17 July, 2024
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Il supercampione di motociclismo Marc Marquez sta gareggiando per il titolo mondiale. Per conquistare il titolo di campione del mondo deve accumulare più punti possibile nelle tredici gare ancora in programma.
Oggi è in testa, ma l’incidente di 5 giorni fa lo ha compromesso: è caduto dalla moto in corsa, procurandosi una frattura trasversale del più importante osso del braccio: l’omero. E’ stato immediatamente operato.

In questi casi si applica un chiodo endomidollare con placche da avvitare all’osso. Due giorni dopo l’intervento Marc Marquez ha dichiarato di voler comunque partecipare alla prossima gara che si correrà, a Jerez in Andalusia, esattamente alla distanza di 7 giorni dalla caduta. E’ sceso in pista per le prove ma s’è poi dovuto arrendere al dolore e, inevitabilmente, non potrà essere al via della gara. Il suo rientro in pista sarà rimandato, probabilmente alla prossima gara in calendario.
Nel mondo degli sportivi c’è stata un’esplosione di entusiasmo, stupore, ammirazione. Questi sentimenti sono rivolti all’équipe di chirurghi ortopedici che hanno riparato l’omero di Marc Marquez, e a Marc Marquez stesso: la bravura dei primi e la determinazione del secondo hanno reso possibile l’impossibile.
E’ l’apoteosi dei superuomini. Esseri che vivono lontano dai comuni mortali, in un mondo irreale ed inarrivabile che forse esiste solo nella fantasia.
Alt! Fermi tutti!
Inarrivabili sono Marc Marquez e la sua moto Honda. Invece è raggiungibile l’èquipe chirurgica capace di fare quell’operazione. Ne è prova un tale che vive nelle nostre cittadine, classificabile come “Homo communis sulcitanus” che ha avuto un incidente simile e si è procurato una frattura dell’omero, esattamente come quella di Marc Marquez. Ebbene , è stato operato nella Traumatologia di Carbonia (ma poteva benissimo essere quella di Iglesias) e gli è stata riparata la frattura con l’inserimento nell’omero di un “chiodo endomidollare” rinforzato fa placche avvitate all’osso, esattamente come si è fatto a Marc Marquez. Questo tale è stato dimesso dopo 24 ore e, dopo 7 giorni, ha ripreso a guidare l’automobile.
Se Marc Marquez si fosse fratturato correndo nelle strade del Sulcis o nelle curve di Santangelo di Iglesias, cosa sarebbe successo? Sarebbe stato operato nello stesso identico modo dai nostri Ortopedici e, dopo 7 giorni, avrebbe fatto il bis di Jerez. Il risultato sarebbe stato identico e Marc Marquez sarebbe guarito e rimesso in sella, ma con una differenza: i nostri Ortopedici sarebbero stati costretti a metterlo in una lista d’attesa di 7-10 giorni a causa della carenza di Anestesisti. E’ quello che capita ai nostri fratturati. Naturalmente nel frattempo sarebbe stato assistito con fasciature rigide e sistemi contenitivi fino alla data dell’intervento.

Se Marc Marquez lo venisse a sapere, qui non verrebbe mai. Non certo per disistima dei nostri professionisti Ortopedici, ma per l’assurda attesa prima dell’intervento provocata da un’assurda mancanza di Anestesisti disponibili.
Oggi gli Anestesisti sono talmente pochi che, dovendosi dividere per soddisfare le esigenze di tutti i reparti chirurgici, sono costretti a concordare con i Chirurghi una “lista d’attesa” degli interventi.
Orbene, se questo capita ad un paziente giovane e sano, l’attesa si traduce in un allungamento delle sofferenze e della inabilità funzionale al lavoro, e alle esigenze fisiologiche.
Se invece questo ritardo capita ad un adulto attempato o ad un anziano (dai 50 anni in su) fratturato al femore, l’attesa provoca un aumento delle complicazioni mortali come: tromboembolia polmonare da emboli partiti da focolai di trombosi venosa profonda delle gambe e del bacino, o broncopolmoniti da allettamento prolungato. Tutto questo è ben noto a chi è del mestiere, però è poco noto alla popolazione.
Davanti a queste carenze di Medici Specialisti, che possono provocare sofferenze e danni irreparabili ai nostri Concittadini, non vediamo efficaci reazioni di risposta da parte dei nostri rappresentanti politici locali. Le poche reazioni, di cui leggiamo sui quotidiani, provengono soprattutto dalle Sindache del Sulcis Iglesiente; purtroppo, fino ad oggi, sono restate senza risposta da parte dell’Amministrazione regionale. Forse stiamo vivendo un periodo di carenza nella rappresentanza politica. A leggere i resoconti forniti dalla stampa, sembra che alcuni Sindaci del nostro territorio non si impegnino troppo a partecipare a queste riunioni di protesta. Ciò indebolisce molto la forza delle istanze che vengono formulate e indirizzate all’assessorato della Sanità.
Nonostante il disimpegno di qualche Sindaco, di cui ci ha informato la stampa e di cui la popolazione sta prendendo coscienza, l’unica via sicura per recuperare il controllo della Sanità del Sulcis Iglesiente è: rimettere nelle poltrone di comando delle ASL i rappresentanti delle nostre Amministrazioni comunali, così come è previsto dalla legge n. 833/78.

Mario Marroccu

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Tre giorni fa, all’Ospedale Sirai di Carbonia, il dottor Salvatore Ierna ha compiuto l’”Impresa”: ha riaperto un’arteria coronarica ostruita da una specie di “getto di calcestruzzo” fatto di aggregati cristallini di carbonato di calcio. Per curare una condizione del genere, non esiste una soluzione ideale. Certamente il paziente potrebbe essere operato introducendo un”by-pass”. Il “by-pass” è un trattino di vena che viene interposto collateralmente alle coronarie distrutte dal calcare e suturato all’arteria malata, sopra e sotto l’ostruzione. Il problema è che suturare un segmento di vena sana ad un’arteria malata come questa, è quasi impossibile.

In certi casi si può staccare chirurgicamente il “tappo di calcare” dalla parete arteriosa ma ciò che rimarrebbe dell’arteria sarebbe un velo di “tonaca avventizia” che potrebbe rompersi o trombizzare subito dopo l’intervento, con morte certa del paziente. Come fare per rimuovere il “tappo di calcare” dall’arteria senza operazione a “torace aperto”? E’ un problema gigantesco. Immaginate di avere un’incrostazione calcarea in un tubo d’acqua. L’acqua scenderà dal rubinetto goccia a goccia, poi alla fine non ne uscirà più. Se questo avviene a casa, si chiama un idraulico che sostituirà il tubo calcificato con uno nuovo. Altri cercheranno di disostruirlo, ma il risultato sarà deludente, perché il tubo si ostruirà di nuovo.

Ora il dottor Ierna ha disostruito l’arteria e l’ha protetta in modo tale che non si richiuda, superando diverse difficoltà.

Primo: il paziente era un soggetto “fragile”. Chi soffre di quella patologia alle coronarie, ne soffre anche in altre sedi vitali, come le arterie carotidi che nutrono il cervello, le arterie renali, l’arteria aorta, le arterie che irrorano le gambe.

Secondo: il dottor Ierna ha agito quasi alla cieca. Cioè, non aveva sotto gli occhi l’arteria coronaria chiusa, e neppure la poteva toccare per indirizzare il filo guida. Aveva una “visione virtuale”. Cioè vedeva l’intervento che stava eseguendo nelle immagini ricostruite in un monitor radiologico.

Terzo: il paziente non era collegato ad un apparecchio di rianimazione come avviene in cardiochirurgia, dove si opera a torace aperto.

La vita del paziente dipendeva dalla precisione dell’operatore, dalla velocità di esecuzione, dalla sua conoscenza dell’anatomia e dalla sapienza tecnica ottenuta con molto studio ed esercizio. Cioè con sofferenza personale, individuale ed indivisibile. L’intervento è stato sviluppato nella sua mente, in uno stato di assoluta solitudine.

Quarto: il chirurgo emodinamista ha necessità assoluta di un’assistenza illuminata, fedele, consapevole, pronta ed infaticabile di almeno due tecnici ultra-esperti ed insostituibili. Sono figure introvabili. I nuovi dovranno maturare anni di esperienza.

Raccontare come si fa è facile. Eseguirlo è assolutamente difficile.

Descrizione sintetica: il dottor Salvatore Ierna dapprima ha eseguito una coronarografia; cioè ha iniettato nelle arterie del cuore un mezzo di contrasto radio-opaco e ha visto, nel monitor, il disegno delle arterie. Una volta studiata la mappa di quelle arterie malate, vi ha infilato un “filo guida” sottilissimo, partendo da un’arteria delle braccia. Il filo guida è penetrato nella coronaria e si è arrestato nel punto di ostruzione.  A questo punto, sulla guida del filo e delle immagini radiologiche, è stata inserita una sonda speciale fino all’ostacolo ed è stata appoggiata sul “tappo calcareo”. Quindi è stato azionato il pedale che mette in funzione la fonte di ultrasuoni. Gli ultrasuoni emessi dalla punta della sonda hanno scaricato tutta la loro potenza sulla placca calcarea, rompendola.

Perché si rompe la placca? Perché ha una struttura cristallina come quella dei vetri. Le onde di ultrasuoni penetrano nella placca e si trasformano in energia che fa esplodere il cristallo di calcare. Durante la procedura si eseguono lavaggi per allontanare i microframmenti calcifici, e poi si prosegue nella perforazione, per creare un tunnel nella “roccia”. Una volta trovata la fine dell’ostruzione il filo guida passa, in territorio libero dell’arteria. L’intervento si conclude con la sistemazione dello stent, e il sangue riprende a nutrire le carni del cuore. La vita del paziente riprende a scorrere.

Grandiosa esecuzione, portata a termine per la prima volta in Sardegna.

Naturalmente queste capacità interventistiche non sono spuntate così, come un fungo, dal nulla, ma hanno avuto una gestazione di molti anni di preparazione, studio e viaggi di istruzione.

La nostra felicità è enorme.

Tutte le storie hanno un’origine più o meno lontana nel tempo. La storia delle Shockweaves (onde d’urto) per rompere le calcificazioni formatesi in posti sbagliati nel corpo umano, merita d’essere raccontata. Noi, a Carbonia, ne abbiamo un’antica esperienza, anche quella con la caratteristica del primato su tutti in Sardegna.

Le pietre che incrostano le coronarie hanno una struttura cristallina formata prevalentemente da carbonato di calcio. Lo conosciamo tutti molto bene: le scogliere bianche che vanno da Maladroxia a Coacuaddus sono di carbonato di calcio. E’ molto diffuso in natura. Nella patologia umana, lo troviamo nelle placche ateromasiche calcifiche e nei calcoli renali. In ambedue i casi, per distruggere le concrezioni, si usano  le onde d’urto ad ultrasuoni.

L’impiego di queste onde nacque dalla ricerca aerospaziale tedesca.

Negli anni ’70, gli Americani si erano resi conto che la parte più pericolosa di un viaggio spaziale non era la “partenza” da Capo Canaveral, ma il ritorno dallo Spazio, nel momento in cui la navetta entrava nell’atmosfera. Passando improvvisamente dal vuoto assoluto dello spazio all’atmosfera terrestre, era come se la navetta andasse a sbattere contro un muro e, sfregando su quel muro di “gas”, si generava un attrito eccessivo che sprigionava calore ad altissima temperatura. La temperatura era tanto elevata da fondere lo scudo termico metallico e uccidere l’equipaggio. Si capì che era necessario ricoprire lo scudo termico della navicella con un materiale coibente. Si pensò di incollarci sopra piastrelle di ceramica speciale. L’idea era corretta ma… avrebbero le piastrelle di ceramica resistito all’impatto? Era necessario scoprirlo e riprodurre in laboratorio quell’impatto. Gli Americani avevano come consulente lo scienziato Wernher Von Braun. Costui era stato il progettista, per la Germania nazista, dei primi missili balistici della storia: i V2. Esattamente quei missili che avevano martoriato Londra. La fabbrica che li produceva apparteneva alla famiglia Dornier. Era la famosa fabbrica degli aerei da guerra per la Luftwaffe, che produceva i caccia Messerschmitt ed i bombardieri Junker-Dornier. Alla fine della guerra, la fabbrica venne convertita in un  centro di ricerca aerospaziale e gli scienziati tedeschi, su richiesta degli Americani, misero a punto un sistema di produzione di “onde d’urto” (Shockweaves) per testare le piastrelle da incollare alla navicella spaziale. Le “onde d’urto” venivano generate con un sistema di elettrodi che produceva microesplosioni subacquee. Le “onde d’urto” che venivano emanate dalle esplosioni potevano essere indirizzate verso un bersaglio attraverso un apparato di puntamento costituito da specchi concavi. Al centro della parabola vi era il “fuoco” su cui si concentrava la somma della potenza di tutte le onde. Messe le piastrelle nel fuoco della parabola si potè testare la loro resistenza all’impatto.

Uno scienziato dell’Università di Monaco, il professor Chaussy, pensò che in quel modo si sarebbe potuto “sparare” energia contro i calcoli renali. Ne parlò con la famiglia Dornier proprietaria della fabbrica aerospaziale e ottenne la costruzione di un generatore di Shockweaves per uso umano. La macchina venne chiamata “Dornier 1”. Nel 1984 una delle prime pazienti italiane del professor Chaussy fu una signora di Carbonia che era nata con un rene solo e in più aveva un calcolo. Nel 1986 il professor Chaussy presentò la sua casistica a Madrid, nella casa di cura “La Luz”. In quella occasione venne presentata anche una nuova macchina, delle Storz tedesca, generatrice di onde d’urto  ad ultrasuoni, destinata a rompere i calcoli dentro l’uretere. Gli interventi dimostrativi furono eseguiti con successo dal proprietario della clinica, il professor Perez Castro Ellendt.

I primi allievi italiani presenti a quelle lezioni di addestramento furono il professor Francesco Rocco (Università di Milano), il dottor Michele Gallucci (poi direttore dell’Istituto tumori Regina Elena di Roma), ed un chirurgo di Carbonia.

Al ritorno da Madrid ne venne fatta un’accurata relazione al presidente del Sirai, Pietro Cocco. Era presente il ragionier Efisio Melis. La decisione di Pietro Cocco fu, come sempre, di poche parole: «Ragioniere, acquisti quella macchina da shockweaves per i calcolotici del nostro Ospedale».

Fu il primo apparecchio per “onde d’urto” venduto in Italia. Dal 1987 in poi vennero trattate a Carbonia centinaia di calcolosi dell’uretere senza operazione. Il nostro Ospedale fu anche in quel caso il primo e l’unico in Sardegna a fornire questa tecnica avveniristica. A Cagliari, si iniziò ad utilizzare questa tecnica dopo una nostra presentazione pubblica del metodo avvenuta nella sala congressi del Banco di Sardegna, nel 1991. Realizzammo dei videotutorial che spiegavano i segreti di Perez Castro per entrare nell’uretere, e presto in molti appresero la tecnica.

