22 November, 2024
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Dopo i legali dei medici Mariano Cabras e Leonardo Giovanni Tola e del Direttore della Struttura Complessa di Rianimazione Tiziana Serci, anche l’associazione di volontariato “Le Rondini” replica ai dirigenti della ASL 7 (Sergio Pili, Antonio Tuveri, Marco Vinicio Grussu, Viviana Lantini, Antonello Cuccuru e Miriana Fresu) sulle tematiche legate al servizio ADI (Assistenza Domiciliare Integrata).

«I pazienti e i familiari chiamati in causa ritengono doveroso fare alcune considerazioni – si legge in una nota diffusa questa sera -. Di fronte ad un importante problema come quello dell’appropriatezza delle cure, abbiamo sempre auspicato di poter avere rapporti con persone autorevoli, preparate in materia e in possesso della giusta sensibilità e umanità, qualità essenziali quando ci si rivolge a persone fragili che versano in gravi difficoltà. Queste caratteristiche avrebbero portato sicuramente ad un avvicinamento delle parti interessate al fine di avviare un dialogo costruttivo per trovare soluzioni condivise. La realtà invece parla da sola.»

«I prodi scudieri altro non fanno che sciorinare numeri, mentre dovrebbero parlare soltanto di PERSONE la cui vita è disperatamente dipendente da macchine e che possono esprimersi solo attraverso l’Associazione Le Rondini – prosegue la nota dell’associazione Le Rondini -. E’ loro volontà rendere noto, visto che la disinformazione regna sovrana, che i pazienti assistiti in ADI di terzo livello sono ben 40, 12 nel distretto di Iglesias e 28 in quello di Carbonia. A tutt’oggi i pazienti in sciopero che rifiutano l’Onnis sistema sono 19, tutti ad alta criticità, tutti “ospedalizzati a domicilio”.»

«A questo punto – scrive ancora l’associazione Le Rondini – la domanda nasce spontanea. Qual è il motivo per cui cinque direttori si schierano solo adesso contro i pazienti a sostegno del Commissario? Dove erano questi dirigenti mentre si consumava l’illecito in barba al bilancio aziendale? E come mai solo ora si parla di illegalità del vecchio sistema rinnovato e deliberato per tanti anni dalla ASL e dalla Regione? Si sta forse insinuando che i precedenti Direttori Generali o Assessori alla Sanità non siano stati rispettosi di leggi e contratti quanto il Dr. Onnis? E come mai lo stesso Dr. Onnis, in barba alla tanto richiamata onestà, ha prorogato il sistema illecito anche nel 2015? Perché i pazienti ventilati devono essere ricompresi nelle cure palliative e terapie antalgiche quando non risultano essere malati terminali? E come mai all’interno di tanta trasparenza e onestà, nel corso del sit-in in via Dalmazia, il Dr. Onnis chiede ad un paziente di comunicargli il nome del suo rianimatore preferito promettendo di assegnarglielo? Questi ed altri interrogativi suscitano enormi perplessità e sollevano seri dubbi sulla limpidezza e legittimità del cambiamento in atto. Quesiti ai quali fin’ora non hanno fatto seguito risposte appropriate!»

«Le carenze della nuova organizzazione sono evidenti e tangibili – sottolinea l’associazione Le Rondini -. Chiamare il numero messo a disposizione per le urgenze e verificare l’assenza della disponibilità di un medico; vedersi arrivare a casa l’ambulanza con i volontari a bordo che non possono assistere pazienti trachoestomizzati e ventilati. Tutto questo è vergognoso e irrispettoso!

