17 July, 2024
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Ci sono cose che gli abitanti del Sulcis Iglesiente devono sapere. Gli ospedali esistono da pochissimo tempo. Prima degli anni ’30 del 1900 non esistevano. Basta pensare che fino al 1905 la gente moriva di appendicite, perché non poteva essere operata. Così pure moriva di ernia strozzata, di ulcera perforata o per la caduta da un carro. Ma, soprattutto, morivano atrocemente le “poverette” che, giunte al termine di gravidanza, non riuscivano a far uscire dal loro grembo il bambino, perché il canale osseo del parto era stretto, e lì il bambino si incastrava. Iniziavano dolori tremendi ed il bambino moriva; poi iniziava la “setticemia” ed al terzo giorno moriva anche la madre. Ciò avveniva, perché non c’era un luogo dove fare il “parto cesareo”. L’unico ospedale in Provincia era il San Giovanni di Dio di Cagliari e, per raggiungerlo col carro a buoi, il percorso era un lungo sterrato, fangoso d’inverno.

A Cagliari iniziarono a fare l’intervento di “cesareo” dopo il 1910. Comunque, operavano le ernie, le amputazioni, gli ascessi, e i traumi dello scheletro. Se la Sanità era così disastrosa a Cagliari, si può immaginare quanto lo fosse nella sua lontana periferia.
Sulla presenza o meno dell’ospedale attrezzato, si giocava la selezione naturale della popolazione del Sulcis Iglesiente. Poi avvenne il miracolo: fra le due Grandi Guerre Mondiali questo territorio acquisì importanza, sia per il bacino metallifero dell’Iglesiente, sia per quello carbonifero del Sulcis.
L’area compresa tra Gonnesa, Perdaxius, Sirai e i monti di Santa Giuliana, divenne la fonte di energia per la Nazione; divenne il “Golfo Persico” dell’Italia: c’era il carbone fossile.
L’enorme riserva energetica da “carbone Sulcis” divenne il petrolio e la benzina per gli aerei, le navi, i treni, le industrie ed il riscaldamento domestico dell’Italia.
Questo incredibile colpo di fortuna, cambiò il destino del Sulcis Iglesiente. Fu necessario attirare operai e poi prendersene cura perché “cavare” minerale nel sottosuolo è molto pericoloso ed il minatore è incredibilmente prezioso. Per il minatore e la sua famiglia, vennero fabbricati i migliori ospedali d’Italia. Di tale servizio assistenziale, avrebbe poi usufruito tutta la popolazione.
La conquista degli ospedali avvenne 90 anni fa. La popolazione è cresciuta attorno ad essi in modo abnorme, e si è sviluppato un tessuto economico solido che ha aumentato le ricchezza media. Poi le cose sono cambiate con la sospensione dell’attività estrattiva e a chi governava i destini del tempo, sembrò logico “smobilitare” il Sistema Sanitario del Sulcis, e centralizzare l’ospedalità a Cagliari. I bisogni immediati della gente finirono nell’ombra, e uscirono dai programmi contabili. La “smobilitazione” sanitaria ha progredito in modo lento ed inesorabile senza ostacoli.

Gli “ospedali zonali” di Iglesias e Carbonia, di cui erano Presidenti i rispettivi Sindaci, fino ad allora appartenevano al patrimonio immobiliare della due città. Nel 1978, con la legge 833, la proprietà immobiliare ospedaliera veniva ceduta dai Comuni alla ASL 16 e 17. Non vi fu una rivolta contro questo esproprio, perché di fatto i Sindaci restavano Presidenti della ASL ed il Consiglio di amministrazione era composto dai delegati dei Sindaci di tutti i Comuni (17 per Carbonia e 13 per Iglesias). Fino a quel punto della storia, nessuno poteva danneggiare il patrimonio ospedaliero del territorio. Anzi, addirittura all’ospedale Fratelli Crobu vennero istituiti i due reparti specialistici di Chirurgia Pediatrica e Otorinolaringoiatria. Poi i Presidenti vennero sostituiti dai Commissari straordinari, nominati dall’assessorato regionale della Sanità. Questa fu la prima crepa nel nostro diritto a controllare gli ospedali. Di fatto, il vero proprietario diventava la Regione, nonostante il Consiglio di Amministrazione fosse rappresentato dai delegati dei Comuni.
Negli anni ’90, avvenne il fatto più duro per noi: vennero aboliti i Comitati di gestione (costituiti da rappresentanti dei Comuni) ed i Commissari straordinari e, al loro posto, vennero insediati i Direttori generali, con pieni poteri di tipo monocratico, nominati dall’assessore regionale della Sanità. Così i Sindaci vennero espulsi dalla gestione della Sanità ospedaliera e territoriale. Restava ancora un sottile filo che consentiva ai Comuni di controllare la gestione degli ospedali: la Conferenza dei sindaci del territorio di Carbonia e quella di Iglesias per la verifica del bilancio consuntivo.
Questi Consigli esistono tutt’oggi ma, nei fatti, non hanno alcun potere di interdizione. Possono solo essere spettatori dell’azione amministrativa del Direttore generale il quale, di fatto, ha la piena proprietà degli immobili e dei loro contenuti (personale, strumenti, arredi). Attraverso questo iter è avvenuto l’esproprio delle strutture ospedaliere del territorio.
I Sindaci hanno un potere che si limita all’espressione di un “parere non vincolante”, cioè  nessuno.
A questo punto, i “teorici della centralizzazione” della Sanità ospedaliera, a Cagliari e Sassari, hanno tolto le redini della gestione dell’assistenza ospedaliera ai cittadini e hanno iniziato la smobilitazione degli ospedali.
– A Carbonia: chiusura della Pediatria e dell’Ostetricia; mancata apertura degli Infettivi. Sospensione delle nomine dei Primari.
– A Iglesias: chiusura definitiva del Crobu, del santa Barbara, e costituzione di un ospedaletto da “weeck surgery” al CTO.
Si sostiene che sia un effetto dei programmi di risparmio del governo Monti del 2011, ma non è vero. Tutto iniziò negli anni ’90, quando arrivarono i “pensatori bocconiani” del continente che teorizzarono, e fecero applicare, programmi regionali da “decrescita felice”. Cioè la riduzione degli “organici” e l’annullamento delle intelligenze mediche degli ospedali, ottenuto con la riduzione di autonomia e capacità di iniziativa dei Primari. Il “silenzio dei medici” ha iniziato a dominare da allora. I medici non hanno parlato più; sono stati trasformati in esecutori senz’anima, soggetti obbedienti ed ammutoliti dal metodo del “bastone e la carota”, che può essere esercitato rallentandone o annullandone la carriera. L’umiliazione dei cosiddetti “dirigenti” medici, iniziò quando si stabilì che l’incarico primariale, che in passato era definitivo, divenisse quinquennale, rinnovabile a discrezione della dirigenza amministrativa. A questo punto, chi vuole sopravvivere nel sistema, deve osservare il mutismo.
Ne abbiamo avuto un macroscopico esempio durante l’epidemia. Silenzio assoluto degli ospedalieri.
Parallelamente al deterioramento del corpo dei medici pubblici è avvenuto, soprattutto in continente, il gigantesco sviluppo dell’ospedalità privata.
Forse non è questa la causa delle “zone rosse” in quelle regioni ricchissime, però è certo che in quelle regioni abbiamo assistito alla protesta sotterranea dei medici pubblici, ospedalieri e del territorio, che da molti anni si sentono depotenziati rispetto alla Sanità privata. Intendiamoci, la Sanità privata ha una sua funzione molto utile, tuttavia contro l’epidemia quel tipo di sanità non è adeguato. E’ necessaria una Sanità pubblica come in Germania.

Questa Pandemia, col disastro economico e politico globale che ha scatenato in appena due mesi, e con tutto il male che ci farà ancora, apre gli occhi a tutti sulla necessità di rafforzare immediatamente i nostri Ospedali. Da loro emergerà la salvezza della Nazione.

Tutto oggi dimostra che la “centralizzazione” a Cagliari e Sassari è un grave errore, che viene fatto accettare con la motivazione che l’unica “centrale di costo” scatenerebbe la virtù del Risparmio.
V’è molto da dubitarne. Quando eravamo una Nazione più povera, 30 anni fa, avevamo servizi sanitari migliori, immediati e sempre a fianco del paziente. Sfido chiunque a confrontare le “liste d’attesa” di 30 anni fa con quelle di oggi. Si confrontino anche gli esosi ticket odierni rispetto a quelli appena simbolici di allora; senza parlare dei tempi d’attesa spaventosamente lunghi nei Pronto Soccorso, e i tempi spaventosamente brevi dei ricoveri, dovuti alla contrazione dei posti letto. Ricordo che i posti letto ed i ricoveri vennero ridotti a fronte della promessa di attivazione di “Case della Salute” nel territorio. Non si sono viste e i pazienti gravano pesantemente sulle famiglie.

E’ urgente invertire la rotta, ed è urgente restituire ai rappresentanti del popolo, il potere del legittimo controllo sull’azione amministrativa negli Ospedali e nel Territorio, restituendo contestualmente le proprietà immobiliari ai Sindaci delle città.
Prima di iniziare la lunga guerra contro il virus, è necessario chiarire la catena di comando.

Mario Marroccu

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Si narra che i lemmings, piccoli roditori della Norvegia, periodicamente si gettino volontariamente nel Mare Artico per suicidarsi in massa. E’ una metafora narrativa che si adatta bene a ciò che abbiamo visto il 4 e 5 maggio 2020 con l’avvio della Fase due dell’epidemia. Forse i lemming siamo noi.

Così come è necessario, si stanno riaprendo le attività del commercio umano. Tuttavia, il pericolo di contagio non è cessato, anzi, è molto più elevato che il 20 febbraio 2020 quando si scoprì il primo caso ed iniziò la tragedia.

Ora i portatori di Coronavirus sono molto più numerosi e si trovano ovunque.

Contrariamente all’esibizione macroscopica di rilassamento generale, la “Fase 2” è più pericolosa della “Fase 1”.

E’ evidente che si debbano assolutamente riaprire tutte le attività produttive con urgenza e con ogni mezzo, ma è parimenti evidente che vanno aperte in tutta sicurezza, pena il baratro economico e sanitario.

Per le uniche protezioni che abbiamo, sono le “norme di sicurezza”, cioè: il DISTANZIAMENTO, le MASCHERINE, i GUANTI ed il DIVIETO DI ASSEMBRAMENTO IN LUOGO CHIUSO.

Questi 4 atti, apparentemente facili, sono di una gravità tale da compromettere la convivenza civile, da cambiare radicalmente la vita di tutti e da essere neutralizzabili da varie forme di disobbedienza civile.

Non è pensabile credere che si debba sminuire per sempre la vita sociale e vederla sprofondare nell’inevitabile degrado dei servizi (scuole, sanità, giustizia).

E’ necessario ribadire che questa è un’EMERGENZA SANITARIA con implicazioni gravi sull’economia, e che per salvarci è imprescindibile dominare, prima, l’emergenza sanitaria.

Occupiamoci della sofferenza di chiunque abbia bisogno di Sanità e dei suoi operatori.

Prendiamo tre luoghi simbolo della Sanità: la Medicina di Base, le Farmacie, gli Ospedali.

GLI AMBULATORI DEI MEDICI DI BASE: è noto che il 45 per cento dei medici morti nella strage quotidiana da Coronavirus erano Medici di Base; vittime sacrificatesi volontariamente per l’alto senso etico della professione. Un sacrificio che non venne chiesto neppure al Buon Samaritano evangelico. Detto questo non si può pretendere che la strage continui capillarmente negli ambulatori. Per essi esiste il divieto, nei vari DPCM di febbraio ed aprile, di assembramento in luogo chiusi e l’obbligo di distanziamento di 1 metro (voglio vedere come si visiterà un paziente). Per evitare l’assembramento in ambulatorio è necessario obbligare le persone a stare in fila in strada e, una volta fatto il “triage”, far entrare i pazienti uno per volta, anche per la semplice ripetizione di una ricetta.

Per quanto tempo può essere tollerato? Per esempio, come si farà in Inverno? Potranno i pazienti aspettare per ore al freddo, alla pioggia, al vento senza riparo e senza sedia? Sappiamo che è possibile rifiutare, per decreto, la visita a chiunque abbia una temperatura di 37,5, che può essere dovuta all’inizio di una banale influenza, o per un ascesso dentario, o per una tonsillite. E se fosse una febbricola da tumore o da artrite dolorosa, o da nefrite? Nel contempo si deve pensare all’ansia continua del medico, e del personale dello studio, all’idea che in quella Umanità sofferente vi sia il portatore che gli regalerà il virus.

PRENDIAMO IL CASO DELLE FARMACIE DEL TERRITORIO: qui si riproduce la situazione degli ambulatori medici. E’ possibile pensare alle mega-file di pazienti al vento e sotto la pioggia, e al freddo con le gambe indolenzite? Dimenticavo: esiste il “divieto di sosta”; pertanto non è permesso mettere panchine in strada per i poveretti, perché subito si adagerebbero anche altri pazienti in attesa, creando un assembramento vietato, e arriverebbero i vigilantes a far sgomberare. Certo, ci può essere la consegna a domicilio per tutti, ma è realmente attuabile?

PRENDIAMO IL CASO DEGLI OSPEDALI: qui si ripete lo stesso schema. Non si può sostare in assembramento nelle sale d’aspetto del Pronto Soccorso. Bisogna fare file alternative.

