22 November, 2024
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Pochi posti disponibili negli asili nido, per lo più offerti da strutture private, e costi che lievitano considerevolmente per le famiglie che hanno bisogno di sistemare i loro bambini (+43% in tre anni). Pur collocandosi in buona posizione rispetto alle altre regioni italiane, la Sardegna non raggiunge gli standard richiesti dall’Europa per i servizi per l’infanzia. E questa carenza di servizi fondamentali per dare una mano alle famiglie, unita all’alto tasso di disoccupazione soprattutto femminile, è una delle principali cause dello slittamento dei progetti di genitorialità delle giovani coppie.

E’ la fotografia fornita da un recente report del centro studi della Cna Sardegna sui servizi per l’infanzia in Sardegna.

Nell’anno scolastico 2016/2017 -evidenzia la ricerca dell’associazione artigiana – sono stati censiti nella nostra regione 386 servizi socio-educativi per l’infanzia, per una offerta complessiva di 9.613 posti, il 58,8% dei quali in strutture private. Con 8.699 posti, gli asili nido costituiscono il 90,5% dell’offerta complessiva, mentre i servizi integrativi (914 posti autorizzati, in netta prevalenza spazi gioco) contribuiscono per il 9,5%.

La dotazione complessiva della Sardegna è di 28,8 posti per 100 bambini di età compresa tra 0 e 2 anni,  superiore al valore medio nazionale (24,0) ma ancora inferiore alla dotazione standard prevista nel Consiglio europeo di Barcellona (2002), che fissava come traguardo per gli stati membri di giungere ad un’offerta pari ad un terzo della domanda potenziale (33 posti ogni cento bambini), quota oggi superata solo da Valle d’Aosta (44,7), Umbria (41), Emilia Romagna (37,1) e Toscana (35,2).

La ricerca della Cna Sardegna rileva che l’aspetto peculiare della nostra regione è la netta prevalenza dell’offerta privata su quella pubblica: 5.654 posti in strutture private, pari al 58,8% dell’offerta complessiva, una quota notevolmente superiore a quella delle regioni settentrionali (46,9%), ma anche al dato nazionale (48,7) e a quello del Mezzogiorno (52,2%).

L’ammontare della spesa complessiva per l’anno scolastico 2016/2017 è stata pari a 21,6 milioni di euro, in netta riduzione rispetto ai livelli del 2012/2013 (-19,2%): questa riduzione ha però riguardato soltanto la componente pubblica (-23,7%), mentre l’ammontare del contributo delle famiglie ha registrato un netto aumento (+9,2%).

La quota di partecipazione delle famiglie, quindi, è passata dal 13,6% al 18,3% della spesa complessiva, registrando un allineamento alla media nazionale, rimasta ferma al 19,3%.

La spesa pubblica media per bambino è passata dai 5.400 euro l’anno del 2012/13, ai 5.715 euro del 2016/17 (+5,8%), ma come detto ad aumentare è stata la spesa sostenuta dalle famiglie: da 733 euro a 1.048 (+43%).

Questo aumento è probabilmente una delle principali cause del considerevole calo degli iscritti che nel periodo in esame si sono ridotti di quasi un quarto (-23,7%), a fronte di un calo meno marcato della domanda potenziale (i bambini di età compresa tra 0 e 2 anni sono diminuiti del -14,3%). Sebbene la spesa sostenuta dalle famiglie sarde resti ancora pari al 70% del valore nazionale (1.048 euro per bambino in Sardegna contro i 1.487 euro dell’Italia), in rapporto al livello dei redditi il carico sostenuto si è allineato, con una incidenza sul reddito medio familiare pari al 4,3% in Sardegna e al 4,8% in Italia.

«La sotto-dotazione di servizi per la prima infanzia, per la loro fondamentale funzione di sostegno alla genitorialità, assume in Sardegna un significato particolare – evidenziano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna -. Se da un lato un tasso di attività femminile del 53,1% evidenzia la scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro (la media delle regioni settentrionali è del 64,8%), dall’altro gli indicatori demografici mettono in risalto una situazione divenuta ormai critica sul piano della natalità.»

