21 November, 2024
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Ancora un menù tutto da gustare nella quinta giornata del “Festival dei Tacchi”, firmato Cada Die Teatro. Domani, martedì 6 agosto, si parte dalla Stazione dell’Arte di Ulassai, che ospita alle 17.00 la presentazione del libro di Emanuele Cioglia “Lotta amata”. Con l’autore ci sarà Silvestro Ziccardi. Poteva la Sardegna diventare l’incubatrice della rivoluzione socialista mondiale? Sembra il plot d’un romanzo utopico, fantapolitica. Tuttavia qualcuno molti decenni fa ci credette davvero. Come se Cuba e la Sardegna potessero unirsi attraverso un filo rosso, per taluni libertario, per altri brigatista e sanguinario. Alcuni giovani negli anni ’70 e all’alba degli ’80 di lavoro volevano fare la rivoluzione. Tra questi, di sicuro, lo zio di Erni, il (co)protagonista di questo romanzo. Zio Geremia nella carta d’identità provò a farsi scrivere “professione combattente“, ma all’anagrafe gli spiegarono che non si poteva, a meno che non s’intendesse dipendente delle Forze Armate. Allora lui disse all’impiegata: “Scriva poeta”.
L’autore aveva nove anni all’epoca della favola narrata. Molti aneddoti, soprattutto quelli relativi alle sue avventure, quelle del fratellino Ricciolo e delle cuginette Laura e Mara, sono autentici, veri, o verosimili. La storia parallela dello zio Geremia e del suo seguito di anarchici sgangherati, dei brigatisti e delle loro armi, degli amori e della comica forza rivoltosa di queste pagine, nonché quella del colpo di scena finale, risulta quasi del tutto inventata.

Alle 19.00 la Stazione dell’Arte sarà poi il luogo deputato per “Del coraggio silenzioso”, di e con Marco Baliani (collaborazione alla drammaturgia di Ilenia Carrone, produzione Comune di Bergamo – Teatro Donizetti – Casa degli Alfieri, con il patrocinio di Amnesty International). Con l’attore piemontese in scena la chitarra del cantautore Nicola Pisu.
Di solito si associa alla parola “coraggio” un’azione eclatante, dettata da un’urgenza impellente. È il coraggio che accade in condizioni estreme e che diviene poi epos, racconto, esempio. Ma c’è un altro tipo di coraggio, silenzioso e non appariscente, ed è di questa declinazione della parola “coraggio” che questo spettacolo vuole parlare. Il coraggio silenzioso agisce nell’essere umano quasi inaspettatamente, non presuppone una tempra guerriera. Questo coraggio agisce in forma sottomessa, ha a che fare con la profondità dell’umano che è in noi, a cui è perfino difficile dare una spiegazione. Non ci sono parole che spiegano come quell’impulso ad agire, nonostante tutto, avvenga in individui che di colpo sentono di dover compiere un gesto per loro improvvisamente “necessario”. Antigone, che, nonostante il divieto della legge di Creonte, va a seppellire il corpo del fratello, pagando con la morte quella trasgressione, è l’esempio archetipico di questa forma di coraggio. «Ci sono leggi non scritte, inviolabili, che esistono da sempre, e nessuno sa dove attinsero splendore». «È questo splendore di cui parla Antigone – spiega Baliani – quello che vado cercando in questo spettacolo, quel nocciolo luminoso che trasforma un’esistenza intera in un atto esemplare, ma silenzioso, luminoso ma vissuto nell’ombra, nel pudore, nella pura necessità del dover agire. Andrò alla ricerca di cinque narrazioni, cinque situazioni estreme, dove far illuminare cinque esistenze, che, grazie al racconto, divengono, in quel luogo effimero e potente che è la scena teatrale, cinque testimonianze di taciturno coraggio. Una struttura drammaturgica semplice, parole e musica che si intrecciano per restituire la semplicità scandalosa di quegli umani atti di coraggio silenzioso».

