[bing_translator]
[bing_translator]
Si accende il dibattito sul futuro di Casa Serena, a Iglesias. «Senza il contributo regionale – ha dichiarato Carla Cuccu, presentatrice di un’interrogazione al Governatore, Christian Solinas, e all’assessore regionale alla Sanità, Mario Nieddu –. Senza il contributo regionale, che è stato erogato sino allo scorso anno, il comune di Iglesias non può più far fronte agli alti costi della gestione che superano abbondantemente i due milioni e mezzo di euro annui.»
A preoccupare Carla Cuccu è anche la sorte dei circa 80 lavoratori che operano nella o per la struttura e il possibile trasferimento dei circa 60 ospiti in altre strutture residenziali del territorio che prevedono rette molto alte.
« È necessario procedere ai lavori di riqualificazione della struttura gestita interamente dal comune di Iglesias – ha concluso Carla Cuccu – per farla diventare, così come lo era negli anni ottanta, un polmone verde della città dove tutti possano anche praticare attività fisica e combattere la solitudine in una socialità relazionale da rigenerare. Bisogna far diventare Casa Serena un luogo aperto anche ai turisti che scelgono Iglesias per le vacanze oppure per effettuare escursioni nel territorio.»
[bing_translator]
«I reparti di rianimazione pediatrica devono essere strutturati nei presidi ospedalieri specializzati o in cui siano già presenti reparti e cliniche pediatriche sopperendo anche alle necessità del nord Sardegna.»
Lo chiede la Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza Grazia Maria De Matteis in una lettera inviata al presidente della Regione Christian Solinas, all’assessore regionale della Sanità Mario Nieddu ed al presidente della commissione Salute Domenico Gallus.
«Nel Piano di riconversione anti covid della rete ospedaliera regionale approvato nei giorni scorsi dalla Sesta Commissione – scrive la Garante nella lettera – sono previsti alcuni posti di terapia intensiva pediatrica presso l’ospedale Santissima Trinità di Cagliari.»
«Siamo sulla strada giusta – afferma Grazia Maria de Matteis – è impensabile che ancora oggi in Sardegna non ci siano reparti di rianimazione pediatrica. Il Piano di riconversione deve però incardinare la terapia intensiva per i minori in strutture specializzate nella cura dei più piccoli e dislocate su tutto il territorio regionale.»
[bing_translator]
La Regione Sardegna, attraverso la Centrale regionale di committenza, ha aggiudicato, il 9 giugno, la procedura aperta, suddivisa in tre lotti, per la fornitura dei vaccini antinfluenzali destinati alle aziende del sistema sanitario regionale per la campagna di prevenzione 2020/2021.
Per rispondere alle esigenze di prevenzione conseguenti alla diffusione del Covid-19, la procedura, indetta l’8 maggio in coordinamento con la Direzione generale della Sanità, ha previsto un fabbisogno pari quasi il doppio dei quantitativi dell’anno precedente.
«Nell’ipotesi di circolazioni virali concomitanti, siamo ben consapevoli dei vantaggi rappresentati dalla vaccinazione antinfluenzale. Una più ampia copertura, specie nei soggetti più esposti, ci consente di ridurre la necessità di ricorrere all’assistenza nelle strutture sanitarie per intervenire sulle complicazioni dell’influenza e permette una maggiore facilità di diagnosi dei sospetti casi di positività al Coronavirus», dice l’assessore regionale della Sanità, Mario Nieddu.
La Sardegna è stata la terza regione ad attivarsi per la fornitura delle dosi necessarie ad affrontare la prossima campagna antinfluenzale. Inoltre ha provveduto a definire l’accordo con i medici di medicina generale per potenziare le vaccinazioni e rendere la campagna di prevenzione più capillare sul tutto il territorio.