Con un quoziente di natalità di 6 nati per mille abitanti – rileva infatti il report – nel 2018 la Sardegna si è qualificata, insieme alla Liguria come la regione meno prolifica d’Italia, con un bilancio naturale che vede ormai il numero di morti nettamente superiore a quello dei nati (-4,2 per mille abitanti). Altrettanto evidente il divario in termini di fecondità: con un valore medio di 1,06 figli per donna, infatti, la nostra regione detiene il primato negativo tra le regioni italiane, consolidando uno squilibrio generazionale che ormai conta oltre 211 anziani (65 anni e più) ogni 100 giovani minori di 15 anni (il valore più rilevante dopo la Liguria, 255, Friuli e Molise, 217). L’età media al parto delle donne sarde è di 32,5 anni, il valore più alto insieme a Basilicata, Molise e Lazio. Visti questi numeri, concludono Piras e Porcu, «senza dubbio le scarse opportunità di inserimento lavorativo, associate ad una offerta socio-educativa carente e troppo costosa, sono tra le principali cause dello slittamento dei progetti di genitorialità delle giovani coppie».

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Nel 2018 quasi 3.300 sardi, soprattutto giovani, hanno lasciato la nostra regione in cerca di lavoro e di opportunità: il flusso migratorio – più che raddoppiato rispetto ai livelli dello scorso anno – rappresenta per la Sardegna il record storico dell’ultimo ventennio e contribuisce ad accelerare l’inesorabile e preoccupante declino demografico che sta interessando la nostra regione.

E’ quanto si evince da un report del Centro studi della Cna Sardegna che analizza i recenti dati dell’ISTAT sui flussi della popolazione residente nell’isola. Le ultime statistiche confermano infatti il trend negativo emerso in maniera sempre più netta nel corso dell’ultimo quinquennio: alla fine del 2018 la popolazione residente registrata in Sardegna è di un milione e 639mila, quasi 9mila abitanti in meno rispetto all’anno precedente, Con un decremento netto del -5,4% l’isola si colloca ben al di sopra del calo medio nazionale (-1,5%) e supera anche la variazione media delle regioni del Mezzogiorno (-4,2%). Vanno peggio della Sardegna solo Basilicata (-6,0‰) e Molise (-7,8‰).

Tabella 1 – Popolazione residente a fine anno e variazione percentuale rispetto all’anno precedente

2013

2014

2015

2016

2017

2018 *

Sardegna

1.663,9

1.663,3

1.658,1

1.653,1

1.648,2

1.639,3

Variazione assoluta

 

-0,6

-5,1

-5,0

-5,0

-8,9

Variazione percentuale

 

Sardegna

-0,3

-3,1

-3,0

-3,0

-5,4

Mezzogiorno

-1,0

-3,0

-3,0

-4,1

-4,2

Italia

0,2

-2,1

-1,3

-1,8

-1,5

Fonte: elaborazione CNA su dati ISTAT. (*) Stime

All’origine del problema – evidenzia il report della Cna Sardegna – c’è come detto il rilevantissimo flusso di popolazione in uscita, stimato nel 2018 in quasi 3.300 individui, principalmente giovani, che dall’isola sono emigrati verso altre regioni italiane. Questo flusso risulta più che raddoppiato rispetto ai livelli dello scorso anno (1.251 residenti in meno) ma, osservato in un orizzonte temporale più ampio, rappresenta per la Sardegna il record storico dell’ultimo ventennio. Anche se la ripresa dei flussi migratori (per lo più giovani) verso il centro-nord (e il corrispondente impoverimento demografico e sociale) è un fenomeno generalizzato che coinvolge tutte le regioni del Mezzogiorno e con cui il Paese sarà costretto a confrontarsi per tutto il prossimo ventennio. 