E il Museo di Ulassai, scrigno delle opere di Maria Lai, alle 21.30 vedrà protagoniste l’interpretazione di Pierpaolo Piludu e le musiche live di Paolo Fresu in “Laribiancos”, produzione storica di Cada Die Teatro, tratta dal romanzo “Quelli dalle labbra bianche” di Francesco Masala. Lo spettacolo, adattato per il palcoscenico dallo stesso Piludu, sotto la regia di Giancarlo Biffi, è impreziosito dalle musiche originali di Fresu (disegno luci di Giovanni Schirru e suono di Giampietro Guttuso e Matteo Sanna).
“Quelli dalle labbra bianche”, pubblicato per la prima volta nel 1962, è un capitolo importante della letteratura sarda. Al centro del romanzo di Francesco “Cicitu” Masala il villaggio di Arasolè, con le sue storie dolorose legate alla tragedia della seconda guerra mondiale sul fronte russo. Ad Arasolè, un giorno, il campanaro Daniele Mele – la voce narrante delle memorie del villaggio – chiama a raccolta il paese per rendere omaggio, dopo vent’anni, ai caduti in guerra. Mele è l’unico superstite fra i dieci compaesani che partirono per la Russia verso l’impresa più ardua della loro vita, in una trincea in mezzo alla pianura russa ghiacciata, una disastrosa avventura dal tragico epilogo. Ad Arasolè erano ‘quelli dalle labbra bianche’, sos laribiancos, i poveri, i ‘vinti’.
«Li chiamavano ‘sos laribiancos’, ‘quelli dalle labbra bianche’: era il segno distintivo, inconfondibile, dei poveri di Arasolè, un paesino della Sardegna, ai confini con le foreste del Goceano – scrive Pierpaolo Piludu -. Sos laribiancos si riconoscevano subito: mangiavano poca carne, pochi carboidrati, poche proteine… mangiavano troppo poco. Lo spettacolo nasce da un profondo interesse e dall’alta considerazione per l’opera di Francesco Masala. In diverse occasioni il poeta-scrittore di Nughedu San Nicolò mi ha manifestato il desiderio di vedere in scena il testo teatrale Sos laribiancos, nella versione sardo logudorese. ‘… e se invece di una messa in scena fedele, provassi a narrare la vicenda?’. E’ nato così un racconto che si rifà sia al romanzo Quelli dalle labbra bianche che ad altre opere di Masala dove compaiono a più riprese Culubiancu, Mammutone, Tric Trac e gli altri laribiancos di Arasolè partiti in un pomeriggio di sole del 1940, sopra un carro bestiame, per andare a fare la guerra. Dove possibile ho cercato di lasciare inalterata la suggestione poetica delle parole dell’autore. Allo stesso tempo, spero con il giusto rispetto, ho dovuto scegliere, aggiungere, assemblare, tradire.»

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Prende il via mercoledì 7 agosto la trentaduesima edizione di Time in Jazz, il festival ideato e diretto da Paolo Fresu, in programma fino a venerdì 16 tra il paese natale del trombettista, Berchidda, e gli altri centri e località del nord Sardegna, dall’entroterra alla costa, in cui si snoderanno le dieci giornate della manifestazione: Ardara, Arzachena, Bortigiadas, Budoni, Cheremule, Erula, Golfo Aranci, Loiri Porto San Paolo, Mores, Nulvi, Olbia, Ploaghe, Porto Rotondo, Posada, San Pantaleo, San Teodoro, Telti, Tempio Pausania, Tula.

Un’edizione che si riconosce sotto il titolo “Nel mezzo del mezzo“, come “un’isola, la Sardegna, che sta idealmente tra l’Africa e l’Europa”, spiega Paolo Fresu nella sua presentazione: una “Terra di mezzo” in quell’“oceano contemporaneo delle nuove migrazioni degli anni Duemila” che è il Mediterraneo. Per il musicista di Berchidda è, dunque, in questo essere “nel mezzo” che va letta questa edizione del Festival internazionale Time in Jazz: «Una manifestazione storica che osserva e che ascolta porgendo attenzione alle migrazioni sonore e culturali di questi anni tese tra passato e presente, suoni acustici ed elettronica, mainstream e ricerca oltre che trasformazioni in essere e violente convulsioni socio-politiche. Sempre più sentiamo la responsabilità di dover ribadire il ruolo centrale della storia musicale italiana da innestare nel più vasto linguaggio del jazz che naviga in altrettanti mari e oceani da cento anni a questa parte».