Così pure non è possibile entrare nella sala d’aspetto dell’ingresso principale, sempre per evitare l’assembramento in luogo chiuso e bisogna fare anche qui il “triage” preventivo, presentando documenti di identificazione, e dichiarando la propria integrità dal virus. Ma ciò richiede tempo e, nel frattempo, si creano file all’esterno. Per contenere le file viene disposta una barriera di GUARDIE GIURATE, con tanto di pistola al fianco, che strutturano, con una certa ruvidezza dovuta al mestiere, le file dei richiedenti i servizio sanitario, talvolta con voce normale, talvolta con voce alterata come negli Istituti di sorveglianza. In quel palcoscenico surreale può capitarti di vedere quadri di umanità derelitta che ricordano la descrizione dell’Inferno Dantesco e “CARONTE” nell’atto di ordinare le file dei nuovi arrivati che “batte col legno qualunque si adagia”.

L’ingresso ospedaliero è stravolto: da “front-office” d’accoglienza, a causa della politica difensiva si è trasformato in un sistema di “respingimento”, con tanto di guardie dall’atteggiamento un po’ torvo ed intimidente. Ma va bene, accadde anche ai tempi della “Peste” del Manzoni. I quei tempi intorno alle fortezze del potere vigilava gente armata, come quella incontrata da don Abbondio.

Il deterioramento del valore umano è assicurato. Nelle file dei richiedenti salute è facile essere trasformati in schiere consenzienti, perché senza alternativa, a trattamenti sgradevoli.

Nello stravolgimento dell’immagine civile dell’ingresso ospedaliero potrebbe benissimo starci, in alto, la scritta ARBEIT MACHT FREI.

Questo è il punto: lo “Stato d’Assedio”. Fino a quando lo tollereremo? Accettiamo di deperire progressivamente fino a indebolire la struttura sociale e economica?

Purtroppo, oltre alle disposizioni per l’entrata in “Fase 2”, non vediamo altri progetti.

Eppure non siamo nei secoli della Peste Nera. Siamo nel terzo millennio. Abbiamo nuove armi. Non ci sono solo l’”isolamento”, la “quarantena”, il “distanziamento” e il “divieto di assembramento”, inventati dai Visconti di Milano e dai Dogi di Venezia,

Oggi, la via Maestra di attacco al virus ce l’insegna il professor Andrea Crisanti, il domatore del virus di Vò Euganeo e del Veneto. Egli indica come via la “ricerca minuziosa e capillare dei portatori del virus col metodo del tampone”.

Il tampone preleva lo RNA virale dalle vie aeree, lo esamina con un estrattore di DNA, e poi fornisce il risultato con nome, cognome e indirizzo del portatore contagioso.

A questo punto lo “sfortunato” diviene “fortunato” perché verrà curato. Ma curato come? Forse con l’isolamento volontario fiduciario in seno alla sua famiglia? In tal modo tutta la famiglia verrà contagiata e si creerà una specie di “Pio Albergo Trivulzio” familiare. La soluzione a questi casi venne già adottata con successo nel SISTEMA SANITARIO DEL SULCIS IGLESIENTE. Allora, fino agli anni ’70, si individuavano i pazienti tubercolotici in fase attiva e si ricoveravano al Binaghi. Invece i familiari, portatori sani, venivano ospitati nel Preventorio anti TBC del FRATELLI CROBU, e lì venivano curati. Così la tubercolosi venne debellata dal nostro territorio.

Da queste premesse, sembra evidente che per raggiungere l’obiettivo di eradicazione di questo incubo attuale, si debbano compiere 4 atti:

PRIMO: istituire il COVID HOSPITAL al SANTA BARBARA di Iglesias per gli acuti.

SECONDO: riattivare il CROBU come Preventorio anti COVID.

TERZO: dotare subito il SULCIS IGLESIENTE di un laboratorio di Biologia Molecolare per l’estrazione dello RNA dai tamponi.

Quarto: avviare uno SCREENING di tutta la popolazione ed affidarne la gestione ai Medici di Base.

Tempi?

  1. Acquisto dell’ESTRATTORE di DNA, tamponi, reagenti.
  2. Nuovo organigramma del laboratorio di biologia molecolare.
  3. TAMPONI DI MASSA. Ottenere una sezione esatta del contagio al tempo zero.
  4. Ripetizione dell’esame al quattordicesimo giorno e al trentesimo.

A questo punto si sarebbe la ragionevole certezza di avere identificato ed isolato tutti i portatori contagiati.

L’OBIETTIVO CERCATO? Liberare, in un mese, tutta la popolazione del Sulcis Iglesiente dal virus. Senza la paura ed il sospetto potremo scientificamente riprendere i rapporti umani e rinascere.

La premessa a questo progetto è: un’opinione pubblica compatta nel sostenere una politica autonoma per la gestione diretta del SISTEMA SANITARIO DEL SULCIS IGLESIENTE.

Mario Marroccu

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Nulla sarà come prima. La responsabilità personale nei confronti del prossimo è ingigantita. Il “rischio biologico” entrerà nei DVR di tutte le attività imprenditoriali. I controlli delle autorità verteranno sulla verifica della nostra diligenza nel proteggere la salute del prossimo o sulla negligente esposizione degli altri al contagio.

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Vi è stata, 3 giorni fa, una videoconferenza preparatoria alla “riapertura” del 4 maggio 2020, tra 50 imprenditori ed alti dirigenti della Confcommercio del Sud Sardegna e Cagliari.

Si percepiva intensamente il disagio per adattarsi ai cambiamenti.

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Questa crisi economica deriva dalla crisi sanitaria. Per affrontarla bisogna prendere provvedimenti di tipo sanitario che il mondo civile laico non ha mai conosciuto. Sono stati sempre appannaggio del mondo sanitario, in particolare dei chirurghi ospedalieri. I provvedimenti organizzativi sanitari cambieranno i “contatti” umani. La parola deriva da latino “cum tangere”, e da essa deriva “contagio”. Questa parola contiene l’essenza delle responsabilità: rispondere di “diffusione di nuova ondata epidemica”.

L’ultima pandemia infuriò nel mondo poco più di 100 anni fa, nel 1918 e 1919 e produsse dai 50 ai 100 milioni di morti. Una pandemia si era già verificata nel 1600, nel 1500, nel 1400 e nel 1300. Oggi, tutto sommato, siamo stati abbastanza fortunati rispetto ai secoli passati, soprattutto perché le epidemie sono meno frequenti e per la maggiore preparazione tecnologica di oggi, come: la Genetica molecolare e l’estrazione del DNA, i respiratori automatici, gli antibiotici, l’eparina, etc.

Tuttavia, nonostante la tecnologia e la digitalizzazione, siamo inermi di fronte all’attacco del virus e dobbiamo difenderci con metodi messi a punto nel 1.300 a Milano e nel 1.400 a Venezia. Cioè: il “distanziamento” , l’“isolamento” e la “quarantena”. Non abbiamo altro.

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Ma…allora: «C’è stata l’evoluzione della Medicina?»

Sì…c’è stata: nella tecnologia e nella scoperta degli antibiotici. Però gli antibiotici non fermano il virus e la tecnologia si è sviluppata per le “malattie individuali”. Questa è una malattia diversa.

Esempio: l’infarto del miocardio e l’ictus uccidono, in Italia, 684 persone al dì. Moltiplicato per 365 giorni risultano 249.000 decessi l’anno. Si tratta di un numero assai più rilevante dei 28.710 morti di oggi su 209.328 affetti da Covid-19. Le 249.000 morti sono dovute a “malattie individuali”, cioè “non diffusive”. L’infarto è limitato alla vittima, e non si diffonde ai vicini. Così vale per l’”ulcera perforata”, per il “diabete”, per l’”artrite”, per il “cancro”, per l’”aneurisma”, per l’”ictus”, etc.

Al contrario, il Covid-19 è una malattia “diffusiva contagiosa”. Come diceva Ippocrate è “EPI” “DEMOS”, cioè “sopra il popolo” e , passando da un cittadino all’altro, può provocare debilitazione fino all’estinzione della Nazione.

Da queste esiziali conseguenze, deriva l’imponente crisi economica mondiale.

***

Nel 1.300 il popolo pregava il Buon Dio dicendo:

“A PESTE, A FAMINE, A BELLO… LIBERA NOS DOMINE”

“dall’epidemia, dalla fame, dalla guerra, liberaci o Signore”.

In queste 5 parole sono sintetizzate tutte  le “conseguenze” e le paure che abbiamo oggi.

La “epidemia” genera la “crisi economica” (famine).

In passato, l’alta mortalità portava al crollo demografico ed alla penuria di agricoltori per i campi. Ne derivava la “carestia”.

Nel 1.300, vi furono ben 4 seconde ondate epidemiche. La carenza di generi alimentari e di primaria sussistenza generava “violenza”; poteva essere quella del vicino che derubava il vicino o dei popoli confinanti che invadevano e depredavano i pochi cereali o gli animali rimasti. Anche le incursioni barbaresche sulle coste sarde coincidevano con i periodi di carestia.

Nel 1.300, il calo demografico in Europa fu imponente. Città intere si svuotarono ed immense proprietà terriere incolte divennero disponibili per chiunque se ne appropriasse. A causa dell’alta mortalità di maschi, le donne li sostituirono nel lavoro dei campi. Avvenne allora la “rivoluzione dell’aratro” a “versoio”. Gli agricoltori che aggiogavano i buoi, inventarono i finimenti a “collare” per il cavallo, molto più forte e maneggevole, e gli affibbiarono l’aratro. Vi fu, nel secolo successivo, la moltiplicazione dei raccolti e del bestiame; l’eccesso di produzione consentì lo scambio dei prodotti, e dal baratto si passò al “commercio”; questo produsse il “benessere” e l’arricchimento. Così si svilupparono le radici del “Rinascimento”.

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Altri radicali cambiamenti sociali avvennero dopo le epidemie di Peste e Vaiolo in Inghilterra ed Europa centrale: nacque la Prima Rivoluzione Industriale delle “macchine a vapore”. Quando poi esplose la Seconda Rivoluzione Industriale, delle “macchine a combustibile fossile”, vi fu la rivoluzione dei trasporti terrestri e marittimi, che incrementarono la crescita economica e posero le basi al 1900.

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Ciò che emerge da questa breve sintesi storica, è che, dopo la “pandemia”, compare una “crisi economica” che induce modificazioni del modo di produrre; questo viene adattato a contenere i guasti prodotti dal contagio. Si inizia a combattere la “crisi economica” quando si inizia ad imparare a “convivere” con l’epidemia. Il metodo per convivere con l’epidemia si apprende con: la “conoscenza” e la “precauzione”.

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Per far comprendere come si posizionano oggi gli imprenditori rispetto alla Storia Contemporanea è utile fare una premessa storica che può essere raccontata in 4 atti.

Primo atto (quando non si conosceva l’esistenza di virus e microbi e non esistevano i presidi)

Nel 1632 Rembrandt dipinse un olio su tela che si trova oggi esposto nel Museo dell’Aia. Gli olandesi di allora venivano in Italia ad imparare la Chirurgia, poi la importavano in Olanda. All’epoca del dipinto stava concludendosi la Peste di Milano raccontata dal Manzoni. Il dottor Tulp, incaricato dal suo primario, eseguì una autopsia sul cadavere di un impiccato per motivi di Giustizia. La dissezione cadaverica venne eseguita davanti ad altri 7 medici.

Quest’immagine ha il valore di una fotografia. In quei tempi i “dipinti di gruppo” venivano organizzati raccogliendo una somma di danaro per pagare il miglior pittore disponibile. Capitò Rembrandt. Nessuno immaginava che sarebbe diventato uno dei dipinti più famosi al mondo, e più citato nei testi di Medicina.

Si osserva il dottor Tulp con:

  • cappello nero a tese larghe, che descrive il cadavere che sta sezionando,
  • ampio colletto di pizzo in una camicia a sboffi,
  • mantellina nera, abiti eleganti adatti a una cerimonia,
  • mani nude,
  • assenza di mascherina sul volto.

***

In quei tempi i dottori non sapevano nulla sui microbi. Non erano stati ancora scoperti. Quindi quando i chirurghi eseguivano operazioni sul vivente, si presentavano in sala operatoria in abito elegante, nero, arricchito da pizzi e cappello. Quella era la divisa da lavoro.

Secondo atto (quando capirono che c’era qualcosa che provocava le suppurazioni).

Anno 1847. L’Ospedale Ostetrico migliore d’Europa era quello Imperiale di Vienna.

In quella clinica morivano di “sepsi puerperale” il 30 per cento delle donne che vi partorivano. Era un fatto considerato normale. Nonostante ciò le gravide a termine volevano essere assistite in quell’Ospedale famoso, ed erano così numerose che non riuscivano a trovare posto per il ricovero. Pertanto, davanti all’Ospedale, si era formato un accampamento di tende dove aspettavano d’essere ricoverate. Spessissimo finivano per dover partorire in tenda.

Il dottor Semmelweiss notò che le donne che partorivano in Ospedale, assistite dai Medici, morivano. Quelle che partorivano in tenda, no.

Aveva anche notato che i medici, prima di fare il giro delle visite nelle corsie, scendevano nei sotterranei ad eseguire le autopsie sulle donne morte il giorno prima.

Nota bene: in quei tempi i guanti del chirurgo non esistevano, così pure non esistevano le mascherine. I medici arrivavano al lavoro in corsia indossando abiti civili, come quelli che 200 anni prima indossava il dottor Tulp, e facevano le visite ostetriche transvaginali a mani nude. Le stesse mani che poco prima avevano dissecato i cadaveri.

