8 May, 2025
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Oggi 25 aprile 2025 ricorre l’80° anniversario della Liberazione dell’Italia dal NaziFascismo. Nella storia della Repubblica del nostro Paese segue l’affermazione della democrazia e della libertà, la fine della guerra e la riconquista dell’indipendenza. Un conflitto che subì numerose perdite umane tra civili e militari che si sono sacrificati per la libertà.

La festa della Liberazione quest’anno è circondata da un clima di lutto nazionale per la scomparsa di Papa Francesco, i cui funerali si svolgeranno domani nella basilica di San Pietro, a Roma. Anche nella città di Carbonia, così come in tutte le altre città italiane, si sono svolte le cerimonie di commemorazione, nel rispetto della dipartita della massima autorità ecclesiastica, il Sommo Pontefice.

Colore e calore hanno animato piazza Roma, a Carbonia, per la cerimonia del 25 aprile, organizzata dal comune di Carbonia con la collaborazione del cerimoniere Alessandro Saba. Tanti i cittadini presenti, così come le associazioni, le autorità civili e militari, volontari e il parroco della chiesa di San Ponziano don Giampaolo Cincotti. A fare da cornice la Banda Musicale Vincenzo Bellini di Carbonia che con le sue note ha reso il tutto più emozionante e commovente.

Nei numerosi interventi da parte di diversi interlocutori non sono mancati i commenti riferiti alla pace e alla sua importanza, un valore da preservare e per cui lottare senza mai demordere. È una responsabilità civile ed umana che ognuno di noi deve impegnarsi ad ottemperare. Noi tutti dobbiamo impegnarci per portare avanti l’ideale di libertà che é costato tante vite umane. Un clima di speranza quello che è apparso oggi in città, speranza nella generazioni future portatrici di “recupero” di valori umani che cancellino l’odio e la sopraffazione per lasciar spazio all’uguaglianza, al rispetto, alla pace e alla democrazia. Che possano presto finire tutti i conflitti di guerra che stanno martoriando il mondo in virtù di un clima sereno e disteso dove tutti possano avere il loro posto e possano veder rispettati i propri diritti. Possa l’uomo comprendere il grande errore che commette ogni giorno nel “comandare guerra” e possa presto redimersi per una pace a portata di tutti.

Gli interventi sono stati aperti dal sindaco di Carbonia, Pietro Morittu, al quale sono seguiti quelli del presidente del Consiglio comunale Federico Fantinel; di Riccardo Pietro Cardia, presidente della sezione ANPI di Carbonia; del delegato dell’Unione Autonoma Partigiani Sardi (UAPS) Mauro Pistis; di due giovani che hanno partecipato all’iniziativa del “Promemoria Auschwitz”, Riccardo Boni e Valentina Diana; del segretario della Camera del Lavoro della Sardegna Sud Occidentale (CGIL) Franco Bardi; di Anna Pina Buttiglieri, Francesca Puddu e Omar Soddu de “La Clessidra Teatro”.

Il sindaco Pietro Morittu, nel suo intervento, ha espresso grande vicinanza e ha trasferito l’abbraccio di tutti i presenti all’ex sindaco Ugo Piano e alla sua famiglia, per la perdita della figlia Marzia.

Nadia Pische

L’Amministrazione comunale di Carbonia rafforza il suo ultradecennale gemellaggio con le città croate di Arsia e Albona. Nei giorni scorsi,  in concomitanza con la ricorrenza dell’atto ufficiale del gemellaggio risalente al 2 marzo 2010, su invito dei sindaci di Arsia e Albona, l’assessora della Pubblica Istruzione Antonietta Melas, in rappresentanza della nostra città, si è recata nelle due città croate per portare i saluti e gli omaggi del sindaco Pietro Morittu e della città di Carbonia. Era presente il dottor Mauro Pistis appassionato conoscitore delle realtà istriane e studioso della storia mineraria riconosciuto tale anche dalle amministrazioni di Arsia e di Albona.
Accoglienza calorosa da parte degli amministratori locali che insieme alle diverse autorità accademiche e politiche si sono prodigati per favorire la conoscenza della storia dei luoghi e in particolare delle aree minerarie presenti nella due città.
I sindaci di Arsia, Leo Knapic, e di Albona, Valter Glavicic, l’assessora del comune di Carbonia Antonietta Melas hanno rinnovato il gemellaggio e l’amicizia reciproca attraverso  la condivisione delle commemorazioni dei minatori morti nelle miniere di Arsia e di Albona, posizionando una corona di fiori a nome del sindaco della città di Carbonia, come testimoniato dalle foto.
Il sindaco Pietro Morittu ha invitato a Carbonia i due sindaci di Arsia e di Albona per il 18 dicembre 2025, data della ricorrenza dell’inaugurazione della nostra città. Sono in corso ulteriori interlocuzioni per organizzare possibili eventi e per la loro accoglienza nel mese di dicembre al fine di consolidare sempre di più l’amicizia, il dialogo e la collaborazione tra Carbonia, Arsia e Albona.