Quelli che i cinque dirigenti chiamano “elementi di sospetto” riguardo l’incompetenza di alcuni operatori è piuttosto una palese ammissione del Direttore Sanitario Dr. Maggetti: uno dei due medici “scelti” per questo difficile lavoro non ha esperienza, e quindi competenza, in materia di pazienti ventilati. Due infermieri facenti parte della nuova equipe non provengono dalla rianimazione e non hanno esperienza in questo campo. Come mai i cinque dirigenti non si pongono il problema dell’appropriatezza, della competenza e della sicurezza? Perché consentono che gli operatori vengano formati sul campo sulla pelle dei pazienti e su un terreno difficile come quello dell’assistenza a domicilio, esponendoli in prima persona a pesanti responsabilità? Come mai ci si scandalizza quando si solleva il problema della competenza professionale mentre qualcuno paga privatamente infermieri della rianimazione in altre ASL per assicurarsi cure appropriate?»

«Insinuare che i pazienti siano “innamorati” degli operatori del reparto di Rianimazione è una offesa alla nostra intelligenza; ritenere che questi pazienti abbiano bisogno esclusivamente di cure adeguate e personale preparato è verità inconfutabile» si legge ancora nella nota dell’associazione Le Rondini.

«La superficialità regna sovrana. A riprova di ciò citiamo l’ennesimo avviso di mobilità per infermieri da destinare alla raffazzonata struttura del Commissario. Criteri d’accesso: tre anni di anzianità di servizio e nulla più.

Vogliamo inoltre sottolineare che il rapporto diretto con la rianimazione NON PUO’ essere quello di qualsiasi cittadino perché qualsiasi cittadino non si trova nella nostra situazione di cronicità e di ospedalizzazione domiciliare. Noi non chiediamo l’accesso alla Rianimazione qualora ci fosse la necessità, ma chiediamo che la Rianimazione abbia l’accesso in casa nostra! Vogliamo che i problemi vengano risolti a domicilio come sempre è stato, con efficienza ed efficacia e in sicurezza. Il ricorso al ricovero è l’ultima soluzione che vorremo prendere in considerazione.

La fiducia che abbiamo sempre riposto negli operatori del reparto di Rianimazione è semplicemente il riconoscimento dovuto ad un sistema che ha sempre soddisfatto i bisogni dei malati e dei loro familiari, con competenza e dedizione.

La sfiducia che abbiamo riposto nell’UO messa in essere dal commissario per l’assistenza domiciliare – conclude l’associazione Le Rondini -, è semplicemente il riconoscimento dovuto ad un sistema che, palesemente e come provato sulla nostra pelle, non soddisfa i bisogni dei malati in ventilazione meccanica assistita H.24 e dei loro familiari.»

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Reparto di rianimazione ospedale Sirai di Carbonia

Dopo l’avvocato Giacomo Doglio, legale di due dirigenti medici dipendenti della ASL 7, in servizio presso l’U.O. di Rianimazione del P.O. “Sirai”, Mariano Cabras e Leonardo Giovanni Tola, anche l’avvocato Enzo Pinna, legale della dott.ssa Tiziana Serci, Direttore della Struttura Complessa della Rianimazione della Asl 7 di Carbonia, interviene sui contenuti dell’articolo “Sei direttori della Asl 7 intervengono nel dibattito sul servizio di assistenza domiciliare integrata” pubblicato il 16 novembre 2015.

«La dott.ssa Tiziana Serci, in qualità di Direttore della Struttura Complessa della Rianimazione, contesta, mio tramite – scrive l’avvocato Enzo Pinna -, quanto affermato nel documento pubblicato nella sua integralità in data 16 novembre u.s. sul quotidiano on-line “La Provincia del Sulcis Iglesiente”, sottoscritto dai dott.ri Sergio Pili, Antonio Tuveri, Marco Vinicio Grussu, Viviana Lantini, Antonello Cuccuru, Miriana Fresu.

In particolare, non si condividono i toni ed i contenuti utilizzati nel suddetto documento, soprattutto con riferimento all’organizzazione del reparto diretto dalla mia cliente, che, al contrario, ha sempre operato con la massima diligenza professionale, utilizzando al meglio le risorse messe a disposizione per ottenere la massima efficienza ed i migliori risultati a garanzia della salute dei pazienti.»