Il dottor Semmelweiss sistemò, su un treppiede, un bacile riempito di “latte di calce” davanti all’ingresso della sua camerata di puerpere. Chiunque volesse visitare le sue pazienti doveva, prima, lavarsi le mani. Il risultato fu che le sue donne non morirono più, mentre quelle della corsie contigue continuarono a morire come prima. Oggi sappiamo che insorgeva una “sepsi puerperale” da streptococco, portato dalle mani di quegli ostetrici dentro l’utero delle poverette.

Semmelweiss scrisse una relazione per la Direzione Sanitaria e, per tutta risposta, venne licenziato. Tuttavia aveva fatto in tempo ad inviare la relazione alla Commissione Scientifica del Medical Imperial College di Londra. Lì venne presa in grande considerazione e, fatte le stesse verifiche, si scoprì che l’osservazione d Semmelweiss era fondata.

Questo fu il motivo che dette avvio al “lavaggio delle mani” tra i chirurghi di tutto il mondo.

***

Terzo atto: (dopo 10 anni si scopre che i microbi esistono)

Louis Pasteur fu il primo nella storia a dimostrare l’esistenza dei microbi. Era l’anno 1857.

L’infezione era la causa dell’alta mortalità che gravava sulle operazioni chirurgiche. 

La scoperta dei microbi pose, con impellenza, il problema della “Dis-infezione” e della “Sanificazione degli ambienti e degli strumenti” .

A risolvere il problema, fu il chirurgo Joseph Lister nell’anno 1867.

La mortalità dei suoi pazienti crollò.

Il metodo listeriano si diffuse in tutto il mondo.

E’ da notare che in quel tempo non si usavano ancora le mascherine chirurgiche e si continuava a operare a mani nude. Alla fine del 1800, i chirurghi operavano indossando gli stessi abiti borghesi con cui erano usciti da casa, cioè “redingote” e “frac”.

Nel 1894 il chirurgo William Halsted fu il primo ad usare i guanti di gomma.

Nel 1896 iil chirurgo austriaco Johann von Mikulicz Radecki pensò che le goccioline di saliva che gli uscivano dalla bocca mentre operava e parlava, potessero far infettare le ferite ed inventò le “mascherine chirurgiche di garza”.

***

Negli stessi anni iniziarono a comparire: camici, copricapo, sovrascarpe.

Nel 1900 le sterilizzatrici a vapore entrarono per la prima volta negli ospedali.

***

Dopo questi accorgimenti igienici la mortalità calò bruscamente e nacque la scienza dell’IGIENE e della PREVENZIONE basata su:

  • Lavaggio delle mani,
  • Disinfezione e sanificazione,
  • Mascherine,
  • Guanti,
  • Camici, copricapo e sovrascarpe,
  • Tute e schermi per il volto.

Situazione normativa al giorno d’oggi per il contenimento dell’epidemia      

Come classificare le norme di igiene applicate fino a due mesi fa nei luoghi di lavoro, di produzione, di commercio, e negli uffici pubblici e privati?

Risposta: «Il livello di sicurezza igienica era lo stesso che si vede nella “Lezione di Anatomia del dottor Tulp”».

I chirurghi hanno impiegato 270 anni per passare da quella fase descritta nel quadro di Rembrandt alla fase dei guanti, mascherina e lavaggio con soluzioni disinfettanti.

Oggi, per effetto dei DPCM di febbraio, marzo ed aprile del 2020, tutto l’apparato economico privato, l’Amministrazione pubblica, i Trasporti, le Scuole, il Sistema alberghiero e turisticodovranno apprendere le tecniche messe a punto dai chirurghi attraverso i secoli e dovranno farlo in pochi giorni. DISTANZIAMENTO, MASCHERINE, GUANTI, ISOLAMENTO, SANIFICAZIONI domineranno la scena.

Tutti dovranno:

  • Adeguarsi alle prescrizioni della legge n. 81 del 2008
  • Aggiornare il DVR (Documento di Valutazione Rischio) al “Rischio biologico” da Coronavirus.
  • Coinvolgere: RLST (Rappresentante Lavoratori Sicurezza Territoriale),
  • Coinvolgere: RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione).

Adeguare l’igiene dei luoghi e delle persone alle norme contenute nel:

  • Circolare del ministero della Salute n. 5443 del 22 febbraio 2020,
  • DPCM del 26 aprile 2020
  • Ordinanza della Regione Sardegna del 2 maggio 2020.

Mario Marroccu

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Il prof. Robert Gallo è il più grande virologo vivente. Oggi i giornali riferiscono la sua opinione sul metodo da usare per uscire dall’epidemia. Egli sostiene: «Vacciniamo tutti contro la poliomielite e vedremo crollare la curva dei COVID positivi».

Questa è un’opinione. I giornali ci sommergono di opinioni. Spesso sono contrastanti. Per esempio qualcuno dice che la idrossiclorochina fa guarire, altri dicono: «No, ci uccide».

Le opinioni generano confusione e frustrazione.

Dobbiamo distinguere 3 tipi di notizie.

  • Quelle che provengono da opinioni.
  • Quelle che provengono da ipotesi.
  • La rivelazione di scoperte scientifiche.

La differenza sta in questo:

  • L’opinione è un’idea personale senza basi scientifiche,
  • L’ipotesi è un progetto che propone lo scienziato per la ricerca di una verità.

La scoperta scientifica, è la risultanza di una ricerca eseguita col metodo galileiano e cartesiano della prova e controprova. Il risultato del laboratorio di ricerca viene poi sottoposto alla revisione di più laboratori diretti da esperti mondiali. Alla fine si pubblica il risultato in riviste ufficiali.

Vi sono poi le verità inconfutabili, come le verità matematiche. Per esempio, è vero che il risultato della somma 2+2 è 4. Questa è una verità che non ha bisogno di prove di laboratorio.

Vi sono poi le verità storiche. Per esempio è vero che la Rivoluzione Francese iniziò nel 1789. Oppure è vero che Napoleone morì il 5 maggio 1821. Queste sono verità certificate dagli storici.

Oggi abbiamo un bisogno impellente di verità, e non di opinioni, perché dobbiamo prendere decisioni che cambieranno radicalmente la vita nostra e dei nostri cari.

Le verità disponibili sul Coronavirus sono molto poche. Si basano su dati empirici e non prevedono il futuro, esse sono:

  • A – il Coronavirus SARS2-COV19 è uno sconosciuto. Attualmente sono classificati circa 5.000 virus. Sappiamo che ne esistono ancora milioni, del tutto sconosciuti, da scoprire.
  • B – Non avendo avuto mai contatti con questo virus, la Specie Umana non ha difese immunitarie specifiche ma solo quelle generiche della risposta infiammatoria.
  • C – Si diffonde per via respiratoria.
  • D – L’80 per cento dei  contagiati ha pochi sintomi, o addirittura non ne ha.
  • E – Il restante 20 per cento, che finisce in terapia intensiva, si distingue in due gruppi. L’11,2 per cento guarisce, l’8,8 per cento muore.
  • F – In quel 11,2 per cento di guariti possono residuare sequele come la “fibrosi polmonare”. La degenza è molto lunga – 1 o 2 mesi -.
  • G – Non esistono farmaci efficaci contro il virus.
  • H – Esistono farmaci eccellenti contro il processo infiammatorio e la tempesta citochinica.
  • I – I primi due mesi di epidemia hanno provocato il collasso della Nazioni più potenti del Mondo.
  • L – Il vettore del virus è l’uomo.
  • M – L’unico modo per non contrarre la malattia è isolarsi dagli altri uomini.
  • N – E’ vero che ci sono 115 vaccini pronti per la Fase III ma non se ne  conosce l’efficacia.
  • O – Il 20 febbraio 2020 fu documentato il 1° caso a Codogno.
  • P – Oggi i casi accertati con tampone, perché sintomatici, sono 270.000. Di questi ne sono deceduti 23.000. Guariti 60.000.
  • Q – Non sappiamo quanti siano i portatori sani ancora asintomatici. Secondo l’Imperial College di Londra ed il prof. Galli del Sacco di Milano, dovrebbero essere alcuni milioni.
  • R – I pazienti sintomatici ricoverati sono, paradossalmente, meno pericolosi perché in isolamento.
  • S – Gli “asintomatici” portatori e quelli con la malattia in incubazione sono “molto pericolosi”. Da essi verrà il prossimo contagio.
  • T – L’unico modo per individuare i portatori-diffusori del virus è: fare il tampone a tutta la popolazione attuando un “censimento” dei portatori.

***

Gli elementi che disturbano nella valutazione dei provvedimenti da prendere sono le troppe opinioni e le troppe ipotesi senza fondamento scientifico. Per esempio, la dichiarazione martellante che con il caldo l’epidemia si attenuerà, perché i virus respiratori temono il caldo estivo. E’ un’opinione. Nessuno può dire oggi, come si comporterà il virus col caldo estivo.

La storia dice che la seconda ondata mortifera di Epidemia Spagnola del 1919 avvenne proprio d’estate.

Detto questo, le uniche difese che abbiamo sono: il distanziamento sociale, le mascherine, i guanti e l’isolamento.

Oggi, se uno di noi entra in un negozio non sa se gli altri clienti ed i venditori siano COVID positivi. Nel sospetto, dobbiamo portare sempre la mascherina ed i guanti, e mantenere le distanze. Così pure i venditori e gli altri clienti non sanno se noi siamo COVID positivi, per questo devono portare anch’essi la mascherina ed i guanti. Al rientro in macchina, dobbiamo disinfettare le nostre mani guantate ed il volante con gel alcoolico.

Questa precauzione riduce di 38 volte la possibilità di essere infettati, ma non elimina il rischio.

La situazione sarebbe del tutto diversa se noi, negli ultimi 7 giorni, avessimo fatto il tampone nasofaringeo per la ricerca dello Rna virale ed avessimo un referto di laboratorio che certifichi lo stato di COVID-Free.

Se anche gli altri clienti fossero tutti COVID-Free e lo fosse anche il venditore, ci sentiremmo sicuri e svolgeremmo le nostre attività commerciali con la necessaria cura del rapporto umano.

Naturalmente questo ragionamento dei tamponi a tappeto si dovrebbe estendere a tutte le imprese, agli uffici pubblici e privati, agli ospedali, alle scuole, ai mezzi di trasporto, ai teatri, ai ristoranti, agli alberghi, etcetera.

Questa affermazione non è un’opinione ma un’ipotesi scientifica, ampiamente sperimentata in Veneto. In quella regione, dove vennero individuate le prime Zone Rosse, oggi quei centri urbani sono COVID-Free.

Gli Istituti di Virologia pubblici stanno mappando tutti gli abitanti. Fino a ieri, i laboratori veneti stavano usando macchine che eseguivano 9.000 test al dì. Attualmente hanno messo in attività macchine olandesi che eseguono 30.000 test al dì. 

Analisi di un ipotetico screening adottabile anche nel Sulcis Iglesiente.

Il Sulcis Iglesiente ha avuto, fino a pochi decenni fa, un Sistema sanitario completo. Vi erano gli ospedali per le malattie mediche e chirurgiche generalied un altro ospedale nato per contenere un’altra malattia respiratoria contagiosa. Era l’ospedale Crobu, Preventorio anti TBC.

Oggi abbiamo in attività gli ospedali Sirai e CTO per le malattie non contagiose. L’Amministrazione comunale di Iglesias ha indicato il Santa Barbara come ospedale COVID.

Abbiamo ancora disponibile l‘ospedale-residence Crobu per i portatori sani.

***

  Contro questa Epidemia, che sta uccidendo gli uomini e l’economia, dobbiamo rapidamente attrezzarci.

In passato, per individuare i portatori sani di TBC si eseguivano questi test di screening:

  • RX torace,
  • Tubercolino-reazione intradermica secondo Mantoux,
  • Coltura delle secrezioni bronchiali per Bacilli di Koch.

Con questi referti il soggetto portatore veniva identificato ed inviato all’isolamento.

L’isolamento serviva a:

  • Salvaguardare la famiglia,
  • Salvaguardare i colleghi di lavoro,
  • Salvaguardare il prossimo.

Ciò venne fatto con successo e la TBC, che era endemica nel Sulcis Iglesiente, fu debellata.

In Veneto stanno seguendo lo stesso percorso.

Oggi non dobbiamo inventare proprio niente: si deve individuare ed isolare il portatore.

***

Se oggi, Primo Maggio 2020, acquistassimo lo strumento d’analisi dello RNA virale, di fabbricazione olandese, e lo affidassimo ai nostri laboratori, si potrebbe iniziare subito la ricerca a tappeto dei portatori in incubazione. Non abbiamo bisogno di nessuno, tranne che di un maggiore impegno dei medici di base, che verrebbero sacrificati per almeno un mese.

Nell’arco di una settimana, potremmo avere una mappa esatta dei portatori del virus ed avviarli alle cure.

Dopo 14 giorni, si ripeterebbe l’indagine per cercare i casi sfuggiti  al primo filtro.

Con la mappa in mano, potenziata dalla app Immuni, sapremmo tutti che nei negozi, nei ristoranti, negli alberghi, non correremmo rischi seri. Mascherine e guanti sarebbero, comunque, un valido supplemento.

***

In questa ipotesi, saremmo più liberi di ridare vita alle attività produttive, ai servizi e, soprattutto, all’attività turistica. Le nostre imprese turistiche fornirebbero un “valore aggiunto” inestimabile: il territorio COVID-Free.

Naturalmente il turista, presentandosi in Sardegna dopo aver eseguito i controlli di laboratorio, troverebbe qui un Sistema sanitario del Sulcis Iglesiente pronto a prenderlo in carico verificando, durante la sua permanenza, la sua integrità virologica. Cosa che gli farebbe un immenso piacere.

***

Dobbiamo cambiare rotta nella Sanità: chiudere per sempre la centralizzazione del servizio sanitario a Cagliari e riportare i Servizi nel Territorio. 

