” di Carbonia Iglesias nella attivazione del suo processatore di RNA virale, è il massimo avversario a cui si trova di fronte il nostro territorio.
Si concorda con Carlo Bonomi, presidente di Confindustria: «…questo ritardo è incomprensibile…».

Mario Marroccu

 

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Oggi negli Ospedali le “liste d’attesa” non sono più lunghissime, sono mostruose. Prendiamo il caso delle visite diabetologiche, cardiologiche, neurologiche, internistiche, pneumologiche, e anche oncologiche: siamo sicuri che l’allungamento dei tempi d’attesa, stabiliti per regolamento anti-Covid, sia meno dannoso del Covid stesso? La Sanità per le patologie più comuni è come “congelata”, immobilizzata da regolamenti.
Oggi se ne parla nella stampa perché è deceduto un noto avvocato sassarese, fratello di un esponente politico di spicco, a causa di un “aneurisma dell’aorta” diagnosticato tardivamente per effetto delle norme di distanziamento dell’Ospedale dal Cittadino.
E’ bene riconoscere rapidamente che oggi nulla è come prima, e che il Covid ha cambiato molte cose della nostra vita quotidiana; soprattutto ha “distanziato” gli Ospedali dal Cittadino.
Occorre un “nuovo contratto” tra Pazienti e Ospedale.
Per noi sulcitani la città di Cagliari, con i suoi mille ospedali, è ormai ad una distanza intollerabile a causa degli ostacoli posti dalle norme anti-Covid.
Abbiamo la necessità assoluta di abbreviare la distanza dai Servizi. L’unico modo consiste nell’istituire qui, vicino alle nostre cittadine, tutto il Servizio sanitario che ci serve quotidianamente.
Voglio portare ad esempio un caso recentemente rimbalzato su Facebook sui tormenti di una famiglia isolana che, nel periodo di Ferragosto ha chiesto soccorso per una ragazzina di 13 anni.
La ragazzina cominciò a lamentare, di sera, dolori al quadrante inferiore destro dell’addome, accompagnati da nausea, vomito e febbricola. Durante la notte peggiorò. La madre la condusse al Pronto Soccorso di Carbonia. Qui, dopo il “triage” e la fila d’attesa, la paziente venne visitata. Il medico era indeciso. Alla fine riferì alla madre che, data l’età, il caso non poteva essere trattato a Carbonia ma presso un Servizio specialistico di Pediatria.
La madre prese la figlia e la condusse ad Iglesias. Erano le 2.00 di notte. Qui il Pediatra si orientò per una patologia chirurgica e consigliò il ricovero presso la “Chirurgia pediatrica” del Brotzu a Cagliari. Alle 4.00 di notte la famiglia riprese il viaggio. Giuntavi alle 5.00, dopo un’altra fila d’attesa, la bambina venne vista dal chirurgo. Questi decise di seguire un comportamento “attendistico”: non ricoverò la paziente e la rispedì a Sant’Antioco. Verso le 7.00 del mattino la famigliola era a casa. Fortunatamente la piccola paziente oggi sta bene.
La madre su Facebook ha lamentato: il disagio, le sofferenze, l’attesa, le incomprensioni, la stanchezza di una notte di viaggi, l’atteggiamento “respingente” legato alle regole di distanziamento, e la sostanziale “inutilità” di tutto.
Dopo la pubblicazione sono comparse altre segnalazioni simili.

Questo fatto documenta la necessità che le Autorità si dedichino a studiarci sopra. Vi sono contenute: segnalazioni, denunce di disagio e sottintesi suggerimenti per il ripristino della normalità.
Analisi degli elementi salienti:
– Il medico di base, per regolamento anti-Covid, può solo raccogliere l’anamnesi telefonica e spedire in ospedale il paziente.
– All’ospedale di Carbonia non c’è più la Pediatria da 10 anni, e non si operano più i bambini da 37 anni.
– Ad Iglesias è stata chiusa la “Chirurgia pediatrica”. Oggi il Servizio si trova solo a Cagliari.
– Il chirurgo pediatra di Cagliari, in questo caso specifico, ha scelto un atteggiamento di tipoosservazional, attendistico”, e ha rispedito a casa la bambina nella supposizione che potesse guarire spontaneamente. Naturalmente, questa scelta attendista comporta anche la raccomandazione di ripresentarsi nel caso peggiorassero i sintomi. Questa scelta è logica nel contesto di un regolamento di distanziamento Covid, ma è assurda e deleteria per chi deve adeguarsi: la famiglia. Nessuno ha tenuto conto delle enormi distanze percorse dalla piccola paziente per raggiungere dapprima Carbonia, poi Iglesias e, infine Cagliari alle 2.00 e alle 4.00 della notte. E’ evidente che anche il programma di controllare un sospetto “addome acuto” su una paziente che risiede a 100 chilometri di distanza è intollerabile. Ed è intollerabile la minimizzazione schematicamente burocratica di questo fatto così grave. Se si va ad analizzare, si scopre che nessuno ha la benché minima responsabilità per tanta carenza sanitaria. La burocrazia difensiva ha vinto.
– Se la paziente fosse stata ricoverata subito in osservazione a Carbonia, con la corretta assistenza pediatrica, avremmo avuto la soluzione ideale. Ma non si può fare per due motivi. 1: Non c’è più la Pediatria. 2: Non vengono più operati i ragazzini sotto i 17 anni.

Il fatto raccontato ci obbliga a prendere coscienza che le nostre città del Sulcis Iglesiente sono, da un punto di vista sanitario, una periferia sottoservita. La carenza di Sanità, Scuola, Lavoro, scoraggiano le giovani coppie dall’avere figli e inducono a lasciare il territorio per stabilirsi dove ci si sente più sicuri. Si chiama: “Spopolamento”.

Fino a 37 anni fa, non era così.
Tutti i bambini e gli adolescenti fino ai 16 anni venivano ricoverati all’Ospedale di Carbonia, o di Iglesias, e qui venivano osservati, studiati, curati ed operati. Si operavano con successo casi difficilissimi. Tra le corsie di Chirurgia Generale vi erano corsie per i bambini. Questi venivano operati regolarmente per tutte le urgenze addominali, urologiche e traumatiche.
Un caso che vale la pena citare, come urgenza pediatrica, avvenuto al Pronto Soccorso di Carbonia, è quello che segue. Un giorno molto lontano di almeno 50 anni fa, un giovane signore conduceva per mano una bimbetta di 4 anni. Una manina teneva quella del padre; l’altra teneva una bambolina. All’apparenza la bambina stava bene, ma il padre, per prudenza l’aveva portata a controllo al Pronto Soccorso. Era successo che, mentre imbiancava i muri di casa, stava su una scala “a libro”. La scala era caduta colpendo la bambina a sul fianco sinistro. Apparentemente non era successo nulla. All’improvviso la bambina chiese di fare la pipì: urinò sangue. Poi sbiancò ed il polso divenne impercettibile. Era in quel momento in sala operatoria il professor Lionello Orrù. Uscì in fretta; visitò la bambina e si orientò subito per la diagnosi di “anemia emorragica acuta da rottura del rene sinistro”. Valutò anche il fatto che la scala, cadendo, aveva contuso il fianco sinistro e, tra il fianco ed il rene c’è la milza. La bambina venne subito portata in sala operatoria. In pochi minuti era già in condizioni disperate. Il Professore aprì l’addome. Era pieno di sangue.
Rimosse il sangue e vide che proveniva dalla milza, che era spappolata. Asportò la milza. Subito la pressione arteriosa della bambina risalì; il ritmo cardiaco migliorò, e l’anestesista disse: «Professore…presa per i capelli». Esposto il rene sinistro, ne suturò un’ampia rima di frattura. La bambina sopravvisse e penso che oggi sia madre e nonna. Se questo fatto fosse avvenuto oggi, la bambina non si sarebbe salvata.
Questa chirurgia, fino al 1983, si faceva comunemente sia sugli adulti che sui pazienti pediatrici. Si operarono migliaia di appendiciti acute, ernie strozzate, peritoniti, occlusioni intestinali, e andavano bene. Fino ad allora il Chirurgo generale operava regolarmente anche i bambini. Poi il caso veniva seguito dai Pediatri fino alla dimissione.
Nel 1983 venne inaugurato il reparto di Chirurgia pediatrica al Fratelli Crobu di Iglesias. Da allora nei reparti di Chirurgia Generale non si operarono più i bambini.
Oggi le cose si sono capovolte rispetto al 1983. La Chirurgia Pediatrica di Iglesias è stata chiusa da qualche anno ed i bambini, fino ai 16 anni, devono recarsi a Cagliari.
Secondo la teoria degli “Hub and Spoke” noi siamo i raggi ( spoke) e Cagliari è l’Hub, cioè il centro della ruota verso cui devono convergere i raggi. Lì devono convergere tutti i malati pediatrici.
Si può capire che questa teoria possa essere valida per i trapianti d’organo, la cardiochirurgia e la neurochirurgia, ma per tutte le altre chirurgie addominali urinarie e traumatologiche, questo non ha senso. Ne stiamo vivendo le conseguenze.
E’ necessario che le nostre Chirurgie generali si facciano nuovamente carico dell’assistenza ai pazienti pediatrici. Naturalmente devono urgentemente riaprire le Unità specialistiche di Pediatria.
Oggi che Cagliari è stata resa ancora più lontana dalle norme di distanziamento anti-Covid, dal traffico pazzesco e dall’atteggiamento respingente dei Pronto Soccorso per eccessivo carico di lavoro, abbiamo la necessità assoluta di riprenderci la nostra Sanità, e ridiventare autosufficienti, ricostituendo i nostri Ospedali.
Naturalmente è necessario che l’opinione pubblica sia consapevole di questi fatti dimenticati e spinga i Politici competenti e i Sindaci, a farci restituire tutto il maltolto.