 «Sono, comunque, opportune alcune sintetiche precisazioni – aggiunge l’avvocato Enzo Pinna -:

 • L’A.D.I. era svolta nell’ambito del “Progetto di Continuità Assistenziale”.

 • Le prestazioni dei Dottori Tola e Cabras venivano effettuate al di fuori dell’orario di lavoro, al fine di non creare alcun disagio all’attività medico-ospedaliera della Struttura diretta dalla Dott.ssa Serci.

 • L’istituzione di una U.O. che si occupi di tale servizio, dovrebbe essere quantomeno supportata da un organico professionalmente adeguato e dimensionato all’afflusso di richieste e pazienti.

 • L’organizzazione al tempo data dalla ASL 7 non consentiva, in alcun modo, di seguire efficacemente l’A.D.I. ed era, altresì, foriera di responsabilità personali.

 • Attualmente il personale medico e paramedico non è sufficiente e risulta assolutamente improbabile organizzare, all’uopo, dei turni “”nell’ambito del normale orario di lavoro””, ovvero lo svolgimento dell’assistenza domiciliare, attraverso l’uso dello strumento delle prestazioni di lavoro “straordinario”.

Le statistiche e le medie precisate nel contestato articolo, oltreché tutte da verificare, non tengono neppure conto delle reali esigenze e delle situazioni contingenti, che il personale medico e paramedico si trova a dover affrontare giornalmente, paziente per paziente.

Già nel recente passato, la dott.ssa Serci aveva avuto modo di evidenziare tali problematiche.

Non si comprende, poi, come tali affermazioni possano provenire da soggetti che non svolgono le mansioni della dott.ssa Serci.

Quest’ultima – conclude l’avvocato Enzo Pinna -, nel restare a disposizione per eventuali chiarimenti, si riserva, pertanto, di ogni più ampia tutela in merito.»

 

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Il legale di due dirigenti medici dipendenti della ASL 7 replica ai sei direttori della stessa ASL 7 intervenuti ieri con una nota pubblicata in questo giornale, nel dibattito sul servizio ADI. L’avvocato Giacomo Doglio, difende gli interessi del dottor Mariano Cabras e del dottor Leonardo Giovanni Tola, dirigenti medici dipendenti della ASL 7 di Carbonia, in servizio presso l’U.O. di Rianimazione del P.O. “Sirai”.

«Nel contesto dell’articolo si legge, tra l’altro, che gli operatori, tra cui i dirigenti medici miei assistiti – facilmente identificabili, trattandosi degli unici due medici del reparto di Rianimazione che nel corso dell’ultimo decennio hanno assicurato le prestazioni di competenza ai pazienti in ADI del distretto di Carbonia – scrive in una nota l’avvocato Giacomo Doglio – “non ne vogliono sentire di lavorare in ADI. Almeno non durante il normale orario di servizio. Quando gli è stato proposto infatti hanno risposto no e quando a qualcuno è stato imposto, la direzione della ASL è stata diffidata dal legale degli interessati con minaccia, in caso di mancata revoca dell’ordine di servizio, di azioni legali. In pratica gli operatori non vogliono e ritengono di non doversi occupare di ADI nell’ambito del lavoro ordinario (quello pagato con lo stipendio) ma vogliono tenacemente occuparsene al di fuori del normale orario (in libera professione con un compenso suppletivo)”.

Tralasciando, almeno in questa sede, l’ironico riferimento alla “potente fidelizzazione” pazienti/operatori e alla rappresentata sostituibilità nel loro lavoro (poco cortese, anche se certamente riferibile a qualsiasi dipendente pubblico, sei Direttori compresi) – aggiunge l’avvocato Giacomo Doglio -. Le affermazioni sopra riportate sono palesemente false e gravemente lesive dell’immagine e della professionalità dei miei assistiti, i quali, contrariamente a quanto riferito, hanno, dapprima (giugno 2015), comunicato di non essere più disponibili a proseguire l’attività medico specialistica per le cure domiciliari in orario extra servizio, quindi (da luglio in poi), hanno reiteratamente diffidato il datore di lavoro affinché revocasse la disposizione di servizio che li comandava a prestare servizio, oltre che in Rianimazione, presso la neonata S.S. di Terapia del dolore cure palliative e hospice.»