Mario Marroccu

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La prima ad offrirsi come “cavia” per testare il vaccino anti-virus “Sars-2-CCov19” è stata Elisa Granato. Giovedì 23 aprile si è fatta inoculare un vaccino sperimentale presso l’Istituto Jenner di Oxford.

Sappiamo che ha 32 anni ed è nata in Germania da genitori italiani; la sua lingua madre è il tedesco; parla fluentemente l’inglese in quanto studia come Biologa presso l’Università di Oxford; capisce l’italiano. Lei ed un altro giovane sono stati scelti fra 500 volontari sani. Adesso è in osservazione. Mattina e sera viene redatto un diario clinico sul suo stato di salute. Oggi, 27 aprile, sta bene. Tutto il mondo è in gara per la formulazione del vaccino più efficace e più tollerato. Al momento sono pronti, per essere testati, 115 vaccini. Tutti hanno superato la Fase I: è il test sugli animali di laboratorio. La Fase II comporta il test sull’Uomo ed è finalizzata a capire se possono comparire danni imprevisti, di vario grado, alla salute, dal lieve malessere al decesso.

Se la Fase II verrà superata si passerà alla Fase III, con l’inoculazione ad alcune migliaia di esseri umani. Se anche la Fase III sarà superata, e si sarà ottenuta una produzione di anticorpi efficace, si procederà alla produzione industriale del vaccino.

Quindi si passerà alla distribuzione ed alla vaccinazione di 7 miliardi e mezzo di esseri umani. I tempi saranno lunghi.

Stiamo ripercorrendo i passi storici descritti nei testi di “Storia della Medicina”, da Edward Jenner (1700), Robert Koch e Luigi Pasteur (1800).

Esiste una difficoltà nel preparare questo vaccino: il virus è poco immunogeno, cioè fa produrre anticorpi poco efficaci e poco duraturi. A questo punto è entrata in gioco la “genialità italiana”. Si è vista nella scelta fatta in un laboratorio di Biologia Molecolare di Pomezia. Il Coronavirus assomiglia un po’ allo HIV che muta troppo rapidamente e riesce ad ingannare il sistema immunitario.

Le scienziate e gli scienziati di Pomezia hanno astutamente fabbricato un “Cavallo di Troia” virale. Hanno utilizzato un “adenovirus” del raffreddore della scimmia e gli hanno messo “in pancia” un frammento di proteina di Coronavirus. In tal modo il  sistema immunitario è indotto a produrre anticorpi sia contro il virus della scimmia sia contro la proteina della capsula proteica del Coronavirus, uccidendoli entrambi. Si cerca di sapere se il trucco funziona.

Ce lo svelerà Elisa Granato.

La cittadina di Pomezia è grande come Carbonia e Iglesias messe insieme: 62.000 abitanti. Vi ha sede l’Istituto di ricerca “Advent IRBM Science Park”.

L’Istituto è fondato sui programmi di 4 società:

  • IRBM: studia nuovi agenti farmaceutici chimici o biologici;
  • Advent: sviluppa vaccini adenovirali per uso clinico;
  • Promidis è un consorzio pubblico-privato formato da CNR (Centro Nazionale Ricerche), ISS (Istituto Superiore di Sanità);

L’IRBM nacque nel 1990 dalla casa Fermaceutica Angeletti SPA,  dalla Americana Merk-Sharp e dall’italiana Sigma Tau.

Nel 2009 l’Azienda si fuse con l’Americana Schering-Plough, la quale decise subito dopo di dismettere quel ramo d’azienda con cui si era appena fusa. Da allora l’Azienda è totalmente italiana e di proprietà di Piero Di Lorenzo.

Oggi la collaborazione tra l’“Institute” della Oxford University e la Advent IRBM di Pomezia ha messo a punto il vaccino ed è iniziata la sperimentazione di Fase II su volontari.

***

Un’altra donna, legata alla storia delle epidemie  e dei vaccini, è Lady Wortley Montague. Nacque nel diciassettesimo secolo, fu moglie di Edward Wortley Montague, ambasciatore inglese presso l’Impero Ottomano. Questa donna viene ricordata nei testi di storia della Medicina perché, durante la permanenza a Costantinopoli apprese la tecnica della “vaiolizzazione”.

In quei tempi a Londra il vaiolo era endemico ed esplodevano epidemie mortifere ogni 5 anni. Veniva colpito il 60 per cento della popolazione e il 20 per cento moriva. Morivano soprattutto bambini. Anche il virus vaioloso, come il Coronavirus, viene contagiato per via aerea attraverso l’aerosol prodotto dal fiato espirato dal portatore. Lady Wortley aveva notato che nel mondo islamico non si registravano epidemie così virulente di vaiolo. Lei attribuì il fenomeno all’abitudine dei musulmani di scarificare la cute dei bambini con pus estratto da pustole di malati in fase di guarigione. I bambini contraevano il vaiolo in forma leggera, poi diventavano immuni per sempre. Lady Wortley fece “vaiolizzare” i figli. Al rientro in Europa, essendo già nota tra gli intellettuali Illuministi per aver pubblicato opere letterarie, diede il via ad una campagna di informazione sulla “vaiolizzazione”. In questo fu sostenuta in Francia da Voltaire, e in Inghilterra dalla stessa famiglia reale. Tuttavia, il metodo non si diffuse sia perché alcuni soggetti “vaiolizzati” morivano, sia perché il metodo proveniva da un paese islamico.

***

Nel 1798 il medico Edward Jenner pubblicò le sue annotazioni sulla tecnica da lui messa a punto: la “vaccinazione”. Egli da bambino era stato vaiolizzato col metodo islamico.

Aveva notato che le donne mungitrici si ammalavano del “vaiolo delle vacche”. Era una forma leggera di vaiolo che si limitava alla comparsa di pustole sulla cute delle mani. Egli notò anche che queste donne, durante le epidemie di vaiolo, non si ammalavano.

Forte della esperienza trasmessa da Lady Wortley, e avendo immaginato che il “vaiolo delle vacche” fosse un “cugino benigno” di quello dell’uomo, avviò una sperimentazione. Prelevò pus dalle pustole delle mani delle mungitrici e lo scarificò sulla cute di un bambino il cui nome  passò alla storia: James Phipps. Dopo un paio di mesi espose il bambino al contagio tra malati gravi di vaiolo e questi rimase indenne.

Dopo questo primo approccio, scarificò anche la cute di suo figlio di 8 anni. Il risultato fu identico. Ripetè ancora l’esperimento su altri soggetti e dimostrò definitivamente che l’inoculazione di agenti del vaiolo delle vacche protegge contro il temibile vaiolo umano.

Il termine “vaccinazione” sostituì presto la dizione di “ inoculazione da vaiolo delle vacche” e fu usato per la prima volta da un amico di Jenner in un opuscolo che dette alle stampe nel 1800. Successivamente, Pasteur propose di utilizzare, in onore di Jenner, il termine di “vaccinazione”per le nuove e future tecniche similari.

Il primo ad attuare  la vaccinazione di massa antivaiolosa sulle sue truppe fu Napoleone Bonaparte dopo la triste conclusione della Campagna d’Egitto. La Guerra d’Egitto, iniziata da Napoleone nel 1798, era stata gravata da una epidemia di “peste bubbonica” e questa fu una delle cause del suo fallimento. Successivamente Napoleone fallì anche la Campagna di Russia più per una grave epidemia di “tifo esantematico”, che decimò e indebolì le sue truppe, che per l’inverno russo. La malattia veniva trasmessa dai pidocchi.

***

Nonostante gli evidenti effetti protettivi del “Vaccino”, il metodo  incontrò gravi difficoltà ad essere accettato dalla cultura del tempo. Si formò una forte corrente di opinione pubblica avversa alimentata anche da medici e uomini di chiesa. Questi erano gli antesignani degli “antivaccinatori odierni”. Essi sostenevano che la “vaccinazione” fosse opera di un complotto internazionale contro il popolo, allo scopo di “minotaurizzarlo” e renderlo succube a poteri occulti. La dietrologia antivaccinatoria ha radici lontane.

***

Una donna eccezionale che ha fatto la Storia della assistenza infermieristica ospedaliera in corso di epidemie fu Florence Nightigale. Era anche lei di nobile famiglia inglese con radicate convinzioni religiose. Il padre fu uno dei fondatori della “Epidemiologia”. Essa stessa era particolarmente versata nelle Scienze matematiche e nello studio della “Statistica”. Classificava la “prevalenza” delle malattie e la loro “incidenza”; la “mortalità” e la “ letalità”, con un “istogramma” di sua invenzione: “L’istogramma circolare“. Lei rappresentava le percentuali statistiche, in modo figurato, con una “torta tagliata a spicchi”, dove ogni spicchio corrisponde alla percentuale; l’intero cerchio corrisponde al 100 per cento.

Florence apprese le nozioni di Medicina frequentando un ospedale di diaconesse luterane in Prussia. Era l’ospedale per soldati più avanzato al mondo. Le donne avevano capito che i soldati non morivano a causa delle ferite ma, nella maggior parte dei casi, per malattie contratte negli ospedali da campo. Ne derivò la messa a punto di tecniche di Igiene ospedaliera.

Nell’anno 1854 era in corso la “Guerra di Crimea”  tra l’alleanza formata da Inglesi, francesi ed ottomani, contro i Russi. Partecipò tra le potenze europee anche il piccolo Regno di Sardegna inviando 17.000 soldati sardi. In Crimea era scoppiata una epidemia di colera e tifo esantematico, e faceva molte vittime. I malati venivano trasferiti per nave, attraverso il Mar Nero, a Scutari, un sobborgo di Costantinopoli.

Florence Nightingale, con un gruppo di infermiere addestrate da lei, si fece portare a Scutari da una nave da guerra inglese. Trovò che la mortalità tra i soldati ricoverati in quell’ospedale da campo era altissima. Sappiamo che in quell’occasione morirono 3.000 soldati sardi, quasi tutti per l’epidemia. Florence studiò il campo-ospedale; rilevò la percentuale di feriti e di contagiati; studiò i focolai di contagio e trasformò le informazioni in numeri e grafici statistici. Risultò che la “mappa” della maggiore “incidenza” indicava come responsabile un luogo dove non c’era un drenaggio fognario per le acque sporche. Inviò la relazione al vice-Primo ministro in patria e ottenne finanziamenti, mezzi ed ingegneri per costruire un corretto impianto fognario e di depurazione delle acque. In breve al mortalità calò del 50 per cento.

Rientrata in patria pubblicò i suoi studi di statistica sanitaria e divenne famosa nel mondo. Venne invitata a corte dalla regina Vittoria ma vi si recò solo dopo aver osservato un periodo di “quarantena” nel proprio domicilio, dove non permetteva neppure alle sorelle a alla madre di avvicinarsi. Tale era la consapevolezza dell’importanza dell’autoisolamento per chi proviene da una zona “rossa” epidemica.

Successivamente gli Americani, impegnati nella sanguinosa “Guerra di secessione”, la convocarono e le affidarono il compito di addestrare un esercito di infermiere da far scendere in campo. Fondò l’Ordine delle infermiere americane.

Non si sposò mai. Seguì la sua “mission” sino alla fine.

Era nata a Firenze il 12 maggio 1820. Morì a Londra nel 1910 e fu decisa la sua tumulazione nella Cattedrale di Westminster ma, per suo volere, la famiglia la fece seppellire nel cimitero di “Margareth of Antioch”.

Quest’anno è il bicentenario della sua nascita. Gli Ordini professionali del personale infermieristico di tutto il mondo l’hanno dedicato a lei.

A maggio cade l’anniversario di Florence Nightingale e nello stesso mese passeremo dalla Fase 1 alla Fase 2 dell’epidemia di Coronavirus. Oggi la sua capacità statistica nel classificare il fenomeno epidemico ed il suo rigore nelle scelte di “Igiene ospedaliera” sono  di grande aiuto.

***

Da febbraio 2020 ad oggi abbiamo visto molte donne-scienziato scendere in campo contro il virus. Abbiamo visto come i laboratori di ricerca dove si allevano virus e microbi siano gestiti quasi esclusivamente da donne. Secondo i giornali, sembra che il virologo più apprezzato sia la professoressa Ilaria Capua, che dirige un Istituto di Virologia a Miami.

Numerosissime sono le dottoresse rianimatrici ed infermiere impegnate in un corpo a corpo contro il virus.

Fuori dagli ospedali vediamo le donne sostenere le famiglie, i bambini, i nonni, ma anche alleviare ai giovani e agli adulti la prova dell’isolamento e della sospensione forzata dal lavoro.

Qui nel Sulcis, nei momenti più critici per la mancanza di “presidi” come le mascherine, vi è stato un movimento spontaneo di donne che hanno preso l’iniziativa di cucire le mascherine chirurgiche in quantità tale da soddisfare l’esigenza di Ospedali e delle famiglie.

Adesso inizia la fase più dura: si passa dalla fase di “fuga” alla fase di “attacco” al virus. L’ha iniziata, ad Oxford, un’altra donna: Elisa Granato.

Mario Marroccu

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Con l’epidemia da Coronavirus dell’anno 2020 stiamo vivendo un fenomeno storico che non verrà dimenticato nei secoli futuri.

Gli antichi chiamavano l’epidemia PEIUS”, che significa “la peggiore” malattia; da lì deriva la parola PESTE. Con questo termine sono state indicate tutte le epidemie del passato.

L’epidemia più famosa della Grecia Classica fu quella di Atene nel 430 avanti Cristo, raccontata da Tucidide.

Allora, come oggi non c’erano medicine curative. Questo fatto ci accomuna a tutte le Epidemie precedenti.