Venerdì 14 febbraio la sala polifunzionale di piazza Roma ha ospitato la presentazione del libro di Roberto Dal Cortivo intitolato “Miniere di terra e di cielo”. L’iniziativa è stata organizzata da Mauro Pistis, responsabile dell’associazione culturale “La Lampada”, con il patrocinio del comune di Carbonia. Hanno partecipato alla presentazione il presidente del Consiglio comunale di Carbonia Federico Fantinel e l’assessora della Pubblica istruzione Antonietta Melas.
Roberto Dal Cortivo, nato a Carbonia il 18 marzo 1947, ha trascorso la sua infanzia e adolescenza nella città mineraria, prima di trasferirsi nel 1960 nel capoluogo regionale, Cagliari, città di cui è stato sindaco di Cagliari dal 1990 al 1992. E’ stato dipendente della Regione Sardegna, oggi in pensione. Esponente di rilievo del Partito Socialista, nel suo libro “Miniere di terra e di cielo”, scava nelle sue origini, con un viaggio nel passato che lo riporta in quella Carbonia dove è nato, un viaggio in cui ricorda suo padre che proprio a Carbonia ha svolto il duro lavoro di minatore. Uno spaccato sociale, narrativo e storico di momenti condivisi che costituiscono e hanno costituito i pilastri di un’intera società.
L’opera è stata presentata dalla scrittrice Rossana Copez, con la partecipazione degli attori Ottavio Congiu e Paola Grassi che hanno interpretato magistralmente alcuni brani del libro.
Vediamo l’intervista realizzata con Roberto Dal Cortivo.

Domani, venerdì 14 febbraio, alle ore 17.00, presso la sala polifunzionale di piazza Roma, si svolgerà la presentazione del libro di Roberto Dal Cortivo, intitolato “Miniere di terra e di cielo”. L’iniziativa è stata organizzata da Mauro Pistis, responsabile dell’associazione culturale “La Lampada”, con il patrocinio del Comune di Carbonia.
Roberto Dal Cortivo, nato a Carbonia nel 1947, ha trascorso la sua infanzia e adolescenza nella città mineraria, prima di trasferirsi nel 1960 nel capoluogo regionale, Cagliari, città di cui è stato sindaco di Cagliari dal 1990 al 1992. Roberto Dal Cortivo, esponente di rilievo del Partito Socialista, nel suo libro “Miniere di terra e di cielo”, scava nelle sue origini, con un viaggio nel passato che lo riporta in quella Carbonia dove è nato, un viaggio in cui ricorda suo padre che proprio a Carbonia ha svolto il duro lavoro di minatore. Uno spaccato sociale, narrativo e storico di momenti condivisi che costituiscono e hanno costituito i pilastri di un’intera società.
L’opera verrà presentata dalla scrittrice Rossana Copez, con la partecipazione degli attori Ottavio Congiu e Paola Grassi.

1 L’antropologia dentro le miniere e le miniere dentro l’antropologia

L’antropologia come disciplina scientifica, quindi al di là della sua impropria estensione a etichetta abusata, ha maggiormente studiato le tappe positive e ascendenti del progresso umano attraverso le verificabili esperienze storico-materiali che trasformano la nostra naturale animalità nei modi culturali di farsi umani e di fare umanità, a vari livelli: individuale e sociale, di genere e di specie. Per esempio, dalla stazione eretta e al camminare, dalla manualità alla scrittura e all’arte, dalle attività individuali fino alle cooperazioni familiari e locali. Questo versante dell’antropologia positiva risulta assai ampio rispetto a quello dell’antropologia negativa che, viceversa, studia e documenta le esperienze che negano e sopprimono umanità, altrui e proprie, con varie pratiche e modi anche di violenza. Per esempio dai femminicidi alle guerre, fatti di triste attualità. L’antropologia ha teorie specifiche, nate nel 1871 e mutate nel corso del tempo, pur mantenendo la fondamentale e democratica concezione di cultura che comprende ogni esperienza umana. In quanto disciplina scientifica l’antropologia ha affinato nel tempo la propria metodologia che assomma lo spoglio di fonti scritte e il rilevamento di fenomeni documentabili con la produzione di nuove fonti: scritte e orali, fotografiche, audiovisive e filmiche. Dopo più di un secolo del suo percorso, l’antropologia è entrata nelle miniere e le miniere sono entrate nell’antropologia, determinando nuovi livelli di conoscenza e di approfondimento delle esperienze umane, soprattutto nel sottosuolo. La genealogia di riferimento per tali studi nelle miniere fa capo agli ultimi decenni del Novecento, all’antropologa June Nash e al suo libro edito nel 1979 sulle miniere di stagno boliviane: We eat the mines and the mines eat us. Dependency and exploitation in Bolivian tin mines. Solo agli inizi di questo secolo si giunge all’indicazione di una specifica antropologia mineraria, indicata e perimetrata come campo specialistico in ambito anglofono nel 2003, con il testo The Anthropology of mining di Ballard and Banks.

Nell’espansione dell’Antropologia mineraria non mancavano studi singolari che in ambiti locali indagavano le esperienze minerarie. In Italia, per esempio i primi studi antropologici editi su Carbonia risalgono al 1980 a livello internazionale. Sono infatti documentati negli Atti del Convegno Internazionale di Storia Orale che si tenne ad Amsterdam in quell’anno. Quei documenti, ora assai incrementati, riguardavano produzioni poetiche in sardo espresse prevalentemente da minatori o da loro fatte proprie, sia improvvisate e sia stampate in fogli volanti o in libretti di letteratura popolare ambulante. Fanno parte di un importante corpus documentario poetico, proprio della cultura operaia dei minatori, che può essere messo in dialogo con i documenti di altri centri archivistici o museali minerari, italiani ed europei.