Al forte incremento dell’emigrazione verso le altre regioni si aggiunge una netta riduzione dei flussi di popolazione proveniente dall’estero, con un saldo tra iscrizioni e cancellazioni stimato nel 2018 in 2.466 unità: il 32% in meno rispetto ai valori dell’anno precedente. Il movimento con l’estero (in cui prevale la componente straniera) resta quindi nettamente inferiore al flusso in uscita verso l’Italia (in cui prevale la componente italiana) definendo un bilancio migratorio complessivo di 822 residenti in meno.

Tabella 2 – Movimento migratorio con l’interno e con l’estero in Sardegna

2013

2014

2015

2016

2017

2018 *

Migrazioni verso le altre regioni

-1.252

-1.041

-1.457

-1.654

-1.251

-3.288

Iscrizioni

31.526

29.576

28.398

29.007

29.354

 

Cancellazioni

32.778

30.617

29.855

30.661

30.605

 

Saldo con l’estero

1.768

959

1.439

2.154

3.637

2.466

Iscrizioni

4.361

3.820

4.535

5.524

7.218

 

Cancellazioni

2.593

2.861

3.096

3.370

3.581

 

Fonte: elaborazione CNA su dati ISTAT. (*) Stime

«L’accelerazione dei fenomeni di declino demografico trae origine dal perdurare della difficile situazione economica e dalla mancanza di opportunità di inserimento lavorativo specialmente per i più giovani – evidenziano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu , rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna -. Se la Sardegna non riuscirà ad invertire la rotta saranno sempre di più i giovani sardi che cercheranno fuori dall’isola opportunità lavorative e di vita, determinando un impoverimento sempre più marcato del tessuto socio-economico con conseguenze devastanti per gli equilibri demografici ed economici della nostra regione.»

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Mancano solo due anni alla chiusura della programmazione comunitaria POR FESR 2014-2020 e la Sardegna ha speso poco più del 20% delle risorse a disposizione con una spesa effettivamente certificata che supera di poco il 17%. E’ quanto si evince dall’ultimo report del Centro studi della Cna Sardegna che analizza la spesa dei fonti comunitari da parte della Regione sarda comparando l’attuale programmazione a quella relativa al ciclo 2007-2013. In base al report – che analizza i dati (aggiornati al 7 gennaio 2019) presenti nella sezione dedicata alla programmazione europea del sito della Regione sarda – alla fine del 2018 risultano impegnati 386 milioni di cui soltanto 191 effettivamente spesi. A tale data la spesa certificata ammonta a 161 milioni, un dato che rappresenta il raggiungimento dell’obiettivo minimo di spesa per il 2018, fissato in 141 milioni, ma questo risultato è molto più basso di quello relativo al ciclo di programmazione precedente. Nel vecchio ciclo programmatorio, che ha visto assegnata la totalità delle risorse disponibili, al 31 dicembre 2011 la spesa certificata relativa a progetti FESR era stata pari al 26% della dotazione complessiva.

«Anche se l’obiettivo minimo per il 2018 è stato centrato – ammoniscono Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna – la realizzazione dei progetti (FESR) della nuova programmazione sembra procedere ad un ritmo più lento della precedente. Per questo sarà necessario anche nei prossimi anni un rush finale per un pieno utilizzo delle risorse UE. Confidiamo in una forte accelerazione della spesa e nella capacità, già dimostrata dalla Sardegna nel precedente ciclo di programmazione, di colmare i ritardi iniziali attestandosi tra le regioni più virtuose nella spesa dei fondi comunitari nella seconda parte del settennio. Tutto ciò mette in evidenza una modalità, forse non solo italiana ma che certo caratterizza il nostro Paese, di una corsa finale per raggiungere l’obiettivo ed evitare il disimpegno delle risorse, in molti casi vitali, messe a disposizione dalla UE. I dati disponibili per una valutazione del nuovo ciclo programmatorio sembrano confermare questa modalità, non certo virtuosa, ma che pare in qualche modo insita nell’impalcatura assai complessa e ridondante dei meccanismi che regolano l’utilizzo delle risorse comunitarie.»