Mario Marroccu

 

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A Carloforte, in pochi giorni, è stato circoscritto e spento sul nascere, un potenziale focolaio di Coronavirus. L’attore principale del colpo di mano è stato il sindaco Salvatore Puggioni. Ha applicato quella che gli scienziati Americani chiamano: regola delle “3T” (Tracciare-Testare-Trattare). E ha vinto. Non solo. Ha trascinato tutto il Sulcis nell’applicazione del metodo. Oltre ai 21 casi dell’isola (17 di residenti di Carloforte, 3 di Sant’Antioco e 1 di San Giovanni Suergiu), sono stati identificati ed isolati 1 caso a Narcao e 1 a Sant’Antioco (con altri 200 tamponi). Bonificata la zona.
Il primo ad applicare questo metodo fu, tra febbraio ed aprile, il professor Andrea Crisanti nella cittadina di Vò Euganeo, in Veneto. Quella cittadina, assieme alla cittadina lombarda di Codogno, furono i centri in cui si svilupparono i primi focolai di Coronavirus. Tuttavia, nei due centri, l’evoluzione dell’epidemia fu diversa: a Vò Euganeo il focolaio si spense; a Codogno avvenne la diffusione verso Bergamo, Brescia, Milano. Nel primo caso, fu salvata l’intera regione Veneto; nel secondo caso, fu compromessa l’intera regione Lombardia.
Il professor Andrea Crisanti è uno studioso di Microbiologia e Virologia specializzatosi ad Oxford. Quando, a gennaio, iniziarono ad arrivare in Italia le notizie dell’epidemia a Vuhan, egli capì immediatamente quale sarebbero state l’evoluzione e diffusione globale.
Già allora, esistevano gli strumenti per decodificare lo RNA virale col PCR (Polimerase chain reaction). Questa tecnica, ideata negli anni ’90 per la decodifica del DNA, consente di vedere ciò che non si può vedere con i comuni microscopi di laboratorio. I “geni” vengono amplificati dall’enzima Polimerasi e, con una reazione a catena, vengono ingranditi, poi con un metodo di migrazione elettrica delle molecole (“foresi”), vengono visualizzati nel computer, sotto forma di bande colorate. Queste “bande”, di varia lunghezza e spessore, dello RNA virale, sono come il codice a barre dei prodotti esposti nei supermercati. Ogni virus ha un suo “codice a barre” e se ne possono identificare le mutazioni. Con tale metodo, è stato possibile identificare la breve sequenza di RNA che sintetizza la “proteina Spike” che riveste il virus e che, come il vischio per gli uccelli, si attacca alle cellule della preda umana.
L’avere identificato la sequenza per la proteina “Spike”, ha consentito agli scienziati di aprire le porte alla preparazione di un vaccino specifico, senza dover usare tutto il virus. Per questo, i ricercatori, compresi quelli dell’azienda IRBM di Pomezia, pensano di poter ottenere un vaccino non pericoloso. Il vaccino, infatti, non sarà costituito dall’intero virus attenuato, ma da una minima frazione: cioè solo la sequenza di RNA virale che sintetizza la proteina “Spike”.
Tuttavia, il vaccino non è pronto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità pretende che si portino a termine tutt’e tre le fasi di sperimentazione sull’Uomo. La precipitazione potrebbe costare cara. Fino al momento della disponibilità mondiale del vaccino.

La prima volta che si utilizzò la tecnica di diagnosi ed isolamento dei pazienti colpiti dal morbo, fu nel 1378, con Bernabò Visconti. Egli istituì gli “Ispettori di Sanità”. Questi avevano il compito di individuare gli infetti. Poi arrivava l’esercito che procedeva ad inchiodare porte e finestre, rinchiudendo dentro le loro abitazioni gli appestati; il cibo veniva lanciato da debita distanza. Nel caso tutti morissero, si procedeva ad incendiare l’abitazione, per distruggerne il suo contenuto. Il metodo fu rude ma efficace. La mortalità per peste in Lombardia fu bassissima. Quel metodo di individuazione e trattamento, raggiunse lo scopo.
A Firenze, invece, fu una strage. Nel 1423, il doge di Venezia mise a punto la tecnica dell’“isolamento”. Individuò l’”isola di Santa Maria di Nazareth” per riunirvi tutti gli appestati. L’isola venne data in gestione all’Ordine di San Lazzaro. Dalla fusione dei nomi “Lazzaro” e “Nazareth”, derivò il termine “Lazzaretto”.
La “quarantena”, invece, era stata ideata molti secoli prima, da Ippocrate di Kos. Egli sosteneva che una malattia acuta si manifesta entro 40 giorni dal contatto con uno colpito dall’epidemia. I Francesi nel Medio Evo chiamarono quel lasso di tempo “une quarantaine de jours”. Da cui “quarantena”.
Come si vede, la regola delle “3T” ha radici molto antiche ed i metodi per applicarla furono senza dubbio rudi nel passato ma sono “gentili” oggi. L’ingentilimento del metodo attuale, deriva tutto dalla tecnologia. Abbiamo oggi a disposizione il “sequenziator” di DNA. Lo strumento decodifica l’RNA virale e riproduce il corrispondente DNA. Questo viene amplificato e sottoposto a “foresi”, per conoscere il “codice a barre” del virus infettante.
Il prelievo è molto semplice: si esegue con un microtamponcino che entra in contatto con la mucosa delle cavità nasali e con quella del faringe. Queste sono sedi particolarmente ricche di virus nei casi positivi. Il paziente che viene identificato è molto fortunato: viene seguito e curato precocemente, inoltre viene isolato in modo da non contagiare la propria famiglia ed i compagni di lavoro. Il risultato è duplice: la cura del paziente e la tutela della società.
La sequenza di atti clinici che ho descritto, è semplice dal punto di vista metodologico e strumentale, tuttavia è difficilissima dal punto di vista umano. Infatti, non tutti riescono a riprodurre i risultati ottenuti a Vò Euganeo dal professor Andrea Crisanti. Nel caso dell’area sanitaria del Sulcis Iglesiente, esiste una difficoltà in più. E’ l’unica area in Sardegna che, fino al primo caso di Covid-19 a Carloforte, non era dotata dell’apparecchio estrattore di DNA. L’Amministrazione regionale non aveva ricompreso il Sulcis Iglesiente fra i destinatari di questo strumento.
Due mesi fa, dopo pressioni di gruppi di opinione come lo SPI CGIL di Carbonia e la Consulta Anziani di Iglesias, è intervenuto un Ente benefico privato, la Fondazione di Sardegna, che ha donato alla Regione la somma necessaria per l’acquisto dello strumento da destinarsi specificamente alla popolazione del Sulcis Iglesiente.
Dopo un lungo lasso di tempo, lo strumento è stato ordinato ed acquisito, tuttavia, quando esplose il focolaio di Carloforte non avevamo ancora un nostro strumento diagnostico in funzione.

Qui entra in gioco la genialità del sindaco Salvatore Puggioni. Non so come abbia fatto a riuscirci. Quando prese coscienza che in pochi giorni si era passati da 3 a 9 casi di Covid-19, ha messo in moto
una macchina complessa che ha utilizzato lo schema della “3T” degli Americani, usato dal professor Andrea Crisanti a Vò Euganeo. Ha sottoposto a screening di massa, con tampone faringeo, oltre 800 persone ed ha rilevato l’esistenza di ben 21 casi positivi fino ad allora insospettabili. Quindi ha coinvolto tutte le cittadine del circondario inducendo uno screening tra tutti coloro che, teoricamente, potevano essere entrati in contatto con il primo “gran diffusore” di virus che provocò il focolaio. Ha vinto.
Una volta individuato l’avversario. l’ha isolato mettendo al sicuro tutti. Questo fantastico esempio è da indicare a tutti i Sindaci del Sulcis Iglesiente. Se tutti mettessero in campo i talenti per cui vennero eletti, sicuramente scopriremmo che sono tutti titolari anche di una genialità sanitaria che alla fine salverà la nostra Sanità dal degrado a cui la programmazione politica passata e presente l’ha condannata.
I complimenti di questo giornale a Salvatore Puggioni sono sicuramente piccola cosa rispetto a quelli che ha ricevuto da Barbara Serra, la giornalista dell’emittente televisiva Al Jazeera di Londra, quando l’ha dichiarato “migliore di Boris”, ma sono altrettanto meritati.

Mario Marroccu

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Il 31 gennaio 2020, nel n° 334 del periodico mensile cartaceo “La Provincia del Sulcis Iglesiente”, quando il Coronavirus era ancora assai lontano dall’“invadere” l’Italia e, di lì a poco, la Sardegna, abbiamo pubblicato l’articolo di Mario Marroccu che ci sembra molto interessante ri-pubblicare e rileggere.

Un Coronavirus proveniente dai serpenti e dai pipistrelli sta provocando sintomi simili all’influenza, con casi mortali in Cina

Pandemia da Coronavirus di Vuhan. Osservatori planetari

Mentre gli scienziati americani e inglesi monitorizzano il mondo, in Sardegna le cose economiche e sanitarie non vanno proprio così.

Il professor Nicola Perra è un giovane professore associato della cattedra di Fisica nella facoltà di Economia dell’Università di Greenwich, in Inghilterra.

Maturato al Liceo scientifico di Sant’Antioco, si è laureato a Cagliari in Fisica Teorica, e si è specializzato al MIT di Boston negli Stati Uniti, dove fu Lettore Senior.

Perché un professore di Fisica insegna in una Facoltà di Economia in America e poi in Inghilterra? Perché le formule della Fisica di diffusione spaziale dell’energia, sia essa elettromagnetica o gravitazionale, avviene in forma di onde, simili a quelle che si generano nell’acqua di uno stagno quando vi si getta un sasso. Le stesse formule di “Fisica di diffusione delle onde” sono applicabili allo studio del modo in cui si propagano molti fenomeni riguardanti l’Uomo, come: le malattie contagiose, l’economia, le idee politiche, la pubblicità, la comunicazione, etc.

Già un anno fa, il professor Perra mi fece avere un suo libro scientifico intitolato: «CHARTING THE NEXT PANDEMIC. DIFFUSIONE DELLE MALATTIE INFETTIVE: DAI DATI AI MODELLI», pubblicato negli Stati Uniti.

Tale pubblicazione, altamente specialistica, contiene la cartografia delle possibili future epidemie e pandemie.