Vorrei sostenere, a partire da questo punto documentario da mettere in un’ampia rete, che le temporalità antropologiche e culturali delle esperienze minerarie non si riducono al solo periodo estrattivo e neppure ad un inerte periodo cosiddetto post-minerario. Mi pare invece necessario partire da quei documenti storici per mettere in luce gli aspetti che concernono l’antropologia del rischio, lavorativo e non solo, individuale e non solo, nel passato e nel presente, avviando un nuovo corso di impegni programmatici di ricerca nelle scuole e nelle università, a partire dai morti in miniera ma estendendo la visione dei rischi e dei modi per farvi fronte democraticamente nei nuovi studi. Riprenderò successivamente il cruciale nodo del rischio e della securitas come ambito di poteri propri nell’esperienza mineraria.

L’approccio volto verso l’antropologia dei rischi a partire da quelli minerari implica l’esigenza di prendere in conto nuovi e attuali dibattiti nei quali l’antropologia mineraria giunge con una recente e più ampia definizione e perimetrazione. Riguarda la cosiddetta Antropologia delle risorse estrattive che fa capo a un libro collettaneo, The Anthropology of Resource Extractions, curato da D’Angelo e PiJpers e pubblicato nel 2022. Rispetto al libro di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola, I minatori della Maremma, edito nel 1956 sono trascorsi 66 anni. Dal mio testo pubblicato nel 1989 Tra il dire e il fare. Cultura materiale della gente di miniera un Sardegna, son passati 33 anni. Ribolla per certi aspetti impliciti e Carbonia per altri aspetti più espliciti, sia pure in tutta modestia, possono porgere le ricerche svolte sul loro terreno come etnografie situate come anticipazioni documentarie su mondi di vita e di lavoro sotto la terra che ebbero successivi sviluppi internazionali, specialmente per le perdite di vite umane e di ambienti vitali nei processi lavorativi. Cercherò di mettere in luce come tali processi eccezionali e quotidiani fossero non solo subiti, ma anche governati autonomamente dai minatori, attraverso l’emergere di soggetti di decisione e di scelta: attraverso processi di soggettivazione capaci di agentività, di agency, nonostante le condizioni di dipendenza o assoggettamento ai poteri dominanti.

Dal 2003 al 2022, come ho detto, l’intestazione di antropologia mineraria si è allargata con la dizione di Antropologia delle risorse estrattive, fino a comprendere un vasto complesso di attività di prelievo dalla natura. In tale ambito, in cui gli stessi minerali di discarica rimangono risorse di riabilitazione produttiva e ambientale, appaiono nuove temporalità minerarie. Inoltre, le miniere possono ora materializzarsi anche come specifici centri, idonei per particolari ricerche scientifiche. Tuttavia, rimane faticosamente aperto il problema di ciò che un materiale come il carbone può diventare e diventa storicamente risorsa, e di quale tipo, nei processi di valorizzazione secondo possibilità non solo scientifiche e tecniche, ma anche politiche. Penso al mancato sviluppo degli usi chimici del carbone Sulcis, data l’opposizione monopolistica della Montecatini e la conseguente riduzione del carbone a esclusiva risorsa energetica. Lascio aperta questione del rapporto fra materiali e risorse per seguire il corso generale delle esperienze minerarie. In generale, nel corso del processo di industrializzazione degli ultimi 50 anni l’attività estrattiva è triplicata, con la spinta soprattutto dai Paesi del cosiddetto BRIC: Cina, Brasile, Russia, India. Nuove materie prime, come cobalto e litio insieme a nichel e rame, hanno fatto emergere nuovi protagonisti. Molte miniere impoverite determinano ora maggiori disastri ecologici: per un’oncia d’oro si scassano 30 tonnellate di roccia. Le miniere, comunque, offrono direttamente a 40 milioni di persone opportunità insieme a sfide e rischi di vita. Le attività minerarie sono determinanti negli attuali assetti di consumo, di lavoro e di vita.

Particolarmente in questi ultimi decenni l’antropologia è entrata nelle miniere e le miniere sono entrate nell’antropologia. Numerosi studi antropologici penetrano ora nelle attività, nei processi, negli effetti estrattivi sulla vita quotidiana per capire dinamiche storiche, economiche, sociali, politiche, ambientali, con un approccio integrato. Tali dinamiche in vari casi rimuovono il dato di fondo: che l‘estrazione riguarda risorse non rinnovabili e pertanto esauribili. La dipendenza dai minerali in vari modi cresce e definisce mondi correnti di lavoro e di vita anche in base alla esauribilità dei giacimenti minerari e ai conflitti sul futuro che ricchezze e penurie minerarie acuiscono.

Le esperienze di Carbonia e di Ribolla, per esempio, si possono configurare nell’ambito che è stata definita democrazia del carbone (Mitchell 2011) per indicare il materializzarsi storico di protagonisti con differenti interessi, dipendenze e poteri, in termini di moderne inuguaglianze imposte e di nuove aspirazioni rivendicate. L’antropologia entrando nelle miniere ha colto i nodi di differenze asimmetriche di poteri, anche di vita, nelle umane relazioni lavorative. I mondi globali di macro-livello appaiono pertanto mentre interagiscono con quelli locali e di micro-livello in modi di inuguaglianze che sono per certi versi simili, per altri differenti.
Carbonia e Ribolla sono primariamente accomunate da rischi collettivi di vita subiti, in temporalità di differenti: il 1937 e il 1954. A questo riguardo inizierò prendendo in esame, sinteticamente e selettivamente, documenti ufficiali dei due incidenti mortali collettivi che avvennero in questi due centri carboniferi. Successivamente, prospetterò alcuni passi di ricerca comparativi e integrativi, dinamicamente volti al futuro nei due luoghi minerari oggetto della nostra attenzione.