Il report della Cna

L’ultimo aggiornamento sulla spesa certificata relativa ai progetti della programmazione UE 2007-2013 rileva un totale assorbimento delle risorse assegnate. Al 31 marzo 2017, ultima data utile per la certificazione dei pagamenti effettuati dalle amministrazioni titolari di programmi operativi del ciclo UE 2007-2013, la spesa certificata per progetti relativi ai due programmi FESR e FSE ammonta a 46,2 miliardi, a fronte di risorse programmate per i due fondi obiettivi Convergenza e Competitività pari a 45,8 miliardi. Ovvero risultano certificati pagamenti “in eccesso” rispetto alla dotazione della UE.

Considerando la spesa certificata riferita a progetti di cui ai programmi regionali FSE e FESR, al 31 marzo 2017 le autorità dei programmi operativi regionali hanno certificato il 104% del totale, quota che scende al 101% comprendendo anche i programmi interregionali. A livello di singole regioni, Toscana ed Emilia Romagna sono le più virtuose, ma si collocano nelle primissime posizioni anche la Puglia e la Sardegna, entrambe prima del Piemonte. Fanalino di coda la Sicilia e, a sorpresa, anche il Trentino Alto Adige, sebbene su livelli di spesa assai più contenuti rispetto alle regioni meridionali, dove le risorse UE hanno un ruolo fondamentale per rilanciare l’economia e sostenere lo sviluppo del territorio.

L’accelerazione del processo di spesa e certificazione dei fondi UE è stata sicuramente agevolata dalla fissazione di precisi target di impegno e di spesa certificata da parte della Commissione europea e soprattutto dall’introduzione di una sanzione finanziaria (rimodulazione delle risorse in favore di altri programmi) in caso di mancato raggiungimento degli stessi.

Basta ricordare che la spesa certificata per progetti in Sardegna riferita ai programmi FESR e FES era pari a 1.623 milioni alla fine del 2015, ovvero il 79,7% della dotazione complessiva. Nei due anni e tre mesi successivi l’incremento è stato del 32% portando la spesa certificata a 2,143 miliardi di euro, ovvero il 5,3% in più rispetto alla dotazione complessiva del vecchio ciclo di programmazione, pari a 2,036 miliardi, di cui 972 milioni finanziati da fondi UE. Una crescita assai più veloce rispetto a quella registrata in media da tutte le regioni, pari al 26% nello stesso periodo

La programmazione 2014-2020

La programmazione comunitaria 2014-2020 assegna alla Sardegna (oggi inserita nella categoria delle regioni “in transizione”) risorse di poco inferiori a 700 milioni (465 milioni dal POR FESR e 222 milioni dal POR FSE): un ammontare complessivo inferiore rispetto alla vecchia programmazione (688 milioni dalla UE, contro i 972 della passata programmazione: 284 milioni in meno, praticamente un anno di risorse ai ritmi della vecchia programmazione.

 

Nuova e vecchia programmazione – Fondi programmi strutturali per la Sardegna a confronto – milioni di euro

2007-2013

2014-2020

TOTALE

RISORSE UE

TOTALE

RISORSE UE

FESR

1.361

681

931

465

FSE

675

292

445

222

Totale

2.036

972

1.376

688

Fonte: elaborazione Cna Sardegna su Regione Sardegna 

Guardando ai dati disponibili sullo stato di avanzamento dei progetti a due anni dalla chiusura dell’attuale settennato, lo scenario di ritardo torna a delinearsi.

In base ai dati di sintesi presentati sul sito “opencoesione” aggiornati al 30 giugno 2018, i progetti monitorati in Sardegna sono poco più di 4.300 e solo il 33% di questi risulta concluso, a fronte di un dato medio nazionale attestato sul 44% (su cui incide il dato registrato dalla Lombardia superiore al 70%).