«Delle due l’una, dunque, o i “Sei Direttori della ASL 7” (Sergio Pili, Antonio Tuveri, Marco Vinicio Grussu, Viviana Lantini, Antonello Cuccuru e Miriana Fresu), ignorano il contenuto delle reiterate diffide, inviate dai dottori Cabras e Tola, e allora non si comprende perché ne scrivano, oppure ne riportano infedelmente il contenuto», scrive ancora l’avvocato Giacomo Doglio.

«Si tratta, in ogni caso, di un comportamento gravissimo, lesivo degli interessi dei sopra menzionati Dirigenti medici, perché evidentemente finalizzato a ricostruire falsamente le loro legittime rivendicazioni, tradotte in una tenace resistenza alla riorganizzazione dell’assistenza per le cure domiciliari motivata da ragioni economiche. Naturalmente i miei assistiti – conclude l’avvocato Giacomo Doglio si riservano di agire nelle sedi più opportune a tutela della loro onorabilità.»

Reparto di rianimazione ospedale Sirai di Carbonia

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Abbiamo letto con stupore e un po’ di sconcerto il resoconto, riportato lo scorso 6 novembre sulla stampa regionale, dell’audizione del Commissario della ASL di Carbonia in Consiglio Regionale. Argomento dell’audizione era l’assistenza ai malati in Assistenza domiciliare integrata di terzo livello. Ciò che ci stupisce è qualche consigliere regionale chieda la “sospensione del nuovo piano ADI fino al 31 dicembre” e che l’Assessore possa condividere la proposta.

Ma cos’è il nuovo piano ADI ? E cos’era e com’era il vecchio?

Secondo la normativa che le istituisce “Le Cure domiciliari integrate di terzo livello consistono in interventi professionali rivolti a malati che presentano dei bisogni con un elevato livello di complessità in presenza di criticità specifiche e più precisamente: malati terminali (oncologici e non); malati portatori di malattie neurologiche degenerative/progressive in fase avanzata (SLA, distrofia muscolare); fasi avanzate e complicate di malattie croniche; pazienti con necessità di nutrizione artificiale parenterale; pazienti con necessità di supporto ventilatorio invasivo; pazienti in stato vegetativo e stato di minima coscienza”.

Presupposti della cura in ADI sono: la valutazione multidimensionale, la presa in carico del paziente e l’individuazione di un piano di cura con intervento di tipo multidisciplinare.

La gamma di interventi previsti comprende prestazioni mediche, infermieristiche, dietologiche, riabilitative fisioterapiche e logopediche, psicologiche e medico specialistiche.

Nelle regioni più organizzate ed evolute del Paese (Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Toscana e altre) esistono dei servizi distrettuali che assicurano le attività necessarie occupandosi stabilmente dei pazienti e assicurando l’integrazione delle cure e il costante raccordo con tutte le strutture di cura territoriali e ospedaliere.

Per quanto risulta dagli atti assunti e dalle iniziative operative intraprese, la ASL di Carbonia ha fatto esattamente ciò che è previsto dalle norme, dalle raccomandazioni scientifiche, dalle Associazioni dei malati (si vedano in proposito le proposte dell’AISLA – Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) e che hanno già fatto le Regioni del centro-nord Italia. Il cosiddetto “nuovo piano” altro non è che la costituzione di un servizio stabile, stabilmente dedicato ai pazienti, integrato e raccordato con tutti gli altri servizi dell’azienda, territoriali e ospedalieri.

Nel “vecchio piano” invece il servizio dedicato era sostituito da una serie di prestazioni libero-professionali di medici e infermieri dipendenti, operanti nel Reparto di Rianimazione.