[bing_translator]
[bing_translator]
Si riaccende la protesta dei dipendenti della Casa Famiglia “Perd’e Fogu” di Fluminimaggiore, dopo il prolungamento dei ritardi nell’apertura del centro, che accoglie pazienti sofferenti di disagio psichico. La struttura, fortemente voluta dagli abitanti della cittadina dell’Iglesiente, rimane ancora chiusa, lasciando a casa 13 persone, tra educatori, operatori socio sanitari e volontari. I pazienti, provenienti dal bacino del Sulcis Iglesiente e del Medio Campidano, sono stati distribuiti in istituti privati o affidati alle cure dei familiari. Ma la situazione, che nonostante le tante promesse, ancora non si è sbloccata, sta diventando sempre più insostenibile, soprattutto per i dipendenti, che provengono non solo da Fluminimaggiore ma anche da Carbonia e Iglesias.
«Noi chiediamo di riavere il nostro posto di lavoro – esordisce Maria Giuseppina Lampis, educatrice professionale – perché abbiamo lavorato qua per 12 anni e vantiamo quindi un’esperienza importante. Non vogliamo essere pagati per stare a casa.»
Ombretta Casula, anche lei dipendente della casa famiglia, pone invece l’accento sulle promesse non mantenute. «Inizialmente, le garanzie le avevamo, perché c’era stato promesso che, al termine dei restauri, avremmo ripreso il nostro posto di lavoro. Si parlava di un mese e mezzo, massimo due mesi. È passato un anno e mezzo e noi siamo ancora a casa. E la Naspi, la nostra cassa integrazione, sta terminando.»
Aldo Tupante ci regala un breve cenno storico sulle origini dell’istituto: «La struttura è stata aperta nel 2002 come centro diurno. Nel territorio non ci sono altri centri residenziali simili. Sono stati chiusi, quindi i pazienti psichiatrici sono abbandonati a se stessi, alle famiglie o rinchiusi in altri tipi di strutture».
Vittime di questa situazione non sono solo dipendenti e pazienti ma anche gli stessi familiari di questi ultimi, sui quali ricadono costi e cure dei degenti. Giuseppe Todde fa parte dell’associazione di volontariato “Muntangia”, che rappresenta i parenti dei disabili mentali ospitati all’interno della casa famiglia.
«La nostra associazione nasce per offrire un sostegno ai sofferenti psichici e alle loro famiglie. In tanti abbiamo creduto a questo progetto. La struttura c’è. Non può esistere che i pazienti di Flumini vengano mandati a Nuxis, con costi esorbitanti. Ciò crea un disagio anche per i parenti che devono andare a trovarli. Viviamo in una zona svantaggiata.»
I sindacati sostengono la causa della riapertura. Roberto Fallo, della CISL: «Noi siamo qua perché su questa vertenza ci siamo spesi in prima persona. Abbiamo accettato la chiusura momentanea, e ribadisco momentanea, perché l’edificio necessitava di urgenti lavori di messa in sicurezza. Con l’impegno di riaprirlo immediatamente, una volta terminata la ristrutturazione. Abbiamo avuto la sfortuna che i lavori siano finiti a cavallo tra un’amministrazione regionale e l’altra. Dopodiché ci siamo trovati di fronte al deserto. Tante promesse ma a tutt’oggi la struttura rimane chiusa. Noi siamo disposti anche a mobilitarci e a mettere le tende sotto la regione, se questo dovesse essere necessario».
Giovanni Zedde, della Funzione pubblica CGIL, focalizza l’attenzione sui danni arrecati alle persone. «Il territorio rimane isolato e i pazienti si trovano nella situazione di non ricevere la giusta assistenza. Noi avevamo fatto un accordo, che prevedeva una sospensione del servizio e una riapertura immediata. I dipendenti sarebbero stati riassunti dalla cooperativa. I vecchi amministratori hanno fatto in tempo ad andare via senza fare assolutamente niente. Questi nuovi amministratori sfuggono. Non è possibile che se un’amministrazione cambia gli impegni presi non vengano più rispettati. Non siamo più disposti ad accettare che dei pazienti vengano trasferiti in strutture private quando abbiamo una struttura pubblica di eccellenza che deve funzionare.»