IPPOCRATE (V e IV Secolo a.C.), che inventò la Medicina scientifica dei professionisti, dispensò consigli e formule terapeutiche per tutte le malattie ma, davanti alla peste, consigliava ai suoi allievi medici:”FUGE, LONGE, TARDE”. Cioè: «Fuggi subito, vai lontano, torna il più tardi possibile».

GALENO, che fu in assoluto il più grande medico della storia, visse nel II secolo dopo Cristo e conobbe da vicino la “PESTE ANTONINA” del 165.  Egli stesso racconta che fuggì da Roma, abbandonando l’illustre suo paziente, l’imperatore Marco Aurelio, e si rifugiò a Pergamo (nella attuale Turchia) per alcuni anni. La peste arrivò anche a Sulci. Si sa che in tutto l’Impero Romano la peste provocò un danno demografico imponente.

Pochi anni prima, nel 127 d.C., era morto, per martirio, nella popolosa città di SULCI, il medico cristiano ANTIOCO.

Secondo la perizia anatomopatologica eseguita dal professor Paolo Mazzariello, Antropologo presso l’Università di Sassari, il corpo di Antioco venne inumato secondo l’usanza del tempo. Dopo alcuni anni le ossa vennero riportate alla luce e riposte in un ossuario lapideo. L’ossuario venne allogato in una catacomba cristiana, derivata da un ipogeo punico. Su quell’ipogeo venne poi edificata l’attuale Basilica. La sepoltura, secondo la Legge Romana, si trovava “extra-muros”, poi, dopo il 313, venne trasformata in una sede ufficiale per la pratica del culto cristiano ed inglobata in seno alle mura della città. 

La venerazione di Sant’Antioco fu mantenuta anche durante l’occupazione vandalica della Sardegna iniziata nell’anno 456 dopo Cristo. I Vandali, ariani, rispettavano i santi cristiani beatificati anteriormente al Concilio di Nicea. La loro venerazione per il Santo è attestata dalle tombe vandaliche trovate dietro l’abside della Basilica, dove scelsero di farsi seppellire. Vi sono testimonianze evidenti dei rispetto mantenuto nei confronti di quel luogo di culto anche nelle tombe di guerrieri Vandali trovate sotto le fondamenta delle case vicine alla sede della tomba del Santo, contenenti ossa umane, armi e perfino lo scheletro del cavallo di battaglia.

In quei primi secoli la città di Sulci venne radicalmente cristianizzata tanto che i suoi Vescovi parteciparono ai Concili di Cartagine, probabilmente dal III secolo, al tempo di Cipriano, fino al V secolo con Sant’Agostino. Esiste, nei documenti conciliari, il nome di un certo Vescovo Vitale di Sulci.

Ciò conferma l’importanza della Cattedra Sulcitana eretta sulla tomba di Antioco.

Una volta che i Vandali vennero spazzati via dalla storia ad opera del generale Belisario, arrivarono i Bizantini nell’anno 535 dopo Cristo. L’arrivo dei Bizantini in Sardegna ebbe un effetto simile a quello che provocato dall’arrivo di Cristoforo Colombo e degli Spagnoli nelle Americhe che inconsapevolmente recarono con sé il Vaiolo e il Morbillo. Qui arrivò la peste.  Così la città di Sulci, dopo aver conosciuto la “Peste Antonina” che era durata 15 anni, conobbe anche la “PESTE DI GIUSTINIANO” del 541 dopo Cristo.

Fu una Pandemia che imperversò in tutto l’Impero e durò due anni. Lo storico Procopio di Cesarea riporta che al culmine dell’epidemia morivano, nella sola Costantinopoli, dalle 5.000 alle 10.000 persone al giorno. Fatti i debiti rapporti si può immaginare cosa avvenne nella città di Sulci. La popolazione si rifugiava nel conforto della religione cristiana e, già allora, Sant’Antioco ne era l’eroe. In quei giorni a Sulci erano presenti i Monaci Basiliani, giunti dalla lontana Costantinopoli a testimoniare il messaggio di san Basilio. Questi era il Vescovo  che per primo ideò una struttura ospedaliera destinata agli appestati e a tutti i derelitti: la Basiliade.

I Monaci Basiliani avviarono la cristianizzazione di tutta la Sardegna, ancora in gran parte pagana, e venne diffuso il culto di Sant’Antioco martire, medico e difensore dalla peste.  Sorsero chiese ovunque. Tutt’oggi, a distanza di 1500 anni da quell’epidemia, il culto del santo è testimoniato da 68 chiese a lui dedicate, e dalla attualità del suo nome, assieme a quello di Basilio, nelle tradizioni familiari di tutta la Sardegna.

Furono tante le morti di quell’epidemia che, come racconta Procopio, «non si trovavano più luoghi dove seppellire i morti, e i cadaveri dovevano spesso essere lasciati all’aperto». Le crude immagini della peste suscitate da Procopio le abbiamo riviste, ai giorni nostri, in quelle colonne di camion militari che lasciavano gli Ospedali di Bergamo e Brescia per condurre le troppe salme nei vari impianti crematori della Lombardia. A causa dell’impossibilità di trattarle tutte, alcune sono state trasferite anche in Sardegna.

Racconta ancora Procopio che Giustiniano dovette promulgare nuove leggi per snellire le procedure legate alle pratiche ereditarie, che raggiunsero un picco causato dalle innumerevoli morti.

Di questa crisi sanitaria dell’Impero approfittarono gli invasori GOTI che, penetrati in Italia, devastarono Roma. Fu tale la contrazione demografica subita da Roma a causa dell’epidemia che i Goti ben presto perdettero interesse per la Città e l’abbandonarono.

Si suppone che nella Sardegna Bizantina, e quindi a Sulci che assieme a Carales era la città più popolosa, il danno demografico sia stato simile.

La città di Sulci sopravvisse e si riprese, tanto che divenne il porto militare della flotta cristiana Bizantina del Mediterraneo occidentale. Proprio da lì i Bizantini partirono per radere al suolo la città di Rades, nell’attuale in Tunisia, che sorgeva vicino a Cartagine. A causa di questa aggressione, che «suscitò molto scandalo in tutto il mondo islamico, fino a La Mecca e Bagdad» nell’anno 704 una flotta musulmana attaccò Sulci. Da allora la città uscì dalla Storia.

Nel testo “ARABI E SARDI” di Mohamed Bazama, si parla di quell’attacco a Sulci, e viene citata anche la depredazione della chiesa del Santo. Poi, secondo una storia leggendaria riferita da autori musulmani il Santo, offeso, causò il naufragio della flotta. Per rappacificarlo i musulmani portarono, per anni, olio prezioso per le lampade della tomba del Santo.

Nei secoli successivi l’isola si spopolò in quanto gli abitanti, per sfuggire alle incursioni saracene, si distribuirono in altre sedi ma la fama del Santo, invocato come protettore dalle  epidemie e dall’aggressione dei pagani, rimase radicata nei Sardi.

Nell’anno 1096 l’edificio della Basilica venne occupato e ristrutturato dai Monaci Benedettini Vittorini di Marsiglia. Era l’anno in cui il Papa, benedettino francese di Cluny, Urbano II, avviava l’epoca delle Crociate. Il nostro Santo e la sua Basilica erano quindi ben noti ai Benedettini, organizzati in una formidabile rete di monasteri in tutta Europa. Dopo 9 anni i Benedettini se ne andarono.

La Basilica del Santo tornò sotto il controllo del Giudicato di Carales. Il potere di intercessione di Antioco era talmente sentito dai Giudici che Torchitorio e Nispella donarono l’isola al Santo.

Nel 1347, l’anno della “PESTE NERA”, l’isola di Sulci era spopolata e la venerazione del Santo si praticava ormai a Tratalias, nella neonata città pisana di Iglesias e nella rocca fortificata di Carales. Qui, la fede nel Santo Antioco rappresentò un formidabile strumento di supporto morale per la popolazione, rarefatta dal morbo. A supporto di questa affermazione esistono documenti d’archivio che testimoniano l’esistenza della forte venerazione per Antioco. Venerazione attestata dalla pratica dagli imponenti pellegrinaggi del popolo sardo alla Sua tomba Nel secondo Lunedì dopo Pasqua, l’affluenza di fedeli all’isola era tale che i preti arrivavano a celebrare fino a 3000 messe in un solo giorno.

Nel 1300, oltre all’epidemia resa famosa dal Boccaccio, vi furono altre 4 epidemie di peste. Nel 1400 le epidemie furono 3. La peste si ripresentò nel 1500 e nel 1600. Poi nel 1700 vi furono focolai endemici. Nel 1800 scomparve.

Sulla fede dei Sardi nella intercessione di Sant’Antioco per far cessare la Peste, esistono diverse documentazioni pittoriche. Ho ricevuto dal massimo esperto sull’arte pittorica riguardante Sant’Antioco, dottor Roberto lai, le foto di alcune immagini. Risalgono tutte al 1500, quindi antecedenti il ritrovamento delle Reliquie del Santo avvenuto nel 1615. Una di queste rappresenta Sant’Antioco assieme a San Rocco.

San Rocco è il Santo protettore dalla Peste venerato in tutto il mondo. E’ il patrono degli appestati, dei contagiati, degli operatori sanitari e dei Farmacisti.

E’ il santo più invocato nel Medio Evo. “A famine, a Peste, a Bello , libera nos Domine”.

San Rocco nacque a Montpellier nel 1346, e morì a Voghera nel 1376. Era devoto a San Francesco d’Assisi, e lo imitava assistendo molto umilmente i malati meno avvicinabili, i più evitati da tutti.

Avendo saputo di una nuova epidemia di peste in Italia, partì dalla Francia e, percorrendo la “via Francigena” e “Romea”, arrivò a Roma. Era la peste del 1368; si prodigò per seppellire i morti e assistere gli ammalati ma non si ammalò, segno certo della sua santità. Dopo la sua morte la Chiesa lo dichiarò Santo Taumaturgo.

Nell’opera pittorica inviatami il Santo Medico Antioco è raffigurato in compagnia di san Rocco, che è il massimo intercessore in caso di peste; ciò vuole significare l’esistenza di una   cooperazione fra i due in quella specifica funzione.

Un altro quadro, del 1594, rappresenta Sant’Antioco con i Santi Cosma e Damiano.

Questi Santi, nati nel II secolo in Cilicia, sono Santi Medici, e sono i patroni di: Medici, Chirurghi, Farmacisti, Dentisti.

I simboli che recano in mano sono: la palma e il libro, esattamente come Sant’Antioco. Inoltre fra i loro attributi vi sono gli strumenti chirurgici.

In alcuni dipinti Sant’Antioco è rappresentato con la palma, il libro, e un borsellino contenente le ampolline per farmaci e unguenti. Erano i preparati galenici estratti dai semplici. I “semplici” erano le erbe dell’orto botanico che ogni medico ippocratico curava.

Un’altra immagine di opera pittorica cinquecentesca, che ho ricevuto assieme alle altre, rappresenta “Sant’Antioco a cavallo”, che si dirige ad Alghero per proteggere la città dalla peste che decimò la popolazione nel 1582-1583.

***

Quest’anno 2020, a causa dell’epidemia di Coronavirus, non ci saranno le antiche manifestazioni religiose in onore di Sant’Antioco, Martire e Medico Sulcitano.

Non potremo rivivere un rito millenario che chieda al Santo la Sua intercessione. Perderemo un raro caso di archeologia vivente. Ci mancherà.

Mario Marroccu

Seguono le immagini d’archivio possedute dal dottor Roberto Lai ed un estratto della relazione già pubblicata in Annali sulcitani e sul web, dello stesso Roberto Lai.

…Ѐ palese, inoltre, come il ritratto del santo realizzato da Scano Baciccia, ai primi del Novecento, nel medaglione della volta nella chiesa di San Bernardino a Mogoro, sia una copia fedelissima di questa tavoletta. Il santo sulcitano viene rappresentato imberbe e con una capigliatura riccia, non frequente nella sua ricca iconografia tradizionale, abbigliato con tunica scura e pallio rosso. Tiene in mano la palma, segno del martirio, il libro e un borsellino porta-unguenti che ci riconduce alla sua professione di medico. In questo stesso modo è raffigurato anche nel Retablo di Sant’Anna di Girolamo Imparato, nella chiesa del Carmine a Cagliari, e nel simulacro ligneo seicentesco del Museo Diocesano di Arte Sacra di Ozieri26. A riguardo, poi, del porta-unguenti, viene spontaneo il confronto con il polittico custodito nella Purissima a Cagliari, realizzato da Antioco Casula nel 1594. In esso, Sant’Antioco risulta affiancato dai Santi Cosma e Damiano, entrambi medici come lui; mentre uno reca in mano un’ampolla, all’altro pende dal fianco un oggetto simile a questo del S. Antioco della tavoletta di Mogoro. Anche nel grande retablo che un tempo si trovava nella chiesa di San Giorgio a Perfugas, è raffigurata una borsa analoga, dalla quale San Girolamo si accinge a prendere un medicinale per curare la zampa di un leone.  
Nella foto di copertina, il retablo di Sant’Antioco nella chiesa della Purissima. aI lati del Martire sono raffigurati i santi medici Cosma e Damiano.

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  Il 4 maggio 2020 inizierà un’altra Era.

  • Anno 476 d.C: fine dell’era classica romana. Inizia il Medio Evo.
  • Anno 1492: scoperta dell’America. Fine del Medio Evo. Inizia l’Era Moderna.
  • Anno 1789: Rivoluzione Francese. Inizia l’Era Contemporanea. La nostra Era.
  • Anno 2020: inizia l’Era Post-Pandemia.