Sembrerà strano che un’Azienda debba “acquistare” prestazioni libero-professionali dai propri dipendenti e la cosa potrebbe giustamente scandalizzare anche i liberisti più radicali. La normativa contrattuale dei medici ospedalieri tuttavia lo consente. Lo consente però “in via eccezionale e temporanea, ad integrazione dell’attività istituzionale, allo scopo di ridurre le liste di attesa o di acquisire prestazioni aggiuntive, soprattutto in presenza di carenza di organico ed impossibilità anche momentanea di coprire i relativi posti con personale in possesso dei requisiti di legge.” (art. 55 CCNL Medici e Veterinari, normativo 1998 -2001 economico 1998 – 1999).

Le condizioni che indussero, negli anni 2002-2003, la direzione della ASL a chiedere prestazioni libero professionali al di fuori dell’impegno di servizio ordinario “in via eccezionale e temporanea”, sembra però che ad oggi non siano state superate.

Certo è che qualsiasi Direttore o Commissario minimamente rispettoso di norme e contratti, oltre ché desideroso di assicurare le dovute cure ai propri assistiti, avrebbe fatto bene a fare ciò che ,con tanta fatica e molte opposizioni, sta cercando di fare l’attuale Commissario: istituire e attivare un servizio per le cure in ADI di terzo livello cercando di colmare un ritardo di appena (?) 12 anni.

Ma perché allora tanta contrarietà all’istituzione del nuovo servizio? E’ vero che peggiora gli standard di cura e di assistenza e mette, come affermano alcuni familiari dei malati, a rischio la sopravvivenza dei loro cari? Vediamo.

I pazienti che rivendicano il cosiddetto “vecchio piano” (12 dei 41 inseriti in questa tipologia di assistenza) sono tutti residenti nel Distretto di Carbonia e tutti appartenenti ad un’associazione di pazienti e operatori denominata “Le Rondini”. I motivi addotti di contrarietà al “nuovo piano” e di rivendicazione del “vecchio” sono: la mancanza di una appropriata professionalità degli operatori, i rischi correlati alla discontinuità tra vecchio e nuovo sistema e, soprattutto, il venir meno di un rapporto diretto con la struttura di rianimazione.

In forza di tali motivazioni i familiari dei 12 pazienti hanno ripetutamente impedito a numerosi operatori della ASL, medici e infermieri, l’accesso alle proprie abitazioni sostenendone la incompetenza ad assistere i propri congiunti. Ciò in assenza di qualsivoglia elemento di sospetto e senza alcuna conoscenza delle loro esperienze professionali. Un atteggiamento evidentemente e inconfutabilmente pregiudiziale dettato, sostiene qualcuno, da un motivo nobile e da una preoccupazione sacrosanta: la paura di perdere il rapporto con la rianimazione e le cure di operatori (quelli del vecchio piano) verso i quali si è cementata in tanti anni una fiducia difficilmente trasferibile ad altri.

Va innanzi tutto chiarito che il rapporto diretto dei pazienti con la Rianimazione è lo stesso di qualsiasi altro cittadino del territorio. Tutte le volte che uno dei 12 pazienti in ADI aderenti all’Associazione Le Rondini, così come ciascuno degli altri 29 non aderenti, ha avuto necessità di essere ricoverato, è stato prelevato dal proprio domicilio a cura del servizio 118, trasferito al Pronto Soccorso e, quando necessario, ricoverato in Rianimazione dove ad assisterlo poteva esserci (in turno) uno dei medici che facevano l’assistenza domiciliare o anche uno che non opera in prestazioni extra-ospedaliere.

Questo elemento di preoccupazione viene tuttavia sistematicamente e insistentemente proposto dall’Associazione Le Rondini che probabilmente teme di perdere il rapporto con gli operatori del reparto di Rianimazione che nel corso dell’ultimo decennio hanno assicurato le prestazioni di competenza ai pazienti in ADI del distretto di Carbonia. Il problema riguarda, infatti, solo Carbonia e non Iglesias.