Anche il sindaco, Marco Corrias, si schiera dalla parte di pazienti e lavoratori e chiede che venga rispettata la parola data. «Questa struttura funzionava perfettamente. Accoglieva oltre 8 ospiti con patologie psichiche, che in questo paese si trovavano benissimo. Improvvisamente si sono ritrovati ad essere deportati, letteralmente. Tutto questo accadeva nel dicembre del 2018. Abbiamo protestato, ci siamo opposti con tutte le nostre forze e finalmente, a Cagliari, hanno firmato una lettera in cui ci garantivano che, nel giro di pochi mesi, terminati i lavori di ristrutturazione, avrebbero riaperto. Hanno mancato alla parola data e gli amministratori che sono arrivati dopo continuano a farlo. Questa struttura è costata allo stato 50mila euro ed oltre. Hanno fatto le ristrutturazioni e l’hanno lasciata abbandonata, mandando a casa 13 operatori, a cui sta per scadere la cassa integrazione. Noi chiediamo all’assessore regionale della Sanità Mario Nieddu, al presidente Christian Solinas, ma soprattutto al commissario dell’ATS Giorgio Steri, che intervengano e facciano riaprire il centro. Non molleremo fino a quando la parola data non verrà confermata con i fatti.»
Federica Selis
[bing_translator]
Un protocollo per la gestione dei casi sospetti di Coronavirus nelle strutture ricettive della Sardegna. A chiederlo è la consigliera regionale del Movimento Cinque Stelle, Desirè Manca, che insieme ai colleghi Roberto Li Gioi, Michele Ciusa, Alessandro Solinas ha presentato una mozione al presidente della Regione, Christian Solinas, e all’assessore della Sanità, Mario Nieddu.
«Anziché ottenere rassicurazioni da parte della Regione, gli albergatori continuano ad essere estremamente preoccupati per la mancanza di protocolli regionali specifici che consentano loro di gestire eventuali casi sospetti di Coronavirus e di proseguire nel contempo l’attività in totale sicurezza. Per questo – ha dichiarato la capogruppo pentastellata – è urgente che le indicazioni fornite dall’OMS in ambito internazionale e da Confindustria Alberghi, Federalberghi ed AssoHotel su quello nazionale, vengano recepite e adattate al contesto regionale e alle peculiari caratteristiche del comparto turistico- alberghiero sardo, già gravemente danneggiato dai limiti di circolazione imposti dall’emergenza Covid e dalle misure organizzative a cui è subordinata la ripartenza.»
A suo modo di vedere «è fondamentale che gli albergatori conoscano le procedure da seguire per segnalare al servizio sanitario regionale la presenza di una persona con sintomi da Covid all’interno dell’hotel, come comportarsi in attesa dell’intervento del servizio sanitario, quali protocolli seguire per sanificare ed igienizzare i locali e soprattutto quali misure adottare nei confronti delle persone che sono venute a contatto con la persona eventualmente affetta dal virus».
«Le conseguenze di una falla nelle procedure di sicurezza potrebbe – conclude Desirè Manca – compromettere ulteriormente e definitivamente la ripartenza delle strutture ricettive della Sardegna. Auspico che il presidente Christian Solinas si attivi con urgenza affinché d’intesa con i rappresentanti del settore si possa redigere un documento valido che tuteli gli imprenditori del settore e tutti i turisti che sceglieranno la Sardegna come meta sicura. Non c’è tempo da perdere, la Regione si attivi per evitare il verificarsi di situazioni ad alto rischio.»
Antonio Caria
[bing_translator]
«Il Santa Barbara di Iglesias è fra gli ospedali che vedranno un incremento dei posti letto previsti per fronteggiare l’emergenza Covid.»
A comunicarlo è il consigliere regionale della Lega, Michele Ennas. «L’inserimento del nostro ospedale nel piano regionale di riorganizzazione della rete ospedaliera è un importante segnale d’attenzione verso la nostra città ed il nostro territorio – spiega Michele Ennas -. Il provvedimento, approvato in via preliminare dalla giunta su proposta dell’assessore Mario Nieddu, prevede l’incremento di posti letto in terapia intensiva e sub-intensiva. Questo fa del Santa Barbara un ospedale strategico nella battaglia al Covid. Un grande risultato a cui stiamo lavorando da tempo e, con l’ultima delibera, prosegue il progetto che avevamo pensato e che la giunta sta portando avanti.»