Di recente, questa tecnica è stata migliorata ed adattata alla rottura delle incrostazioni calcifiche dentro le arterie coronarie, e viene impiegata in pochi posti al mondo.

Ho voluto ricordare il fatto di 33 anni fa, per attirare l’attenzione sulle potenzialità che ha avuto sempre il Sirai nella crescita tecnologica. Da qui sono nati grandi professionisti che poi hanno arricchito di professionalità gli ospedali cagliaritani. Ricordiamo l’anestesista Paolo Pettinao che introdusse il Brotzu nell’era dei trapianti; il dottor Paolo Schiffini, che dopo l’esperienza maturata a Carbonia, si trasferì al Brotzu e fondò  l’angiografia interventistica; il dottor Antonio Macciò, che oggi rappresenta il massimo polo sardo di attrazione scientifica nella chirurgia oncologica laparoscopica al Businco e le cui ricerche condotte proprio nel laboratorio di Carbonia, vengono pubblicate dalle massime riviste di oncologia ginecologica americane ed inglesi.

Adesso il Sirai offre la novità assoluta delle shockweaves per disostruire le coronarie difficili.

Questo giornale da molti mesi sta attirando l’attenzione sul miserevole stato in cui versa oggi il nostro Ospedale, e non smette mai di esporre all’opinione pubblica il disastro organizzativo a cui è stato sottoposto l’organico della Cardiologia e, soprattutto, quello dell’Emodinamica del dottor Ierna. La procedura che ha eseguito va classificata fra le imprese di medicina interventistica più difficili che si conoscano e, per la sua enormità, contrasta con la povertà di personale di cui dispone.

Vista l’insensibilità e l’insipidità della nostra attuale e passata dirigenza politica regionale in sanità pubblica, dobbiamo suscitare l’interesse di tutti, per porre fine al degrado organizzativo a cui si sta sottoponendo la struttura ospedaliera del Sirai.

Dopo quanto premesso, appare ragionevole chiedere un congruo finanziamento per l’immediato reintegro dei Medici di Cardiologia e l’istituzione di una scuola di Emodinamica da affidare alla magistrale direzione del dottor Salvatore Ierna. Abbiamo bisogno che produca allievi. E’ evidente che ci vogliono finanziamenti per gratificare il sacrificio di quegli operatori. Deve cessare, comunque, avendo a disposizione una struttura specialistica così avanzata, l’assurda chiusura del Servizio di Emodinamica per 16 ore su 24, e la totale chiusura dalle 16.00 del venerdì alle 8.00 del lunedì successivo. Questo disastro, di stampo contabile, deve essere fermato.

Contemporaneamente, è assolutamente necessario ricostituire subito gli organici di Ortopedia, Radiologia, Gastroenterologia e, soprattutto, di Anestesia e Rianimazione.

Purtroppo, da anni ci stanno svuotando di competenze specialistiche a causa di due teorie che hanno fallito nella gestione degli Ospedali: una è la teoria del “Hub And Spoke”, cioè del centro della ruota e dei suoi raggi. Con questa si teorizza che chi sta alla periferia (raggi) debba trasferire le sue funzioni al centro (Hub). In questo modo, sono stati depressi gli ospedali territoriali e gonfiati quelli del capoluogo. L’altra teoria è il “governo per processi”, con cui si teorizza la gestione degli ospedali, mantenendo le attuali strutture ma modificando e codificando i processi con cui si usano. In questo modo, è stata tolta ai Primari la capacità di iniziativa. Esattamente quella iniziativa che ha avuto il dottor Salvatore Ierna, facendo una cosa assolutamente imprevista dai burocrati.

Ad un certo punto, verrà il momento in cui si accorgeranno che la partita la giocano e la vincono i campioni scesi  in campo e non i padroni del campo.

E adesso, invito tutti a tenere gli occhi aperti. Controlliamo se metteranno il dottor Salvatore Ierna nelle condizioni di lavorare oppure se alla fine riusciranno a farlo scappare.

Mario Marroccu

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L’epidemia di Covid19 è stata l’evento straordinario che ha legittimato la sospensione di libertà garantite dalla Costituzione e ci ha precipitato in uno stato di diritto medioevale. Abbiamo vissuto un periodo di diritti violati e sperimentato dal vero una forma di “archeologia sociale” da libri di storia.

Per due mesi sono stati sospesi diritti come: la libertà di movimento nel territorio, la libere frequentazioni sociali, il lavoro, le pratiche religiose, la scuola, gli hobby, gli sport, le manifestazioni popolari, le feste pubbliche e private, i contatti con i parenti stretti, i viaggi, il turismo, gli scambi commerciali, le pratiche professionali, le prestazioni sanitarie ordinarie, l’amministrazione della Giustizia ordinaria, etc. La sospensione di tutti questi diritti di cui siamo titolari si sintetizza in tre parole: mancanza di libertà. Più esattamente si tratta di tutte le libertà garantite dalla Costituzione. In sostanza vi è stata una “sospensione della Costituzione”. Un fatto così grave, tuttavia,  era necessario e ha dato i suoi frutti.

Per effetto di quelle “restrizioni di libertà” stiamo vedendo la cessazione dell’epidemia nella nostra Nazione e in quelle che ci hanno imitato.

Oggi, alla fine del lockdown, stiamo apprezzando il valore della  Libertà conquistata dai nostri Padri in secoli di lotte, sconfitte, sofferenze indicibili, e anche vittorie. Ci siamo svincolati dal viluppo di regole soffocanti ed ora dobbiamo riprendere a goderne i frutti.

E’ come se all’improvviso il Governo avesse emanato l’”Habeas Corpus”: la legge che per prima affermò che ognuno di noi è padrone del proprio corpo e che nessuno lo può tenere in detenzione senza un motivo giuridicamente accertato.

Nel Medio Evo l’autorità amministrativa, rappresentata da sceriffi o altri ufficiali, anche senza motivazione esplicita, e spesso a fini non penali (tributari, debiti privati, ordine pubblico), poteva arrestare chiunque e tenerlo in prigione, e anche torturarlo per strappare confessioni di colpevolezza infondata. Per la prima volta nella storia i Baroni inglesi nel 1215 imposero al re Giovanni Senza Terra la “Magna Charta Libertatum” in cui si afferma che “Nessun uomo libero può essere arrestato, imprigionato, danneggiato… Eccetto che dal Giudizio legale dei suoi pari e della Legge del Paese”. Il Giudice della Corona, che era un emissario del re, per effetto della “Habeas Corpus Act” rappresentò la prima più importante garanzia verso gli abusi, potendo scavalcare l’Ufficiale che aveva eseguito l’arresto. Fu una rivoluzione contro gli abusi.

Il diritto derivante dalla “Habeas Corpus”, per cui nessuno può essere detenuto a lungo in prigione, se non per applicazione della legge e del giudizio del tribunale, divenne legge definitiva in Inghilterra col “Bill of Rights “del 1688. Successivamente tale diritto venne  acquisito nel 5° e 6° emendamento della Costituzione Americana. L’”Habeas Corpus” fu una delle radici di tutte le Costituzioni Moderne.

Ne parliamo perché oggi, con la fine del lockdown, non ci sentiamo ancora completamente liberi: sentiamo che certe libertà non sono ancora tornate. Ci serve un “Habeas Corpus ad hoc” per noi. Ci serve ridiventare completamente “proprietari del nostro corpo”, cioè della nostra dignità. Ma non è facile.

Questo è il punto.

Abbiamo visto come è stato facile, con pochi decreti, perdere “la proprietà del nostro corpo” e tutti abbiamo assistito spaventati a scene di:

  • Uomini morenti nella congestione polmonare, dividersi disperati le insufficienti bombole d’ossigeno:
  • Pazienti morire senza poter vedere i propri cari.
  • Esseri Umani morire anonimi in stanze affollate di altri morenti sconosciuti, senza la riservatezza che la morte richiede.
  • File di bare tutte uguali stipate in magazzini anonimi, senza riti di cordoglio.
  • La fretta di smaltire le salme.
  • File di camion che portano con urgenza cadaveri in forni crematori anonimi all’insaputa dei parenti.
  • Sepolture senza nome ignote anche a mogli e figli.
  • Medici, Infermieri e Preti morire per spirito di servizio perché è necessario che sia così.
  • Corpi sottratti alla proprietà della famiglia.
  • Abbiamo visto famiglia rinchiuse in minimi appartamenti condominiali, senza la possibilità di uscire a fare due passi: corpi viventi senza  il diritto d’essere usati.
  • Scuole chiuse e alunni collegati in rete senza la presenza fisica dei compagni e degli insegnanti.
  • Fabbriche chiuse e operai in cassa integrazione.
  • Spiagge e campagne, senza presenze umane, sorvegliate dai militari.
  • Supermercati vuoti e file di persone “mascherinate”, a debita distanza, in file ordinate, anche per ore, in attesa di rapidi acquisti.
  • Laboratori artigiani, banche e uffici pubblici, vuoti, ma con file di utenti all’esterno degli ingressi.
  • Ospedali attrezzati con tende per i triage per la captazione dei Covid positivi,

Pronto Soccorso vuoti.

  • Reparti Ospedalieri quasi deserti.
  • Ambulatori ospedalieri e laboratori analisi chiusi.
  • Ingressi all’Ospedale contingentati e sorvegliati da guardie armate.
  • Ambulatori medici del territorio quasi deserti.
  • Feste popolari di ogni specie sospese,
  • Fine degli assembramenti e fine di contatti umani; fine degli scambi di idee e di sentimenti.

E’ la descrizione di una prigione collettiva in cui l’“Habeas Corpus” è abolito.

Il rischio sta nel fatto che se abolisci l’Habeas Corpus ricompaiono “sceriffi” e altre forme di abuso di autorità che ti possono mettere vincoli.

***

La lista dei vincoli che stanno emergendo e si stanno consolidando è enorme.

Limitiamo l’esame a due tipologie di vincoli.

Primo: quelli che stanno per calarsi sulla scuola.

Abbiamo letto questi giorni proposte varie accomunate tutte da una caratteristica: l’irrealizzabilità.

Ne riporto alcuni esempi :

  • Proposte di lezioni all’aperto in campi sportivi, come se fosse sempre estate.
  • Proposte di lezioni nei boschi, come se fossimo in Finlandia o Svezia.
  • Lezioni in classi ridottissime per garantire il distanziamento.
  • La necessità di suddividere gli alunni, e quindi di moltiplicare le classi, gli insegnanti e le aule.
  • Banchi monoposto negli asili e nelle scuole elementari per assicurare il distanziamento dei bambini, con l’obbligo di consumare i pasti nello stesso banco senza muoversi mai dall’aula. I bambini..fermi per ore?
  • Proposte di continuare le lezioni in “smart Working”.
  • Separazione degli alunni con barriere in plexiglas e mascherine perpetue sul volto.

Tutte le proposte che stanno emergendo, soprattutto a livello governativo, hanno l’effetto di moltiplicare i problemi  per evidente impraticabilità.

La Scuola, che è il “corpo Sociale” più importante ha perso la “proprietà” di se stesso.

Arriveremo al 14 settembre impreparati.

Eppure per riavere l’”Habesa Corpus” del diritto allo studio sarebbe sufficiente ascoltare la logica della scienza Si capirebbe così lo stupore del neopresidente di Confindustria Carlo Bonomi, che all’apertura degli Stati Generali, voluti da Giuseppe Conte, a Villa Panphilj, affermò: «Non ho capito per quale motivo in questi mesi di lockdown non si sia utilizzato il tempo disponibile per procedere allo screening, con tampone, di tutto il personale della scuola e degli alunni». Sarebbe stato l’unico modo per individuare i portatori del virus e creare un ambiente scolastico Covid free. Questo provvedimento avrebbe, da solo, consentito l’immediata riapertura delle scuole senza patemi d’animo.

Due mesi fa questo giornale fece esattamente la stessa proposta. Per questo avviò una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica per far acquistare l’estrattore di RNA virale per la ASL di Carbonia Iglesias.

Incredibilmente allora nessuno aveva provveduto a dotare il nostro sistema sanitario locale di un presidio di ricerca anti-Covid. E’ di questi giorni la notizia giornalistica che il Laboratorio Analisi dell’Ospedale di Nuoro ha, non solo l’estrattore di RNA, ma tutto il sistema che consente di trasferire l’RNA virale in una impronta di DNA e procedere alla decodificazione completa del virus.

Molto bene Nuoro, un applauso all’intelligenza e previdenza.

Noi no.

Se qualcuno avesse dotato il Sulcis Iglesiente di decodificatore, e se questo fosse stato utilizzato per mappare tutta la popolazione di 130.000 abitanti, oggi saremmo esattamente a conoscenza del nostro stato e potremmo esibire la nostra “patente di Immunità”.

Ciò vale per il personale delle scuole, degli Ospedali, dei Comuni, delle Poste, delle Banche, delle attività artigianali e Commerciali, dei Trasporti. Ne sarebbe conseguito un cartello “COVID FREE” da esibire ai turisti. Altro che “Bandiere Blu” per  spiagge!. Tutti i turisti, ospiti dei nostri alberghi, delle case vacanze, e anche degli affitti clandestini, sarebbero stati invitati a eseguire, gratuitamente, il “tampone”. Questo sarebbe il vero “Habeas Corpus” per il Sulcis Iglesiente.

Vi è poi il problema dello “Habeas Corpus” del Sistema  Sanitario.  Quello del Territorio e quello degli Ospedali.

Sistema Sanitario del Territorio: riguardo al Covid-19 i Medici di Base sono il primo e vero argine al virus. Se fossero dotati di un supporto pubblico efficace, sarebbero capaci di fermare da soli la diffusione del virus.

Di cosa hanno bisogno? Avrebbero bisogno dei dispositivi di protezione e del supporto di un Laboratorio Analisi che, in tempo reale (cioè in 1 ora), desse risposte con tamponi e sierodiagnosi. Di fatto, alla fine della visita al paziente febbrile, non sanno mai se il paziente sia contagiato o no da virus. Con lo screening questo non succederebbe.

Esiste poi il problema irrisolti della gestione di tutte le altre malattie: le cardiovascolari, le respiratorie, le renali, le chirurgiche, le oncologiche, le degenerative come diabete e arteriosclerosi, le neurologiche, etc. Con il lockdown vi è stata la chiusura totale dei supporti ospedalieri a queste patologie se non in regime d’urgenza.

Di fatto oggi la fine della chiusura delle consulenze specialistiche ha il problema di una riattivazione che sia congrua con le richieste. Le liste d’attesa sono infinite e i lunghissimi tempi programmati equivalgono ad una “negazione di sanità”.