2 Carbonia

Attingo notizie dalla relazione ufficiale dell’incidente avvenuto a Pozzo Schisòrgiu il 19 ottobre 1937. Redatta il 23 ottobre, tale relazione (reperibile nel testo di Mauro Pistis, edito da Giampaolo Cirronis Editore del 2022 dedicato a questo incidente) descrive il comportamento degli operai che si erano allontanati dal luogo di esplosione dopo aver caricato e acceso 39 mine. L’aria del cantiere era satura di pulviscolo di carbone, atto alla combustione per l’alto tenore di sostanze volatili in un ambiente con un solo fornello d’areazione. Determinante fu l’intensificazione produttiva giornaliera di carbone in quel luogo poco areato, tuttavia, l’incendio e l’esplosione venivano ufficialmente considerati non prevedibili. Alcuni provvedimenti di sicurezza, presi nel periodo successivo alle morti, dicono invece implicitamente le cause che alimentarono i rischi lavorativi vitali che determinarono i gravissimi fatti che fecero contare 14 morti. Tuttavia, nella relazione ufficiale si fece appello a varie ragioni giustificative per l’Azienda carbonifera: dalle maestranze non specializzate alla carenza di personale tecnico direttivo.

I dati importanti raccolti utilmente da Mauro Pistis nel suo libro sui fatti accaduti nella miniera di Schisòrgiu, richiedono però alcune elaborazioni antropologiche per individuare significative temporalità minerarie, a partire dalle morti collettive e individuali che considero ora congiuntamente. Per esempio in epoca fascista dal 1922 al 1943, dalla marcia su Roma alla fine dell’ultima guerra, i deceduti nelle miniere di Carbonia furono 154. Nel periodo della ricostruzione post bellica, dal 1943 al 1954, i morti in miniera furono 124. Dal 1955 al 1992, furono 35. Si tratta di cambiamenti non solo quantitativi, ma che riguardano resistenze e contrasti, assai forti anche in epoca fascista, sui poteri di vita. Entro questa lunga piega conflittuale, troviamo anche elaborazioni e conquiste per nuove sicurezze vitali, realizzate meglio dai minatori in epoca post-fascista, per quanto parliamo ancora generalmente di sicurezze sul lavoro ancora ampiamente disattese. Unendo gli eccidi collettivi alle morti individuali, vorrei mettere in luce due tipi d’intensificazione estrattiva. Il primo di moltiplicazione delle volate in zone di abbattimento non sufficientemente areate. Il secondo di intensificazione del lavoro fisico attraverso i cottimi e l’addomesticamento dei corpi.

In questo secondo percorso io desidero assumere il ‘farsi buon minatore’ o bravo minatore come maestro di vita, i temi del saper fare come saper vivere nel fondo, riferendomi a quell’insieme di pratiche minerarie che Giovanni Contini chiama complessivamente professionalità. Riassumendo al massimo, è utile a tal fine seguire il corso delle relazioni che riguardano i cottimi con le varianti dei Bedaux imposti e, per contro, le resistenze e le contrapposizioni dei migliori minatori che influenzarono comportamenti e valori diffusi nelle miniere specialmente carbonifere in vari decenni dopo l’incidente del 1937 e dopo il fascismo.

Richiamo l’elaborazione del minatore pensante e progettante le armature e le volate sicure per sé e per gli altri, realizzata dai migliori minatori del Sulcis, diffusa pedagogicamente contro la configurazione della «bestia lavorante» che i cottimi minerari imponevano come modello di modernità industriale di ascendenza tyloristica, o americano-fordista come aveva ben visto Antonio Gramsci. Del modello del minatore progettante il lavoro sicuro, per sé e per gli altri, dobbiamo saper cogliere due specifiche valenze. Un verso riguarda la svalutazione della professionalità considerata quantitativamente, cioè come pura “bestializzazione” del lavoratore nei contrasti politico-culturali in miniera. L’altro versante concerne le produzioni di insicurezze nei rischi minerari che l’accelerazione dei ritmi produttivi determinava a scapito dell’attenzione precauzionale. Le interviste a Quirino Melis, a Vincenzo Cutaia, a Delfino Zara, minatori di Carbonia, proiettate nel Museo della Grande Miniera di Serbariu, documentano l’eccezionale valore culturale di carattere universale dei minatori locali come produttori di sicurezze vitali nell’autonomo governo dei cottimi. La produzione materiale di spazi e tempi di lavoro sicuri in miniera da parte dei minatori di Carbonia ha una precisa temporalità storica, come abbiamo visto. Tuttavia, tale produzione di sicurezze vitali permane nel presente non tanto come memoria inerte, ma piuttosto come lascito culturale che può alimentare e orientare nuove risposte in vari rischi di vita del nostro presente. Si tratta di una pagina bianca per una nuova temporalità culturale mineraria, possibile e tutta da scrivere.