Ed è un’edizione particolarmente ricca e assortita, quella ai nastri di partenza, con una fitta serie di eventi musicali che si susseguiranno dal mattino alla notte in spazi e scenari differenti: la grande arena allestita, come sempre, nella piazza centrale di Berchidda, Piazza del Popolo, teatro dei concerti serali in programma dall’11 a Ferragosto, e i siti degli altri centri in cui il festival fa tappa con i suoi concerti. E, accanto alla musica, un ampio ventaglio di iniziative diverse: presentazioni di libri e novità editoriali, azioni di promozione e sensibilizzazione ambientale, laboratori e spettacoli per bambini, la consueta rassegna di film documentari curata dal regista Gianfranco Cabiddu, ed altro ancora.

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Dal 2 all’8 agosto i comuni di Jerzu, Ulassai e Gairo diventeranno ancora palcoscenico per il 20° Festival dei Tacchi, evento internazionale che sposa teatro e arte con ambiente, paesaggio, tradizioni, enogastronomia, sviluppo del territorio e del turismo locale all’insegna dell’ecosostenibilità.

Ricco e denso di appuntamenti il cartellone: 36 artisti, 18 spettacoli dislocati fra 8 palcoscenici, una prima nazionale. E poi laboratori, esiti scenici, presentazioni di libri, tavole rotonde, incontri dedicati alla drammaturgia. Un programma dai numeri significativi, accompagnato dalla stretta collaborazione, ormai da tempo consolidata, con la Cantina Antichi Poderi di Jerzu e la Stazione dell’Arte di Ulassai (nel segno indelebile, e inconfondibile, del ricordo di Maria Lai), insostituibili location, e con associazioni e operatori turistici del territorio.

«Vent’anni in corsa con il tempo, vent’anni d’incontri, abbracci, azioni, per un teatro che prosegue nella sua missione di proposta e rinnovamento: in ogni luogo, in qualsiasi situazione, per ciascun singolo spettatore», dice Giancarlo Biffi, direttore artistico del Festival e di Cada Die. Che continua e sottolinea: «Vent’anni e non sentirli, per un Festival dei Tacchi che dispiegandosi nel tempo e nello spazio seguita permanentemente a operare nell’intimità dell’animo, aprendosi ai panorami dei suoi ambienti, sia naturali che sociali. Jerzu, Ulassai, Gairo non sono solo tre paesi lungo una strada, ma soprattutto il segno di una resistenza caparbia all’omologazione, nella ricerca coraggiosa e caparbia di una propria specificità».

Attori, e autori, del calibro di Max Paiella, Marco Baliani, Giuliana Musso, Ascanio Celestini, Luigi D’Elia, Gardi Hutter, considerata la clown più celebre del mondo, i “padroni di casa” di Cada Die Teatro, musicisti come Paolo Fresu e Paolo Angeli: sono solo alcune delle presenze che daranno lustro alla ventesima edizione del Festival dei Tacchi.

«L’Ogliastra dei Teatri e dei Tacchi come laboratorio d’arte e cultura, in dialettica tra avanguardia e tradizione, ambiente e comunità. Un grande cantiere artistico dove è possibile provare a rappresentare, prendendo ispirazione da tutto ciò che vi danza attorno, un teatro per l’oggi – spiega ancora Giancarlo Biffi -. Il locale che si confronta con il mondiale, preservando la sua forte caratterizzazione particolare. Non il semplice subire discorsi, leggi, modalità centrifugate da altri in altri contesti ma la forza e l’esigenza di essere voce ascoltata nel concerto artistico internazionale. Un teatro femmina, accogliente e generante, in perseverante ricerca di confronto: tra il basso e l’alto, lo sperimentale e il popolare, i paesaggi e la gente che li abita.»

 