Con l’inizio della Fase 2 la gente uscirà e lavorerà di nuovo ma con un compromesso: convivere col virus, sapendo che è indifesa e che alcuni verranno sacrificati.

La Fase 1, della clausura è stata una fuga. La Fase 2 sarà la “discesa in campo”. Ciò è giusto, necessario, ma pericoloso. Lo Stato interviene con decreti di salvaguardia come i seguenti.

Accordo del 10 aprile 2020 tra il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli ed il capo della Polizia Franco Gabrielli. Le ASL, con l’aiuto delle Questure potranno tracciare tutti i contatti telefonici dei pazienti Covid-19. Inoltre, per la futura Fase 2 esisterà una cooperazione tra Apple e Google che metteranno a disposizione le loro tecnologie.

Apple dispone di una “app” che mette in comunicazione tutti i cellulari col sistema “bluetooth”.

Google invece dispone di un suo sistema GPS con cui individua la posizione di tutti i cellulari nel globo terrestre, e ne traccia il movimento.

Chi accetterà di mettere le “app” nel suo telefonino, di fatto accetterà d’esser tracciato nei suoi spostamenti. In cambio, avrà il vantaggio di conoscere in tempo reale se si sta avvicinando a lui un Covid-positivo; inoltre avrà  il vantaggio di sapere se nei 14 giorni precedenti ha avuto, senza rendersene conto, contatti con Covid-positivi.

Chi avrà avuto contatti sospetti potrà farsi controllare col tampone nasofaringeo e, in caso di positività, isolarsi in tempo, dalla sua famiglia e dai compagni di lavoro, prima di diffondere il contagio.

Termoscanner obbligatori all’ingresso di uffici e negozi. La temperatura verrà misurata all’ingresso e poi all’uscita dal luogo di lavoro. Sono già in commercio cellulari che contengono come accessorio il termoscanner. In mancanza di questo si potranno usare termometri a raggi infrarossi.

I soggetti individuati col termoscanner verranno gestiti dall’Ufficio di Igiene pubblica con tre azioni.

1  accertamento diagnostico sull’origine della febbre;

2tampone nasofaringeo per la ricerca dello RNA virale;

3isolamento dei casi positivi fino alla negativizzazione del tampone e la comparsa di anticorpi.

I locali relativi al luogo di lavoro del soggetto verranno immediatamente sanificati con

  1. Ricambio dell’aria;
  2. Lavaggio accurato delle superfici con detersivi;
  3. Sanificazione con soluzioni di ipoclorito di sodio allo 0,5%. Le superfici più delicate verranno sanificate con soluzione alcoolica al 70%.

Nei locali destinati ad uffici pubblici e a negozi e uffici privati si attuerà il “distanziamento sociale” rarefacendo i clienti con vari metodi:

  1. Allungamento degli orari di apertura;
  2. Contingentamento dei clienti;
  3. Lavori “smart working” per gli impiegati;
  4. Ordini online e consegne a domicilio.

OSPEDALI

Per i Covid sintomatici verranno costruiti nuovi Ospedali. Saranno distinti dagli Ospedali Generali.

Reti Sanitarie nel territorio.

Avranno il compito più difficile: individuare i portatori asintomatici ed isolarli immediatamente.

I Test.

Il tampone, per la ricerca dello RNA virale nelle vie respiratorie dei soggetti, servirà ad isolare precocemente i contagiosi inconsapevoli. Servono per lo screening della popolazione.

Il test sierologico, per la ricerca degli anticorpi antivirus, servirà per individuare i soggetti che hanno maturato l’immunità contro il Coronavirus. Sono quelli che riprenderanno il lavoro, restando indenni e preservando indenne il prossimo.

L’aiuto dei Fisici teorici.

Il 31 gennaio 2020 il giornale “La Provincia del Sulcis Iglesiente” fu il primo in Italia a citare lo scienziato sulcitano prof. Nicola Perra che previde la Pandemia di Coronavirus  a partenza dalla Cina. Il suo lavoro indicò due cose importanti. Primo: la necessità di bloccare subito il traffico aereo e di avviare subito la preparazione di un vaccino. Secondo: l’impossibilità di definire la durata dell’epidemia.

Durante l’epidemia, nel Nord-Italia sono emersi gli studi di un altro fisico teorico, il prof. Paolo Giordano, che puntò subito il dito, nei suoi grafici, sull’importanza dei “portatori asintomatici” del virus, e sui soggetti “suscettibili” di infezione. Nella sua esposizione egli concluse che la parte di popolazione su cui concentrare l’attenzione sarebbero stati proprio i “suscettibili” e i “portatori”

Attualmente un altro fisico teorico, il prof. Federico Ricci Tersenghi, autore di un modello matematico per “leggere” l’epidemia di Coronavirus, ha affermato: «Non abbiamo un vero calo della curva dell’epidemia ma, una curva piatta che non tende a scendere». Egli fa notare che la Cina, con la chiusura (lockdown) del 24 gennaio, continuò ad avere infezioni, ed ottenne risultati favorevoli solo quando il Governo dispose di «isolare in zona protetta i pazienti con sintomi lievi e coloro che, pur non avendo tampone positivo, li avevano contattati. Solo allora il fattore di contagiosità Rzero è sceso a 0,3, determinando lo stop dell’epidemia».  Per tale ragione, egli suggerisce l’applicazione di regole di distanziamento molto rigorose prima di impostare la Fase 2. E’ necessaria una gestione molto più attenta in cui gli individui che hanno avuto contatti con un Covid-positivo vengano isolati non a casa ma in luoghi di vera quarantena.

L’isolamento dei Covid-19 deve avvenire in Ospedali  distinti da quelli Generali.

Le affermazioni di questi serissimi Ricercatori  fanno crescere la fiducia nel buon esito della Fase 2.

Purtroppo esistono anche notizie di stampa che polverizzano ogni barlume di fiducia. Il riferimento è ad una  notizia  di giornale in cui si parla di un Ospedale in cui, avendo predisposto locali di degenza per sospetti Covid-19, è stato realizzato il “distanziamento dei percorsi” tra Covid positivi e pazienti generali, incollando al pavimento uno scotch adesivo colorato che divide l’andito della corsia in due. In una metà passano quelli col virus, nell’altra metà quelli senza virus, nella presunzione che il virus si mantenga nel suo lato definito dal nastro adesivo.

Dato questo stato di cose, al pensiero che lo Stato possa controllare tutto e tutti, dobbiamo prepararci a delusioni e a sostenere lo Stato in questo immane braccio di ferro col Coronavirus.

***

Da questa lunga premessa, che è necessaria per definire la situazione oggi, si evince che i problemi sono due:

  1. Necessità di riprendere a LAVORARE;
  2. Necessità di lavorare in SICUREZZA.

***

  • La data di ripresa dell’attività produttiva della Nazione la deciderà il Governo.
  • A garantire la SICUREZZA dobbiamo provvedere tutti.
  • La sicurezza in Ospedale è competenza delle ASL.
  • La sicurezza nel territorio dipende dai nostri comportamenti.

Passando dalla Fase 1 alla Fase 2 sarà ancora più necessario che tutti indossino le mascherine chirurgiche ed i guanti. Con questi accessori ridurremo la carica virale nell’ambiente.

Sarà essenziale mantenere la “distanza sociale” nei luoghi di lavoro e nei mezzi di trasporto.

Sarà necessario che tutti si convincano d’essere potenzialmente infetti e diffusori di virus, e che è necessario avere rispetto della salute del prossimo.

Esistono chiare prescrizioni sia per i comportamenti  nei luoghi di lavoro sia per la sanificazione degli ambienti. Si trovano nella Circolare del ministero della Salute  n. 5443 del 22 febbraio 2020.

Oggi l’attenzione degli organi di controllo si concentra sulla responsabilità del lavoratore nel rispetto della norma e sulla responsabilità del datore di lavoro nella applicazione del Principio di precauzione”  per la salvaguardia della salute dei dipendenti e degli utenti.

Nella Fase 2 si assisterà ad un forte ampliamento dei doveri e responsabilità nei confronti del prossimo.

Sono già in corso indagini della Magistratura nelle RSA dove maggiormente vi sono state vittime. Le indagini si estenderanno capillarmente a tutte le attività umane: dal grande Ospedale e dalla grande Industria ai più piccoli negozi e uffici pubblici o privati. Le attenzioni si concentreranno sul rispetto delle precauzioni contro l’attacco di agenti infettivi.

Forse è vero, come dicono i sociologi, che diverremo tutti più sospettosi del prossimo e anche egoisti. Questa sarà una patologia secondaria derivata dalla Pandemia.

La Pandemia diventerà Endemia, cioè si trasformerà in focolai sparsi di contagio.

I “focolai di contagio (cluster)” potranno evolvere in due modi: il “contenimento” oppure una “nuova espansione epidemica”.

Una nuova Pandemia comporterebbe un disastro economico difficilmente sanabile.

E’ evidente la necessità di individuare subito i portatori di virus e contenerli in luoghi dedicati.

L’individuazione del “portatore” del virus si può fare esclusivamente con il “tampone” e la successiva ricerca del virus con tecnica PCR (Polymerase Chain Reaction).

***

Nella cittadina di Vò Euganeo, dove si sviluppò un grave focolaio, tutta la popolazione è stata sottoposta a screening con tampone nasofaringeo per la ricerca del virus. E’ stata redatta una mappa degli infetti e dei sani.  I soggetti positivi sono stati isolati fino a guarigione. In questo modo i casi si sono ridotti a zero.

Questa tecnica è relativamente costosa, ma la spesa è “nulla” rispetto all’imponente danno economico che si prospetta. Lo strumento per la PCR che legge il tampone impiega 20 minuti per dire se il virus c’è o non c’è.

Considerati i tempi per il prelievo e la compilazione del referto, possono occorrere 30 minuti di lavoro. Se il laboratorio lavora per 10 ore senza sosta può fare 20 esami. Questo nel caso che si esamini un campione per volta.

Il Governatore della Regione Veneto ha proposto di rilasciare un patentino a coloro che risultano indenni da virus e anticorpi antivirali nel sangue. Non è una novità. Già di faceva nella Repubblica Marinara di Venezia nel 1400 e si chiamava “bollettino di salute”. Il lavoratore, in questo stato di “protetto” dal virus, sarebbe l’ideale per la ripresa della vita sociale e della catena produttiva.

Invece, nella Fase 2, con la libertà di circolazione di “tutti”, portatori e sani, si creeranno situazioni imbarazzanti. Potrà accadere che il commesso abbia paura del cliente, sospetto portatore di virus, e che il cliente abbia paura del commesso per la stessa inconfessata ragione. Ovunque, vi sarà questo imbarazzo. Il sospetto lo avrà il Paziente che verrà visitato dal Medico, e il Medico che visiterà il Paziente. Lo avrà il Pubblico Ufficiale che convocherà il Cittadino, come lo avrà il cittadino che verrà convocato dal pubblico ufficiale; lo stesso varrà per gli Insegnanti e gli studenti, per i fedeli e i sacerdoti, per l’operaio e l’impresario, eccetera.

Questa situazione confliggerà con l’interesse di tutti.

E’ evidente che esiste  l’urgenza di attenuare il sospetto e gli atteggiamenti egoistici che ne deriveranno.

Per uscire da questa trappola mortale lo schema utilizzato a Vò Euganeo e in Sud Corea sembra ineludibile. 

***

Veniamo al caso nostro.

In questo momento, nel Sulcis Iglesiente, il tampone è stato utilizzato in pazienti sintomatici.

Nonostante il risultato del tampone e dell’esame su siero possano dare falsi negativi, l’effetto sociale è impagabile.

A questo punto la domanda è: quanto costa?

Risposta: si trova nelle pubbliche delibere con cui l’Ospedale Brotzu si è dotato di tali presidi diagnostici.

Dalla delibera n. 447 del 21 marzo 2020 si evince quanto segue:

  • Sono stati acquistati dalla ditta ROCHE DIAGNOSTICS SPA circa 20.000 tamponi

Al costo di 500.000 euro + iva.

Pertanto, ogni tampone costa 25 euro + iva.

  • Inoltre è stato acquistata un’estensione da applicare all’apparecchio lettore del risultato del PCR, al prezzo di 18.000 euro circa.
  • Per quanto riguarda la ricerca di anticorpi anti-coronavirus sul siero del paziente , sono stati acquistati il 23 marzo 2020: n. 20.000 test VIVA DIAG COVID 19, al prezzo di 200.000 euro + iva. Pertanto, ogni test sierologico costa 10 euro in materiale di consumo.

***

Da questo si desume che, con la spesa di circa 40 euro, si può sottoporre chiunque, sia alla ricerca del virus nel secreto nasale, sia alla ricerca degli anticorpi nel sangue.

Decisamente la spesa non sembra enorme se si pensa a quanti ticket da 40 euro tutti abbiamo speso per comuni esami di laboratorio. 

***

Il limite più importante a procedere allo screening della popolazione del Sulcis Iglesiente non sembra essere la spesa, ma piuttosto il fatto che l’esame lo stia facendo solo il Brotzu per tutto il Sud Sardegna.

A breve inizierà anche il San Martino di Oristano.

***

Premesso che è stato riferito dai giornali che i test acquistati a Cagliari serviranno per esaminare tutti i dipendenti del Sistema Sanitario Regionale, bisogna concludere che noi, abitanti del Territorio non lo saremo. Dovremo sollecitare una soluzione ai nostri Alti rappresentanti Politico-Amministrativi.

***

Se esistesse una unità di intenti, si potrebbero incaricare i laboratori d’analisi convenzionati per dotarsi di strumenti per PCR, Tamponi e reagenti.