L’”Habeas Corpus” del paziente ordinario è ancora sospesa: i vincoli burocratici che  anno da impedimento alle cure del suo corpo malato sono ancora in piedi. E’ un ritorno ad un Medio Evo sanitario.

Vi è poi la situazione ospedaliera:

Già proponemmo di acquisire l’estrattore di RNA virale per sottoporre a screening, sistematico e ripetuto, tutti i ricoverati, tutti gli accessi al Pronto Soccorso,  tutti i richiedenti servizi al CUP e a tutti i visitatori abituali.  Considerato che la spesa sanitaria non è elevata, e che è compensabile con un ticket, non rappresenterebbe un aggravio economico per il bilancio. Al contrario, aumenterebbe la fiducia nell’Ospedale e nel Territorio, migliorando il commercio umano nelle piazze sociali come: scuola , imprese, commerci

La fiducia nel nostro “corpo” indenne da virus renderebbe molto più facili tutte le attività pubbliche.

L’incertezza sul nostro stato sierologico e virologico sta avviluppando la nostra libertà in regolamenti talmente restrittivi che di fatto l’accesso ai  Sevizi dell’Ospedale sono difficilissimi e preclusi. La chiusura si concretizza nell’“allungamento delle liste d’attesa” per gli interventi chirurgici e per le  per visite ed esami specialistici.

La chiusura delle visite diabetogiche “in presenza” equivale a negare la certezza della assistenza clinica.

La riduzione dei Chirurghi Ortopedico comporta l’impossibilità di operare le fratture di femore entro poche ore, e la possibilità di morire per complicazioni respiratorie e tromboemboliche.

La riduzione dei Gastroenterologi equivale a non fare le colonscopie e non ricevere in tempo la diagnosi di Cancro del Colon.

La riduzione dei radiologi equivale a ridurre le Risonanze Magnetiche e le TAC, e a far scomparire le “visite senologiche” per la diagnosi tempestiva di Cancro di Mammella.

La riduzione dei Cardiologi equivale a non soccorrere in tempo gli infartuati e le aritmie mortali.

La chiusura dell’Ostetricia e Ginecologia è un “vulnus” inaccettabile a tutte la popolazione femminile del territorio, di tutte le età.

***

Dopo la sospensione dei Diritti Costituzionali dovuta al Lockdown, ci serve subito una nuova legge “Habeas Corpus” per uscire definitivamente da una involuzione medioevale e recuperare il diritto alla libertà di proteggere il nostro corpo e tutte le sue ineludibili esigenze.

Ci serve riprendere in mano la gestione della Sanità e liberarci dall’opprimente disinteresse di gestori estranei al territorio.

A proposito del ritardo, a dotarci di un laboratorio per l’estrazione dello RNA virale, dobbiamo, tutti insieme, puntare gli occhi sulla lenta procedura di acquisto dello strumento. E’ noto che la Fondazione di Sardegna ha finanziato l’intera somma necessaria per l’acquisto, pertanto, ora si deve procedere all’acquisto e alla messa in funzione dello strumento. Non ci sono ostacoli economici. Verifichiamo che la procedura vada avanti veloce. Sorvegliamo tutti insieme e diamoci appuntamento per riparlarne.

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La Sanità di Iglesias e Carbonia del dopoguerra fu il prodotto professionale di Medici illustri.
Iglesias eccelleva nella Pneumologia, nella Pediatria, nell’Ortopedia, nella Ostetricia e Ginecologia e nella Chirurgia Generale. Aveva un’ottima Medicina Interna e una Radiologia di altissimo livello.
L’Ospedale di Carbonia prese ad esistere per effetto dello studio e del sacrificio quotidiano di medici versati in tutte le branche della Medicina.
Questo fu il primo periodo. Poi negli anni ’70 arrivarono altri professionisti illustri come il professor Lionello Orrù, cattedratico di Anatomia Umana Normale all’Università di Cagliari e docente di Anatomia Chirurgica nella scuola di specializzazione di Chirurgia.
Alla direzione del reparto di Ostetricia e Ginecologia, dopo il dottor Renato Meloni, venne nominato il dottor Giommaria Doneddu. Questi aveva perfezionato la sua specializzazione in Francia ed aveva introdotto in Italia il professor Kos di Lubiana, esperto nelle tecniche di isterectomia senza taglio addominale.
Questi Medici illustri sono tutti scomparsi. Hanno lasciato come eredità alle due città, insegnamenti di Medicina e di Chirurgia che ancora si tramandano.
L’Ospedale Comunale di Carbonia aveva come Presidente il Sindaco. L’apparato amministrativo era costituito da 5 impiegati.
La Direzione Sanitaria era condotta da un Primario nominato dal Sindaco su indicazione del Consiglio dei sanitari. La parte politica interveniva per ratificare le indicazioni date dal Consiglio
dei Sanitari. L’armonia tra parte laica e parte sanitaria era perfetta. Successivamente questo ordine di cose venne stravolto.
Attualmente la Direzione Generale della ASL viene nominata dal Presidente delle Giunta Regionale. I Sindaci sono esclusi dalla scelta.
Oggi il Direttore Sanitario viene nominato dal Direttore Generale. Anche in questo caso i Sindaci sono esclusi dalla scelta. Ne sono esclusi anche i Primari Ospedalieri.
Questo nuovo sistema di gestione ha una scala gerarchica in cui i Sindaci e i Medici non esistono. In sostanza esiste un rapporto semplificato fra due soggetti: nel gradino superiore c’è chi comanda, e nel gradino inferiore c’è chi obbedisce (i Medici) senza potere di replica. In questo modo le intelligenze sanitarie sono escluse del pianeta Sanità e non esiste possibilità che emergano personalità illustri.
Questo stato di cose dura da almeno 20 anni, cioè da quando si attuarono le revisioni della legge di Riforma Sanitaria n. 833/78. Con la revisione in senso burocratico degli Ospedali, il lavoro dei Medici fu regolato secondo schemi di “efficienza ed efficacia” che ricordano gli schemi della macchina produttiva industriale descritta magistralmente da Charlie Chaplin nel film “Tempi Moderni”. Il risultato fu la demotivazione dei medici, esclusi dalla programmazione, trasformati in “meccanici” esecutori in uno “stabilimento” dove si produce sanità come si producono “bulloni” a vantaggio di pazienti che vengono trattati come “clienti”.
L’ultimo dei Medici illustri dell’era dei “Comitati di Gestione” fu il dottor Paolo Pettinao. Fu il più grande Direttore Sanitario ed il più straordinario Primario di Anestesia. Lasciò in eredità una scuola di altri Primari Anestesisti. Non tutti sanno che egli fu il vero fondatore della Rianimazione che dette il via all’era dei trapianti. Negli anni ’80 esisteva un problema nel campo dei trapianti d’organo: il coma irreversibile deteriorava gli organi interni. Pertanto i reni, il cuore ed il fegato non erano utilizzabili. Ciò avveniva per il degrado metabolico del paziente comatoso. Il dottor Pettinao, a Carbonia, mise a punto tecniche per inserire i cateteri da alimentazione a livello dell’atrio destro del cuore. Tali cateteri servivano per misurare la “pressioni venosa centrale” e capire se il circolo arterioso fosse efficiente. In caso contrario si correggeva. Quei cateteri, sistemati all’imbocco del cuore, erano anche utili per infondere soluzioni  concentrate di Sali, Zuccheri, Aminoacidi, e Lipidi. Nessuno, fino ad allora, utilizzava questi metodi di “cateterismo venoso centrale” e “alimentazione parenterale” in Sardegna.
Ma non tutto era ancora chiaro sul perché si deteriorassero quei corpi.
Nel 1981 avvenne un fatto di politica internazionale che contribuì a gettare luce sul come mantenere efficiente il metabolismo degli organi mantenuti vivi con l’“alimentazione parenterale totale”. A Marzo era morto, in carcere a Londra, Bobby Sands. Costui era un affiliato all’IRA (Irish Republican Army) di Belfast. Catturato dagli inglesi, fu detenuto a Londra e tenuto in cattività per anni senza processo. Nel 1980 si svolsero le elezioni nel Regno Unito ed egli venne eletto parlamentare per la parte cattolica dell’Irlanda del Nord, vincendo sul candidato protestante. Nonostante ciò Margareth Tatcher non lo liberò. Allora Bobby Sands iniziò lo sciopero della fame. Dopo 50 giorni di digiuno, venne sottoposto ad alimentazione con sondino gastrico, tuttavia le sue condizioni metaboliche peggiorarono, finché morì nel 66° giorno dall’inizio dello sciopero della fame. Questo dimostrò che se un paziente fa un digiuno troppo prolungato, si verificano negli organi interni lesioni metaboliche irreversibili e, seppure si pente e riprende a mangiare, muore comunque. Il suo corpo venne sottoposto ad autopsia e studiato a fondo. Si scoprì che un digiuno prolungato altre i 40 giorni, provoca un danno irreversibile delle cellule. In particolare, crollano le strutture lipidico-proteiche che formano i pilastri portanti dell’edificio cellulare. La perdita dei grassi strutturali non è riparabile, ed è mortale.
Fu illuminante. Si capì l’importanza dei grassi nella dieta. I lipidi (grassi) non sono solo importanti per l’apporto energetico ma anche come elemento strutturale degli organi. I corpi in coma, in uno stato di restrizione dietetica prolungata senza grassi si deterioravano. In tutto il mondo, si approfondirono gli studi sull’alimentazione parenterale nei comatosi candidati al prelievo d’organi.
Il dottor Pettinao, a Carbonia, seguendo quegli studi, mise a punto schemi di alimentazione parenterale totale di soluzioni contenenti tutto ciò che serve alle cellule per sopravvivere.

Nel 1987 il dottor Pettinao vinse il primariato al Brotzu e, lì giunto, applicò le nuove tecniche di alimentazione in Rianimazione. I pazienti in coma, candidati al prelievo d’organi per trapianto, migliorarono il loro trofismo; gli organi nobili (reni, fegato, cuore) non si deteriorarono più ed iniziò l’era dei trapianti d’organo a Cagliari.

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Negli anni successivi, gli Ospedali entrarono nell’“era grigia” del nuovo modo di gestire la Sanità pubblica, caratterizzato dall’esclusione dei rappresentanti politici delle città, dei Sindaci, e dei Primari.
Il ruolo dei Primari venne sottoposto a restrizione incompatibili con l’autostima. Fino a metà degli anni ’90, una volta vinto il concorso pubblico nazionale, i nuovi Primari sottoscrivevano con lo Stato un contratto a tempo indeterminato. Dopo la metà degli anni ’90 la nuova leva di riformatori di stampo “bocconiano” escogitarono un sistema che mise i “ceppi” al cervello dei Primari, inventando un modo opprimente di rapportarsi con loro: le nomine primariali potevano, da allora in avanti, durare solo 5 anni. Poi, dopo una valutazione della parte amministrativa, gli incarichi potevano essere rinnovati o dichiarati scaduti. Era come dire: «Tu mi appartieni».

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Dato questo stato di precarietà dei ruoli è difficile far esporre pubblicamente i Medici illustri dei nostri Ospedali. Comunque, ci sono, ma nell’ombra e nel silenzio. Possiamo trovare traccia dei nostri concittadini illustri in altri luoghi. Faccio due esempi.
Primo esempio.
Il professor Nicola Perra proviene dal Liceo scientifico di Sant’Antioco; oggi è un Fisico teorico prestato alla Sanità. Studia gli algoritmi che governano la diffusione delle notizie, delle idee politiche, della pubblicità, e delle epidemie.
Già il 31 gennaio, nella versione cartacea di questo giornale, parlammo del libro scritto dal professor Nicola Perra intitolato “CHARTING THE NEXT PANDEMIC”. Si tratta di una pubblicazione edita a Boston nel 2017 in cui venne prevista una Pandemia disastrosa da Coronavirus a partenza dalla regione di VUHAN in Cina. Aveva azzeccato i tempi della diffusione, le vie, i danni e l’ipotetica durata (imprevedibile).
Pochi giorni fa Nicola Perra ci ha inviato, dall’Università di Seattle, dove si trova per un contratto di studio, uno scritto che aveva già pubblicato nell’anno 2011 negli Stati Uniti. Ce lo invia a proposito della fine del lockdown e del pericolo ipotetico di seconda ondata, e dice: «L’ho scritto nel 2011…».

La paura si rafforza, fino a quando non riduce gravemente il serbatoio di individui sensibili, causando un declino di nuovi casi. Di conseguenza, le persone vengono attirate in un falso senso di sicurezza e tornano al loro normale comportamento (recupero della paura) causando un secondo picco epidemico che può essere ancora più grave del primo. Alcuni autori credono che si sia verificato un processo simile durante la pandemia del 1918, portando molteplici “CIME EPIDEMICHE”.
Suona familiare? Attenzione gente, non è ancora finita.

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Secondo esempio.

Riguarda il dottor Massimo Medda. Anche lui è un prodotto dei nostri licei del Sulcis Iglesiente. E’ un illustre Medico che ha dimostrato doti eccezionali nella gestione della epidemia di Coronavirus a Milano.
Laureato a Cagliari in Medicina e Chirurgia, ha poi studiato Cardiologia a Milano e oggi è Primario Cardiologo del reparto di Emodinamica dell’Ospedale Sant’Ambrogio del Gruppo San Donato.
Domenica 7 giugno, alle ore 11,30, è stato intervistato dal Direttore della rete televisiva RAI 3. Perché ne ha suscitato la curiosità? Perché durante il peggior periodo dell’epidemia, quando non si sapeva dove smaltire i tanti morti perché i forni crematori non bastavano, il dottor Massimo Medda continuava ad operare giorno e notte, senza paura per la sua vita, organizzando il reparto in modo tale da curare anche gli infartuati affetti da Coronavirus in fase acuta. Ha spiegato: «Ho diviso il reparto e la sala operatoria in 3 settori. Nel primo settore trattiamo i pazienti senza virus. Nel secondo settore trattiamo i Covid positivi infartuati, con angioplastica e stent, poi li trasferiamo in un reparto a loro dedicato. La parte più importante è il terzo settore. In questo vengono trattati con angioplastica tutti i pazienti di cui non si sa se siano o no affetti dal virus. A tutti viene eseguito, all’ingresso, il tampone rinofaringeo per estrarre l’RNA virale. Non aspettiamo neppure un minuto per la risposta di laboratorio. Portiamo subito il paziente in sala operatoria e lo operiamo per l’infarto, perché l’infarto non può attendere neanche un minuto. Poi, finito l’intervento, il paziente viene trasferito in una “zona grigia” e viene curato come seavesse il Coronavirus. Quando arriva il referto del tampone decidiamo la destinazione definitiva del paziente».
Questo oggi è il cardiologo emodinamista interventista più illustre della Lombardia e, dato che la Lombardia è la regione più colpita d’Europa, questo è il cardiologo interventista più illustre d’Europa.
Questi due casi servono a dimostrare che noi produciamo sempre Scienziati e Medici illustri e che ne abbiamo ancora molti altri. Gli altri, i locali, sono condannati al silenzio e all’ininfluenza.
Chiunque stia soffrendo per il clima di respingimento che si subisce all’ingresso dei nostri ospedali e, soprattutto, coloro che, avendo un infarto dopo le ore 16.00, vengono respinti perché il reparto di Emodinamica è aperto solo di mattina, dalle 8.00 alle 16.00, guardi l’intervista del dottor Massimo Medda.
Guardatela, commuovetevi davanti a questi giovani meravigliosi e pensate a tutti coloro che, avendo un infarto tra il venerdì sera ed il lunedì mattina, trovano le porte del reparto di Emodinamica di Carbonia chiuse.
Per Massimo Medda la vita di un vecchio, con l’infarto, vale come la sua vita. Per questo, corre il rischio di morire anche lui di Coronavirus. Ma qui a Carbonia, per motivi puramente amministrativi, avviene il contrario e questa propensione dei Medici, di dare se stessi per la salvezza del malato, non può essere espressa.
Questa lunghissima premessa serve a porci una domanda: «Perché siamo così vili da consentire tanto disprezzo per le nostre vite?»