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Ai nastri di partenza la ventunesima edizione di Dromos, il festival organizzato dall’omonima associazione culturale che fino a ferragosto porterà tanta musica (e non solo) a Oristano e altri centri e località della sua provincia: Baratili San Pietro, Bauladu, Cabras, Mogoro, Morgongiori, Neoneli, Nureci, San Vero Milis, Ula Tirso e Villa Verde, con un’appendice il 31 agosto a Bauladu, ed uno “sconfinamento” nel Nuorese, a Ortueri.
Sotto il titolo “Casta Diva”, preso in prestito dalla celeberrima aria della “Norma” di Bellini, la manifestazione quest’anno saluta una duplice ricorrenza: il cinquantenario del primo sbarco sulla luna e il mezzo secolo dal memorabile festival di Woodstock; e lo fa con un cartellone ricco di musica e altri eventi disseminati nell’arco di quindici giorni nelle diverse località che compongono il circuito di Dromos.
Dopo le anteprime di luglio – il concerto degli Snarky Puppy a Fordongianus (il 18), il primo spettacolo della rassegna teatrale “Parole alla Luna” nell’area archeologica di Tharros (il 19) e l’inaugurazione della mostra ART TUBE, da Woodstock alla Luna al Parco dei Suoni di Riola Sardo (domenica scorsa) -, il festival comincia il suo lungo cammino questo giovedì – primo agosto – da Mogoro, tappa immancabile nel circuito di Dromos, rinnovando il sodalizio che lo lega alla Fiera dell’Artigianato artistico della Sardegna, quest’anno alla sua cinquantottesima edizione (in corso fino al primo settembre).
Sul palco allestito nella piazza Martiri della Libertà, riflettori puntati a partire dalle 22.00 su uno dei massimi alfieri del jazz italiano: Paolo Fresu. Il trombettista sardo sarà di scena alla testa del collaudatissimo Devil Quartet, formazione che ha debuttato alla fine del 2003, e che nel nome rimanda e allude al suo illustre precedente, l’Angel Quartet (nato nel 1994 come alter ego elettroacustico dell’allora già avviatissimo quintetto “storico”). E dalla precedente formazione, il progetto eredita anche strumenti e struttura: accanto alla tromba e al flicorno del leader ci sono il chitarrista Bebo Ferra – altro musicista sardo (cagliaritano) che si è affermato oltre i confini isolani -, Paolino Dalla Porta, uno dei contrabbassisti più apprezzati nel panorama del jazz italiano, ed il batterista Stefano Bagnoli, un raffinato specialista nell’uso delle spazzole su piatti e tamburi. Diverso rispetto al quartetto dell’“angelo” è invece il suono, più acustico nel quartetto del “diavolo”, come dimostra in particolare il quarto album del gruppo, “Carpe diem”, pubblicato lo scorso anno dalla Tǔk Music, l’etichetta fondata dallo stesso Paolo Fresu nel 2010.

Paolo Fresu Devil Quartet © Roberto Cifarelli

Paolo Fresu Devil Quartet © Roberto Cifarelli

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Chiusura in bellezza, domenica sera (7 luglio), per la seconda edizione di JazzAlguer: a suggellare la rassegna organizzata ad Alghero dall’associazione Bayou Club Events, con la firma di Paolo Fresu alla direzione artistica, è infatti un nome del calibro di Bill Frisell, in concerto a partire dalle 21.30, alle Tenute Sella & Mosca in località I Piani (a una decina di chilometri dalla città).

Il chitarrista americano si presenta all’appuntamento alla testa del suo trio, con Thomas Morgan al contrabbasso e Rudy Royston alla batteria: una formazione agile e ben affiatata, capace di spaziare sempre a proprio agio tra l’ampio repertorio di composizioni originali di Bill Frisell, le canzoni popolari e gli standard che ama interpretare.

I biglietti, a 20 euro, si possono acquistare online e nei punti vendita del circuito Box Office Sardegna. Domenica sera, botteghino aperto dalle ore 20.00, alle Tenute Sella & Mosca.

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Un’autentica icona della canzone d’autore e uno dei più lirici e creativi pianisti della scena jazzistica nazionale: Gino Paoli e Danilo Rea sono i grandi protagonisti del penultimo concerto nel cartellone di JazzAlguer, la rassegna organizzata ad Alghero (Ss) dall’associazione culturale Bayou Club-Events per la direzione artistica di Paolo Fresu. Il cantautore di Monfalcone, dove è nato nel 1934, ma genovese d’adozione fin dall’infanzia, e il pianista romano (ma vicentino di nascita, classe 1957), sono attesi questo sabato (29 giugno), alle 21.30, alle Tenute Sella & Mosca in località I Piani (a una decina di chilometri da Alghero), con il loro live “Due come noi che…”.
I biglietti si possono acquistare online e nei punti vendita del circuito Box Office Sardegna: un posto nel primo settore costa 30 euro (più 2,50 euro di diritti di prevendita); 25 euro (più diritti di prevendita) nel secondo e terzo settore. Sabato sera botteghino aperto alle Tenute Sella & Mosca a partire dalle ore 20.00.
Accreditato di numerosi “sold out” sui più prestigiosi palcoscenici in Italia e all’estero, “Due come noi che…” si presenta come un concerto unico ed emozionante, a base di voce, pianoforte e improvvisazione, su una scaletta aperta che si rinnova di volta in volta con brani tratti dai tre dischi pubblicati fin qui dal duo: ci sono le canzoni più amate di Gino Paoli, come “Il cielo in una stanza”, “Averti addosso”, “Vivere ancora”, “Perduti”, “La gatta”, “Come si fa” – insieme a chicche dei cantautori genovesi, che per lui sono gli amici di una vita: “Canzone dell’amore perduto” e “Bocca di rosa” di Fabrizio De André, “Il nostro concerto” di Umberto Bindi, “Vedrai vedrai” di Luigi Tenco, “Se tu sapessi” di Bruno Lauzi. Ma non mancherà nemmeno un omaggio alla melodia napoletana, di cui Paoli e Rea sono appassionati conoscitori, e alla canzone d’autore francese, su cui hanno incentrato il loro terzo album, “3”, uscito a settembre 2017, dopo i successi dei precedenti “Due come noi che…” (del 2012) e “Napoli con amore” (2013), con le loro, personali versione di brani di autori immortali come Charles Trenet, Jacques Brel, Gilbert Bécaud, Serge Gainsbourg e Léo Ferré.