Tutti abbiamo notato come le maggiori Borse Europee, subito dopo le prime notizie sul contagio da animale ad uomo di un Coronavirus in Cina, hanno registrato un calo immediato del valore dei titoli azionari dei beni di lusso. Si teme che un’eventuale epidemia possa determinare il crollo della richiesta di beni di lusso da parte del consumatore cinese. Qualora i timori del mondo finanziario si estendessero ulteriormente, potremmo assistere ad un tracollo delle maggiori Borse mondiali, delle banche e, infine, degli Stati. I pericoli percepiti dal mondo finanziario possono indurre dinamiche di riduzione del valore dei prodotti industriali e, a valanga, il fallimento delle imprese ed il conseguente impoverimento della popolazione. Ecco perché le facoltà economiche del Regno Unito e degli Stati Uniti finanziano un gruppo di Fisici, Biologi ed Economisti per redigere studi di previsione delle diffusione geografica delle malattie contagiose che potrebbero influenzare negativamente l’Economia mondiale. Lo scopo è quello di opporre, in tempo, provvedimenti atti a contrastare il degrado economico.

Il libro del professor Nicola Perra non è un testo profetico. È uno strumento che consente di formulare modelli matematico-fisici, basati su algoritmi che disegnano il decorso di future pandemie. Analizza il carattere degli agenti infettivi e fa un salto di qualità nello studio delle dinamiche di diffusione, tenuto conto delle variate condizioni di mobilità della popolazione mondiale.

Quando parliamo di pandemie, ci riferiamo a quelle più note del passato. È utile ricordare che i virus ed i batteri sono specie-specifici. Ovverosia, se si sono adattati geneticamente a vivere dentro le cellule di esseri di una data specie, come ad esempio i mammiferi, gli uccelli, i sauri o gli antropomorfi e l’uomo, vivono sempre come ospiti nella stessa specie e non passano ad altre forme di vita, cioè “non fanno il salto di specie”. Quindi un virus degli uccelli non contagia la specie umana o altri mammiferi.

Tuttavia, nella storia, a causa di mutazioni genetiche, il “salto di specie” è avvenuto più volte. Per esempio il Plasmodio della malaria, millenni fa, era specie – specifico per certe scimmie africane; poi, per una improvvisa mutazione, si è adattò all’uomo, e la malaria si diffuse su tutto il pianeta attraverso i percorsi delle migrazioni umane. Il virus della HIV, similmente, era specie-specifico esclusivamente per le scimmie africane, poi ha fatto il salto di specie passando all’uomo. Similmente è successo per il virus Ebola.

Un virus degli uccelli che annualmente passa con facilità dalla specie aviaria a quella umana è quello dell’influenza, la cui evoluzione, in genere, è abbastanza benigna. Ma non è stata sempre così benigna; nel caso dell’influenza Spagnola del 1918 la mortalità fu altissima. Nel 2002 un Coronavirus degli uccelli fece il salto di specie all’uomo ed avemmo l’epidemia di SARS. Avvenne in Cina nella provincia di Guangdong (Canton).

Nel 2012 fu la volta di un altro Coronavirus che fece il salto di specie passando dallo Zibeto, un animale selvatico della penisola Araba, all’uomo. L’epidemia fu chiamata MERS, e fu più mortifera della SARS (40% di mortalità fra gli infetti, come nel caso della Spagnola).

Da pochi giorni si è saputo che un altro Coronavirus, questa volta proveniente dai serpenti e dai pipistrelli, ha subito una mutazione genetica ed ha acquisito la capacità di infettare l’uomo compiendo il salto di specie. Si tratta del virus che sta provocando sintomi simili all’influenza, con casi mortali, nella città di Vuhan, in Cina.

Già due anni fa, il libro di Nicola Perra ha previsto questa nuova epidemia di Coronavirus in Cina. Non è un libro profetico, è invece un compendio di calcoli matematici con cui è possibile elaborare mappe e grafici che rendono possibile prevedere l’andamento e la diffusibilità di future pandemie. Le elaborazioni tengono conto di nuove variabili introdotte dal modo di spostarsi dell’uomo sulla superficie del pianeta terra. In un capitolo egli scrive: «È interessante ed estremamente rilevante nella comprensione della diffusione delle malattie infettive, osservare le differenze di tipologia tra il lungo raggio ed il corto raggio della mobilità della rete (aerea)».

Egli continua poi distinguendo il diverso modo di diffusione del contagio che può essere generato dai viaggiatori d’aereo “pendolari” (come potremmo essere noi quando percorriamo brevi tratte come Cagliari-Roma), ed i viaggiatori delle lunghe tratte intercontinentali.

Nella seconda parte del libro, esistono molte carte del planisfero terrestre in cui viene prevista la diffusione mondiale delle future possibili epidemie secondo le città di origine del focolaio. Rappresenta, su carta delle rotte aeree, la diffusione mondiale di epidemie insorte in città come: Barcellona, Melbourne, New York, Joahnneburg, Hanoi, Buenos Aires, Lagos, Kisangai (Congo), Arna (Uganda), Jeddah e, infine, la diffusione internazionale di un Coronavirus da Guanzhou (Canton) in Cina. Per questa città, già due anni fa, disegnò la mappa delle rotte aeree che il Coronavirus avrebbe preso (oggi) per diffondersi da lì al mondo intero. Ricordiamo che Guanzhou è la città da cui, nel 2002, prese inizio l’epidemia di SARS. Non è molto distante da Vuhan.

Nelle mappe e nei grafici allegati, descrisse esattamente in quanto tempo la malattia avrebbe raggiunto l’Australia, l’Indonesia, gli Stati Uniti (già oggi lo stiamo sentendo dai telegiornali) e, infine, l’Europa. Ma non si limitò a questo. Previde gli strumenti che si sarebbero dovuti adottare subito per limitare l’estensione dell’epidemia e cioè: l’interruzione delle rotte aeree e la diffusione dei vaccini. Previde in quale percentuale si sarebbe limitato il danno in base alla tempestività dei provvedimenti.

Un testo, come questo del professor Perra, che ho rapidamente sintetizzato, non è destinato al pubblico, ma agli operatori politici ed economici degli Stati. Gli operatori finanziari, che hanno fatto cadere in Borsa il valore dei titoli dei beni di lusso alcuni giorni fa, basano le loro operazioni su strumenti scientifici come questa pubblicazione. Alla luce di essa il mondo economico produce i suoi anticorpi contro le crisi finanziarie e produttive che potrebbero conseguire a danno delle aziende. I benefici di queste previsioni, dovrebbero ricadere a cascata su tutti noi.

A nostra insaputa, esistono guardiani sanitari ed economici del pianeta, anche contro il Coronavirus della città Vuhan. Dobbiamo prendere atto che mentre gli scienziati americani e inglesi (nati e formati a casa nostra) monitorizzano il mondo, da noi, nel nostro piccolo angolo di Sardegna, le cose sanitarie ed economiche non vanno proprio così.

Mario Marroccu

Il professor Nicola Perra, da qualche giorno si trova in vacanza nella “sua” Sant’Antioco. Ne abbiamo approfittato, per intervistarlo.