In questo quadro la produzione di vita lavorativa sicura è determinata dal farsi buon minatore e, pedagogicamente, dal lavoratore come agente di sicuro lavoro ragionato e pertanto maestro di vita. Successivamente un ruolo fondamentale ha avuto l’ingresso più recente di alcune donne in miniera nel 1980 come aiuto minatrici e nel 2006 con mansioni specifiche di addette alla sicurezza. Importanti documenti audiovisivi e filmici illustrano questa nuova fase securitaria di speciale importanza per la presenza delle donne nel sottosuolo. Tuttavia, nuovi studi devono essere intrapresi. Andiamo ora a Ribolla, cercando contatti e differenze con le esperienze dei minatori carboniesi, esperienze tragiche e non solo.

3 Ribolla

Il 4 maggio 1954 morirono nel sottosuolo di Ribolla 43 minatori, mentre estraevano carbone. L’esperienza mineraria di Ribolla è stata pensata fin qui con profondo impegno scientifico e democratico. Ciò emerge chiaramente da importanti contributi editi. Il libro di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola I minatori della Maremma, uscito nel 1956 e ristampato nel 2019, illustra bene la forza e la debolezza dei minatori e delle loro organizzazioni nell’impari conflitto per far riconoscere le responsabilità della Montecatini sul piano giuridico in merito alla morte collettiva in miniera. Alla fine del libro compaiono 17 interviste giornalistiche a protagonisti dei fatti di Ribolla. Le interviste sono assai sintetiche in ragione della scarsa loquacità dei minatori. In realtà il metodo dell’intervista giornalistica, in generale, non è quello dell’incontro e del dialogo antropologico in profondità. Tuttavia, un minatore parla della sua partecipazione allo sciopero contro il Bedaux, ragion per cui fu licenziato. Tre minatori risultano provenienti dalla Sardegna. Due, invece, avevano lavorato in miniere sarde ed erano poi tornati a Ribolla. Appaiono notizie importanti sia sul Bedaux e sia su una certa mobilità dei minatori nelle miniere italiane. I minatori sono presenti nel libro collettaneo intitolato Ribolla una miniera, una comunità nel XX secolo. La storia e la tragedia. In quell’opera, pubblicata nel 2005, era esplicitata anche l’esigenza di continuare ad approfondire alcuni problemi, essenzialmente di ordine storico che non richiamo per brevità.

Cercherò di riprendere ancora in mano il tema, caro Giovanni Contini, ch’egli designa come la professionalità dei minatori. Attraverserò il versante del lavoro a cottimo a Ribolla e la sua rilevanza nelle esperienze dei minatori, attraversando i loro scioperi e vedendolo con la lente dell’antropologia della vita quotidiana che poteva alimentare certe configurazioni individuali e sociali, anche identitarie. Per esempio, poteva alimentare il formarsi di figure di minatori maggiormente produttivi e capaci di più alti guadagni, insieme ad altre figure di lavoratori che controllavano maggiormente i rischi e operavano creando sicurezze per sé e per gli altri, mentre maturavano una coscienza critica che alimentava anche gli scioperi.

Consideriamo nel dopoguerra, precisamente nel 1951 e cioè pochi anni prima della tragedia, un momento cruciale a Ribolla fu costituito proprio dalla lotta al cottimo individuale, introdotto dalla Montecatini. A questo i minatori locali contrapponevano il mitigato e unitario cottimo collettivo con un corollario di proprie concezioni democratiche sul valore del lavoro che attraversava l’Europa. In qual contesto, l’elaborazione di una piattaforma rivendicativa su salario e tempi di lavoro, com’è stato notato da Adolfo Pepe (in I. Tognarini – M. Fiorani, Ribolla una miniera, una comunità nel XX secolo. La storia e la tragedia, Firenze, Edizioni Polistampa, 2005:20), fu una rivoluzione antropologica per una redistribuzione democratica dei poteri, prima che l’espressione di una forza contrattuale sindacale. La redistribuzione democratica dei poteri, specialmente dei poteri di vita, fu la cruciale posta in gioco nelle lotte per i cottimi, sia a Carbonia e sia a Ribolla, perché praticare ritmi di lavoro intensificati poteva distrarre i minatori dall’attenzione ai pericoli e ai rischi.

Forse non è stata adeguatamente messa in luce finora la portata dei poteri che a mio avviso riguardavano sia la forza culturale propria della professionalità securitaria di vita condivisa, sia i poteri di vita in campo (e a rischio) in miniera con i cottimi, come biopoteri. Credo che gli studi di Giovanni Contini, assunti in un’ottica prettamente antropologica, aprano un’utile pista di ricerca in questa direzione di grande portata storico-culturale. Illuminando meglio anche le vicende della tragedia di Ribolla come fatti di interesse globale nella piega dei cottimi, possiamo collegarli al tylorismo e al fordismo, visto attraverso le lenti sia di Antonio Gramsci e sia di Michel Foucault: la bestializzazione umana come de-professionalità connessa ai rischi di vita in miniera. Nel doppio attacco della politica aziendale alla professionalità e insieme alla vita è necessario saper vedere, a mio avviso, la portata dello scontro democratico di quegli anni di crisi, subito dopo che il carbone era servito alla ricostruzione post bellica. Spostiamo un attimo lo sguardo sul carbone. Se il carbone come risorsa energetica poteva apparire in quegli anni già insidiato dal petrolio, rimane da chiedersi perché il carbone è rimasto in tale stato di risorsa come mero combustibile e perché non è stato possibile sviluppare progetti alternativi per gli usi chimici del carbone, mentre il monopolio chimico della Montecatini dettava legge sulle scelte economiche nazionali.