Gino Paoli, che quest’anno spegne sessanta candeline di carriera artistica, lo scorso aprile ha rilasciato un nuovo album a suo nome, e dal titolo emblematico, “Appunti di un lungo viaggio”: un album doppio in cui (nel primo cd) è voluto andare oltre il tradizionale schema canzone, trovando ancora come prezioso compagno di viaggio Danilo Rea, qui con gli archi della Roma Jazz String Orchestra diretta da Marcello Sirignano, riunendo invece nel secondo cd quattordici grandi classici del suo repertorio (come “Sapore di Sale”, “Il cielo in una stanza”, “Senza fine”, “La gatta”…), rivisitati insieme ad altri tre protagonisti del jazz italiano, la pianista Rita Marcotulli, Ares Tavolazzi al contrabbasso e Alfredo Golino alla batteria, anche loro in compagnia della Roma Jazz String Orchestra.


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Si riconosce nel segno della Luna e di una doppia ricorrenza l’edizione numero ventuno di Dromos, in programma nel consueto periodo, dal primo al 15 agosto, tra Oristano e altri undici centri della sua provincia – Baratili San Pietro, Bauladu, Cabras, Mogoro, Morgongiori, Neoneli, Nureci, San Vero Milis, Ula Tirso e Villa Verde, con un’anteprima il 18 luglio a Fordongianus e uno “sconfinamento” nel Nuorese, a Ortueri.

Casta Diva” è il titolo scelto per caratterizzare quest’anno il festival: un titolo preso in prestito dalla celeberrima aria della “Norma” di Vincenzo Bellini, una preghiera che la protagonista dell’opera eleva alla Luna, la “Casta Diva”, appunto.

Il 2019 è infatti l’anno in cui si celebra il cinquantenario del primo sbarco sul nostro satellite: era il 20 luglio del 1969 quando l’astronauta Neil Armstrong mise piede sul suolo lunare nell’ambito della missione Apollo 11, avverando un sogno coltivato dall’uomo per millenni. Ma, un mese dopo, un altro evento segnò indelebilmente anche la storia della musica: «Tra il 15 e il 18 agosto di quello stesso anno – scrive il critico d’arte Ivo Serafino Fenu per illustrare il tema del festival  – a Woodstock, fu il mondo della musica rock a toccare la luna”, in quello che è universalmente riconosciuto come “l’evento simbolo e l’apice della generazione del flower power». Un evento in parte offuscato, quattro mesi dopo, dell’Altamont Free Concert, una sorta di Woodstock sulla West Coast, che col suo violento epilogo «segnò, per quella generazione, ‘la fine delle illusioni’, divenendo il simbolo delle numerose utopie e delle altrettanto numerose cadute contro le quali si scontrarono i giovani di allora, alla ricerca di una luna conquistata e subito perduta».

Al ricordo di quella memorabile annata, il festival Dromos dedica dunque la sua ventunesima edizione con la sua collaudata formula itinerante a base di musica, ma non senza il consueto spazio per altri eventi e appuntamenti, come la mostra ART TUBE, da Woodstock alla Luna, a cura di Paolo Curreli e Antonio Manca, e come Woodstock Revolution!, un “concerto lezione” del giornalista Ernesto Assante col trio di Enzo Pietropaoli.