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Il campionato mondiale 2020 di motociclismo si sviluppa su 13 gare da disputarsi in 4 mesi. Le prime due sono state corse a Jerez, in Andalusia, una città a 12 km dall’Oceano Atlantico, e a 85 km da Gibilterra. E’ una provincia bellissima fin dai tempi della dominazione moresca.
Nel corso della prima gara, il campione del mondo in carica Marc Marquez ha fatto un capitombolo a 149 km orari, in curva. Ha volato in alto come un proiettile. Durante quel secondo di volo si è attivato l’air-bag della tuta che gli ha evitato di sfracellarsi; tuttavia, mentre il corpo planava a terra, il braccio destro, disteso in avanti a protezione, è stato investito dalla ruota anteriore della moto, che a sua volta volava un po’ dietro di lui. Miracolosamente il danno si è limitato ad una frattura scomposta della parte lunga dell’omero.
Marc Marquez fa parte della scuderia della Honda. Gli altri atleti corrono per altrettante case produttrici di motociclette. Il gruppo è costituito da un capitale umano ed economico pregiatissimo del mondo motociclistico e gode di tutele di alto livello. Viene seguito, ovunque si muova, da una “Clinica mobile” che si prende cura dell’integrità dei loro corpi, data l’alta esposizione agli incidenti. Per la parte traumatologica, il gruppo di atleti è stato curato, fino a poco tempo fa dal mitico dottor Claudio Costa. Attualmente, il responsabile medico traumatologo è il dottor Xavier Mir, che esercita nella Dexeus University di Barcellona.
Il dottor Mir, dopo aver ridotto la frattura ed immobilizzato il braccio, ha sistemato Marc Marquez su un aereo e l’ha portato nella sua Università a Barcellona. Lì, lo ha operato 48 ore dopo l’incidente.
Il paziente non aveva sintomi neurologici alla mano. Muoveva bene dita e mano, sia in estensione sia in flessione, ed era capace di eseguire una presa e rilasciare. Non aveva disturbi ai movimenti del pollice e non presentava disturbi sensitivi. La clinica dimostrava che tutt’e tre i nervi importanti del braccio erano integri (radiale, mediano, ulnare). Il nervo che in questi casi corre più pericoli è il nervo radiale. Questo nervo, ad un certo punto, corre lungo un solco osseo e si rompe quando la rima di frattura è vicina. Allora il guaio è serio. Compaiono disturbi sensitivi e difficoltà ad aprire la mano; fatto che compromette la capacità di manipolare i comandi nel manubrio della moto. In tali casi, è necessario preparare chirurgicamente i due monconi di nervo e procedere alla “riunione fascicolare microscopica”. Il recupero avviene, se l’intervento riesce, in 6 mesi. Comunque, prima dell’intervento, non c’erano sintomi da compromissione del nervo radiale.
A questo punto, parole di Xaver Mir: «Si poteva ricostruire la continuità dell’osso inserendo nel suo canale interno un chiodo endomidollare di titanio», oppure si poteva applicare una placca in titanio da avvitare su un lato dei monconi. Il dottor Xavier Mir ha optato per la seconda scelta: ha praticato un’ampia incisione sul versante postero-laterale del braccio; ha isolato il nervo radiale; poi ha fissato con 10 viti una lunga placca di titanio direttamente alla parte esterna dell’omero fratturato, raddrizzandolo. Quindi ha fissato un frammento osseo, che si era staccato, con due viti ai monconi maggiori. In tutto 12 viti. Con questa tecnica si vuole che la placca funga da “stampella” all’omero e, su questa guida si formi il callo fibroso, e poi osseo. Si paga, tuttavia, il prezzo di un ampio taglio e 12 viti che, perforando l’osso, lo indeboliscono intaccandone la continuità strutturale.
E’ stata una buona scelta? Secondo la “AO Trauma Foundation” lo è stata. Secondo il mitico Claudio Costa, no. Lui l’aveva detto subito: «…per accelerare i tempi di recupero bisognava intervenire con un chiodo endomidollare, non con una placca. […] Avrei consigliato di rischiare un po’ e di mettere un chiodo, per fare un impianto più affidabile dal punto di vista della traumatologia motociclistica. Probabilmente, hanno pensato che con una placca più grande e più viti, l’impianto potesse tenere; me lo auguro. Il chiodo, probabilmente, viene tenuto come emergenza in caso di malaugurata sfortuna».
E la “sfortuna” c’è stata. Dopo 3 giorni dall’intervento Marc Marquez è salito in moto, per fare un giro di prova, e la placca si è rotta. Alla fine del giro, il campione non sentiva più la mano. Brutto segno di compromissione dei nervi del braccio. Adesso il braccio è inutilizzabile.
Dalla radiografia si vede chiaramente che la placca, con le sue 12 viti, non può dare la certezza dalla guarigione senza altre rotture in caso di banali cadute. E si vede chiaramente che, invece, il chiodo endomidollare, mostrato nella radiografia di un altro paziente fratturato di omero, operato a Carbonia, dà più sicurezza. Se il povero Marc Marquez si fosse fratturato l’omero nei tornanti del Sulcis Iglesiente sarebbe stato operato da noi con l’inserimento di un solido “chiodo endomidollare”, ma ad una condizione: avrebbe dovuto aspettare in “lista d’attesa” per 8-10 giorni, come tutti, perché da un po’ di tempo i nostri Ospedali sono carenti di Anestesisti ed Ortopedici. E bisogna aspettare. Ma Marc Marquez non aspetta.
Questa della “lista d’attesa” è un problema che non riesce ad entrare nella testa dei politici che ci hanno governato e di quelli che ci governano ora. L’umiliazione delle “liste d’attesa” viene subita da tutti con una rassegnazione tipica dei sardi, sopravvissuti a secoli di dominazioni straniere.
Però, pochi giorni fa, abbiamo avuto il fulgido esempio di un sarda che non si è rassegnata ad aspettare i tempi della assistenza ospedaliera: si tratta della bambina di Calasetta che, dopo una corsa non ha atteso ed ha preferito nascere in macchina prima di arrivare al CTO d’Iglesias.
Certamente questo non sarebbe successo se il Reparto di Ostetricia si fosse trovato ancora a Carbonia, che si trova a 27 km da Calasetta, e non a 50 km come è invece il CTO di Iglesias. Pertanto, non ce l’ha fatta.
Quattro anni fa il reparto di Ostetricia e Ginecologia di Carbonia venne soppresso. Quel taglio, attuato nell’assurda credenza che dovesse tradursi in un risparmio, in realtà si è trasformato nello immiserimento dell’Ospedale e nell’aggravio di spese per le famiglie. Alcune portano le gravide a termine ad Iglesias, ma le più ricorrono agli Ospedali di Cagliari, spendendo più soldi e facendo più sacrifici. Questo assurdo allungamento della percorrenza per raggiungere i Servizi Ospedalieri equivale, per sofferenza e spese, all’allungamento delle “liste d’attesa”.
La fantastica bambina di Calasetta ha rotto l’incantesimo: ha dimostrato che si può nascere secondo i ritmi della natura. La “Burocrazia sanitaria” con lei non ha vinto.
Tanti Auguri alla bambina calasettana, al povero Marc Marquez, e anche a noi.

Mario Marroccu

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Il supercampione di motociclismo Marc Marquez sta gareggiando per il titolo mondiale. Per conquistare il titolo di campione del mondo deve accumulare più punti possibile nelle tredici gare ancora in programma.
Oggi è in testa, ma l’incidente di 5 giorni fa lo ha compromesso: è caduto dalla moto in corsa, procurandosi una frattura trasversale del più importante osso del braccio: l’omero. E’ stato immediatamente operato.

In questi casi si applica un chiodo endomidollare con placche da avvitare all’osso. Due giorni dopo l’intervento Marc Marquez ha dichiarato di voler comunque partecipare alla prossima gara che si correrà, a Jerez in Andalusia, esattamente alla distanza di 7 giorni dalla caduta. E’ sceso in pista per le prove ma s’è poi dovuto arrendere al dolore e, inevitabilmente, non potrà essere al via della gara. Il suo rientro in pista sarà rimandato, probabilmente alla prossima gara in calendario.
Nel mondo degli sportivi c’è stata un’esplosione di entusiasmo, stupore, ammirazione. Questi sentimenti sono rivolti all’équipe di chirurghi ortopedici che hanno riparato l’omero di Marc Marquez, e a Marc Marquez stesso: la bravura dei primi e la determinazione del secondo hanno reso possibile l’impossibile.
E’ l’apoteosi dei superuomini. Esseri che vivono lontano dai comuni mortali, in un mondo irreale ed inarrivabile che forse esiste solo nella fantasia.
Alt! Fermi tutti!
Inarrivabili sono Marc Marquez e la sua moto Honda. Invece è raggiungibile l’èquipe chirurgica capace di fare quell’operazione. Ne è prova un tale che vive nelle nostre cittadine, classificabile come “Homo communis sulcitanus” che ha avuto un incidente simile e si è procurato una frattura dell’omero, esattamente come quella di Marc Marquez. Ebbene , è stato operato nella Traumatologia di Carbonia (ma poteva benissimo essere quella di Iglesias) e gli è stata riparata la frattura con l’inserimento nell’omero di un “chiodo endomidollare” rinforzato fa placche avvitate all’osso, esattamente come si è fatto a Marc Marquez. Questo tale è stato dimesso dopo 24 ore e, dopo 7 giorni, ha ripreso a guidare l’automobile.
Se Marc Marquez si fosse fratturato correndo nelle strade del Sulcis o nelle curve di Santangelo di Iglesias, cosa sarebbe successo? Sarebbe stato operato nello stesso identico modo dai nostri Ortopedici e, dopo 7 giorni, avrebbe fatto il bis di Jerez. Il risultato sarebbe stato identico e Marc Marquez sarebbe guarito e rimesso in sella, ma con una differenza: i nostri Ortopedici sarebbero stati costretti a metterlo in una lista d’attesa di 7-10 giorni a causa della carenza di Anestesisti. E’ quello che capita ai nostri fratturati. Naturalmente nel frattempo sarebbe stato assistito con fasciature rigide e sistemi contenitivi fino alla data dell’intervento.

Se Marc Marquez lo venisse a sapere, qui non verrebbe mai. Non certo per disistima dei nostri professionisti Ortopedici, ma per l’assurda attesa prima dell’intervento provocata da un’assurda mancanza di Anestesisti disponibili.
Oggi gli Anestesisti sono talmente pochi che, dovendosi dividere per soddisfare le esigenze di tutti i reparti chirurgici, sono costretti a concordare con i Chirurghi una “lista d’attesa” degli interventi.
Orbene, se questo capita ad un paziente giovane e sano, l’attesa si traduce in un allungamento delle sofferenze e della inabilità funzionale al lavoro, e alle esigenze fisiologiche.
Se invece questo ritardo capita ad un adulto attempato o ad un anziano (dai 50 anni in su) fratturato al femore, l’attesa provoca un aumento delle complicazioni mortali come: tromboembolia polmonare da emboli partiti da focolai di trombosi venosa profonda delle gambe e del bacino, o broncopolmoniti da allettamento prolungato. Tutto questo è ben noto a chi è del mestiere, però è poco noto alla popolazione.
Davanti a queste carenze di Medici Specialisti, che possono provocare sofferenze e danni irreparabili ai nostri Concittadini, non vediamo efficaci reazioni di risposta da parte dei nostri rappresentanti politici locali. Le poche reazioni, di cui leggiamo sui quotidiani, provengono soprattutto dalle Sindache del Sulcis Iglesiente; purtroppo, fino ad oggi, sono restate senza risposta da parte dell’Amministrazione regionale. Forse stiamo vivendo un periodo di carenza nella rappresentanza politica. A leggere i resoconti forniti dalla stampa, sembra che alcuni Sindaci del nostro territorio non si impegnino troppo a partecipare a queste riunioni di protesta. Ciò indebolisce molto la forza delle istanze che vengono formulate e indirizzate all’assessorato della Sanità.
Nonostante il disimpegno di qualche Sindaco, di cui ci ha informato la stampa e di cui la popolazione sta prendendo coscienza, l’unica via sicura per recuperare il controllo della Sanità del Sulcis Iglesiente è: rimettere nelle poltrone di comando delle ASL i rappresentanti delle nostre Amministrazioni comunali, così come è previsto dalla legge n. 833/78.

Mario Marroccu

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Tre giorni fa, all’Ospedale Sirai di Carbonia, il dottor Salvatore Ierna ha compiuto l’”Impresa”: ha riaperto un’arteria coronarica ostruita da una specie di “getto di calcestruzzo” fatto di aggregati cristallini di carbonato di calcio. Per curare una condizione del genere, non esiste una soluzione ideale. Certamente il paziente potrebbe essere operato introducendo un”by-pass”. Il “by-pass” è un trattino di vena che viene interposto collateralmente alle coronarie distrutte dal calcare e suturato all’arteria malata, sopra e sotto l’ostruzione. Il problema è che suturare un segmento di vena sana ad un’arteria malata come questa, è quasi impossibile.