«Con coerenza – aggiunge Michele Ennas – stiamo dimostrando di perseguire l’obiettivo di valorizzare la nostra sanità e di guardare ai territori. Per il territorio, in particolare per Iglesias, è un risultato storico e un importante conquista perché il Santa Barbara diventerà punto di riferimento, insieme al Santissima Trinità di Cagliari, per tutto il Sud Sardegna. Ora il piano, che sarà attuato con l’impiego di fondi della Protezione Civile nazionale, sarà sottoposto al vaglio del ministero.»
«Abbiamo sempre detto che il nostro territorio non si sarebbe sottratto dal fare la sua parte in questa emergenza e dopo l’istituzione dell’USCA, mettiamo a segno un ulteriore traguardo verso la riqualificazione e valorizzazione dei nostri presidi. Dopo anni di tagli, depotenziamenti e svuotamenti di reparti, vediamo importanti investimenti ed è la chiara dimostrazione dell’attenzione allo sviluppo e l’incremento dei servizi sanitari erogabili nel territorio che vogliamo portare avanti – conclude Michele Ennas -. Sarò vigile e mi attiverò affinché la commissione sanità approvi il piano così come proposto dalla giunta regionale nel più breve tempo possibile.»
[bing_translator]
La Sardegna potrà riprendere la movimentazione dei capi bovini, ovini e caprini sul territorio nazionale, senza limitazioni. È quanto la Regione ed il ministero della Salute hanno definito nell’accordo che, con una drastica riduzione delle restrizioni in vigore a soli sei Comuni dell’Isola, riconosce la Sardegna area omogenea con il resto d’Italia (a eccezione della Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige) per ciò che riguarda la presenza sul territorio della ‘blue tongue’, la febbre catarrale che colpisce i ruminanti.
Nel 2018, la comparsa del seriotipo tre nell’area sud-occidentale dell’Isola, l’unico sierotipo per cui non esiste un vaccino, ha comportato limitazioni stringenti in un’area di 150 chilometri dalle zone interessate dal focolaio, introducendo l’obbligo dei prelievi e test Pcr sugli animali destinati alla movimentazione. Restrizioni alla circolazione dei capi che, di fatto, hanno risparmiato soltanto il nord Sardegna.
«La rimozione del blocco è un risultato importante per tutto il comparto della zootecnia – spiega l’assessore regionale della Sanità, Mario Nieddu -. Negli ultimi due anni sono stati fatti circa 16mila prelievi per l’esecuzione degli esami obbligatori, con costi considerevoli per gli allevatori ed un peso non indifferente sul piano organizzativo per tutti gli operatori del settore e per il sistema sanitario.»
Le restrizioni imposte sarebbero dovute durare due anni, per essere poi sottoposte a revisione: «Siamo riusciti ad anticipare di sei mesi la rimozione, quasi totale, del blocco. Sul territorio abbiamo lavorato con scrupolo, arrivando a raddoppiare la sorveglianza nelle aree interessate. Le indagini e i dati raccolti sono stati riconosciuti dal ministero come validi ad attestare una situazione di fatto in cui non si rileva più la presenza del sierotipo tre e, quindi, ritenuti idonei a giustificare il soddisfacimento delle nostre richieste», precisa l’assessore regionale della Sanità.
Al momento le restrizioni rimarranno circoscritte ai soli territori dei sei Comuni interessati dai primi focolai: Giba, Piscinas, Santadi, San Giovanni Suergiu, Teulada, Sant’Anna Arresi. «Se la situazione epidemiologica dovesse confermarsi quella corrente, allo scadere del termine previsto, chiederemo che le limitazioni vengano rimosse completamente anche dagli ultimi territori», conclude Mario Nieddu.