Il cartellone musicale prevede, come di consueto, una fitta serie di concerti, spaziando su più latitudini e generi, a partire dal jazz e i generi confinanti, con un ampio e variegato cast di artisti, in larga prevalenza internazionali. Dromos conferma ancora una volta la sua grande attenzione verso la scena musicale europea e verso le nuove generazioni di musicisti che la popolano, focalizzando stavolta il suo sguardo sulla scena londinese, da sempre culla di giovani e interessanti talenti. E proprio dalla capitale del Regno Unito arrivano Alfa Mist, giovane producer e musicista originario dell’East London, la talentuosa sassofonista Nubya Garcia, che di Londra è nativa (ma le sue origini sono afro-caraibiche) ed il collettivo Kokoroko, protagonista sul palco del Mamma Blues, a Nureci, consueta rassegna che suggella Dromos. Giovani veterani sono gli statunitensi Snarky Puppy (protagonisti dell’anteprima del 18 luglio a Fordongianus) e i Forq, formazione nata da una loro costola. Dal cuore dell’Asia sono invece in arrivo gli Huun-Huur-Tu, accostati per l’occasione ai Tenores di Bitti Remunnu ‘e Locu, dal Portogallo la cantante Carmen Souza, mentre è ivoriana la bassista Manou Gallo, e di natali burundesi il cantante J.P. Bimeni. E poi, tra gli italiani, Fiorella Mannoia, Giovanni Allevi, Fabio Treves, Paolo Fresu con il Devil Quartet, Boris Savoldelli; e, naturalmente gli artisti sardi: il trio del pianista Raimondo Dore, il quartetto Roundella, Francesco Piu, Irene Loche, La Città di Notte, The Wheelers, Bob Forte Band, Mumucs, De Li Soul.

Per il quarto anno consecutivo il festival si avvale della collaborazione dello scenografo Mattia Enna per arricchire di suggestioni visive questa edizione dedicata alla Luna. Per l’occasione Enna rilegge la Casta Diva nel suo eterno bipolarismo: ora la placida e malinconica Luna argentea, ora la dura e funerea Luna nera. Attraverso il segno grafico delle bozze dei tatuaggi, lo scenografo ha proceduto alla selezione di fotogrammi di film cult nei quali il nostro satellite era protagonista, inserendo suggestioni tratte dalle tavole di Gustave Dorè dedicate al viaggio dell’Astolfo di Ariosto sulla luna (tavole da cui è tratta anche l’immagine scelta per la grafica del festival) e arcani simboli a esso legati.

 

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Novità e aggiornamenti nel cartellone della trentaduesima edizione di Time in Jazz, il festival ideato e diretto da Paolo Fresu, in programma dal 7 al 16 agosto nella sua Berchidda ed in altri centri e località del nord Sardegna, dall’entroterra alla costa: Arzachena, Bortigiadas, Budoni, Cheremule, Erula, Loiri Porto San Paolo, Mores, Nulvi, Olbia, Ploaghe, Posada, Golfo di Marinella, San Pantaleo, San Teodoro, Telti, Tempio Pausania, Tula.

Un’edizione che, come già illustrato nella conferenza stampa di presentazione dello scorso marzo a Milano, si riconosce sotto il titolo “Nel mezzo del mezzo”, come il numero 32 che la connota e che, come spiega Paolo Fresu nella sua presentazione, “si colloca tra il 31 – naturale prosecuzione del primoriale e semiperfetto 30 – e il 33, palindromo della maturità e degli anni di Cristo oltre che numero che indica l’inizio e la fine delle cose”; nel mezzo come “un’isola, la Sardegna, che sta idealmente tra l’Africa e l’Europa (…) una “Terra di mezzo” in quell’“oceano contemporaneo delle nuove migrazioni degli anni Duemila” che è il Mediterraneo. Per il musicista di Berchidda è, dunque, “in questo essere ‘nel mezzo’ numericamente e geograficamente che va letta questa edizione del Festival internazionale Time in Jazz. Una manifestazione storica che osserva e che ascolta porgendo attenzione alle migrazioni sonore e culturali di questi anni tese tra passato e presente, suoni acustici ed elettronica, mainstream e ricerca oltre che trasformazioni in essere e violente convulsioni socio-politiche. Sempre più sentiamo la responsabilità di dover ribadire il ruolo centrale della storia musicale italiana da innestare nel più vasto linguaggio del jazz che naviga in altrettanti mari e oceani da cento anni a questa parte”.