Mario Marroccu

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La Storia dell’Uomo subisce sempre cambiamenti a causa dei grandi eventi:
La Prima Guerra Mondiale fece sparire i grandi Imperi: quello Turco, l’Austroungarico, e quello Russo.
La Seconda Guerra Mondiale fece sparire il Nazifascismo e fece nascere il blocco Comunista opposto a quello Atlantico.
Il crollo del Muro di Berlino fece cadere la divisione del mondo in due blocchi: quello Russo e quello Atlantico.
Il crollo delle Torri Gemelle intaccò la primazia Americana nel mondo e introdusse nella Storia i fermenti dell’Islam moderno.
La Pandemia di Covid-19 cambierà nuovamente tutto. Cambierà i rapporti politici e economici internazionali; cambierà il ruolo dell’Europa tra il blocco Russo, quello Cinese e quello Americano; l’Italia dovrà superare una crisi economica da causa sanitaria, e vedrà cambiare la qualità della vita, il lavoro, il commercio, le abitudini familiari, la cultura, la vita religiosa, l’istruzione e la Sanità.
Con l’ingresso nella “Fase 2” il virus è ancora presente fra di noi tuttavia non viene percepito come pericolo potenziale. Le differenze di valutazione sulla pericolosità attuale del virus creano sconcerto. Si va dal “negazionismo” della sua esistenza all’allarme. Per interpretare le diverse opinioni e, per capire la verità, bisogna esaminare le fonti che sono diversissime. Vi sono:
I Medici Clinici: essi valutano l’andamento dell’epidemia secondo lo stato di salute dei loro assistiti.
I Microbiologi: questi valutano seguendo le regole della Microbiologia.
Gli Epidemiologi: questi sono dei Fisici-Matematici che interpretano le curve di frequenza dei fenomeni.
Gli “Influencer”: essi diffondono opinioni secondo interessi di parti sociali.
I Politici: che vogliono conservare il consenso elettorale.
Gli Economisti: che verificano le implicazioni economiche scatenate dall’epidemia.
I Virologi: che studiano in laboratorio il virus e cercano di capire 3 cose.
a) Quale sia il serbatoio vivente dove si nascondono;
b) Quando si ripresenteranno nella seconda ondata;
c) Se il virus è mutato.

Per capire le differenze di opinione di queste diverse 7 fonti, si può rispondere con una frase scritta da David Quammen, 8 anni fa, nel libro “Spillover”: «La fine di un’epidemia produce grande felicità nei Governanti, mentre è considerata una grave iattura dai virologi che non possono più scoprire il “ serbatoio biologico” del virus».

Da questa dichiarazione, si capiscono i differenti obiettivi e l’inevitabile differenza di valutazione. Per meglio esprimere quanto sta succedendo col Coronavirus, può essere utile vedere cosa sta
avvenendo per un altro virus: il virus Ebola.
L’Ebola è un RNA-virus come il Coronavirus, ma è più cattivo. Appartiene alla categoria di rischio 4, mentre il Coronavirus è a rischio 3. E’ mortale nell’80 per cento degli infetti. Compare nelle foreste africane, ed è certo che il serbatoio è un animale. Non è stato ancora scoperto quale sia il suo “serbatoio biologico”. Si sa che uccide scimmie, gorilla e uomini, ma non si sa dove viva per poterlo eradicare. Ciò che lascia interdetti, è che compare improvvisamente e quasi contemporaneamente in luoghi lontanissimi fra di loro. Poi, così come è comparso, scompare. Non esiste una cura specifica. L’unica difesa efficace è: il distanziamento sociale, le mascherine e i guanti.

Si sono avute epidemie gravissime nelle Repubblica democratica del Congo, nelle Filippine e anche in una colonia di macachi in cattività in America. Sono stati scoperti 5 ceppi di questo virus. Esiste un vaccino solo per il ceppo n. 5 detto “Zaire Ebola”. Tutt’oggi i virologi non sanno quale sia l’animale in cui si nasconde e dentro il quale può viaggiare per il mondo. L’unica “fortuna” è che, essendo molto letale, la vittima colpita viene rapidamente uccisa. In tal modo, l’epidemia si autodelimita perché il paziente muore prima che possa contagiare altri. Ciò è, tuttavia, una iattura, perché i virologi non fanno in tempo a studiarlo.
In questo momento i virologi italiani sono particolarmente preoccupati perché non sono stati ancora individuati i “serbatoi biologici umani” che conservano dentro di sé il Coronavirus fino alla prossima epidemia. Sul futuro nessuno scienziato serio azzarda previsioni. Quindi si può supporre tutto: che il virus scompaia per sempre oppure che ritorni una fiammata pandemica a sia peggiore della prima.
Dato questa premessa possiamo solo dire: «Non so nulla…Però mi preparo per una eventuale nuova ondata».
Con la fine del lockdown, è iniziata laFase 2″ e l’unico presidio che abbiamo è ancora rappresentato dalle mascherine e dal distanziamento sociale. Però stiamo vedendo che la gente tende a ignorare
le prescrizioni e tornare allo stile di vita precedente alla pandemia. Questo è un problema. Ognuno di noi può risolvere il problema nazionale prendendosi cura della propria Sanità locale. Ma esistono delle difficoltà oggettive: per esempio tutt’oggi nessuno di noi, neppure gli stessi Medici di Base e gli Ospedalieri non sanno a chi rivolgersi per eseguire l’esame sierologico o il tampone rinofaringeo in regime ordinario. Questi due esami sono fondamentali per scoprire il portatore sano, chi ha avuto la Covid-19 senza saperlo e coloro che sono suscettibili di contagio. Senza questi dati elementari non ha senso l’app “Immuni”.
Questo dà la misura della totale impreparazione del nostro territorio per la diagnosi di laboratorio per Covid-19.
La cosa grave è che la nostra inadeguatezza sanitaria è molto più profonda. Riguarda ormai anche le malattie comuni che mettono in pericolo la vita. L’attenzione catturata dal Covid ci sta impedendo di vedere le gravi deficienze sanitarie da cui siamo afflitti, per cui non possiamo efficacemente contrastare neppure tutte le altre patologie.
Giovedì 4 giugno 2020, con stupore abbiamo letto alla pagina 8 dell’Unione Sarda che l’assessore regionale della Sanità ha dichiarato: «Pronti i protocolli per la ripresa delle attività ordinarie». Poi ancora il cronista scrive: «Lievitano le liste d’attesa. Cittadini disperati. I Sindacati minacciano lo sciopero. Fondi stanziati per l’abbattimento delle liste d’attesa = 21,5 milioni».
Contemporaneamente, tutti i Servizi ospedalieri sono stati preavvisati per la ripresa delle attività ambulatoriali ordinarie, sia sotto forma di visite specialistiche, sia sotto forma di esami di laboratorio, di cardiologia, e radiologia. Naturalmente dovrebbero riprendere con regolarità gli interventi chirurgici ordinari.
Queste notizie dovrebbero provocare sollievo. In realtà fanno sprofondare nello stupore. Ciò che viene annunciato è semplicemente impossibile da realizzarsi sia a Carbonia sia ad Iglesias. E la colpa non è del Covid-19.
Già da anni si è proceduto alla demolizione sistematica dell’apparato ospedaliero del Sulcis Iglesiente. E’ falsa l’idea che Iglesias abbia 3 ospedali. In realtà il Crobu è chiuso da anni. Il Santa Barbara è praticamente chiuso. Persiste un ambulatorio di Oculistica. Il CTO ha perso diverse specialità. E’ finita l’epoca della Chirurgia Pediatrica e del reparto di Oculistica. E’ praticamente “evaporato” il reparto di Ostetricia e quello di Pediatria. La Chirurgia Generale ha perso i suoi chirurghi anziani e oggi funziona come Weeck Surgery. Cioè chiude i battenti il venerdì sera e riapre il lunedì. Così pure chiude la Nefrologia e Dialisi nei fine settimana e nei festivi. La Radiologia e l’Endoscopia Digestiva sono ridotte ad attività minimali rispetto al passato. Il personale globale è ridotto.
A Carbonia, nel periodo pre-covid e durante il Covid, l’Ospedale è stato, senza mezzi termini, “saccheggiato”. Chiusa l’Ostetricia e Ginecologia, chiusa la Pediatria, chiusa l’Anatomia Patologica.
Gravissima la menomazione dell’organico di Medici in Radiologia. Fino a poco tempo fa, tra Iglesias e Carbonia, le radiologie avevano 22 Medici specialisti. Oggi ne hanno solo 12 fra i due Ospedali, con enormi problemi di turnazione. I pochissimi Medici residuati sono oberati di lavoro d’urgenza. Eseguono in media 3.500 esami a testa all’anno, mentre negli ospedali normali (cioè quelli normodotati di Cagliari e Sassari) arrivano a 2.000 esami a testa all’anno. A Carbonia si eseguono 30 TAC al giorno. Ad Iglesias 30 la settimana (calo dovuto alle attività diminuite nei reparti ridotti in personale, posti letto e sedute operatorie). Si assicurano le urgenze giorno e notte senza requie.
E’ difficilissimo assicurare l’essenziale in uno stato di urgenza perenne. E’ semplicemente impensabile ritenere di far credere alla popolazione che potrà prenotare e ottenere TAC e Risonanze Magnetiche ambulatoriali in tempi brevi. L’unico sbocco possibile sarà sempre la ricchissima e dotatissima Cagliari. A tanto disagio della popolazione, corrisponde un profondo disagio degli specialisti. Ne consegue il desiderio di lasciare questi ospedali diseredati per altri lidi.
Gli Anestesisti Rianimatori sono stati gravemente ridotti di numero tanto da non poter assicurare le sedute operatorie routinarie che erano usuali fino a 5 anni fa. Oggi si può operare in regime di estrema urgenza. Le Chirurgie, a dispetto delle infinite liste d’attesa, non possono convocare i pazienti, perché non possono operare come sarebbe necessario, a causa dell’esiguità del numero di Anestesisti. Naturalmente ciò comporta la “mobilità passiva” dei pazienti verso altri ospedali, incrementando fortemente le spese.
L’Ortopedia è stata “saccheggiata” anche pochi giorni fa. Sono stati portati via i due chirurghi più anziani. Rimangono il Primario incaricato e alcuni giovani Medici. Se nostra madre cadesse accidentalmente a casa e si fratturasse il femore, avrebbe necessità di un intervento d’urgenza, non differibile oltre le 24 ore. E’ noto, infatti, che i protocolli impongono l’intervento immediato per prevenire l’alta mortalità da broncopolmonite ipostatica o l’embolia polmonare da trombosi venosa profonda. Ebbene, non si può operare e salvare la vita a questi pazienti secondo i canoni prescritti dalle regole a causa della mancanza di Ortopedici e Anestesisti. L’attesa per l’intervento sarebbe di 7-10 giorni.
Altro che Covid 19!
La vera pandemia che strangola i nostri Ospedali è molto peggio del virus. Uccide, anche questa, come il Covid, ma con una dinamica che assomiglia di più a quella che ha soffocato il povero George Floyd a Minneapolis.
La situazione dell’Emodinamica di Carbonia è un affronto a tutta la popolazione che grida giustizia. Non è minimamente pensabile che uno qualsiasi di noi possa avere un infarto al cuore fra le ore 8.00 e le 16.00, dal lunedì al venerdì, ma non possa averlo un minuto dopo quell’ora perché alle 16.00 il Servizio di Emodinamica chiude e resta chiuso dalle 16.00 del venerdì alle 8.00 del lunedì successivo. Cosa fa allora l’infartuato? Rimonta in macchina e, se ci arriva ancora vivo, va al Brotzu. Una volta lì, fa di nuovo la fila in codice rosso per essere visitato, ricoverato e portato in Cardiologia. Qui, se è ancora vivo, viene preparato per l’angioplastica. Naturalmente, così si perdono ore preziose per la sopravvivenza. E’ evidente che la vita del nostro infartuato non ha un valore tale da convincere i Responsabili ad assumere il personale mancante in Emodinamica a Carbonia e a tenere il servizio sempre attivo, 24 ore su 24.
Il punto è proprio questo: quanto valgono le vite della vecchietta fratturata al femore e quella dell’infartuato? Valgono molto poco. I nostri rappresentanti politici dovrebbero porsi il problema.
E’ molto difficile crederci, però è necessario credere almeno al Presidente Sergio Mattarella: speriamo, per la ripresa del post Covid, nell’“unità morale della Nazione”. Oppure, cerchiamo intensamente di credere alle parole del Governatore della Banca D’Italia Ignazio Visco che pochi giorni fa ci ha esortato a redigere un “nuovo contratto sociale”. Finché non ci proveranno che anche noi siamo coinvolti come parte contraente nel “nuovo contratto sociale” dobbiamo pensare che sia solo retorica.

Mario Marroccu

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Le prime pagine dei giornali di questi giorni raccontano il conflitto istituzionale tra Governatore della Sardegna, Sindaco di Milano e Governo Italiano.

Il contrasto si è acceso sulla “Patente di immunità” di cui dovrebbero dotarsi i turisti prima di calcare il suolo sardo. Nelle settimane passate ci siamo espressi sui benefici di uno screening di massa del Sulcis Iglesiente. Il metodo è stato già utilizzato dal professor Andrea Crisanti in Veneto e dal governo della Corea del Sud: hanno scovato i focolai di virus e li hanno bonificati radicalmente. Qualcosa di simile è stato fatto in Germania e in Islanda, dove è stata condotta una ricerca molto estesa con i tamponi. In Islanda, l’epidemia è stata soffocata sul nascere e in Germania i danni sono stati molto contenuti. Per ottenere questo risultato sono necessarie due azioni:

– prima: informare capillarmente la popolazione;

– seconda: ottenere il consenso al prelievo rinofaringeo di RNA virale.