Carbonia e Ribolla con i loro morti hanno distanze temporali e geografiche, ma anche qualche prossimità di esperienze democratiche, almeno per le lotte contro i cottimi che andrebbero forse ancora indagate nelle forme di resistenza, di contrasto, di elaborazioni alternative, secondo i periodi, compreso quello di Consigli di Gestione. Spero che rimanga qualche ulteriore scavo da fare nella direzione delle esperienze di conflitto quotidiano, contrastive e alternative ai cottimi che erano materializzate nel sottosuolo dai minatori.

Procedo in fretta, riprendendo le note sulla professionalità che Giovanni Contini colloca in modo obliquo nel lavoro estrattivo delle cave di Marmo mettendo in luce la sapienza empirica dei capi-cava. Sullo stesso piano empirico si situava la capacità sperimentale, un tempo attribuita solo ai dirigenti mentre nelle gerarchie costitutive dell’organizzazione, detta presuntuosamente scientifica, del lavoro minerario si riduceva l’esperienza operaia alla sola dimensione fisico-manuale. Contini, per sottolineare la professionalità operaia cita Raul Rossetti e il suo Schiena di vetro, pubblicato nel 1989. Usa le citazioni per introdurre la visibilità di uno stile personale di “lavoro ben fatto” che poteva essere acquisito osservando gli altri mentre lavoravano e sperimentando in proprio, come traguardo intellettuale, non solo nelle armature. Ho ricevuto, particolarmente a Carbonia, racconti importanti. Riguardavano, oltre che l’importanza delle armature prodotte e degli stessi disgaggi di rimozione dei pericoli, specialmente le progettazioni delle volate che tenevano conto della variabilità della roccia. Sui saper fare dei minatori che erano realizzazioni di alta professionalità, e anche di alto saper vivere condiviso, ho ricevuto importanti racconti di lavoro e di vita nelle miniere carbonifere.

Contini parla di un’autonomia lavorativa raggiunta dal minatore e ad esso riconosciuta. Io ho raccolto testimonianze di relazioni assai conflittuali per giungere a tali riconoscimenti di autonomia da parte dell’Azienda contro la bestializzazione dei cottimi. Il “bravo minatore” di Carbonia, riconosciuto dai compagni di lavoro anche come maestro, era capace di produrre accuratamente vita per sé e per gli altri. Era quindi capace di produrre spazio e futuro condiviso. Sulla produzione di tempo di vita condivisa come produzione di futuro condiviso bisogna meditare ancora e assai profondamente, perché a mio avviso tale esperienza mineraria costituisce un lascito culturale di viva attualità nei vari rischi vitali del presente. Egli sottolinea giustamente la conoscenza complessiva della miniera da parte dei minatori, conoscenza che permetteva di cogliere gli indizi di pericolo. Tuttavia, egli tiene opportunamente in conto anche l’imprevedibilità dell’ambiente minerario. Per questo aspetto ho appreso dai minatori incontrati che le variabilità della roccia non consentono saperi algoritmizzati, ma un continuo problem solving inventivo, una capacità creativa di trasformare, di volta in volta, i problemi che la roccia impone nei rischi, facendoli diventare opportunità di cambiamento positivo di vita e di futuro condiviso.
Alla luce di un nuovo e doppio sguardo storico e antropologico, multisituato nelle miniere carbonifere di Ribolla e Carbonia, cosa unisce i due centri minerari, oltre le morti collettive e individuali?

Pensieri ravvicinati fra Carbonia e Ribolla

A mio avviso, dobbiamo saper guardare alla carne viva delle loro lotte contro i cottimi come lotte non solo salariali e professionali, ma specialmente per i diritti alla vita e per la produzione di futuro e di spazio democraticamente condiviso. In questa attuale luce Ribolla offre il profilo collettivo degli scioperi, mentre Carbonia porge anche il lato singolare del farsi autonomi in quotidiani conflitti di ogni “bravo minatore”, di un minatore nel farsi soggetto di eccellente professionalità per dare sicurezze di vita a sé stesso e agli altri. Oltre gli scioperi e gli eccidi collettivi come fatti collettivi ed eccezionali, mi pare necessario guardare pertanto in modo complementare anche alle esperienze singolari con le lenti di un’antropologia mineraria della vita lavorativa quotidiana. Insisto nell’incoraggiare gli studi sui mondi minerari quotidiani perché riscontriamo che, nel corso dei 50 anni di studi che hanno alimentato l’antropologia mineraria, si può registrare un ampliamento di ricerche dal lavoro all’impresa mineraria con direttori ed esperti. Tuttavia, l’indagine sulle esperienze della vita quotidiane è ancora considerata imprescindibile per non pochi antropologi e antropologhe.

Il lascito culturale di un’antropologia quotidiana della vita lavorativa mineraria nei rischi e sui rischi, che riguarda i saper fare professionali minerari sicuritari, può essere fatta valere sia come riserva culturale storicamente specifica, sia come paradigma opportunamente declinabile e trasferibile, di autentico saper vivere in condizioni di rischio di vita, non solo subito ma anche governato e governabile perfino in condizioni di estrema sottomissione. Si tratta di produzioni di sicurezze vitali democratiche che toccano il nostro presente.