Un’edizione particolarmente ricca e assortita, con una fitta serie di eventi musicali che si susseguiranno dal mattino alla notte in spazi e scenari differenti: la grande arena allestita nella piazza centrale di Berchidda, Piazza del Popolo, teatro dei concerti serali in programma dall’11 a Ferragosto, e i siti più rappresentativi degli altri centri in cui il festival fa tappa con i suoi concerti. E, accanto alla musica, un ampio ventaglio di iniziative diverse: presentazioni di libri e novità editoriali, azioni di promozione e sensibilizzazione ambientale, laboratori e spettacoli per bambini, la consueta rassegna di film documentari curata dal regista  Gianfranco Cabiddu ed altro ancora.

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Novità e aggiornamenti nel cartellone del trentaduesimo festival internazionale Time in Jazz saranno illustrati alla stampa martedì 18 giugno, a Cagliari, dal direttore artistico Paolo Fresu, in un incontro in programma alle 11.30, nella sala conferenze della Fondazione di Sardegna, in via San Salvatore da Horta, 2.

Immancabile appuntamento dell’estate musicale, il festival che andrà in scena dal 7 al 16 agosto a Berchidda ed in altre località del nord Sardegna, si riconosce quest’anno – come già annunciato nella conferenza stampa di presentazione dello scorso marzo a Milano – sotto il titolo “Nel mezzo del mezzo”; e sarà un’edizione particolarmente ricca, con una quarantina di eventi musicali (tra i protagonisti, Omar Sosa, Nils Petter Molvær, Danilo Rea, Ornella Vanoni, l’Orchestra Mirko Casadei e, naturalmente, Paolo Fresu) e un vasto corredo di iniziative diverse, tra presentazioni di libri e novità editoriali, azioni di promozione e sensibilizzazione ambientale, laboratori e spettacoli per bambini, la consueta rassegna di film documentari, e altro ancora. 

Al termine della conferenza stampa, Time in Jazz offrirà un assaggio delle atmosfere del festival con una passeggiata in musica fino alla sede del Banco di Sardegna in viale Bonaria, dove gli ospiti saranno accolti da un rinfresco e una piacevole sorpresa sonora.

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L’Etienne Manchon Trio ha vinto la seconda edizione di JazzAlguer Mediterrani, il concorso per giovani band inserito nel più ampio cartellone di JazzAlguer, la rassegna organizzata ad Alghero (Ss) dall’associazione culturale Bayou Club-Events con la direzione artistica di Paolo Fresu. La formazione intestata al pianista francese, con Clément Daldosso al contrabbasso e Théo Moutou alla batteria, si è aggiudicata il primo posto nella serata finale del contest che si è svolta domenica 9 giugno.

A contendersi la palma della vittoria, i cinque gruppi selezionati dalla giuria fra i quarantuno iscritti quest’anno al concorso (due in più rispetto alla prima edizione). Tre le proposte italiane: il progetto Dalia della cantante fiorentina Sara Battaglini, con Federico Pierantoni al trombone e Enrico Ronzani al pianoforte; Emit della cantante e compositrice Camilla Battaglia con Michele Tino al sax alto, Andrea Lombardini al basso e Bernardo Guerra alla batteria; e Trikáranos, dei sardi Andrea Cocco (pianoforte), Matteo Marongiu (contrabbasso) e Roberto Migoni (batteria). Due, invece, i finalisti stranieri: l’Etienne Manchon Trio, appunto, e le catalane Escarteen Sisters, ovvero le sorelle Laia (violino e voce) e Flavia (violoncello e voce) Escartin, accompagnate da Francisco Lucas alla percussioni.
 
Ogni finalista aveva quindici minuti di tempo a disposizione per mettere in mostra dal vivo, sul palco allestito in largo San Francesco, il meglio della propria proposta artistica. Al termine delle esibizioni, la giuria formata da Nick The Nightfly, Paolo Fresu, Salvatore Maltana, (coordinatore artistico di JazzAlguer), il pianista Roberto Cipelli e la cantante Francesca Corrias, ha emesso il suo verdetto; ma, come nella prima edizione del concorso, la scelta finale non è stata facile, data l’alta qualità delle proposte, molto diverse tra loro, tutte originali e interessanti.