In certi casi si può staccare chirurgicamente il “tappo di calcare” dalla parete arteriosa ma ciò che rimarrebbe dell’arteria sarebbe un velo di “tonaca avventizia” che potrebbe rompersi o trombizzare subito dopo l’intervento, con morte certa del paziente. Come fare per rimuovere il “tappo di calcare” dall’arteria senza operazione a “torace aperto”? E’ un problema gigantesco. Immaginate di avere un’incrostazione calcarea in un tubo d’acqua. L’acqua scenderà dal rubinetto goccia a goccia, poi alla fine non ne uscirà più. Se questo avviene a casa, si chiama un idraulico che sostituirà il tubo calcificato con uno nuovo. Altri cercheranno di disostruirlo, ma il risultato sarà deludente, perché il tubo si ostruirà di nuovo.

Ora il dottor Ierna ha disostruito l’arteria e l’ha protetta in modo tale che non si richiuda, superando diverse difficoltà.

Primo: il paziente era un soggetto “fragile”. Chi soffre di quella patologia alle coronarie, ne soffre anche in altre sedi vitali, come le arterie carotidi che nutrono il cervello, le arterie renali, l’arteria aorta, le arterie che irrorano le gambe.

Secondo: il dottor Ierna ha agito quasi alla cieca. Cioè, non aveva sotto gli occhi l’arteria coronaria chiusa, e neppure la poteva toccare per indirizzare il filo guida. Aveva una “visione virtuale”. Cioè vedeva l’intervento che stava eseguendo nelle immagini ricostruite in un monitor radiologico.

Terzo: il paziente non era collegato ad un apparecchio di rianimazione come avviene in cardiochirurgia, dove si opera a torace aperto.

La vita del paziente dipendeva dalla precisione dell’operatore, dalla velocità di esecuzione, dalla sua conoscenza dell’anatomia e dalla sapienza tecnica ottenuta con molto studio ed esercizio. Cioè con sofferenza personale, individuale ed indivisibile. L’intervento è stato sviluppato nella sua mente, in uno stato di assoluta solitudine.

Quarto: il chirurgo emodinamista ha necessità assoluta di un’assistenza illuminata, fedele, consapevole, pronta ed infaticabile di almeno due tecnici ultra-esperti ed insostituibili. Sono figure introvabili. I nuovi dovranno maturare anni di esperienza.

Raccontare come si fa è facile. Eseguirlo è assolutamente difficile.

Descrizione sintetica: il dottor Salvatore Ierna dapprima ha eseguito una coronarografia; cioè ha iniettato nelle arterie del cuore un mezzo di contrasto radio-opaco e ha visto, nel monitor, il disegno delle arterie. Una volta studiata la mappa di quelle arterie malate, vi ha infilato un “filo guida” sottilissimo, partendo da un’arteria delle braccia. Il filo guida è penetrato nella coronaria e si è arrestato nel punto di ostruzione.  A questo punto, sulla guida del filo e delle immagini radiologiche, è stata inserita una sonda speciale fino all’ostacolo ed è stata appoggiata sul “tappo calcareo”. Quindi è stato azionato il pedale che mette in funzione la fonte di ultrasuoni. Gli ultrasuoni emessi dalla punta della sonda hanno scaricato tutta la loro potenza sulla placca calcarea, rompendola.

Perché si rompe la placca? Perché ha una struttura cristallina come quella dei vetri. Le onde di ultrasuoni penetrano nella placca e si trasformano in energia che fa esplodere il cristallo di calcare. Durante la procedura si eseguono lavaggi per allontanare i microframmenti calcifici, e poi si prosegue nella perforazione, per creare un tunnel nella “roccia”. Una volta trovata la fine dell’ostruzione il filo guida passa, in territorio libero dell’arteria. L’intervento si conclude con la sistemazione dello stent, e il sangue riprende a nutrire le carni del cuore. La vita del paziente riprende a scorrere.

Grandiosa esecuzione, portata a termine per la prima volta in Sardegna.

Naturalmente queste capacità interventistiche non sono spuntate così, come un fungo, dal nulla, ma hanno avuto una gestazione di molti anni di preparazione, studio e viaggi di istruzione.

La nostra felicità è enorme.

Tutte le storie hanno un’origine più o meno lontana nel tempo. La storia delle Shockweaves (onde d’urto) per rompere le calcificazioni formatesi in posti sbagliati nel corpo umano, merita d’essere raccontata. Noi, a Carbonia, ne abbiamo un’antica esperienza, anche quella con la caratteristica del primato su tutti in Sardegna.

Le pietre che incrostano le coronarie hanno una struttura cristallina formata prevalentemente da carbonato di calcio. Lo conosciamo tutti molto bene: le scogliere bianche che vanno da Maladroxia a Coacuaddus sono di carbonato di calcio. E’ molto diffuso in natura. Nella patologia umana, lo troviamo nelle placche ateromasiche calcifiche e nei calcoli renali. In ambedue i casi, per distruggere le concrezioni, si usano  le onde d’urto ad ultrasuoni.

L’impiego di queste onde nacque dalla ricerca aerospaziale tedesca.

Negli anni ’70, gli Americani si erano resi conto che la parte più pericolosa di un viaggio spaziale non era la “partenza” da Capo Canaveral, ma il ritorno dallo Spazio, nel momento in cui la navetta entrava nell’atmosfera. Passando improvvisamente dal vuoto assoluto dello spazio all’atmosfera terrestre, era come se la navetta andasse a sbattere contro un muro e, sfregando su quel muro di “gas”, si generava un attrito eccessivo che sprigionava calore ad altissima temperatura. La temperatura era tanto elevata da fondere lo scudo termico metallico e uccidere l’equipaggio. Si capì che era necessario ricoprire lo scudo termico della navicella con un materiale coibente. Si pensò di incollarci sopra piastrelle di ceramica speciale. L’idea era corretta ma… avrebbero le piastrelle di ceramica resistito all’impatto? Era necessario scoprirlo e riprodurre in laboratorio quell’impatto. Gli Americani avevano come consulente lo scienziato Wernher Von Braun. Costui era stato il progettista, per la Germania nazista, dei primi missili balistici della storia: i V2. Esattamente quei missili che avevano martoriato Londra. La fabbrica che li produceva apparteneva alla famiglia Dornier. Era la famosa fabbrica degli aerei da guerra per la Luftwaffe, che produceva i caccia Messerschmitt ed i bombardieri Junker-Dornier. Alla fine della guerra, la fabbrica venne convertita in un  centro di ricerca aerospaziale e gli scienziati tedeschi, su richiesta degli Americani, misero a punto un sistema di produzione di “onde d’urto” (Shockweaves) per testare le piastrelle da incollare alla navicella spaziale. Le “onde d’urto” venivano generate con un sistema di elettrodi che produceva microesplosioni subacquee. Le “onde d’urto” che venivano emanate dalle esplosioni potevano essere indirizzate verso un bersaglio attraverso un apparato di puntamento costituito da specchi concavi. Al centro della parabola vi era il “fuoco” su cui si concentrava la somma della potenza di tutte le onde. Messe le piastrelle nel fuoco della parabola si potè testare la loro resistenza all’impatto.

Uno scienziato dell’Università di Monaco, il professor Chaussy, pensò che in quel modo si sarebbe potuto “sparare” energia contro i calcoli renali. Ne parlò con la famiglia Dornier proprietaria della fabbrica aerospaziale e ottenne la costruzione di un generatore di Shockweaves per uso umano. La macchina venne chiamata “Dornier 1”. Nel 1984 una delle prime pazienti italiane del professor Chaussy fu una signora di Carbonia che era nata con un rene solo e in più aveva un calcolo. Nel 1986 il professor Chaussy presentò la sua casistica a Madrid, nella casa di cura “La Luz”. In quella occasione venne presentata anche una nuova macchina, delle Storz tedesca, generatrice di onde d’urto  ad ultrasuoni, destinata a rompere i calcoli dentro l’uretere. Gli interventi dimostrativi furono eseguiti con successo dal proprietario della clinica, il professor Perez Castro Ellendt.

I primi allievi italiani presenti a quelle lezioni di addestramento furono il professor Francesco Rocco (Università di Milano), il dottor Michele Gallucci (poi direttore dell’Istituto tumori Regina Elena di Roma), ed un chirurgo di Carbonia.

Al ritorno da Madrid ne venne fatta un’accurata relazione al presidente del Sirai, Pietro Cocco. Era presente il ragionier Efisio Melis. La decisione di Pietro Cocco fu, come sempre, di poche parole: «Ragioniere, acquisti quella macchina da shockweaves per i calcolotici del nostro Ospedale».

Fu il primo apparecchio per “onde d’urto” venduto in Italia. Dal 1987 in poi vennero trattate a Carbonia centinaia di calcolosi dell’uretere senza operazione. Il nostro Ospedale fu anche in quel caso il primo e l’unico in Sardegna a fornire questa tecnica avveniristica. A Cagliari, si iniziò ad utilizzare questa tecnica dopo una nostra presentazione pubblica del metodo avvenuta nella sala congressi del Banco di Sardegna, nel 1991. Realizzammo dei videotutorial che spiegavano i segreti di Perez Castro per entrare nell’uretere, e presto in molti appresero la tecnica.

Di recente, questa tecnica è stata migliorata ed adattata alla rottura delle incrostazioni calcifiche dentro le arterie coronarie, e viene impiegata in pochi posti al mondo.

Ho voluto ricordare il fatto di 33 anni fa, per attirare l’attenzione sulle potenzialità che ha avuto sempre il Sirai nella crescita tecnologica. Da qui sono nati grandi professionisti che poi hanno arricchito di professionalità gli ospedali cagliaritani. Ricordiamo l’anestesista Paolo Pettinao che introdusse il Brotzu nell’era dei trapianti; il dottor Paolo Schiffini, che dopo l’esperienza maturata a Carbonia, si trasferì al Brotzu e fondò  l’angiografia interventistica; il dottor Antonio Macciò, che oggi rappresenta il massimo polo sardo di attrazione scientifica nella chirurgia oncologica laparoscopica al Businco e le cui ricerche condotte proprio nel laboratorio di Carbonia, vengono pubblicate dalle massime riviste di oncologia ginecologica americane ed inglesi.