Questo è il lascito che l’antropologia mineraria o delle risorse estrattive dona all’’antropologia generale, alla storia sociale come alla storia culturale, non solo locale, della nostra contemporaneità. Tale lascito culturale del saper produrre tempi e spazi di vita democraticamente condivisi, apre le miniere chiuse ad una nuova temporalità culturale e antropologica. Si tratta di un lascito non tanto di memoria, ma soprattutto di progetto: come incitamento per elaborare, individualmente e in gruppi, inedite soluzioni per innovativi modi di lavoro e di vita sicuri, di fronte a vecchi e a nuovi problemi ostacolanti le vite, naturali e umane, cioè per produrre, a partire dalle miniere chiuse, innovativi progetti di vite e futuri democraticamente condivisi.

Nell’auspicio che i nostri pensieri che avvicinano Carbonia e Ribolla facciano crescere speciali qualità di iniziative che ravvicinano ancor più e ancor meglio sia associazioni culturali e sia istituzioni locali democratiche vi porgo un affettuosissimo abbraccio.

Cagliari 17 maggio 2024

Paola Atzeni

Per l’8 Marzo ricordiamoci di un giovane donna, Federica Pilloni, cernitrice, rivoluzionaria e femminista! Federica Pilloni fu protagonista delle rivolte popolari di Gonnesa e di Bacu Abis, fu uccisa dai gendarmi dell’esercito regio mentre sventolava un drappo rosso simbolo del lavoro e del riscatto sociale. Tutto ciò accadde nei moti di Gonnesa del maggio 1906, che fu un mese di lotte in Sardegna e della rivolta popolare dovuta alla crescita dei prezzi degli alimenti. Una rivolta spontanea che si estese in tutti i centri principali dell’isola.

Nel Sulcis, specialmente a Gonnesa, per sedare le dure proteste, fu impiegato addirittura l’Esercito. Era il 21 maggio, una data passata alla storia e che ancora oggi viene ricordata per via dell’alto tributo di sangue versato da chi si ribellò rivendicando il diritto di sfamare i propri figli. Pagarono con la vita Giovanni Pili e Angelo Puddu. Con loro la giovane Federica Pilloni, uccisa dal piombo dei gendarmi perché sventolava un drappo rosso, simbolo del lavoro e del riscatto sociale. Gli scioperanti, in maggioranza minatori e lavoratrici delle miniere, presero di mira le cantine gestite dalle società minerarie, simbolo dello strozzinaggio operato dai datori di lavoro. Gli operai venivano obbligati dai padroni al rispetto del vincolo del “Ghignone”, il buono d’acquisto che si poteva utilizzare solamente nei negozi dei proprietari delle miniere, dove si vendeva la merce a prezzi più alti. Merce scadente e cara che portava i minatori all’indebitamento e al ricatto giornaliero, pena il licenziamento e l’inclusione nelle famigerate liste nere che negavano la possibilità di essere assunti negli altri cantieri.

Per alcuni giorni a Gonnesa e dintorni divampò una vera e propria battaglia. Dopo il tragico episodio di sangue, la rabbia scoppiò e si impadronì della folla. Con disordini anche nei cantieri dei villaggi vicini. Ma le forze di polizia ebbero la meglio e per i rivoltosi ci furono punizioni e rappresaglie. Le società minerarie procedettero al licenziamento di centinaia di lavoratori, a cui seguirono gli arresti di massa: 103 minatori furono portati nel penitenziario di Iglesias, per poi essere trasferiti nel carcere cagliaritano di Buoncammino in attesa del processo, che si svolse nel novembre dello stesso anno. Chiedevano pane, latte e generi di prima necessità. Quei moti portarono all’attenzione generale la situazione gravissima e le condizioni di vita al limite della civiltà in cui erano costrette a vivere la maggior parte delle famiglie delle aree minerarie. Molti di quei lavoratori furono scagionati, mentre i condannati subirono pene molto inferiori rispetto alle richieste dell’accusa. Quel maggio del 1906 diede il là al Parlamento italiano per varare un disegno di legge che istituì una commissione d’inchiesta con il compito di indagare sulle condizioni dei minatori sardi.

Le cronache dell’epoca sono abbastanza scarne, ma i fatti di quel maggio sono ben conservati nella memoria collettiva di quei territori, oltre che nei racconti popolari e in alcune poesie a ottave dei poeti improvvisatori sardi. Quella sommossa popolare di 118 anni fa, il ruolo delle donne in testa ai cortei, l’assalto alle cantine e ai forni, ebbero un ruolo importante nella storia del movimento dei lavoratori dell’isola e ancora oggi sono ricordati ogni anno.