Tra l’altro, si può invocare l’utilizzo dei Fondi europei dedicati al contrasto all’epidemia.

Il Brotzu l’ha fatto: ha affrontato la spesa, senza intaccare il bilancio ordinario, in attesa dei contributi europei.

***

Sicuramente, se ciò fosse possibile, ogni imprenditore sarebbe interessato a mettere in sicurezza i suoi dipendenti, eseguendo uno screening accurato di sani e portatori, così come ogni cliente sarebbe interessato a contrattare con una ditta esente da virus.

La stessa esigenza è sentitissima dagli studenti e dagli insegnanti che dovranno rientrare a scuola e convivere in spazi forzatamente ristretti.

Similmente, sarebbe un sollievo negli uffici pubblici sia per i dipendenti sia per i cittadini che vi affluiscono.

Gli studi professionali privati potrebbero certificare ai clienti il proprio stato di salute ed i clienti si presenterebbero negli studi senza provocare patemi d’animo.

Naturalmente, i più avvantaggiati sarebbero i “portatori sani” che verrebbero isolati, curati e poi reintegrati  in seno alle loro famiglie.

***

Una volta raccolti i dati, e mappati i casi sospetti, tutti indistintamente accetteremmo la “app” di Apple e Google per la ripresa della serena convivenza.

La “app” scelta si chiama “Immuni”.

Mario Marroccu

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L’Ospedale di “Carbonia” ha un gemello. Si trova a PAIMIO in Finlandia. Fu progettato da ALVAR AALTO e dalla moglie AINO MARSIO, architetti finlandesi. Quel progetto nel 1928 vinse un concorso e divenne famoso tanto che oggi viene studiato in tutte le Università del mondo e citato nei testi di Storia della Architettura. Gli Americani si convertirono subito al progetto di ALVAR AALTO e presero a costruire ospedali simili. Quell’Ospedale venne portato a termine nel 1933.
Il primo Ospedale costruito in Italia con quei criteri futuristici fu: il “Sirai” di Carbonia. Venne edificato 4 anni dopo l’Ospedale di Paimio.
ALVAR AALTO è tutt’oggi considerato uno dei più grandi architetti del 1900, assieme a LE CORBUSIER.
ALVAR AALTO e AINO MARSIO, nati nel 1898, avevano vissuto gli orrori della Pandemia Influenzale chiamata “SPAGNOLA”. La Pandemia durò dal 1918 al 1920 e fece 50 milioni di morti. Immediatamente dopo, a causa di quella pestilenza e della fame patita per gli effetti economici della Grande Guerra il popolo, indebolito nel fisico e nelle difese immunitarie, divenne preda di una massiccia diffusione della tubercolosi. Anche questa si prese le sue vittime.
Negli anni della Spagnola tutte le Nazioni adottarono le procedure di “distanziamento sociale” che oggi stiamo sperimentando. La gente indossava mascherine chirurgiche simili a quelle di oggi e si manteneva in “isolamento domiciliare”.
Nei pochi Ospedali dell’epoca, già provati dallo sforzo di curare i soldati massacrati dalla Guerra, entrò un popolo di derelitti che, in gran parte, non ne uscì più. All’interno si sviluppavano focolai che decimavano Pazienti, Medici e Personale di assistenza. AALTO e la moglie, appena 7 anni dopo la Pandemia di Spagnola, progettarono l’Ospedale sotto l’ impressione di quella esperienza.
AALTO conosceva l’esigenza del “distanziamento sociale” per contenere il virus e progettò un Ospedale che avesse la fondamentale funzione di “barriera architettonica” ai contagi. Inoltre si prese la cura di creare un posto gradevole dove gli esseri “umani” trascorressero le lunghe giornate godendosi gli effetti benefici della luce solare, viricida e antibatterica. «Dove entra il sole non entra il dottore», si diceva allora. Nell’idea di Alvar la luce solare doveva essere usata come ulteriore ostacolo agli agenti infettivi.
L’Ospedale di AALTO , da cui fu copiato il “Sirai”, era un ospedale a sviluppo “verticale”. Già in questo di differenziava radicalmente dagli “Ospedali Maggiori” di tutta Europa che erano a sviluppo “orizzontale” su un unico piano. L’“Ospedale Maggiore” di Milano fu fatto costruire dal Cardinal Rampini nel 1480 circa; fu il primo Ospedale pubblico gestito dallo Stato. Da notare che anche l’Ospedale Maggiore era nato per contrastare le epidemie che allignavano facilmente negli “ospedali caritativi” privati; in essi ogni letto ospitava da 4 a 10 malati contemporaneamente. Il Cardinal Rampini volle, come “misura di distanziamento” i letti “singoli”. Fu una grande rivoluzione presto copiata da tutta Europa.

L’altra caratteristica architettonica rivoluzionaria stava nell’orientamento dell’Ospedale rispetto all’arco solare. Le camere di degenza vennero, da AALTO, tutte orientata verso Sud Sud-Est in modo da ricevere luce solare diretta per la gran parte del giorno. Le camere, esposte al sole, erano fornite di ampie fenestrature ad ante scorrevoli. Le ampie fenestrature e gli alti soffitti, assicuravano un rapido ricambio dell’aria, senza produrre correnti. Questo è tutt’oggi un metodo efficace per allontanare rapidamente i microrganismi sospesi nell’aria ed abbassarne drasticamente la carica.
I reparti del nuovo Ospedale erano sistemati tutti su piani diversi. Si poteva accedere alle corsie di degenza solo dopo aver attraversato una zona filtro. Nella zona filtro e nelle camere erano disposti lavandini per il lavaggio delle mani.
Per evitare che il rumore dello scorrere dell’acqua disturbasse gli altri malati, AALTO progettò lavandini con il piano di fondo inclinato, insonorizzando il getto.
Il riscaldamento era “a pavimento”.
Il personale Medico ed Infermieristico alloggiava in corpi separati ed accedeva all’Ospedale in divisa da lavoro.
I parenti in visita dovevano fermarsi prima della zona filtro e non potevano accedere alle corsie di degenza per non portarvi batteri e virus.
I servizi e le sale operatorie erano sul versante Nord dell’edificio. Il versante soleggiato era riservato alle ampie fenestrature delle camere di degenza.
Questi pochi elementi descrittivi sintetizzano l’intelligente uso delle barriere architettoniche per contrastare la  circolazione degli agenti d’infezione all’interno dell’Ospedale.
Ogni piano era perfettamente isolato da quello sottostante e soprastante. Non vi era contiguità dei reparti, ma un efficace “distanziamento” ottenuto con intermezzi strutturali.
Chi conobbe l’Ospedale Sirai negli anni ’60-’70, ricorderà che i pazienti accedevano al ricovero dopo essere stati accettati dal Pronto Soccorso, che era disposto al piano terra. In quella sede avvenivano tre operazioni.
PRIMO: la visita.
SECONDO: la compilazione dei moduli di accettazione,
TERZO: la presa in carico del paziente. Che avveniva così:

-1- il paziente veniva completamente privato dei suoi indumenti e, se il caso lo richiedeva, immerso in vasca e lavato.  Gli indumenti venivano sistemati in un sacchetto e contrassegnati; quindi venivano introdotti in una “bocca di lupo” della parete, e fatti cadere direttamente nel reparto lavanderia, situato nei sotterranei. Gli indumenti, una volta lavati e sanificati, venivano confezionati e riconsegnati al paziente in camera. Idem per le calzature.

-2- Venivano controllati i capelli e, se vi era il sospetto di una malattia del capillizio e cuoio capelluto a carattere infestante o contagioso, si procedeva alla rasatura.

-3- Il paziente, così sapientemente sanificato, veniva rivestito con abbigliamento da camera sterile, adagiato su una barella, e condotto in reparto.

Negli anni ’90, quando era presidente della Giunta regionale Antonello Cabras, assessore della Sanità Giorgio Oppi, commissario straordinario della USL Tullio Pistis e presidente del Consiglio di amministrazione Antonello Vargiu, venne costruito un corpo separato destinato al Reparto Infettivi, per contrastare la temuta epidemia di AIDS. Questo corpo, posto a debita distanza dall’edificio centrale, non venne mai utilizzato perché l’epidemia fu scongiurata dall’avvento dei nuovi farmaci anti-retrovirali. Venne utilizzato per sistemarvi il Centro Diabetologico; il centro Trasfusionale e la Sterilizzazione. Quell’edificio, unico nel suo genere in Sardegna, per caratteristiche strutturali e dotazioni, era stato progettato da un team di Ingegneri e Architetti venuti da Roma, e costruito da un’impresa specializzata. Tanto grande era l’interesse del Governo per il contrasto all’epidemia.

Attualmente il complesso ospedaliero del Sirai è costituito dal corpo centrale ed altri corpi separati.
Questi sono: Il Centro DIALISI, la PSICHIATRIA, la RADIOLOGIA, la ex PEDIATRIA, l’ex INFETTIVI. Il corpo centrale ha subìto modifiche aggiuntive al Piano Terra: la RIANIMAZIONE posta a Est; il Nuovo PRONTO SOCCORSO a Sud-Est; il nuovo INGRESSO a Ovest.
Fino agli anni ’90 il corpo centrale ospitava:
– Pronto Soccorso e Traumatologia al piano terra;
– Chirurgia Generale al primo piano;
– Medicina Generale al secondo piano,
– Ostetricia e Ginecologia al terzo piano.
L’elemento architettonico ideato da ALVAR AALTO ha sempre conservata il “DISTANZIAMENTO” fisico-strutturale fra i reparti. Questa distanza fisica di garanzia è mantenuta ancora oggi, nonostante la comparsa di nuovi Reparti, che sono:
– La CARDIOLOGIA al V piano;
– La STROKE UNITY al III piano;
– ONCOLOGIA al IV piano;
– UROLOGIA al II piano.
Questi reparti non contengono “Infettivi”.

Con questa dotazione difensiva della Sanità Ospedaliera Sulcitana dovremo, con grande attenzione, e senza commettere imprudenze, affrontare la FASE 2 dell’epidemia da Coronavirus.
L’idea di Ospedale di Alvar Aalto ci protegge ancora. Speriamo che nessuno la modifichi.

Mario Marroccu

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E’ tutto cambiato ma ancora non si vede.

La nostra rappresentazione mentale del mondo ce lo mostra ancora uguale a prima: i ritrovi della gente (i bar, i ristoranti, le chiese, i partiti politici, le scuole, i luoghi di lavoro, le strade, le piazze, la spiaggia, le stazioni sciistiche, il treno, la metropolitana, l’aereo, la nave, i cinema e teatri, il Parlamento, il colonnato e la piazza del Bernini davanti al Vaticano) sono, nella nostra immaginazione, temporaneamente sospesi e , nella nostra illusione, destinati a “ripopolarsi” come prima; appena questa “grande esercitazione di distanziamento sociale” sarà finita.

Cos’è la Fase 2? E’ il ritorno a come si viveva prima? Molti credono questo. Soprattutto, lo hanno creduto quei 75 turisti americani che oggi sono atterrati a Fiumicino, attirati dall’Italia dove si dice che l’epidemia stia “svanendo”. Il messaggio che sta passando è proprio questo. I più stanno immaginando che il Coronavirus abbia fatto le valigie per tornarsene là da dove è venuto. Ma non è così. E’ esattamente il contrario. Il 23 febbraio 2020 avemmo a Codogno il primo malato da virus. Oggi, dopo 40 giorni, secondo il professor Massimo Galli, virologo dell’Ospedale Sacco di Milano, ne abbiamo 1 milione. Secondo l’Imperial College di Londra ne abbiamo 10 volte di più. La verità è che il Coronavirus si è installato in tutta Italia e ci resterà. L’altra verità è che :

1°- la sua virulenza mortifera è sempre la stessa;

2°- non abbiamo farmaci che lo fermino;

3°- non abbiamo il vaccino;

4°- non sappiamo se gli anticorpi siano capaci di contrastare il virus. Nel caso dell’AIDS per esempio, gli anticorpi si formano ma non funzionano.

Non sappiamo quanto tempo resterà a vivere con noi. La Peste del 1347 si ripresentò, in Italia, altre 4 volte nello stesso secolo. Poi si ripresentò 4-5 volte per tutti i secoli successivi. Infine, nel 1700 scomparve spontaneamente. Molte malattie infettive arrivano ad ondate. La più comune è l’”Influenza”, che si manifesta tutti gli anni con virus lievemente mutati, e poi scompare spontaneamente con la Primavera.

C’è chi spera che il Coronavirus scompaia spontaneamente col caldo della buona stagione. In realtà questo virus non è sensibile al variare delle stagioni. L’unico vantaggio che potrà darci il caldo sta nel fatto che le “goccioline” si asciugano in fretta, e il secco crea un problema al virus.

Pertanto, dobbiamo essere consapevoli che il virus resterà tra noi, indipendentemente dalla stagione, e continuerà a fare le sue vittime.

Tutto sommato la qualità della vita nella Fase 1 non è stata deteriorata in modo grave. Non abbiamo avuto problemi nella fornitura dei beni di consumo ed abbiamo fatto una strana vacanza chiusi in casa. Questo è stato possibile perché la Nazione aveva accumulato una buona riserva. Ma questa è destinata ad esaurirsi rapidamente se non torniamo al lavoro. 

Questi 40 giorni di inattività ci hanno resi consapevoli di alcune cose.

  • Abbiamo un avversario pericoloso che convive con noi;
  • Non possiamo continuare a nasconderci dal virus;
  • Dobbiamo riprendere a lavorare e produrre ricchezza per contribuire alle casse dello Stato.

Dobbiamo essere consapevoli che la Fase 2 è necessaria.

Cos’è la Fase 2?