Adesso il Sirai offre la novità assoluta delle shockweaves per disostruire le coronarie difficili.

Questo giornale da molti mesi sta attirando l’attenzione sul miserevole stato in cui versa oggi il nostro Ospedale, e non smette mai di esporre all’opinione pubblica il disastro organizzativo a cui è stato sottoposto l’organico della Cardiologia e, soprattutto, quello dell’Emodinamica del dottor Ierna. La procedura che ha eseguito va classificata fra le imprese di medicina interventistica più difficili che si conoscano e, per la sua enormità, contrasta con la povertà di personale di cui dispone.

Vista l’insensibilità e l’insipidità della nostra attuale e passata dirigenza politica regionale in sanità pubblica, dobbiamo suscitare l’interesse di tutti, per porre fine al degrado organizzativo a cui si sta sottoponendo la struttura ospedaliera del Sirai.

Dopo quanto premesso, appare ragionevole chiedere un congruo finanziamento per l’immediato reintegro dei Medici di Cardiologia e l’istituzione di una scuola di Emodinamica da affidare alla magistrale direzione del dottor Salvatore Ierna. Abbiamo bisogno che produca allievi. E’ evidente che ci vogliono finanziamenti per gratificare il sacrificio di quegli operatori. Deve cessare, comunque, avendo a disposizione una struttura specialistica così avanzata, l’assurda chiusura del Servizio di Emodinamica per 16 ore su 24, e la totale chiusura dalle 16.00 del venerdì alle 8.00 del lunedì successivo. Questo disastro, di stampo contabile, deve essere fermato.

Contemporaneamente, è assolutamente necessario ricostituire subito gli organici di Ortopedia, Radiologia, Gastroenterologia e, soprattutto, di Anestesia e Rianimazione.

Purtroppo, da anni ci stanno svuotando di competenze specialistiche a causa di due teorie che hanno fallito nella gestione degli Ospedali: una è la teoria del “Hub And Spoke”, cioè del centro della ruota e dei suoi raggi. Con questa si teorizza che chi sta alla periferia (raggi) debba trasferire le sue funzioni al centro (Hub). In questo modo, sono stati depressi gli ospedali territoriali e gonfiati quelli del capoluogo. L’altra teoria è il “governo per processi”, con cui si teorizza la gestione degli ospedali, mantenendo le attuali strutture ma modificando e codificando i processi con cui si usano. In questo modo, è stata tolta ai Primari la capacità di iniziativa. Esattamente quella iniziativa che ha avuto il dottor Salvatore Ierna, facendo una cosa assolutamente imprevista dai burocrati.

Ad un certo punto, verrà il momento in cui si accorgeranno che la partita la giocano e la vincono i campioni scesi  in campo e non i padroni del campo.

E adesso, invito tutti a tenere gli occhi aperti. Controlliamo se metteranno il dottor Salvatore Ierna nelle condizioni di lavorare oppure se alla fine riusciranno a farlo scappare.

Mario Marroccu

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L’epidemia di Covid19 è stata l’evento straordinario che ha legittimato la sospensione di libertà garantite dalla Costituzione e ci ha precipitato in uno stato di diritto medioevale. Abbiamo vissuto un periodo di diritti violati e sperimentato dal vero una forma di “archeologia sociale” da libri di storia.

Per due mesi sono stati sospesi diritti come: la libertà di movimento nel territorio, la libere frequentazioni sociali, il lavoro, le pratiche religiose, la scuola, gli hobby, gli sport, le manifestazioni popolari, le feste pubbliche e private, i contatti con i parenti stretti, i viaggi, il turismo, gli scambi commerciali, le pratiche professionali, le prestazioni sanitarie ordinarie, l’amministrazione della Giustizia ordinaria, etc. La sospensione di tutti questi diritti di cui siamo titolari si sintetizza in tre parole: mancanza di libertà. Più esattamente si tratta di tutte le libertà garantite dalla Costituzione. In sostanza vi è stata una “sospensione della Costituzione”. Un fatto così grave, tuttavia,  era necessario e ha dato i suoi frutti.

Per effetto di quelle “restrizioni di libertà” stiamo vedendo la cessazione dell’epidemia nella nostra Nazione e in quelle che ci hanno imitato.

Oggi, alla fine del lockdown, stiamo apprezzando il valore della  Libertà conquistata dai nostri Padri in secoli di lotte, sconfitte, sofferenze indicibili, e anche vittorie. Ci siamo svincolati dal viluppo di regole soffocanti ed ora dobbiamo riprendere a goderne i frutti.

E’ come se all’improvviso il Governo avesse emanato l’”Habeas Corpus”: la legge che per prima affermò che ognuno di noi è padrone del proprio corpo e che nessuno lo può tenere in detenzione senza un motivo giuridicamente accertato.

Nel Medio Evo l’autorità amministrativa, rappresentata da sceriffi o altri ufficiali, anche senza motivazione esplicita, e spesso a fini non penali (tributari, debiti privati, ordine pubblico), poteva arrestare chiunque e tenerlo in prigione, e anche torturarlo per strappare confessioni di colpevolezza infondata. Per la prima volta nella storia i Baroni inglesi nel 1215 imposero al re Giovanni Senza Terra la “Magna Charta Libertatum” in cui si afferma che “Nessun uomo libero può essere arrestato, imprigionato, danneggiato… Eccetto che dal Giudizio legale dei suoi pari e della Legge del Paese”. Il Giudice della Corona, che era un emissario del re, per effetto della “Habeas Corpus Act” rappresentò la prima più importante garanzia verso gli abusi, potendo scavalcare l’Ufficiale che aveva eseguito l’arresto. Fu una rivoluzione contro gli abusi.

Il diritto derivante dalla “Habeas Corpus”, per cui nessuno può essere detenuto a lungo in prigione, se non per applicazione della legge e del giudizio del tribunale, divenne legge definitiva in Inghilterra col “Bill of Rights “del 1688. Successivamente tale diritto venne  acquisito nel 5° e 6° emendamento della Costituzione Americana. L’”Habeas Corpus” fu una delle radici di tutte le Costituzioni Moderne.

Ne parliamo perché oggi, con la fine del lockdown, non ci sentiamo ancora completamente liberi: sentiamo che certe libertà non sono ancora tornate. Ci serve un “Habeas Corpus ad hoc” per noi. Ci serve ridiventare completamente “proprietari del nostro corpo”, cioè della nostra dignità. Ma non è facile.

Questo è il punto.

Abbiamo visto come è stato facile, con pochi decreti, perdere “la proprietà del nostro corpo” e tutti abbiamo assistito spaventati a scene di:

  • Uomini morenti nella congestione polmonare, dividersi disperati le insufficienti bombole d’ossigeno:
  • Pazienti morire senza poter vedere i propri cari.
  • Esseri Umani morire anonimi in stanze affollate di altri morenti sconosciuti, senza la riservatezza che la morte richiede.
  • File di bare tutte uguali stipate in magazzini anonimi, senza riti di cordoglio.
  • La fretta di smaltire le salme.
  • File di camion che portano con urgenza cadaveri in forni crematori anonimi all’insaputa dei parenti.
  • Sepolture senza nome ignote anche a mogli e figli.
  • Medici, Infermieri e Preti morire per spirito di servizio perché è necessario che sia così.
  • Corpi sottratti alla proprietà della famiglia.
  • Abbiamo visto famiglia rinchiuse in minimi appartamenti condominiali, senza la possibilità di uscire a fare due passi: corpi viventi senza  il diritto d’essere usati.
  • Scuole chiuse e alunni collegati in rete senza la presenza fisica dei compagni e degli insegnanti.
  • Fabbriche chiuse e operai in cassa integrazione.
  • Spiagge e campagne, senza presenze umane, sorvegliate dai militari.
  • Supermercati vuoti e file di persone “mascherinate”, a debita distanza, in file ordinate, anche per ore, in attesa di rapidi acquisti.
  • Laboratori artigiani, banche e uffici pubblici, vuoti, ma con file di utenti all’esterno degli ingressi.
  • Ospedali attrezzati con tende per i triage per la captazione dei Covid positivi,

Pronto Soccorso vuoti.

  • Reparti Ospedalieri quasi deserti.
  • Ambulatori ospedalieri e laboratori analisi chiusi.
  • Ingressi all’Ospedale contingentati e sorvegliati da guardie armate.
  • Ambulatori medici del territorio quasi deserti.
  • Feste popolari di ogni specie sospese,
  • Fine degli assembramenti e fine di contatti umani; fine degli scambi di idee e di sentimenti.

E’ la descrizione di una prigione collettiva in cui l’“Habeas Corpus” è abolito.

Il rischio sta nel fatto che se abolisci l’Habeas Corpus ricompaiono “sceriffi” e altre forme di abuso di autorità che ti possono mettere vincoli.

***

La lista dei vincoli che stanno emergendo e si stanno consolidando è enorme.

Limitiamo l’esame a due tipologie di vincoli.

Primo: quelli che stanno per calarsi sulla scuola.

Abbiamo letto questi giorni proposte varie accomunate tutte da una caratteristica: l’irrealizzabilità.

Ne riporto alcuni esempi :

  • Proposte di lezioni all’aperto in campi sportivi, come se fosse sempre estate.
  • Proposte di lezioni nei boschi, come se fossimo in Finlandia o Svezia.
  • Lezioni in classi ridottissime per garantire il distanziamento.
  • La necessità di suddividere gli alunni, e quindi di moltiplicare le classi, gli insegnanti e le aule.
  • Banchi monoposto negli asili e nelle scuole elementari per assicurare il distanziamento dei bambini, con l’obbligo di consumare i pasti nello stesso banco senza muoversi mai dall’aula. I bambini..fermi per ore?
  • Proposte di continuare le lezioni in “smart Working”.
  • Separazione degli alunni con barriere in plexiglas e mascherine perpetue sul volto.