Questa sequenza di azioni rispetta perfettamente le norme vigenti sul consenso informato.

Ben diverso significato e legittimità ha l’imposizione dell’esame.

I medici conoscono bene la differenza di liceità tra “cure paternalistiche” e cure “consapevolmente accettate”. Vi sono stati dibattiti durato decenni che spesso si sono conclusi  in Tribunale.

Tutto nasce dall’articolo 32 della Costituzione che recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di Legge.”

Dietro questa affermazione Costituzionale, esiste una storia lunga secoli.

Già Aristotele, Platone e Ippocrate sottolineavano la necessità della “partecipazione” del paziente alle cure. La loro posizione derivava da motivazioni di tipo deontologico.

Al tempo dei Bizantini i Medici chiedevano al paziente il permesso di agire sul suo corpo, tuttavia non era un “consenso informato” come si intende oggi, ma una forma di “medicina difensiva”.

Il primo Stato che dette all’individuo la totale proprietà, del proprio corpo fu l’Inghilterra con l’”Habeas corpus”.

Il tema del diritto sul “proprio corpo” venne meglio definito nella “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” dell’anno 1789. Si tratta di un testo giuridico elaborato nel corso della Rivoluzione Francese contenente una solenne dichiarazione dei diritti fondamentali dell’Individuo e del Cittadino (Libertà, Proprietà, Sicurezza). Il suo contenuto ha rappresentato uno dei più alti riconoscimenti delle libertà per cui la Francia venne definita: Patria dei Diritti dell’Uomo”.

La svolta definitiva per porre le basi dell’articolo 32 della Costituzione e del “consenso informato” fu rappresentato dalla scoperta dei crimini commessi dai Medici nei campi di concentramento nazisti, la cui condotta morale veniva dagli stessi giustificata con il dovere di obbedire alle leggi dello Stato e al principio utilitaristico secondo il quale, durante un conflitto, la “ricerca scientifica” dovesse anteporre gli interessi della Società a quelli del singolo. Pertanto, si potevano compiere azioni mediche sull’Altro senza richiederne il consenso. 

Nel contesto del Processo di Norimberga i giudici incorporarono un documento, noto come Codice di Norimberga, contenente i diritti dell’Uomo, articolati in 10 punti. Il primo afferma che: «il consenso volontario del soggetto è assolutamente essenziale. Ciò significa che la persona in questione deve essere in grado di esercitare il libero arbitrio senza intervento di alcun elemento coercitivo». 

Questo concetto, ribadito nella sentenza di Norimberga del 1947, venne acquisito e incorporato in tutte le Costituzioni del mondo Occidentale. La Costituzione italiana lo incorporò nell’articolo n. 32.

Per effetto di quell’articolo nessuno può essere sottoposto a indagini diagnostiche o cure mediche senza la sua volontà.

La prima legge che derivò dall’articolo 32 della Costituzione fu la Legge 458/1967 sui trapianti di rene, a cui seguì la legge 144/1978 sull’interruzione di gravidanza e la legge 107 del 1990 sulle trasfusioni di sangue. Quest’ultima legge vietò il prelievo e la trasfusione di sangue in assenza di consenso del paziente. Tutte le sentenze che riguardano i testimoni di Geova sulle trasfusioni di sangue in caso di emorragie, anche mortali, sono regolate da questa legge.

Nell’anno 1990 vi fu una sentenza del Tribunale penale di Firenze che condannò un chirurgo che riteneva di avere operato secondo scienza e coscienza per il bene del malato. Si trattava di un’anziana paziente che aveva un tumore apparentemente benigno. Il chirurgo, accortosi durante l’intervento, che il tumore era invece un cancro, proseguì escidendo radicalmente tutta la parte colpita. La paziente morì. Il chirurgo venne condannato per omicidio preterintenzionale perché, secondo il Giudice, alla luce dell’articolo 32 della Costituzione, avrebbe dovuto svegliare la paziente, informarla completamente e procedere solo dopo l’ottenimento del consenso. L’aver proceduto con l’intervento senza aver ricercato prima il consenso della paziente, venne ritenuto una forma di violenza contro la paziente. Questa sentenza fu una rivoluzione. Chiarì concretamente a tutti i Medici  osa si intendesse per “consenso del paziente all’atto medico” nel rispetto della “libertà individuale”.

***

Nell’attuale momento storico del lockdown, si sono concretizzate eccezionali interruzioni del diritto costituzionale alle libertà individuali, come:

  • Il divieto di uscire di casa,
  • Il divieto di raggiungere i propri cari,
  • Il divieto di riunirsi con più persone,
  • Il divieto di spostarsi da una città all’altra e da una regione all’altra,
  • Il divieto di viaggiare,
  • L’interruzione di servizi basilari come le consulenze specialistiche ospedaliere, la sospensione della giustizia civile, la sospensione della scuola, delle manifestazioni culturali, di sport e spettacolo, religiose.

Una volta finito il lockdown, molte libertà sono state recuperate per effetto degli articoli nn. 2, 3 e 13 della Costituzione. Quest’ultimo esplicitamente dichiara: «La libertà personale è inviolabile…»

Ora vediamo come queste leggi, con tanto retroterra storico, si oppongono alla “patente di immunità” così come è concepita.

Il combinato disposto fra l’articolo 13 sulla libertà individuale, e l’articolo 32 sulla discrezionalità di ognuno ad accettare o rifiutare un atto medico, condizionano l’attuale diatriba tra autorità sarde e milanesi.

A complicare le cose si aggiungono gli effetti di una legge del 1990 mirata a proteggere la privacy dei malati di AIDS. Tale legge venne prodotta per impedire la pubblicizzazione della diagnosi di AIDS in quanto andava scoraggiato lo “stigma” sociale contro questi pazienti. Se non fosse stata protetta la loro privacy essi avrebbero reagito occultandosi, e non curandosi, peggiorando la diffusione del morbo.

Tale legge sulla privacy del proprio stato patologico è tutt’oggi vigente.

Questo ulteriore elemento oppone ostacoli alla esibizione obbligatoria di una patente di “buona salute”.

La “patente di immunità” venne inventata per la prima volta nello XII secolo quando, con la ripresa in modo epidemico della lebbra, si costituirono delle Commissioni sanitarie che sottoponevano ad esame fisico i sospetti di lebbra. La prova fondamentale consisteva nell’infiggere uno spillone nelle aree di cute discromica. Se l’esaminato sentiva dolore veniva dichiarato “indenne” da lebbra e gli veniva consegnata una “patente di buona salute” con cui poteva entrare nella regione ospitante. Chi non otteneva la patente, subiva lo “stigma sociale“.

Il problema dello “stigma sociale” di condanna di questi pazienti cova sempre e può emergere in modo incontrollato.

L’insieme di queste combinazioni sta condizionando l’attuale diatriba politica regionale.

Tenuto conto dei binari tracciati dalla legge, dalla giurisprudenza e dalla storia della Medicina, forse si potrebbe trovare un punto di equilibrio in questo ipotetico programma:

  • Primo: screening con tampone e partecipazione volontaria della popolazione;
  • Secondo: App Immuni sui dati dello screening di massa;
  • Terzo: concordare l’etica dei rapporti umani tra malati e sani per regolamentare la fiducia, la precauzione e la trasparenza.

Date queste premesse si comprendono le difficoltà a dare una base di legittimità alla “patente di immunità”.   

Potrebbe essere più efficace offrire all’ospite che arriva uno studio gratuito, con tampone, nel contesto di uno screening generale della popolazione sarda e l’inclusione volontaria nella App Immuni. Questo “prendersi cura dell’ospite” verrebbe sicuramente molto apprezzato.

Mario Marroccu

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Nulla sarà come prima. Man mano che le settimane passano, tutte quelle morti e la paura di morire scivoleranno nell’oblio. Eppure, nei rapporti sociali, fatti di politica, economia, cultura, questo incidente sanitario durato tre mesi modificherà gli schemi della convivenza. Avverrà lentamente. All’inizio questi incidenti sembrano piccoli episodi della storia, successivamente si manifestano nella loro grandiosità.

Capitò a Cristoforo Colombo quando scoprì l’America pensando di aver trovato solo una nuova strada per il commercio delle spezie e della seta. Invece aveva messo il seme di: Canada, Stati Uniti eAmerica Latina.

Esistono tre fili guida su cui corre la Storia: la cultura umanistica, la ricerca del benessere e l’astrazione religiosa. Sono le tre direttrici dell’identità. Poi esistono direttrici peculiari dei luoghi:

  • Sant’Antioco si identifica col suo porto ed il mare;
  • Carloforte nella sua insularità;
  • Il Sulcis nelle sue vigne ed allevamenti;
  • Carbonia e Iglesias nei loro ospedali e nelle attività industriali.

Inoltre queste città riconoscono una identità comune nella storia del loro “Sistema sanitario”.

La Sanità di Carbonia iniziò esattamente il 18 dicembre 1938 con il discorso di Benito Mussolini dalla Torre Littoria, nel tripudio popolare.

Allora esisteva a Carbonia un piccolo ospedaletto in piazza Cagliari. La storia di quei primi anni è scarsa. Abbiamo più notizie nel 1941. Siamo in pieno fascismo e in piena guerra. Le miniere producevano la materia prima per il consumo bellico di energia. 

I primi  professionisti sanitari vennero assunti, con regolare delibera, nel 1941.

La prima figura di Sanitario dipendente fu la signora Liliana Casotti, infermiera ostetrica. Venne assunta il 16 agosto 1941. Lei  da sola, fece nascere migliaia di bambini dalle donne della vasta città di 65.000 abitanti appena sorta.

Il 16 Settembre 1944 venne assunto il dottor Renato Meloni, chirurgo, urologo, ematologo, oncologo, ostetrico e ginecologo. Aveva 25 anni.

Questi due personaggi furono i progenitori del futuro mondo Sanitario.

Esiste su Youtube un bellissimo film documento con immagini di Carbonia in quegli anni. “Fascism in the family”. Interessantissimo. E’ stato girato da Barbara Serra, la famosa corrispondente da Londra di Al Jazeera. Racconta del Podestà di Carbonia di quegli anni: Vitale Piga. Era il nonno di Barbara. Nel film è ben tratteggiato l’ambiente umano di cui si prendeva cura l’Ospedale di piazza Cagliari.

Alla fine della guerra l’Ospedale nuovo, sorto fuori città, venne utilizzato dalle truppe Inglesi. Poi nel 1956, finito il dopoguerra, tutto il personale di piazza Cagliari si trasferì al Sirai. L’Ospedale era diventato “Ente Ospedaliero Comunale”, ed era classificato come “Ospedale zonale”. Al di sopra dell’ospedale zonale vi era l’”Ospedale Provinciale di Cagliari”, il San Giovanni di Dio. Nel passaggio tra anni ’60 e ’70 il Sirai, per il suo volume di attività, stava per essere riclassificato come Ospedale “Provinciale”. Era Sindaco Pietro Cocco. La procedura non andò a conclusione.

Intanto la compagine Sanitaria era cresciuta:

  • Nel 1945 venne assunto il nuovo primario chirurgo, proveniente dalla Patologia Chirurgica dell’Università di Cagliari, dottor Gaetano Fiorentino. Era un  reduce della campagna di Russia come chirurgo dell’ARMIR.    
  • Nel 1951 venne assunto il dottor Luciano Pittoni, chirurgo, pediatra, ginecologo, ostetrico, traumatologo, neurochirurgo e, soprattutto, anestesista. Fu il primo specialista in Anestesiologia in Sardegna. 
  • Nel 1953 fu assunto il dottor Giuseppe Porcella, chirurgo, traumatologo, proveniente da Sassari.
  • Nel 1954 venne assunto il dottor Enrico Pasqui che, all’età di 25 anni, iniziò a dirigere la Medicina Interna e la Pediatria.
  • Nel 1955 fu assunto il dottor Pasquale Tagliaferri: oculista.
  • Nel 1956 fu assunto il dottor Mario Casula: farmacista.
  • Nel 1956 fu assunto il dottor Enrico Floris: nuovo primario internista.

Nell’anno 1956 il corpo sanitario era formato da 9 persone di cui: di cui 7 medici, 1 ostetrica, 1 farmacista.

Da quel primordiale crogiolo fu generata la complessa organizzazione Sanitaria successiva.

L’Ospedale fu governato, negli anni di crescita, dal Sindaco Pietro Cocco. L’Amministratore era Dioclide Michelotto. Il “Consiglio di Amministrazione” era lo stesso “Consiglio Comunale di Carbonia”. Il Sindaco della città, era il Presidente dell’Ente Ospedaliero.

Il numero degli ammalati messi nelle mani di questi pochi medici era immenso. Si consideri che Carbonia agli albori degli anni ’60, aveva 60.000 abitanti; Sant’Antioco ne aveva 14.000; Carloforte ne aveva 7.000.

L’Ospedale aveva 384 posti letto, tre volte tanto gli attuali  posti letto per acuti. Vi erano due reparti di Medicina Interna, uno di pediatria, uno di Chirurgia Generale, uno di Traumatologia, uno di Ostetricia e Ginecologia, il Pronto Soccorso, la Radiologia, un attrezzato Laboratorio, un Centro Trasfusionale, un ambulatorio chirurgico oculistico per le operazioni di cataratta e rimozione dei corpi estranei dall’occhio, un ambulatorio di Otorinolaringoiatria, le cucine per i ricoverati , la Lavanderia, la falegnameria, le caldaie per il riscaldamento, la squadra di elettricisti, l’officina, la squadra di operai tecnici. Vi erano residenti in Ospedale le Suore Orsoline e i medici (dottor Gaetano Fiorentino, dottor Renato Meloni, dottor Luciano Pittoni). I chirurghi erano immediatamente presenti per le urgenze.

Si eseguivano 1.600 interventi chirurgici l’anno, contro gli 800 circa attuali.

Nascevano 2.000 bambini l’anno, contro gli attuali 300 circa di Carbonia e Iglesias assieme.

Le prestazioni sanitarie venivano pagate dalle Casse Mutue. Il Bilancio dell’Ente era sempre attivo e Il surplus veniva utilizzato per le opere pubbliche nella città di Carbonia. Attualmente invece i bilanci annuali sono in debito per milioni di euro.

Poi arrivò la crisi delle miniere, ma l’Ospedale sotto la guida del Comune, aumentò la consistenza numerica dei suoi dipendenti, e distribuì stipendi che tennero viva la rete commerciale locale. Pertanto, il buon funzionamento della Sanità si traduceva anche in un beneficio economico per il territorio.