E’ un compromesso.

Torneremo a lavorare rischiando di contrarre l’infezione da Coronavirus, perché sarà inevitabile ridurre la “distanza sociale” che adesso ci sta proteggendo.

Sarà necessario realizzare  una nuova forma di ”distanza sociale” con altri mezzi.

Non potremo garantire sempre la “distanza fisica” tra le persone ma dovremo aumentare le schermature” fra una persona e l’altra.

Quali sono le schermature? Sono i mezzi che impediscono al virus di passare dal contagiato senza sintomi (che è il vettore inconsapevole) a chi ne è ancora indenne.

Visto che il virus esce dalle vie respiratorie del portatore per passare alle vie respiratorie del soggetto sano, dobbiamo concentrare la nostra attenzione sul come fare.

– Ripetiamo il meccanismo di contagio: il virus viene “sparato” nell’aria dal fiato espirato; quindi esce dalla bocca e dal naso dell’inconsapevole “vettore”, e viene proiettato verso tutto ciò che gli sta davanti. Davanti c’è, prima di tutto, l’aria dell’ambiente, e qui viene nebulizzato.

Poi ci sono gli oggetti e, su questi, lo spray di goccioline va a depositarsi.

Infine, davanti al soggetto “vettore” ci sono le altre persone.

Le goccioline “infette” vanno verso il naso, la bocca e gli occhi. Vengono inspirate dal naso e dalla bocca e penetrano nell’apparato respiratorio. Quelle che vanno verso gli occhi si mescolano alle lacrime; queste entrano nei condotti lacrimali e finiscono dentro il naso; da qui il virus va all’apparato respiratorio.

Altre goccioline vanno sul volto e sui capelli. Il soggetto si tocca i capelli, il viso, e poi la bocca, il naso e gli occhi. L’ingresso del virus è così assicurato.

Le mani toccano gli oggetti inquinati dallo spray e poi, per antica abitudine,  toccano il viso e la bocca.

Se non si ferma questo semplice meccanismo siamo destinati all’infezione da Coronavirus.

Quali sono le azioni basilari per ridurre la carica virale nell’ambiente?

– Primo: tutti devono indossare la mascherina chirurgica. Ricordiamo che la mascherina chirurgica non protegge dal virus. La sua vera funzione consiste nell’impedire che dalla nostra bocca e dal nostro naso, vengano proiettate nell’ambiente le goccioline di saliva sospette.

Se tutti indossassero la mascherina chirurgica, nessuno riuscirebbe a proiettare le goccioline infette verso di noi, e la carica virale nell’aria e negli oggetti sarebbe molto bassa.

Quindi le mascherine chirurgiche sono assolutamente “altruiste”. Se tutti fossimo rispettosi del prossimo, indossandole, tutti potremmo scampare al pericolo di infezione. Non dobbiamo vergognarci a pretendere che chi ci sta davanti indossi la mascherina chirurgica. Dobbiamo metterci al sicuro.

– Secondo: tutti devono indossare i guanti usa e getta. Sono fondamentali per impedire che i virus delle goccioline finite sugli oggetti vengano in contatto con la cute delle mani. I guanti indossati devono essere lavati frequentemente con sapone oppure con soluzione alcoolica.

In tutti i casi è necessario non toccarsi mai il volto. Il riflesso di toccamento del volto (bocca, naso, occhi, collo e capelli) avviene un migliaio di volte al dì, e non ce ne rendiamo conto. Chi porta la maschera chirurgica e i guanti alle mani si tocca di meno, e comunque difficilmente si autoinquina.

– Terzo: portare gli occhiali. Servono a impedire che lo spray di goccioline raggiunga i nostri occhi.

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Per lavori particolari il numero e la qualità dei presidi sale di grado.

Per esempio i medici rianimatori che intubano i pazienti Covid per collegarli al respiratore automatico (ventilatore) devono essere dotati di :

a) tuta completa di materiale sintetico impermeabile usa e getta;

b) cuffia per il capo;

c) gambali e sovrascarpe usa e getta;

d) Maschera per bocca e naso del tipo FFP3 che filtra l’aria inspirata con efficienza del 98%.

e) Visiera trasparente.

Il personale che sta a distanza dalla bocca e dal naso del paziente utilizza maschere FFP2 che hanno il 93% di potere filtrante.

In situazioni ancora più pericolose si useranno caschi con visiera.

Il personale sanitario che opera a notevole distanza dal paziente deve indossare le maschere chirurgiche.

I pazienti poco sintomatici devono indossare le maschere chirurgiche per ridurre lo spray con virus che inevitabilmente diffondono nell’ambiente.

Tutti devono lavarsi le mani (e anche  il viso)  frequentemente.

Nota bene: le maschere FFP3, munite di valvola per l’espirazione di fiato non filtrato, sono raccomandate solo per il medico intubatore. Da queste maschere fuoriesce il fiato dell’operatore; tale fiato finisce in un ambiente inquinato e non modifica lo stato di sicurezza del paziente che  sta di fronte.

In tutti gli altri casi le maschere devono essere senza valvola. Coloro che usano le maschere con valvole in altri ambienti commettono una imprudenza. Mettere a rischio il prossimo che è costretto a  respirare  il fiato non filtrato di chi ha la valvola di espirazione.

Negli ambienti comuni è imperativo che tutti indossino le mascherine chirurgiche.

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Nella Fase 2 si deve aderire alla prescrizione della “distanza sociale” , e il “divieto di assembramento”:

Queste semplici regole non potranno essere trasgredite per tutta la Fase 2, Il motivo è rappresentato dal fatto che in questa fase si riprenderanno le attività produttive e i lavori intellettuali in un mondo in cui i soggetti portatori del virus potranno essere ovunque, e dovremo convivere col pericolo. La Fase 2 è basata sul “compromesso” che si potrà uscire di casa e

lavorare nella consapevolezza del rischio di contagio e nella sua accettazione.

Di fatto si accetta il rischio che un numero non prevedibile di vite verrà sacrificato. Questo rischio è inevitabile e deve essere inevitabilmente accettato.

Tuttavia l’accettazione del rischio va di pari passo con l’accettazione che tutti dovremo rispettare severamente le regole di distanza sociale  e un nuovo tipo di abbigliamento che serva da schermo dai virus dello sconosciuto soggetto contagiatore, sempre incombente.

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Dopo questa premessa si comprende che la Fase 2 sarà molto più impegnativa della Fase 1 in via di conclusione.

La Fase 1 è stata caratterizzata da una chiusura totale e temporanea. La Fase 2 sarà caratterizzata da una apertura  quasi totale, con esposizione accettata al contagio, ed il mantenimento di un altro modo di attuare la “distanza sociale”. Questo sarà basato sull’uso degli schermi corporei appena descritti.

Non conosciamo la durata della Fase 2. Potrà essere “temporanea”, oppure “persistente”, o anche “perenne”. Dipenderà da quanto tempo ci vorrà per la disponibilità universale del vaccino. Se il vaccino comparisse domani, tutto questo che stiamo elencando non avverrà.

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Se il vaccino tarderà ad arrivare, la Fase 2 cambierà totalmente il modo di convivere nel mondo.

I luoghi di assembramento sociale come: teatri, cinema, bar, ristoranti, piazze, mercati, negozi, uffici pubblici, cambieranno radicalmente. La massa umana sparirà. Immaginiamo le chiese che non potranno consentire l’affollamento dei fedeli. Potranno entrare in pochi, abbigliati di maschere, visiere, tute, guanti e subiranno il controllo di sistemi di verifica sanitaria. Similmente avverrà per i Supermercati i quali forse opteranno per la consegna della spesa a domicilio e dovranno avvalersi di vettori provvisti di presidi di protezione individuale. Forse i cinema verranno surclassati per sempre dalla televisione e gli attori di teatro, per arrivare al pubblico, dovranno esibirsi davanti a telecamere. 

Molte attività pubbliche avverranno in teleconferenza come: processi nei tribunali, discussioni nei consigli comunali, regionali, o addirittura nelle Camere.

I lavori più difficili da adattare a questa nuova condizione saranno quelli che non possono prescindere dal contatto umano come:

  • Organi di polizia,
  • Militari,
  • Medici di base e ospedalieri;
  • Medici dentisti;
  • Fisioterapisti;
  • Scuole e Asili infantili.
  • Personale di assistenza agli anziani e badanti.

Le scuole saranno forse il capitolo più difficile da governare in sicurezza. A settembre rientreranno a scuola 8 milioni di alunni e studenti,  1 milione di insegnanti più 1 milione di personale amministrativo.

Parte delle lezioni si faranno in videoconferenza ma esisteranno ancora le lezioni frontali. In tal caso sia l’insegnante che gli studenti dovranno adottare un abbigliamento per mantenere al “distanza sociale”: maschere, guanti, occhiali e, forse, tute. Tutto questo rappresenterà un costo aggiuntivo notevole.

Vi è il problema degli asili infantili. I bambini non potranno essere dotati di mascherine e guanti, inoltre dovranno giocare a stretto contatto fra di loro.

E’ vero che i bambini sembrano essere più protetti dal virus, ma è anche vero che basta che uno solo sia contagioso e tutta la comunità verrà contagiata. Poi i bambini rientrando a casa «a trovare la mammina» le regaleranno il virus. Grande problema da risolvere.

Vi è inoltre il grande problema dei mezzi di trasporto pubblico come: treni, aerei, navi. In quei contesti è difficile evitare il “contatto sociale”. Forse si dovrà trovare la soluzione nella adozione di un abbigliamento con copertura totale (tute, copricapo, maschere, guanti, calzari), e comunque sarà vietato l’affollamento. Fatto che non sarà evitabile nelle metropolitane delle grandi città.

L’affollamento sarà il nuovo nemico pubblico numero 1. Forse in tutte le attività pubbliche si attuerà il contingentamento degli utenti. Fatto che abbiamo visto essere molto efficace nei supermercati. Prenderanno vigore i piccoli negozi di quartiere che oltre ad essere gestiti da persone conosciute potranno evitare gli spostamenti con mezzi pubblici o automobile.

La vita privata cambierà. Si pensi ai giovani che non potranno frequentare i locali d’incontro e frequentare la persona partner ideale se non con  l’interposizione  di maschere, guanti e occhiali. Ma anche questo verrà reso digeribile dalla moda.

Tutti diventeremo sospettosi nei confronti dell’altro, e tutti diventeremo sospetti per il prossimo. Il motivo sta nel fatto che l’elemento più pericoloso della Fase 2 saranno i portatori inconsapevoli di virus, cioè i portatori sani e soggetti con la malattia in incubazione e ancora senza sintomi.

Paradossalmente i luoghi meno sospetti saranno gli ospedali dove i Covid positivi saranno noti e ben sorvegliati e dove chi guarisce diventa immune mentre chi muore finisce di essere una fonte di contagio.

Durante la Fase 2 compariranno le “patenti di immunità” che verranno rilasciate ai pazienti guariti diventati immuni, e con tampone negativo.

Gli “immuni” riavvieranno la macchina produttiva della Nazione e daranno vita al nuovo mondo.

Ecco perché la Fase 2 sarà la più impegnativa e perché sarà questa a cambiare il mondo che abbiamo conosciuto.

Appena arriverà il vaccino ciò che ho descritto finirà, tuttavia molti costumi cambieranno per sempre.

Mario Marroccu

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Il Centro emergenze Covid-19 a Carbonia e non più a Iglesias. E’ questo il nuovo scenario che si sta aprendo in queste ore per dare soluzione all’emergenza nel territorio del Sulcis Iglesiente. E’ del 21 marzo scorso la notizia che il comune di Iglesias ha chiesto che l’ospedale Santa Barbara sia adibito a struttura di emergenza per il Coronavirus, per tre motivazioni precise:
1 – Tutela operatori sanitari
2 – Evitare promiscuità tra reparti
3 – Rischio di compromettere le funzioni del CTO di Iglesias e del Sirai di Carbonia, a causa della continua mobilità di operatori tra i due ospedali.

Oggi, a distanza di poco più di due settimane, si apprende che il Centro emergenze Covid-19 si vorrebbe crearlo dentro i reparti di degenza dell’ospedale Sirai di Carbonia. E’ quantomeno imprudente solo pensare una soluzione di questo genere, perché un reparto siffatto dovrebbe avere percorsi separati dagli altri (ascensori, scale vitto, farmacia, bombole d’ossigeno, salme, medici ed infermieri, prodotti di risulta come camici e mascherine inquinati, etc.). E’ quello che è successo prima a Codogno e poi a Sassari e sappiamo che da lì ha iniziato ad infuriare il virus in Italia e nel Nord Sardegna.
Va assolutamente evitato l’“assembramento” con aggregazione di reparti in uno spazio ristretto, come impone il “Decreto Conte”.
I Sindaci, le più alte autorità sanitarie, dovrebbero darne notizia alla Protezione Civile guidata da Angelo Borrelli, perché fermi sul nascere un progetto tanto rischioso.

Mi pare necessario che i sindaci di tutto il territorio pretendano che i Covid ospedalizzati vengano sistemati in un padiglione separato, lontano dai ricoveri ordinari. E ricordo ancora una volta, che all’ospedale Sirai di Carbonia, c’è una megastruttura per infettivi, con tanto di camere a pressione negativa, realizzata negli anni ’90, negli anni di maggior diffusione dell’epidemia di AIDS. Si tratta dell’edificio in cui è ospitato l’attuale Servizio di Diabetologia, situato dietro l’ex Pediatria e, giustamente, situato a distanza di sicurezza da tutti gli altri reparti. La struttura è inoltre dotata di un impianto di sterilizzazione tecnicamente preparato per infettivi.

Mario Marroccu