Tutte le proposte che stanno emergendo, soprattutto a livello governativo, hanno l’effetto di moltiplicare i problemi  per evidente impraticabilità.

La Scuola, che è il “corpo Sociale” più importante ha perso la “proprietà” di se stesso.

Arriveremo al 14 settembre impreparati.

Eppure per riavere l’”Habesa Corpus” del diritto allo studio sarebbe sufficiente ascoltare la logica della scienza Si capirebbe così lo stupore del neopresidente di Confindustria Carlo Bonomi, che all’apertura degli Stati Generali, voluti da Giuseppe Conte, a Villa Panphilj, affermò: «Non ho capito per quale motivo in questi mesi di lockdown non si sia utilizzato il tempo disponibile per procedere allo screening, con tampone, di tutto il personale della scuola e degli alunni». Sarebbe stato l’unico modo per individuare i portatori del virus e creare un ambiente scolastico Covid free. Questo provvedimento avrebbe, da solo, consentito l’immediata riapertura delle scuole senza patemi d’animo.

Due mesi fa questo giornale fece esattamente la stessa proposta. Per questo avviò una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica per far acquistare l’estrattore di RNA virale per la ASL di Carbonia Iglesias.

Incredibilmente allora nessuno aveva provveduto a dotare il nostro sistema sanitario locale di un presidio di ricerca anti-Covid. E’ di questi giorni la notizia giornalistica che il Laboratorio Analisi dell’Ospedale di Nuoro ha, non solo l’estrattore di RNA, ma tutto il sistema che consente di trasferire l’RNA virale in una impronta di DNA e procedere alla decodificazione completa del virus.

Molto bene Nuoro, un applauso all’intelligenza e previdenza.

Noi no.

Se qualcuno avesse dotato il Sulcis Iglesiente di decodificatore, e se questo fosse stato utilizzato per mappare tutta la popolazione di 130.000 abitanti, oggi saremmo esattamente a conoscenza del nostro stato e potremmo esibire la nostra “patente di Immunità”.

Ciò vale per il personale delle scuole, degli Ospedali, dei Comuni, delle Poste, delle Banche, delle attività artigianali e Commerciali, dei Trasporti. Ne sarebbe conseguito un cartello “COVID FREE” da esibire ai turisti. Altro che “Bandiere Blu” per  spiagge!. Tutti i turisti, ospiti dei nostri alberghi, delle case vacanze, e anche degli affitti clandestini, sarebbero stati invitati a eseguire, gratuitamente, il “tampone”. Questo sarebbe il vero “Habeas Corpus” per il Sulcis Iglesiente.

Vi è poi il problema dello “Habeas Corpus” del Sistema  Sanitario.  Quello del Territorio e quello degli Ospedali.

Sistema Sanitario del Territorio: riguardo al Covid-19 i Medici di Base sono il primo e vero argine al virus. Se fossero dotati di un supporto pubblico efficace, sarebbero capaci di fermare da soli la diffusione del virus.

Di cosa hanno bisogno? Avrebbero bisogno dei dispositivi di protezione e del supporto di un Laboratorio Analisi che, in tempo reale (cioè in 1 ora), desse risposte con tamponi e sierodiagnosi. Di fatto, alla fine della visita al paziente febbrile, non sanno mai se il paziente sia contagiato o no da virus. Con lo screening questo non succederebbe.

Esiste poi il problema irrisolti della gestione di tutte le altre malattie: le cardiovascolari, le respiratorie, le renali, le chirurgiche, le oncologiche, le degenerative come diabete e arteriosclerosi, le neurologiche, etc. Con il lockdown vi è stata la chiusura totale dei supporti ospedalieri a queste patologie se non in regime d’urgenza.

Di fatto oggi la fine della chiusura delle consulenze specialistiche ha il problema di una riattivazione che sia congrua con le richieste. Le liste d’attesa sono infinite e i lunghissimi tempi programmati equivalgono ad una “negazione di sanità”.

L’”Habeas Corpus” del paziente ordinario è ancora sospesa: i vincoli burocratici che  anno da impedimento alle cure del suo corpo malato sono ancora in piedi. E’ un ritorno ad un Medio Evo sanitario.

Vi è poi la situazione ospedaliera:

Già proponemmo di acquisire l’estrattore di RNA virale per sottoporre a screening, sistematico e ripetuto, tutti i ricoverati, tutti gli accessi al Pronto Soccorso,  tutti i richiedenti servizi al CUP e a tutti i visitatori abituali.  Considerato che la spesa sanitaria non è elevata, e che è compensabile con un ticket, non rappresenterebbe un aggravio economico per il bilancio. Al contrario, aumenterebbe la fiducia nell’Ospedale e nel Territorio, migliorando il commercio umano nelle piazze sociali come: scuola , imprese, commerci

La fiducia nel nostro “corpo” indenne da virus renderebbe molto più facili tutte le attività pubbliche.

L’incertezza sul nostro stato sierologico e virologico sta avviluppando la nostra libertà in regolamenti talmente restrittivi che di fatto l’accesso ai  Sevizi dell’Ospedale sono difficilissimi e preclusi. La chiusura si concretizza nell’“allungamento delle liste d’attesa” per gli interventi chirurgici e per le  per visite ed esami specialistici.

La chiusura delle visite diabetogiche “in presenza” equivale a negare la certezza della assistenza clinica.

La riduzione dei Chirurghi Ortopedico comporta l’impossibilità di operare le fratture di femore entro poche ore, e la possibilità di morire per complicazioni respiratorie e tromboemboliche.

La riduzione dei Gastroenterologi equivale a non fare le colonscopie e non ricevere in tempo la diagnosi di Cancro del Colon.

La riduzione dei radiologi equivale a ridurre le Risonanze Magnetiche e le TAC, e a far scomparire le “visite senologiche” per la diagnosi tempestiva di Cancro di Mammella.

La riduzione dei Cardiologi equivale a non soccorrere in tempo gli infartuati e le aritmie mortali.

La chiusura dell’Ostetricia e Ginecologia è un “vulnus” inaccettabile a tutte la popolazione femminile del territorio, di tutte le età.

***

Dopo la sospensione dei Diritti Costituzionali dovuta al Lockdown, ci serve subito una nuova legge “Habeas Corpus” per uscire definitivamente da una involuzione medioevale e recuperare il diritto alla libertà di proteggere il nostro corpo e tutte le sue ineludibili esigenze.

Ci serve riprendere in mano la gestione della Sanità e liberarci dall’opprimente disinteresse di gestori estranei al territorio.

A proposito del ritardo, a dotarci di un laboratorio per l’estrazione dello RNA virale, dobbiamo, tutti insieme, puntare gli occhi sulla lenta procedura di acquisto dello strumento. E’ noto che la Fondazione di Sardegna ha finanziato l’intera somma necessaria per l’acquisto, pertanto, ora si deve procedere all’acquisto e alla messa in funzione dello strumento. Non ci sono ostacoli economici. Verifichiamo che la procedura vada avanti veloce. Sorvegliamo tutti insieme e diamoci appuntamento per riparlarne.