Era sempre Presidente Pietro Cocco quando venne promulgata la legge più importante della storia Repubblicana: la legge 833 del 1978. Era la “Legge di Riforma sanitaria”. Fu una grandiosa rivoluzione. Nacquero le ASSL. Quella di Carbonia fu la n. 17; quella di Iglesias fu la n. 16. Scomparvero gli Enti Ospedalieri Comunali e comparvero le “Aziende Socio Sanitarie Locali”. Tutti i Comuni dell’hinterland, cioè il Sulcis, nominarono nel 1982 i Delegati Comunali per il “Comitato di Gestione della ASSL”. Tra i consiglieri comunali eletti, venne formato il Consiglio di Amministrazione della ASSL. Il primo Presidente, dopo Pietro Cocco, fu Antonio Zidda; il vicepresidente fu Andrea Siddi, che era anche Sindaco di Sant’Antioco.

Le deliberazioni della ASSL venivano assunte dopo confronti serrati sia fra i consiglieri comunali del territorio, sia fra Amministrazione e Sindacati.

L’epoca dei Comitati di Gestione fu un fermento di idee e di partecipazione popolare. Furono prese allora le decisioni di miglioramento dei Servizi Ospedalieri fino ad oggi.

Il numero dei Sanitari aumentò e le istanze dei Medici furono rappresentate, in Amministrazione, dal “Consiglio dei Sanitari”. Il parere dei Medici fu fondamentale per qualsiasi decisione di tipo sanitario. La collaborazione fu proficua.

La Direzione Amministrativa Sanitaria della Sardegna era attribuzione dell’Assessore regionale della Sanità che agiva come super-presidente delle ASSL.

In questa scala gerarchica della catena direzionale la volontà popolare del territorio era genuinamente rappresentata.

Negli anni ’90 il corso della storia della Sanità Ospedaliera cambiò bruscamente direzione.

Arrivarono i “Tecnici”. Tristi figure di scuola bocconiana che stravolsero il senso del “prendersi cura dell’Altro”. Gli Ospedali cambiarono nome: si chiamarono “Stabilimenti”. Anche i “pazienti” cambiarono nome: si chiamarono “clienti”. Il prodotto dello “Stabilimento” doveva essere gestito con le stesse regole con cui si producono e si vendono i prodotti industriali. L’obiettivo non era più il benessere sanitario ma il “bilancio”. Il numero di posti letto per mille abitanti fu portato da 6 a 3. Il “bilancio” fu l’ossessione contabile prevalente e si pretendeva di conservare “efficienza e efficacia” pur tagliando posti letto, organici e spese per aggiornamento strumentale e strutturale. Le dinamiche decisionali non derivavano più dal confronto fra i bisogni popolari e la parte politica, ma dalla sequenza rigida di azioni dettate dalla scaletta di un algoritmo. L’algoritmo spodestò lo “spirito di servizio” e la “mediazione” con le “forze sociali” attraverso un retinacolo di passaggi burocratici, impenetrabile al cittadino comune. Il cittadino comune, e anche il più alto rappresentante sanitario della città, il Sindaco, vennero tecnicamente espulsi dal luogo dove si formulano le proposte programmatiche e si prendono le decisioni. Questo fu il frutto delle continue rielaborazioni fino al totale sovvertimento della legge 833.

Il centro del nuovo mondo sanitario venne occupato dallo “apparato burocratico”. I pazienti e i medici vennero posti alla periferia di quel mondo o, più frequentemente, al di fuori.

Il dominio del puro risultato “contabile”  sulla mission di tutela sanitaria della 833 produsse:

  • L’annullamento dei Medici nelle dinamiche decisionali sanitarie,
  • L’annullamento degli Infermieri,
  • La riduzione degli Organici,
  • La conseguente chiusura di reparti medici e chirurgici,
  • La contrazione delle spese per attrezzature ed aggiornamenti,
  • L’accorpamento di reparti deteriorati,
  • La mancata sostituzione dei primari e personale andati in pensione,
  • La insoddisfazione della popolazione costretta a cercare assistenza altrove generando mobilità passiva,
  • L’accentramento della Sanità nelle città capoluogo,
  • L’impoverimento dei Servizi,
  • Le scandalose liste d’attesa.

E ne sono conseguiti:

  • La mobilità passiva verso Cagliari, Sassari ed il Continente,
  • Il trasferimento di somme enormi del Bilancio per pagare i Servizi Sanitari comprati dal capoluogo e dalle Case di Cura private.
  • La perdita, lenta, di circa 1.000 posti di lavoro tra Carbonia e Iglesias a vantaggio di Cagliari.
  • Le 1.000 buste paga scomparse in progressione dal Sulcis Iglesiente, tra la fine degli gli anni ’90 ed oggi, corrisponde a oltre un milione e mezzo di euro di stipendi al mese che manca alla rete commerciale locale.
  • In un anno mancano al circuito di danaro nel Sulcis Iglesiente almeno 18 milioni di euro.
  • La mancanza di soldi dal nostro territorio a vantaggio di territori già traboccanti di privilegi e servizi come Cagliari genera: povertà.
  • La povertà e la mancanza di lavoro chiudono il cerchio e si autoalimentano.
  • La fuga delle giovani coppie che ne consegue si traduce in spopolamento ed invecchiamento relativo.
  • I meno giovani restano in balia di un sistema che non è più “accogliente” come ai tempi dei “Comitati di Gestione” ma “respingente”.
  • Le lunghissime “liste d’attesa” sono la rappresentazione grafica perfetta del “respingimento” in atto.

Durante il “lockdown” abbiamo assistito ad un fenomeno impensabile: il “silenzio” dei Medici Ospedalieri.

Nessuno parla, nessuno informa, né partecipa alle ansie della gente. Muti lavorano, distogliendo lo sguardo.  Il “silenzio” dei Medici Ospedalieri è il sintomo chiaro della loro esclusione dalla Sanità.

Ora è il momento.

Se è vero che nulla sarà come prima, dobbiamo stare attenti. Il cambiamento può essere in meglio o anche in peggio.

Per tutto ciò che ho detto in premessa, questo è un momento storico: sul cavallo in corsa della nostra Storia Sanitaria è stato cambiato il cavaliere. Bisogna verificare chi è, e in quale direzione intende correre questo cavaliere post-Covid.              

Mario Marroccu         

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Il Sistema sanitario pubblico, in Sardegna, ha acquistato nuove macchine per l’estrazione dello RNA del Coronavirus, destinate a: Sassari, Olbia, Nuoro, Oristano. Le ASSL non ancora dotate di test per scovare i portatori Covid, sono quelle di Carbonia Iglesias, Lanusei e Sanluri.

Per spiegare meglio l’enorme importanza di questa dotazione di laboratorio per la caccia al Coronavirus, è necessario illustrare quanto sia fondata la richiesta urgente del servizio di “Diagnostica molecolare” per la ASSL di Carbonia Iglesias.

Questo è lo stato dei fatti, oggi 24 Maggio 2020:

-1- Il Paese è ripartito “alla cieca”.

-2- Non c’è un piano di “test e tamponi”.

-3- Non si parla più di “tracciamento digitale”.

-4- Non abbiamo neppure un’adeguata scorta di mascherine.

-5- La “Fase 2”  è difficilissima, eppure ci stiamo presentando inermi davanti al virus.

-6- Stiamo vedendo, soprattutto nelle regioni del Nord, “assembramenti” sui mezzi di trasporto.

-7- Ascoltiamo quotidianamente decreti di cui non vediamo l’efficacia.

-8- Manca la liquidità.

-9- Manca il “progetto nazionale per la ripresa”.

-10- Si lamentano ritardi per la “cassa integrazione”.

-11- Pare vi siano ritardi delle banche locali per far arrivare finanziamenti.

-12- Ritardi nei pagamenti di stipendi e fornitori.

-13- Niente piani per salvare l’occupazione.

Altro che “ricostruzione post-bellica!”.

Questa è una sintesi degli analisti economici dei giornali più letti e non schierati politicamente.

Vediamo ora un tentativo di analisi da un punto di vista medico-biologico della situazione.

Stiamo assistendo ad una “partenza alla cieca”, in un mondo primordiale di virus e microbi, che competono con gli altri esseri viventi. 

Alcuni di questi virus sono buoni: i “commensali”.

Altri sono patogeni: i parassiti obbligati, come i coronavirus.

Ogni specie fa una “guerra all’ultimo sangue” per la sopravvivenza a danno delle altre specie.

Questo concetto, della coesistenza non pacifica tra specie viventi, fu ben chiaro agli scienziati del 1800 e del 1900 quando si definiva il rapporto tra Uomini e Microbi con termini adatti a descrivere la violenza in guerra. Il professor Spanedda introduceva le sue lezioni di Immunologia con espressioni di Aldous Huxley dipingendo retoricamente la “Natura” “rossa di sangue nei denti e negli artigli”. I termini usati nei testi di Medicina richiamano sempre la cieca violenza, come: “aggressore” per i virus, mentre l’Uomo attaccato “mobilita forze difensive”. Il Medico “combatte” le malattie per “conquistare” la guarigione e, talvolta, perisce anch’esso nello scontro.

In questa Pandemia abbiamo visto tutti questi elementi di asprezza delle forze cattive della Natura quando si sviluppa la malattia.

Abbiamo anche visto che il Coronavirus è buono con i pipistrelli e cattivo con l’Uomo. Pertanto, la cattiveria è specie-specifica, e lo è pure l’”amicizia”. Conosciamo microbi che svolgono lavori molto utili per l’Uomo, come i “fermenti” della farina che ci danno il pane, i fermenti per la birra ed il vino e i fermenti che compongono il “Microbioma intestinale”.  Il “Microbioma intestinale” è un ammasso di cellule microbiche e di virus che vivono dentro di noi, e che ci fanno vivere bene. Addirittura comunicano col nostro cervello dandoci benessere e anche felicità, oppure ansia e depressione. Il nostro rapporto col mondo vivente ultra-piccolo è in genere buono. In pochi casi è cattivo. Allora si scatena la “malattia”, che è il conflitto tra il virus ed il nostro sistema immunitario. In genere il virus vince perché lui è il vero antico padrone del mondo, dove mise i suoi paletti di possesso nell’era pre-paleozoica, quando noi non esistevamo. Poi arrivammo noi ad occupare i suoi spazi e lo costringemmo a vivere in piccoli spazi come il caso dei virus Ebola e HIV dell’AIDS, che dovettero ridursi a vivere tra le scimmie della foresta africana o il caso del Coronavirus che si ridusse a vivere nei pipistrelli della caverne cinesi. Tentando di occupare anche questi ultimi spazi riservati al virus, l’Uomo l’ha costretto a cercarsi un altro ospite e l’ospite, il più disponibile e più numeroso in natura, è l’Uomo stesso. Così è riesplosa la guerra e non è una guerra ad armi pari. Loro sono estremamente più potenti.

In un contesto così difficile, la specie umana è sopravvissuta a epidemie nei millenni. Le Pandemie non sono state numerose. La storia, la leggenda e le religioni ci tramandano il ricordo delle più importanti:

-1- La strage dei primogeniti descritta tra le piaghe d’Egitto (1300-1200 a.C.) poteva configurarsi come una epidemia di morbillo o di vaiolo che si portò via tutti i nati degli ultimi anni. Anche in quel caso vi fu un “lockdown”: chiudersi in casa per sfuggire alla morte.

-2- L’Epidemia descritta nel primo libro dell’Iliade, con strage di guerrieri, cani e muli, voluta da Apollo per punire i greci che avevano offeso il sacerdote Crise.

-3- L’Epidemia del 430 a.C. ad Atene, durante la guerra del Peloponneso, quando morì Pericle.

-4- La “Peste Antonina” del 165 d.C. al tempo di Marcaurelio, portata dalle truppe reduci dall’Asia per la guerra contro i parti.

-5- La “Peste di Giustiniano” del 542 d.C.. Fu forse una malattia virale venuta dall’Etiopia.

-6- La “Peste nera”, 1347-48, da Yersinia Pestis giunta in Occidente dall’India e Cina, con il ratto nero e le sue pulci.

-7- La “Peste di Milano” del 1620, a cui seguirono le epidemie di peste di Alghero, Sassari, Oristano e Cagliari nel 1652, e le varie epidemie di Peste di Iglesias.

-8- La Spagnola del 1919-20 arrivata in Europa con le truppe americane dal Texas.

-9- Oggi il Coronavirus, Covid-19, venuto dalla Cina e manifestatosi in Occidente, in Italia il 21 febbraio 2020.

Abbiamo elencato 9 pandemie.

Inoltre, vi sono state numerose epidemie come quelle di vaiolo, colera, febbre petecchiale castrense, TBC, lebbra, ed influenze varie.

Ma le pandemie ufficiali sono quelle 9.

Pertanto stiamo vivendo una esperienza millenaria che verrà ricordata nei libri di storia.

Nei mesi di Febbraio, Marzo, Aprile, eravamo tutti consci della gravità della pandemia in corso.

Oggi, all’improvviso, tutto sembra dimenticato, come se fossimo diventati all’improvviso ciechi ed insensibili alla paura del contagio. Eppure vi sono dati vistosi di allerta:

  1. Il 21 Febbraio avevamo 1 contagiato in Italia. Il giorno del picco, intorno a metà Aprile, avevamo 108.000 contagiati. 
  2. Oggi, 24 Maggio, abbiamo 60.000 contagiati.
  3. Un mese fa avevamo 200.000 contagiati nel Mondo.
  4. Oggi ne abbiamo 5 milioni.
  5. Lo stesso Donald Trump, negazionista all’inizio, da ieri porta la mascherina.
  6. L’ISS ha confermato che l’idrossiclorochina è inefficace e che il plasma iperimmune è curativo solo nel 10-12 per cento dei casi. Gli antivirali noti non funzionano. Pertanto, possiamo dire che non abbiamo cure contro il virus ma solo anti-infiammatori ed eparina.
  7. Il calo di nuovi contagi è dovuto solo al lockdown, alle mascherine e al distanziamento.
  8. Ieri avevamo in Italia 1,5 portatori sani di virus ogni 100 tamponi fatti a caso. Per me è un numero spaventoso. In Sardegna sarebbero 1,5 per mille, cioè significa che a Carbonia vi sarebbero 45 portatori sani di virus pronti a contagiare. C’è da tenere gli occhi bene aperti.

A me sembra che il mondo sia in piena guerra.

A questo punto, ritorniamo alla domanda iniziale:

– che significato ha questa discesa in campo, in massa, senza la certezza di adeguate protezioni e senza il programma di screening delle 3 “t” (test, tracciamento, trattamento)?