Ciò che preoccupa le 12 famiglie sembra così essere la perdita del rapporto con i professionisti, e non col reparto, considerato che il rapporto col reparto è fuori discussione.

Perché allora non adoperarsi per mantenere quel rapporto? Sembra l’uovo di Colombo. Perché nessuno ci ha pensato? Cosa impedisce, o ha impedito, al Commissario di rendere disponibili, anche a tempo pieno, quegli operatori verso i quali i malati in questione e i loro cari sono così potentemente “fidelizzati”? Non sono certo insostituibili nel loro lavoro di reparto e, quando pure lo fossero, perché non fare in modo che un professionista operi sia in ospedale che nel territorio? Nulla lo vieta e in tempi in cui non si parla che di continuità tra ospedale e territorio sembrerebbe una banalissima ovvietà.

Nulla lo vieta ma gli operatori da cui i malati dell’Associazione Le Rondini non vogliono separarsi non ne vogliono sentire di lavorare in ADI. Almeno non durante il normale orario di servizio. Quando gli è stato proposto infatti hanno risposto no e quando a qualcuno è stato imposto, la direzione della ASL è stata diffidata dal legale degli interessati con minaccia, in caso di mancata revoca dell’ordine di servizio, di azioni legali.

In pratica gli operatori non vogliono e ritengono di non doversi occupare di ADI nell’ambito del lavoro ordinario (quello pagato con lo stipendio) ma vogliono tenacemente occuparsene al di fuori del normale orario (in libera professione con un compenso suppletivo). I compensi suppletivi però possono essere impiegati quando con le normali risorse non si riesce a far corrispondere l’offerta di prestazioni al fabbisogno assistenziale e in questo caso forse non è così. La situazione delle risorse umane nelle Rianimazioni nel Sulcis non sembra davvero così carente.

Nel 2014 i due reparti della ASL 7 hanno ospitato mediamente 2,5 pazienti al giorno (su 8/9 posti letto disponibili) impiegando 15 medici e 25 infermieri (circa 25.000 ore di lavoro/uomo dei medici e 40.000 ore per fornire meno di 30.000 ore di ricovero/paziente). Tradotto in termini comprensibili significa che se ciascuno dei pazienti ricevesse 24 ore al giorno di assistenza e cure tutti i giorni in cui è rimasto ricoverato, ciascun operatore di quel settore in media sarebbe stato attivamente impegnato per meno della metà del proprio orario di lavoro. Pur tenendo conto dell’alta criticità dei pazienti è difficile sostenere che un settore così organizzato (?) non riesca a fare di più e abbia bisogno di dare “prestazioni aggiuntive” per assicurare l’assistenza ai malati in ADI.

Il costo annuo del cosiddetto “vecchio piano” supera i 700.000 euro l’anno (pari allo stipendio di 5 medici e 10 infermieri o 4 medici e 12 infermieri) in un settore in cui la produttività dei 15 medici e 25 infermieri assegnati (due milioni e duecento mila euro di stipendi) ha una potenzialità produttiva suscettibile di un espansione importante rispetto a quella attuale.

Questo modello di gestione dell’organizzazione sanitaria, poco assennato e assai disinvolto, non è giusto né equo e soprattutto non è sostenibile. Sarebbe utile che tutti lo ricordassimo quando ci lamentiamo del profondo deficit che la sanità ha determinato nel bilancio regionale.

Sergio Pili – Direttore Presidio Ospedaliero Sirai

Antonio Tuveri – Direttore Dipartimento di Chirurgia

Marco Vinicio Grussu – Direttore Distretto Socio Sanitario di Carbonia

Viviana Lantini – Direttore Dipartimento di Emergenza Urgenza

Antonello Cuccuru – Direttore Struttura Complessa Professioni Sanitarie

Miriana Fresu – Direttore Struttura Complessa Medicina Fisica e Riabilitativa