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La Sanità di Iglesias e Carbonia del dopoguerra fu il prodotto professionale di Medici illustri.
Iglesias eccelleva nella Pneumologia, nella Pediatria, nell’Ortopedia, nella Ostetricia e Ginecologia e nella Chirurgia Generale. Aveva un’ottima Medicina Interna e una Radiologia di altissimo livello.
L’Ospedale di Carbonia prese ad esistere per effetto dello studio e del sacrificio quotidiano di medici versati in tutte le branche della Medicina.
Questo fu il primo periodo. Poi negli anni ’70 arrivarono altri professionisti illustri come il professor Lionello Orrù, cattedratico di Anatomia Umana Normale all’Università di Cagliari e docente di Anatomia Chirurgica nella scuola di specializzazione di Chirurgia.
Alla direzione del reparto di Ostetricia e Ginecologia, dopo il dottor Renato Meloni, venne nominato il dottor Giommaria Doneddu. Questi aveva perfezionato la sua specializzazione in Francia ed aveva introdotto in Italia il professor Kos di Lubiana, esperto nelle tecniche di isterectomia senza taglio addominale.
Questi Medici illustri sono tutti scomparsi. Hanno lasciato come eredità alle due città, insegnamenti di Medicina e di Chirurgia che ancora si tramandano.
L’Ospedale Comunale di Carbonia aveva come Presidente il Sindaco. L’apparato amministrativo era costituito da 5 impiegati.
La Direzione Sanitaria era condotta da un Primario nominato dal Sindaco su indicazione del Consiglio dei sanitari. La parte politica interveniva per ratificare le indicazioni date dal Consiglio
dei Sanitari. L’armonia tra parte laica e parte sanitaria era perfetta. Successivamente questo ordine di cose venne stravolto.
Attualmente la Direzione Generale della ASL viene nominata dal Presidente delle Giunta Regionale. I Sindaci sono esclusi dalla scelta.
Oggi il Direttore Sanitario viene nominato dal Direttore Generale. Anche in questo caso i Sindaci sono esclusi dalla scelta. Ne sono esclusi anche i Primari Ospedalieri.
Questo nuovo sistema di gestione ha una scala gerarchica in cui i Sindaci e i Medici non esistono. In sostanza esiste un rapporto semplificato fra due soggetti: nel gradino superiore c’è chi comanda, e nel gradino inferiore c’è chi obbedisce (i Medici) senza potere di replica. In questo modo le intelligenze sanitarie sono escluse del pianeta Sanità e non esiste possibilità che emergano personalità illustri.
Questo stato di cose dura da almeno 20 anni, cioè da quando si attuarono le revisioni della legge di Riforma Sanitaria n. 833/78. Con la revisione in senso burocratico degli Ospedali, il lavoro dei Medici fu regolato secondo schemi di “efficienza ed efficacia” che ricordano gli schemi della macchina produttiva industriale descritta magistralmente da Charlie Chaplin nel film “Tempi Moderni”. Il risultato fu la demotivazione dei medici, esclusi dalla programmazione, trasformati in “meccanici” esecutori in uno “stabilimento” dove si produce sanità come si producono “bulloni” a vantaggio di pazienti che vengono trattati come “clienti”.
L’ultimo dei Medici illustri dell’era dei “Comitati di Gestione” fu il dottor Paolo Pettinao. Fu il più grande Direttore Sanitario ed il più straordinario Primario di Anestesia. Lasciò in eredità una scuola di altri Primari Anestesisti. Non tutti sanno che egli fu il vero fondatore della Rianimazione che dette il via all’era dei trapianti. Negli anni ’80 esisteva un problema nel campo dei trapianti d’organo: il coma irreversibile deteriorava gli organi interni. Pertanto i reni, il cuore ed il fegato non erano utilizzabili. Ciò avveniva per il degrado metabolico del paziente comatoso. Il dottor Pettinao, a Carbonia, mise a punto tecniche per inserire i cateteri da alimentazione a livello dell’atrio destro del cuore. Tali cateteri servivano per misurare la “pressioni venosa centrale” e capire se il circolo arterioso fosse efficiente. In caso contrario si correggeva. Quei cateteri, sistemati all’imbocco del cuore, erano anche utili per infondere soluzioni  concentrate di Sali, Zuccheri, Aminoacidi, e Lipidi. Nessuno, fino ad allora, utilizzava questi metodi di “cateterismo venoso centrale” e “alimentazione parenterale” in Sardegna.
Ma non tutto era ancora chiaro sul perché si deteriorassero quei corpi.
Nel 1981 avvenne un fatto di politica internazionale che contribuì a gettare luce sul come mantenere efficiente il metabolismo degli organi mantenuti vivi con l’“alimentazione parenterale totale”. A Marzo era morto, in carcere a Londra, Bobby Sands. Costui era un affiliato all’IRA (Irish Republican Army) di Belfast. Catturato dagli inglesi, fu detenuto a Londra e tenuto in cattività per anni senza processo. Nel 1980 si svolsero le elezioni nel Regno Unito ed egli venne eletto parlamentare per la parte cattolica dell’Irlanda del Nord, vincendo sul candidato protestante. Nonostante ciò Margareth Tatcher non lo liberò. Allora Bobby Sands iniziò lo sciopero della fame. Dopo 50 giorni di digiuno, venne sottoposto ad alimentazione con sondino gastrico, tuttavia le sue condizioni metaboliche peggiorarono, finché morì nel 66° giorno dall’inizio dello sciopero della fame. Questo dimostrò che se un paziente fa un digiuno troppo prolungato, si verificano negli organi interni lesioni metaboliche irreversibili e, seppure si pente e riprende a mangiare, muore comunque. Il suo corpo venne sottoposto ad autopsia e studiato a fondo. Si scoprì che un digiuno prolungato altre i 40 giorni, provoca un danno irreversibile delle cellule. In particolare, crollano le strutture lipidico-proteiche che formano i pilastri portanti dell’edificio cellulare. La perdita dei grassi strutturali non è riparabile, ed è mortale.
Fu illuminante. Si capì l’importanza dei grassi nella dieta. I lipidi (grassi) non sono solo importanti per l’apporto energetico ma anche come elemento strutturale degli organi. I corpi in coma, in uno stato di restrizione dietetica prolungata senza grassi si deterioravano. In tutto il mondo, si approfondirono gli studi sull’alimentazione parenterale nei comatosi candidati al prelievo d’organi.
Il dottor Pettinao, a Carbonia, seguendo quegli studi, mise a punto schemi di alimentazione parenterale totale di soluzioni contenenti tutto ciò che serve alle cellule per sopravvivere.

Nel 1987 il dottor Pettinao vinse il primariato al Brotzu e, lì giunto, applicò le nuove tecniche di alimentazione in Rianimazione. I pazienti in coma, candidati al prelievo d’organi per trapianto, migliorarono il loro trofismo; gli organi nobili (reni, fegato, cuore) non si deteriorarono più ed iniziò l’era dei trapianti d’organo a Cagliari.

***

Negli anni successivi, gli Ospedali entrarono nell’“era grigia” del nuovo modo di gestire la Sanità pubblica, caratterizzato dall’esclusione dei rappresentanti politici delle città, dei Sindaci, e dei Primari.
Il ruolo dei Primari venne sottoposto a restrizione incompatibili con l’autostima. Fino a metà degli anni ’90, una volta vinto il concorso pubblico nazionale, i nuovi Primari sottoscrivevano con lo Stato un contratto a tempo indeterminato. Dopo la metà degli anni ’90 la nuova leva di riformatori di stampo “bocconiano” escogitarono un sistema che mise i “ceppi” al cervello dei Primari, inventando un modo opprimente di rapportarsi con loro: le nomine primariali potevano, da allora in avanti, durare solo 5 anni. Poi, dopo una valutazione della parte amministrativa, gli incarichi potevano essere rinnovati o dichiarati scaduti. Era come dire: «Tu mi appartieni».

***

Dato questo stato di precarietà dei ruoli è difficile far esporre pubblicamente i Medici illustri dei nostri Ospedali. Comunque, ci sono, ma nell’ombra e nel silenzio. Possiamo trovare traccia dei nostri concittadini illustri in altri luoghi. Faccio due esempi.
Primo esempio.
Il professor Nicola Perra proviene dal Liceo scientifico di Sant’Antioco; oggi è un Fisico teorico prestato alla Sanità. Studia gli algoritmi che governano la diffusione delle notizie, delle idee politiche, della pubblicità, e delle epidemie.
Già il 31 gennaio, nella versione cartacea di questo giornale, parlammo del libro scritto dal professor Nicola Perra intitolato “CHARTING THE NEXT PANDEMIC”. Si tratta di una pubblicazione edita a Boston nel 2017 in cui venne prevista una Pandemia disastrosa da Coronavirus a partenza dalla regione di VUHAN in Cina. Aveva azzeccato i tempi della diffusione, le vie, i danni e l’ipotetica durata (imprevedibile).
Pochi giorni fa Nicola Perra ci ha inviato, dall’Università di Seattle, dove si trova per un contratto di studio, uno scritto che aveva già pubblicato nell’anno 2011 negli Stati Uniti. Ce lo invia a proposito della fine del lockdown e del pericolo ipotetico di seconda ondata, e dice: «L’ho scritto nel 2011…».

La paura si rafforza, fino a quando non riduce gravemente il serbatoio di individui sensibili, causando un declino di nuovi casi. Di conseguenza, le persone vengono attirate in un falso senso di sicurezza e tornano al loro normale comportamento (recupero della paura) causando un secondo picco epidemico che può essere ancora più grave del primo. Alcuni autori credono che si sia verificato un processo simile durante la pandemia del 1918, portando molteplici “CIME EPIDEMICHE”.
Suona familiare? Attenzione gente, non è ancora finita.

***

Secondo esempio.

Riguarda il dottor Massimo Medda. Anche lui è un prodotto dei nostri licei del Sulcis Iglesiente. E’ un illustre Medico che ha dimostrato doti eccezionali nella gestione della epidemia di Coronavirus a Milano.
Laureato a Cagliari in Medicina e Chirurgia, ha poi studiato Cardiologia a Milano e oggi è Primario Cardiologo del reparto di Emodinamica dell’Ospedale Sant’Ambrogio del Gruppo San Donato.
Domenica 7 giugno, alle ore 11,30, è stato intervistato dal Direttore della rete televisiva RAI 3. Perché ne ha suscitato la curiosità? Perché durante il peggior periodo dell’epidemia, quando non si sapeva dove smaltire i tanti morti perché i forni crematori non bastavano, il dottor Massimo Medda continuava ad operare giorno e notte, senza paura per la sua vita, organizzando il reparto in modo tale da curare anche gli infartuati affetti da Coronavirus in fase acuta. Ha spiegato: «Ho diviso il reparto e la sala operatoria in 3 settori. Nel primo settore trattiamo i pazienti senza virus. Nel secondo settore trattiamo i Covid positivi infartuati, con angioplastica e stent, poi li trasferiamo in un reparto a loro dedicato. La parte più importante è il terzo settore. In questo vengono trattati con angioplastica tutti i pazienti di cui non si sa se siano o no affetti dal virus. A tutti viene eseguito, all’ingresso, il tampone rinofaringeo per estrarre l’RNA virale. Non aspettiamo neppure un minuto per la risposta di laboratorio. Portiamo subito il paziente in sala operatoria e lo operiamo per l’infarto, perché l’infarto non può attendere neanche un minuto. Poi, finito l’intervento, il paziente viene trasferito in una “zona grigia” e viene curato come seavesse il Coronavirus. Quando arriva il referto del tampone decidiamo la destinazione definitiva del paziente».
Questo oggi è il cardiologo emodinamista interventista più illustre della Lombardia e, dato che la Lombardia è la regione più colpita d’Europa, questo è il cardiologo interventista più illustre d’Europa.
Questi due casi servono a dimostrare che noi produciamo sempre Scienziati e Medici illustri e che ne abbiamo ancora molti altri. Gli altri, i locali, sono condannati al silenzio e all’ininfluenza.
Chiunque stia soffrendo per il clima di respingimento che si subisce all’ingresso dei nostri ospedali e, soprattutto, coloro che, avendo un infarto dopo le ore 16.00, vengono respinti perché il reparto di Emodinamica è aperto solo di mattina, dalle 8.00 alle 16.00, guardi l’intervista del dottor Massimo Medda.
Guardatela, commuovetevi davanti a questi giovani meravigliosi e pensate a tutti coloro che, avendo un infarto tra il venerdì sera ed il lunedì mattina, trovano le porte del reparto di Emodinamica di Carbonia chiuse.
Per Massimo Medda la vita di un vecchio, con l’infarto, vale come la sua vita. Per questo, corre il rischio di morire anche lui di Coronavirus. Ma qui a Carbonia, per motivi puramente amministrativi, avviene il contrario e questa propensione dei Medici, di dare se stessi per la salvezza del malato, non può essere espressa.
Questa lunghissima premessa serve a porci una domanda: «Perché siamo così vili da consentire tanto disprezzo per le nostre vite?»

Mario Marroccu