  • Perché si ha la sensazione che si sia attenuato il controllo sull’uso delle mascherine ed il distanziamento?
  • Perché non si parla più di ricerca dei “portatori sani” con tamponi per RNA?
  • Perché non si parla più di “tracciamento”?
  • Perché non si parla più dei centri per l’isolamento dei portatori sani?
  • Perché non si parla più di Covid Hospital?
  • Eppure i numeri portati ci dicono che la nostra attenzione deve essere alle stelle.

Questa premessa dimostra l’enormità del problema. Possiamo giusto contemplare questo fenomeno planetario e cercare di capire quanto avviene in campo nazionale e regionale. Non pensiamo di poter risolvere i grandi problemi. Tuttavia pensiamo di avere il dovere di mantenere gli occhi bene aperti sulla sicurezza delle nostre famiglie. Il baratro economico che si apre nel futuro è da causa sanitaria, ed è imprescindibile affrontare il problema sanitario, cioè la libera circolazione del virus.

Qual è il nostro obiettivo immediato? Il controllo e l’identificazione dei portatori di virus nel territorio.

Esiste un unico metodo: la ricerca del portatore con l’esame del tampone nasofaringeo, sottoposto ad estrazione dello RNA virale. Solo così si estrapola il portatore dai sani e si crea serenità nel mondo produttivo. E’ la premessa imprescindibile.

Per tale ragione si deve pretendere l’immediata dotazione dei laboratori analisi del Sistema sanitario del Sulcis Iglesiente, di uno strumento adatto per la ricerca del virus.

Perché lo pretendiamo?

  • Perché siamo un’importante zona sanitaria sarda non ancora dotata di tale strumento,
  • Perché quando arriveranno i momenti difficili della seconda ondata, tutti saranno impegnati a salvare se stessi. Noi dovremo risolvere il nostro problema senza aspettarci che lo facciano altri.
  • Perché abbiamo il dovere ed il diritto, di governare la nostra Sanità locale.
  • Perché è necessario che i Sindaci del Sulcis Iglesiente si assumano completamente le funzioni di più alta autorità sanitaria delle città.
  • Perché non siamo ancora inclusi tra i beneficiari degli strumenti appena acquistati.

Questa precisa affermazione deriva dalle notizie giornalistiche pubblicate da L’Unione Sarda.

E’ necessario che i nostri rappresentanti si adoperino, affinché una delle apparecchiature venga rapidamente destinata a Carbonia Iglesias.

Mario Marroccu

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La storia del Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente è legata intimamente all’evoluzione dello spirito di appartenenza a questa terra. Per raccontarla, è necessario partire da lontano ed arrivare fino al 2020. Pazienza! E’ una rapida passeggiata un po’ letteraria e molto storica.

Il più antico “Popolo sardo” organizzato politicamente fu quello dei “Nuragici”. Tutto iniziò nel 1800 avanti Cristo. Nel 1100 avanti Cristo i sardi cessarono di costruire nuraghi e iniziarono a scomparire. Mistero storico. Fu a causa di un’epidemia? Oppure fu l’effetto di una crisi di mercato, perché si stava passando dall’età del bronzo a quella del ferro?
Al tempo dei nuraghi la Sardegna era totalmente popolate e dedita ad attività minerarie e metallurgiche. La densità delle sue torri sono il segno certo che era ricca. Lucrava sul commercio di qualcosa che produceva in abbondanza: il bronzo. L’ottimo bronzo sardo era molto richiesto in tutto il Mediterraneo per forgiare armi.
Praticamente nel 1.200 avanti Cristo, il bronzo sardo armò la Prima Guerra Mondiale della storia: la Guerra di Troia. E dove c’è guerra ci sono medici.
Guardate le armi di bronzo nuragico che sono esposte nel Museo Archeologico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari. Sembrano fatte ieri. Hanno la forma della “foglia di ulivo”. Esattamente simili sono state riprodotte dai consulenti storici per il film “Troy” con Brad Pitt.
La Guerra di Troia iniziò male: con un’epidemia. Morirono di febbre, e infezione alle vie aeree, tanti guerrieri greci che Agamennone, per motivi di “igiene pubblica” dovette far cremare sulle pire allestite davanti alla marina di Troia.
Nell’Iliade vengono descritti 148 tipi diversi di traumi da spada, lancia, o freccia. I chirurghi che in quel conflitto bellico curavano i feriti erano nientedimeno che i figli di Esculapio: Macàone e Podalirio.
Allora la chirurgia era arte divina. Pindaro, parlando di quei Medici nel settimo secolo avanti Cristo, scriveva nelle “Odi”: «E quanti vennero da lui….feriti nelle membra dal lucido bronzo o dal getto di pietre,… fasciando le membra…altri con azioni chirurgiche rimise in piedi».
Durante la Guerra di Troia, il medico Macàone fu ferito da freccia troiana e subito venne soccorso da due Re: Idomeneo e Nestore, perché, come dice Omero: «Uomo guaritore vale molti uomini a estrarre dardi, e spargere blandi rimedi».
Nei millenni la considerazione del Medico rimase sempre elevata. Ebbe un crollo solo durante la peste del 1347-48, quando i medici fallirono i risultati sperati. La peste prevalse su tutti ed il poeta Francesco Petrarca, offeso per la morte dell’amata Laura De Sade, scrisse libelli feroci contro tutta la categoria.

La professione medica fin dall’inizio si specializzò. Vi furono gli specialisti nel “taglio della pietra” (urologi), gli specialisti della cataratta( oculisti), gli specialisti delle “malattie interne”, gli specialisti in “craniotomia” (neurochirurghi), e poi i “raddrizzatori di bambini storpi”. Quest’arte si chiamava “ortho” (raddrizzo), “peideia” (bambino). Da cui l’origine del nome “Ortopedia” per la specialità che aggiusta lo scheletro.

Non sappiamo quasi nulla sulla medicina dell’Alto Medio Evo nel Sulcis Iglesiente. Sappiamo che gli ammalati peregrinavano verso la tomba del Santo Medico Antioco e che attorno alla basilica vi erano tante casette per ospitare i malati richiedenti la guarigione: le “cumbessias” o “muristenes”.
Troviamo tracce di attività medica nella chiesetta bizantina altomedioevale di San Salvatore, ubicata nella periferia di Iglesias. Si sa che ospitava viandanti richiedenti cure per cui si spiega la presenza dell’”orto dei semplici”. Era il luogo dove i monaci (Benedettini o Basiliani) coltivavano le erbe medicamentose per produrre unguenti e pozioni galeniche. Nel terreno circostante sono state trovate tracce di inumazioni in terra nuda.
A San Giovanni Suergiu, vi è una chiesetta edificata dopo le Crociate dai monaci Giovanniti. Ricordiamo che i Giovanniti fondarono l’ospedale di San Giovanni Battista di Gerusalemme col permesso del Sultano del Cairo, e vi curarono i pellegrini cristiani che venivano dall’Europa. Alla fine delle Crociate vennero allontanati dalla Palestina e si insediarono in loro possedimenti in Sardegna. Qui nel Sulcis continuarono la loro missione di curare gli “infirmi et pauperes Christi”. Sulla facciata della chiesetta di San Giovanni si riconoscono le incisioni di “croci di Malta” e i fregi che ricordano le cupole delle moschee di Omar e di Al Aqsa, della spianata dei templi di Gerusalemme.
Queste sono le poche tracce di attività medica nel Sulcis Iglesiente nel Medio Evo.
La crescita della Chirurgia in Europa rimase bloccata, a causa dell’altissima mortalità, fino alla seconda metà del diciannovesimo secolo. Solo allora, dopo la scoperta dell’esistenza dei “microbi”, si capì la necessità della “disinfezione” e, dopo la scoperta dell’“anestesia”, si poté operare “senza dolore”. I chirurghi cominciarono ad operare, per la prima volta, l’addome e la pelvi femminile temendo meno le setticemie mortali perioperatorie. Contemporaneamente iniziò lo sviluppo moderno degli Ospedali. Il più grande impulso allo sviluppo della chirurgia, soprattutto traumatica, avvenne con la Prima Guerra Mondiale. Lì si formarono i primi chirurghi dei nostri primi Ospedali.

Con la chirurga addominale e pelvica, decollò la chirurgia degli arti. Questa fu promossa in Italia da Alessandro Codivilla (m. 1912) che fu direttore dell’Ospedale Ortopedico Rizzoli di Bologna. Tutt’oggi il Rizzoli appare al visitatore con tutta la sua vecchiezza strutturale di fine ‘800. Da lì passò l’ortopedia mondiale, e la migliore ortopedia italiana in assoluto. Codivilla fece una invenzione rivoluzionaria: il “Chiodo di Codivilla”.
Si trattava di un’anima metallica da introdurre nel canale dell’osso fratturato. Attorno ad esso si sarebbe formato il “callo osseo”. Ciò comportava la guarigione con ossa ben raddrizzate (fatto raro) e consentiva l’eventuale allungamento dell’osso accorciato da un callo osseo venuto male. Il nuovo obiettivo dell’Ortopedia insegnato da Codivilla al mondo, era il “recupero funzionale” dell’arto.
Con la tecnica di Codivilla, si iniziarono a trattare le folle di portatori di deformità congenite ed acquisite: piedi torti, ginocchi valghi e vari, lussazioni dell’anca, paralisi infantili, tare eredoluetiche, gibbi cifoscoliotici, colli torti. A questi si aggiungeva il numero enorme di deformi procurati dalle due piaghe sociali dell’epoca: la tubercolosi ossea e il rachitismo; malattie incurabili e dal destino triste.

Già ai primi del ‘900 avevamo in Italia ben 40 “Ospedali marini” per la cura medica e chirurgica della TBC ossea. Lo sviluppo minerario dell’Iglesiente aveva introdotto la necessità di fornire un’adeguata assistenza ortopedico-traumatologica ai minatori. Quando esplose la protesta dei minatori nel settembre 1904, a Buggerru esisteva un ospedale per i traumi da miniera. L’organico comprendeva tre Medici con competenze chirurgiche ortopediche, e personale femminile per l’assistenza al parto. L’ospedale era molto attivo anche nell’assistenza alla popolazione civile; vi erano allora circa 8.000 abitanti, quando Cagliari ne contava circa 50.000. I casi più gravi venivano trasportati ad Iglesias in carrozza. Iglesias prima di questo periodo aveva avuto una struttura ospedaliera basso-medioevale citata da documenti dell’epoca: si trattava dell’ospedale di “Santa Lucia”, che poi prese il nome di “Santa Chiara”.
Tra le due Guerre Mondiali del ‘900, dopo la Guerra d’Etiopia e le “Inique Sanzioni” fu evidente che l’Italia doveva dotarsi di una sua fonte autarchica di energia, così prese vita il progetto di sviluppo del  bacino carbonifero del Sulcis. Le miniere metallifere dell’Iglesiente e le carbonifere del Sulcis furono la nuova frontiera del lavoro in Italia. Il numero complessivo di abitanti delle due città sfiorava i centomila. L’età media era molto giovane ed era costituita da una moltitudine di minatori del sottosuolo e operai di superficie. Gli incidenti sul lavoro erano molto frequenti. L’Inail nel 1946 inaugurò l’Ospedale CTO di Iglesias e lo rafforzò di Traumatologi e Chirurghi generali a costituire un avanzato “Trauma Center” dove si affrontavano tutti gli effetti di un trauma: dalle fratture dello scheletro alla rottura di milza e di fegato ed i traumi cranio-encefalici. Doveva essere una Traumatologia a tutto campo. Il Governo dispose che negli ospedali minerari di Iglesias e Carbonia operassero i migliori chirurghi traumatologi della Nazione. A Carbonia il Chirurgo generale con competenze neurochirurgiche arrivò dalla Patologia chirurgica dell’Università di Napoli: il professor Ignazio Scalone. Rimase un anno a dirigere l’ospedale di piazza Cagliari, a Carbonia. Di lui restano testi di chirurgia del cervello e del cervelletto, per la cura di lesioni craniche provocate da arma da fuoco, scritti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Con l’uscita del dottor Scalone, il primariato di Chirurgia generale venne conferito al dottor Gaetano Fiorentino; egli affidò l’Ortopedia e Traumatologia al dottor Schirru. Questi era un medico di eccezionale valore. Dopo una quindicina d’anni di esperienza in traumi a Carbonia, si trasferì negli Stati Uniti. Dopo 30 anni, il dottor Schirru tornò in Italia e si presentò al nuovo primario del Sirai, il prof. Lionello Orrù, a cui raccontò la sua storia americana: era diventato Direttore sanitario di un enorme ospedale di 3.000 posti letto a Washington, e ne dirigeva il reparto di Ortopedia. Arrivato alla pensione, gli era comparsa un’ernia inguinale. Per tale motivo pensò di tornare in Sardegna, a Carbonia, per farsi operare. Non si fidava del modo di operare l’ernia degli americani. Voleva essere operato da un chirurgo italiano. Una volta operato a Carbonia tornò a Washington.
Ad Iglesias, il primario chirurgo generale era il dottor Falqui. Al CTO vennero inviati chirurghi ortopedici di vaglia formati al Rizzoli di Bologna.
Dopo Codivilla, fu direttore del Rizzoli il professor Vittorio Putti (m. 1940). Fu chirurgo eccellentissimo che già nel 1919 veniva conteso all’Italia dalle maggiori istituzioni medico-chirurgiche statunitensi. Quando andava in America veniva, per i suoi miracoli ortopedici, ricevuto solennemente, come si conveniva alla sua fama.
Con la scomparsa del professor Putti, la direzione della chirurgia ortopedica del Rizzoli venne affidata al professor Francesco Delitala, nato a Orani in provincia di Nuoro, che aveva insegnato Ortopedia all’Università di Napoli, poi in quella di Padova e, infine, diresse il Rizzoli. Fu grande esperto della chirurgia dell’ernia del disco intervertebrale e della spalla. Morì a Bologna nel 1983.
Fu un allievo di Delitala il professor Cabitza di Cagliari. Questi, successivamente, diresse la Clinica Ortopedica Universitaria di Cagliari e l’ospedale Marino del Poetto.

Contemporaneamente, studiavano e operavano al Rizzoli, sia il dottor Giuseppe de Ferrari sia il dottor Italo Cao. Ambedue divennero professori di Ortopedia e Traumatologia e diressero il CTO di Iglesias. Il CTO (Centro Ortopedico Traumatologico) di Iglesias riprodusse in Sardegna le altissime competenze chirurgiche del Rizzoli di Bologna costituendo, nel Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente, un pilastro fondamentale della Sanità.
I successori di questi Maestri, diressero poi il CTO e l’Ortopedia di Carbonia e di Iglesias fino ai giorni nostri.
Il seme prezioso di quei grandi ortopedici è ancora tra noi.
Come si vede la discendenza di scuola è di altissimo livello.
Non può essere perduta.
Questa ricostruzione tratta dai libri di storia della Medicina è una conoscenza che deve costituire patrimonio dei cittadini del Sulcis Iglesiente. Tale eredità deve essere protetta dall’operazione “contabile” che sta trasferendo il nostro patrimonio sanitario in città lontane.