Mauro Pistis

Ampia partecipazione stamane in piazza Roma, a Carbonia, per le celebrazioni del 25 aprile, 78° anniversario della Liberazione dal nazifascismo (1945-2023).
Alla cerimonia, organizzata dall’assessorato agli Affari Generali nella persona di Katia Puddu e dal comandante della Polizia locale Andrea Usai, hanno preso parte tanti nostri concittadini, le autorità civili, militari, religiose, i rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’Arma con i labari e il gonfalone della città di Carbonia.
Grande emozione al momento dell’inno nazionale, mirabilmente suonato dalla Banda Vincenzo Bellini di Carbonia. A seguire, la deposizione della corona d’alloro presso la targa dedicata ai caduti della Liberazione d’Italia, da parte del Corpo infermiere volontarie “crocerossine”.
Nel corso della mattinata, si sono tenute le allocuzioni di Riccardo Pietro Cardia (presidente della Sezione ANPI Carbonia), di Mauro Pistis (componente del direttivo regionale FIAP con competenza nel Sulcis Iglesiente).
Per l’Amministrazione comunale sono intervenuti il presidente del Consiglio comunale Federico Fantinel con un toccante e accorato discorso in cui ha messo in luce i valori trasmessi dall’esperienza del 25 aprile, che costituiscono i pilastri alla base della sua educazione familiare e del suo impegno politico-amministrativo, il sindaco Pietro Morittu, che nella sua oratoria ha citato Papa Francesco, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella,  il già presidente della Repubblica nonché partigiano Sandro Pertini, Piero Calamandrei, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Il sindaco ha rilanciato un appello per la pace e per la fine del conflitto russo-ucraino.

 

Si è svolta ieri, nell’area della Grande Miniera di Serbariu, la cerimonia di commemorazione della tragedia nella quale, il 14 febbraio 1938, persero la vita cinque minatori originari della provincia di Chieti, nella Miniera di Serbariu. L’assessora della Cultura del comune di Carbonia, Giorgia Meli, ha deposto cinque rose rosse sulla stele che ricorda la tragedia, ripulita recentemente dalla fitta vegetazione che l’aveva praticamente nascosta alla vista ormai da diversi anni.

Il più grande dei cinque minatori aveva 47 anni, il più giovane appena 17. I fratelli Amadio e Nicola Merlino, Nicola Santarelli, Domenico Marinelli e Ludovico Silvestri.

L’Amministrazione comunale ha voluto rendere omaggio alle vittime nel giorno dell’ottantaquattresimo anniversario della scomparsa. Sono intervenuti il presidente del Consiglio comunale Federico Fantinel, l’assessora della Cultura Giorgia Meli. Presenti gli assessori Roberto Gibillini, Antonietta Melas, Piero Porcu, Katia Puddu e la consigliera comunale Valentina Diaferia che ha sottolineato l’impegno profuso da un cittadino, Salvatore Gerano, per la valorizzazione della stele. Con loro alcuni cittadini ed i rappresentanti di diverse associazioni. Sono intervenuti Mario Zara, presidente dell’associazione Amici della Miniera; l’ex dipendente comunale Nino Mistretta, testimone della memoria storica della città; Nino Cossu, presidente della sezione di Carbonia Iglesias dell’A.N.P.d’I; Mauro Pistis, presidente dell’associazione Sa Lantia.

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La mattina del 19 ottobre 1937 il Capo del Governo, Benito Mussolini, firmava il decreto che sanciva la nascita del comune di Carbonia, 14 mesi prima dell’inaugurazione della città; il pomeriggio di quello stesso giorno, dieci minuti prima della conclusione del turno di lavoro, 14 minatori persero la vita in una tragica esplosione (8 si salvarono, tra loro un ragazzino di soli 15 anni, Antonio Canè), nel pozzo di Schisorgiu, nell’area dove ora sorge il parcheggio del supermercato Lidl, all’incrocio tra la via Logudoro e la via Dalmazia. 

A distanza di 80 anni, nel 2017, quella tragedia è stata ricostruita con un progetto della memoria storica, “Schisorgiu 1937”, curato dalla Società Umanitaria, e la memoria viene tenuta viva anche dalla coop Scila, dall’associazione Amici della Miniera, dalla Sezione storia locale del Comune, dallo Sbis e dalla compagnia Teatrale la Cernita. Inoltre, sarà documentata in un libro di Mauro Pistis, di prossima pubblicazione, editore Giampaolo Cirronis.

«Un fatto drammatico che riguarda la storia della nostra comunità e le sue radici che affondano nella cultura mineraria, per questo dobbiamo preservarne la memoria – ha sottolineato il sindaco di Carbonia, Pietro Morittu -, il più grave incidente sul lavoro mai accaduto nella storia della nostra isola.
Una tragedia rimasta nascosta per lungo tempo e che “non ebbe la risonanza che meritava”. Da allora furono apportate alcune modifiche ai regolamenti per tutelare i lavoratori, sebbene questo non impedì il ripetersi di successivi infortuni nelle miniere di carbone del Sulcis. Nel pozzo Schisorgiu a Sirai 22 persone rimasero coinvolte in quella terribile esplosione di polvere di carbone e solo 8 riuscirono a sopravvivere.»
«Ancora oggi nei luoghi di lavoro si verificano gravissimi incidenti che potevano essere evitati e questa tragedia, dopo 84 anni, è di drammatica attualitàha concluso Pietro Morittu -: è importante non solo come fatto storico, ma anche come monito continuo alla prevenzione e alla sicurezza delle persone.»

 

Mauro Pistis non parteciperà al sondaggio del Partito democratico per la scelta del candidato sindaco di Carbonia. Lo ha comunicato al segretario regionale Emanuele Cani e al segretario provinciale Daniele Reginali.

Mauro Pistis ha sottolineato di aver preso questa decisione, essendo venute meno oggettivamente le condizioni per la partecipazione al sondaggio  per nuovi impegni professionali e personali ed ha aggiunto di essere disponibile a mettersi al lavoro in questa campagna elettorale per le prossime elezioni comunali di Carbonia nel ruolo che sarà ritenuto opportuno secondo le necessarie valutazioni e le scelte che saranno decise in comune accordo.