E’ incredibile. Quando eravamo “poveri” eravamo molto più “ricchi” in Sanità.

Mario Marroccu

Nella fotografia, da sinistra: dottor Giuseppe Porcella, dottor Renato Meloni, il sig. Cuccuru capo degli infermieri, dottor Gaetano Fiorentino, don Luigi Tarasco e dottor Luciano Pittoni.

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Le notizie riportate in questi giorni dal giornale l’”Unione Sarda” riguardo alla ZEE (Zona Economica Esclusiva) algerina sul Mar di Sardegna, che si estende dalle coste africane fino a 13 chilometri da Sant’Antioco e, più su, fino ad Oristano e Alghero nel suo lato Est, mentre si estende a Nord fino alle isole Baleari nel lato Sud-Ovest, fino alle coste della Spagna Meridionale, ci impone di rivedere i ricordi dei nostri secolari rapporti con l’impero turco del Nord-Africa.

Fino a pochi decenni fa i sardi, sentendo nominare i turchi rivolgevano subito il pensiero a San Antioco martire e alla Madonna di Bonaria supplicandone l’intercessione.

Erdogan, l’attuale presidente della Turchia, recentemente interrogato dai giornalisti sul suo interventismo in Libia, ha risposto che la Turchia si sente obbligata ad intervenire nella guerra intestina libica perché possedette quella provincia, ai tempi dell’Impero, per 500 anni.

Dato che un vicino del genere, dopo aver portato truppe in Libia si è recato in Algeria per rinsaldare gli antichi vincoli, potrebbe rivelarsi molto ingombrante, è utile rivedere alcuni passaggi storici tra i turchi e noi occidentali sulla frontiera africana.

Mille anni fa vennero gettati le basi del nostro indebolimento fino alla situazione di oggi.                                                        

Nell’anno 1054 il Patriarca di Costantinopoli, Michele Cerulario, attuò lo “scisma” tra la chiesa cattolica di Roma e la chiesa Ortodossa di Bisanzio. Questa spaccatura fu esiziale per l’Occidente. L’Impero Bizantino divenne ortodosso, mentre l’Italia e l’Europa rimasero Cattolici. La Sardegna ed il Nord-Africa, che erano parte integrante dell’Impero Bizantino, rimasero nella sfera ortodossa a fronteggiare l’Africa musulmana.

Nell’anno 1071 l’Impero Bizantino, indebolito, venne attaccato da orde di un popolo d’origine mongola, e battuto nella gravissima battaglia di Manzicerta. La notte precedente la battaglia, sul cielo si stagliava una luminosissima mezza luna con al di sopra una stella. Quel popolo vincitore dei Bizantini erano i “Turchi”. Da allora adottarono come bandiera nazionale un panno rosso con, al centro, una mezzaluna sormontata da una stella. Quel simbolo viene utilizzato tutt’oggi.

Con il trattato di pace i Turchi si installarono in territorio bizantino e, pian piano, intaccarono le difese della grande potenza cristiana fino a batterla conquistando Costantinopoli nel 1453. Fu la fine dell’impero Bizantino.

Per arrivare alla città di Costantinopoli, nei crocevia c’erano cartelli indicatori con su scritto “Isten polis”, che in greco significa: «Quella è la città». I Turchi pronunciavano “Istanbul”, e questo divenne il nome definitivo.

Nel 1492 la Spagna aveva scoperto l’America con Cristoforo Colombo, ed aveva avviato, in patria, una campagna di espulsione di musulmani ed ebrei.

Contemporaneamente la “Sublime porta” di Istanbul aveva dato disposizioni ai suoi eserciti di occupare tutte le province bizantine in Nord Africa, fino all’Algeria. Tuttavia l’avanzata turca fallì nel tentativo di occupare l’Europa. I Turchi furono infine definitivamente fermati dai Cristiani Cattolici con la battaglia navale di Lepanto nel 1571. Vi parteciparono anche truppe sarde.

La Libia, che era stata occupata dalla Spagna nel 1510, e affidata ai Cavalieri di Malta, venne poi conquistata dai turchi nel 1551. Da allora l’Impero turco fu il vicino ingombrante di noi sulcitani.

La Reggenza di Algeri era diventata turca nel 1525. Essa fu il principale centro dell’Impero Ottomano nel Maghreb e divenne la base stabile delle navi corsare per i lucrosi affari che si facevano con la cattura delle navi commerciali europee. Era il principale centro della pirateria.

Nel 1574, 3 anni dopo Lepanto, finite le mire sull’Europa, la Turchia occupò militarmente  la Tunisia, fermando definitivamente la conquista spagnola del Nord Africa. Al governo della Tunisia venne incaricato il Bey di Tunisi, reggente della Sublime Porta.

I Pashà di Algeri, Tunisi e Tripoli conducevano abili rapporti diplomatici col governo turco e le loro finanze derivavano quasi esclusivamente dalla protezione della pirateria. Dal 1500 al 1700, nei mercati degli schiavi di quelle reggenze, furono venduti da 1 milione a 1 milione e 500.000 schiavi bianchi. Si calcola che fino al 1815 venissero trattati in quelle piazze circa 20.000 schiavi l’anno. Gli studiosi hanno trovato negli archivi di Stato di Cagliari, Barcellona e Madrid, diverse lettere d’affari tra Sardegna e Spagna. In una lettera inviata nel 1600 dal commerciante cagliaritano Antonio Porta al re di Spagna per chiedere l’infeudazione del mare di Portoscuso per impiantarvi una tonnara, esiste, scritta in spagnolo, una frase che tradotta in italiano suona così: «Nell’isola di san Pietro attraccano navi corsare saracene che trafficano tanti cristiani fatti schiavi che, così numerosi, non si vedono neppure a Madrid».

Oltre alla tratta degli schiavi vi era un’altra attività piuttosto lucrosa: i Turchi avevano istituito un sistema di rilascio di salvacondotti a pagamento per le navi europee che solcavano il Mediterraneo. Chi pagava non veniva attaccato. Gli stessi Stati Uniti d’America, appena costituiti, nel 1795 con un trattato a firma di Giorgio Washington, si erano accordatI coi Bey di Algeri, Tunisi e Tripoli, per la somma colossale di 1 milione di dollari l’anno purché le navi commerciali americane, che vendevano i loro prodotti agricoli in Mediterraneo, non venissero attaccate dai corsari.

Ben si comprende in quale stato di pericolo perenne si trovassero la popolazioni costiere del Sulcis e del Cagliaritano che erano proprio al centro di una morsa: a Sud vi era la minaccia turca. A Nord vi erano gli Stati europei in lotta perenne fra di loro, e perennemente assetati di danaro, tonno sotto sale, grano e uomini da arruolare forzatamente per le loro guerre interminabili.

La dominazione turca era interessata alle città costiere del Nord Africa, porto sicuro per i corsari, mentre era carente la sua presenza nelle oasi sahariane. Qui le tribù berbere gestivano in completa autonomia il commercio di schiavi africani. Vocazione commerciale mai perduta.

La “Guerra da Corsa” venne dichiarata illegale dal Congresso di Vienna nel 1815. La sua cessazione venne imposta  col bombardamento di Algeri e Tripoli nel 1816 de parte della flotta anglo-olandese comandata dall’ammiraglio Lord Exmouth, attuata per ritorsione all’incursione berbaresca su Sant’Antioco il 16 ottobre 1815.

Avendo perso i proventi assicurati dalle mercanzie delle navi catturate, l’unica risorsa rimasta a quei beycati fu il commercio degli schiavi. Ma anche questo introito entrò in crisi quando nel 1830 la Francia conquistò l’Algeria e le Società antischiaviste inglesi imposero al Sultano di Istanbul di fermare la pratica dello schiavismo. Ma solo nel 1855 il Sultano interdisse l’imbarco di schiavi nei porti di Tripoli, Bengasi e Derna.

Nonostante ciò la schiavitù non fu abolita per altri 50 anni. Si estinse definitivamente nei porti libici nell’anno 1911 quando gli italiani conquistarono la Libia con la Guerra Italo-Turca.

Invece a livello tribale, nel Maghreb Sahariano, la schiavitù è tristemente sopravvissuta fino ai giorni nostri.

***

La Sardegna, per secoli, subì le incursioni dei pirati nord-africani a caccia di merci e di schiavi. E’ stato calcolato da recenti ricerche che il 90 per cento delle incursioni in Sardegna avvenne tra Capo Carbonara ed il Sulcis. Questa costante minaccia alle città costiere ne aveva determinato la scomparsa. Le scarse popolazioni si rifugiarono all’interno. Karales dall’anno 704 iniziò ad essere abbandonata e i suoi abitanti costruirono un nuovo centro abitato nell’isolotto di San Simone, nella laguna di Santa Gilla. La città venne poi fortificata con mura; ebbe una cattedra vescovile e fu sede di un giudice sovrano del Giudicato di Calari. La città giudicale si chiamò Santa Igia (Cecilia) (Coroneo, Casula).

Nell’anno  704 (Coroneo, Boscolo, Mohamed Bazama), la città di Sulci venne attaccata da una squadra navale saracena. La città non si risollevò mai più da quella distruzione. Un piccolo nucleo abitato si sviluppò intorno alla Basilica del Santo Antioco. Eravamo nell’alto Medio Evo, in piena amministrazione bizantina ortodossa.

Contemporaneamente anche la città di Tharros, per gli stessi motivi, venne abbandonata e il vescovo, con tutta la popolazione si spostò verso la tenuta agricola di Oristano. Eravamo nel periodo di transizione dal bizantino al giudicale.

L’isola Plumbaria (di Sulci) nel 1300 assunse il nome di isola di Sant’Antioco ed era deserta. Nonostante ciò la Basilica non si deteriorò. Venne sempre curata. Sant’Antioco era considerato protettore della Sardegna intera, efficace intercessore contro le calamità naturali, le epidemie e le orde barbaresche. Almeno due volte l’anno: nel dies natalis (13 novembre) e poi nel lunedì successivo alle due settimane dopo il lunedì dell’Angelo, una gran folla di fedeli tornava nell’isola per impetrare le grazie del Santo.

Nonostante l’isola fosse perennemente infestata dai pirati magrebini, in quei giorni di festa non avvenivano aggressioni ai pellegrini. Gli stessi pirati avevano un certo rispetto per il Santo. Le storie più note di miracoli del Santo a protezione dai pirati vengono raccontate sia da storici musulmani che da storici nostrani come il Vidal e padre Filippo Pili. Il Vidal era sacerdote e storico di grande cultura, nato a Maracalagonis nel 1575. Viaggiò per molti anni predicando in diverse città di Spagna e Italia.  Al termine dell’elenco di un nutrito numero di miracoli operati dal santo egli scrisse, a proposito dei rapporti tra sardi e turchi: «Tralascio per brevità una infinità di altri miracoli operati dalla misericordia del Signore, per intercessione e i meriti del glorioso martire Antioco. Se non ci fossero stati miracoli, basterebbe il concorso che si verifica ogni anno delle moltitudini che vanno pellegrinando all’isola di Sulci, un’isola deserta, spopolata, ma anche molto frequentata dai corsari di Berberia; né mai è avvenuto che qualche persona si stata fatta schiava; né mai si è visto corsaro alcuno che sia sceso a terra e abbia osato fare saccheggi ed assalire coloro che vanno o ritornano dalla festa; che se qualche volta qualcuno ci ha provato, ha pagato ciò duramente…»  

Inoltre racconta: «Antiogu Pretu di Maracalagonis, da ben 30 anni schiavo nelle galere di Algeri, mi disse che, essendo andati una volta i Mori a Sulci per prendersi il bestiame appartenente all’opera del santo, molti tornarono malconci o morti, tanto che il Rais inviò un grande vaso d’olio alla chiesa del Santo (per le lucerne) e minacciò i suoi corsari che avrebbe inflitto loro delle pene severe se avessero toccato le proprietà del Santo perché Antiogo “star diavolo”».

I sardi non avevano una flotta per la difesa in mare, né strutture fortificate sufficienti a terra. In mare provvedevano a questa funzione le navi armate dei cavalieri di Malta che pattugliavano il Mediterraneo. Tuttavia, erano insufficienti. All’uopo interveniva in soccorso delle vittime di rapimento l’ordine dei Frati di Santa Maria della Mercede: i Mercedari. Era un Ordine questuante e armato che raccoglieva fondi per il riscatto degli schiavi. Un altro aiuto importante era dato dalla Madonna di Bonaria di Cagliari. Veniva invocata affinché desse buon vento alle vele (bona aria) per sfuggire ai pirati turchi. Quando il miracolo si realizzava l’equipaggio si recava in pellegrinaggio al Santuario di Cagliari per sciogliere il voto per la protezione ottenuta. Per questo la Madonna di Bonaria divenne la Patrona dei Mari di Sardegna e il suo simulacro regge con la mano destra una navicella d’avorio a vele spiegate.

Questo fu il massimo della reazione dei sardi alla minaccia turca, tranne che in due episodi. Il primo fu quello dell’incursione barbaresca su Carloforte il 2 settembre 1798, che costò 930 rapiti. In quel caso, oltre alle trattative dei Mercedari, all’intervento del Papa, dello Zar di Russia e dello stesso Napoleone,  potè maggiormente  l’insistenza di Giovanni Porcile, duca di Carloforte e conte di Sant’Antioco, presso il Bey di Tunisi. Ma forse ancora di più potè il giovane  Vittorio Porcile che armò un vascello e si diede alla guerra da corsa sulle coste africane onde fare prigionieri e scambiarli con i carlofortini rapiti.

Il secondo episodio è quello dell’incursione barbaresca su Sant’Antioco del  1815. In quel caso i miliziani antiochensi, asserragliati sul forte, uccisero 300 pirati barbareschi. Vi furono 130 sequestrati, che vennero poi messi in vendita al mercato di Tunisi e Algeri.

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Oggi le notizie giornalistiche sulla formale occupazione del Mar di Sardegna dall’Africa fino a 13 chilometri dalla costa di Sant’Antioco (in prossimità dell’isola del Toro) attuata dall’Algeria, con l’evidente silenzio-assenso della Turchia di Erdogan, non ci deve sorprendere. Ciò però deve indurre ad un’adeguata reazione. Sicuramente, se questa azione fosse stata compiuta a danno degli interessi degli Stati Uniti, sul mare sarebbe già in loco la Sesta Flotta. Ma noi non siamo da meno. In mancanza d’altro possiamo pur sempre schierare Sant’Antioco Martire e la Madonna di Bonaria, mitragliando “coggius” contro “su paganu “.

Mario Marroccu