In termini economici il costo pubblico dei progetti monitorati – ovvero il valore del finanziamento pubblico totale  (risorse comunitarie e nazionali specificatamente destinate alla coesione, nonché risorse ordinarie pubbliche stanziate da Comuni, Province, Regioni per cui ciascun progetto finanziato in ambito di politiche di coesione può fare da volano), al netto delle economie finanziarie maturate (economie maturate in fase di gara, o in corso d’opera o minore spese finali) – risulta di poco inferiore a 3 miliardi, ma per ben l’83% risulta ancora in corso e per il 17% riferito a progetti non ancora avviati. 

Nella media italiana il 5% del “costo pubblico” si riferisce a progetti conclusi o liquidati e la quota di quelli ancora in corso scende al 73%, mentre risulta più alta in Sardegna la percentuale di valore economico ascrivibile a progetti non ancora avviati.

Il confronto con le altre regioni della penisola colloca la Sardegna in una situazione intermedia. La Toscana, regione più virtuosa del precedente ciclo, è caratterizzata da una quota del numero di progetti monitorati conclusi al 30 giugno 2018 pari al 38%. Stessa percentuale per il Piemonte, un dato inferiore alla media nazionale, ma superiore al dato registrato in Sardegna, che a sua volta supera in maniera importante quello registrato nelle altre tre grandi regioni meridionali, Sicilia, Campania e Calabria, dove oscilla tra l’11% della Sicilia e il 19% della Calabria. Territori che anche nel precedente ciclo hanno mostrato una capacità di assorbimento dei fondi meno efficace rispetto ai progetti sardi. 

Guardando al dato economico, le divergenze territoriali sono anche più importanti. In Piemonte il 22% del costo pubblico dei progetti risulta concluso alla data dell’ultimo monitoraggio disponibile. Un risultato eccezionale, se si considera che nella media nazionale è pari al 3% e al 4% nella “virtuosa” Toscana. In Sicilia, insieme alla Sardegna, tale quota è ferma allo 0%, e non supera l’1% in Campania e Calabria.

Del costo pubblico relativo ai 4.400 progetti monitorati in Sardegna, la quota principale delle risorse riguarda progetti infrastrutturali (quasi 1,6 miliardi dei quasi 3 miliardi complessivi, riferiti a poco più di 600 interventi). Seguono i conferimenti di capitale (poco meno di 730 milioni); quasi 430 milioni per l’acquisto di beni e servizi, 167 milioni sotto forma di contributi a persone e poco meno di 110 incentivi alle imprese. 

Considerando che nella media dell’ultimo decennio la spesa per opere pubbliche nell’isola è stata pari a 1,5 miliardi l’anno, è evidente il ruolo strategico dei progetti finanziati in ambito di politiche di coesione, sia con risorse UE che con altre risorse pubbliche. Il costo pubblico pari a 1,5 miliardi dei 609 progetti monitorati è destinato a crescere nei prossimi anni, basti pensare che nella vecchia programmazione i progetti infrastrutturali monitorati al 30 giugno 2018 sono più di 2.000 e il relativo costo pubblico superiore a 3 miliardi.

Tra i più grandi dieci progetti infrastrutturali monitorati in Sardegna relativamente al ciclo programmatorio 2014-2020, il finanziamento pubblico proviene in gran parte da fondi statali a valere su programmi FSC, cofinanziati in cinque casi da risorse regionali, e nel caso del più grande progetto, quello per potenziare la mobilità ferroviaria grazie alle varianti di Bauladu e Bonorva-Torralba, da altre risorse pubbliche. 

Lo stato di avanzamento, che come descritto dai dati di sintesi procede a rilento, per i dieci grandi progetti prevede un termine di ultimazione dei lavori che si estende almeno fino al 2024, ma è plausibile uno slittamento in avanti rispetto ai termini previsti. Ne è un esempio il caso dell’impianto di trattamento rifiuti di Macomer, che in base alle previsioni doveva essere concluso entro lo scorso mese di novembre, ma che, anche a motivo di una sentenza del TAR che aveva bloccato i lavori, potrebbe superare di almeno un anno il termine previsto.

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“Credito e il suo futuro per le micro imprese della Sardegna. Una strada stretta ma possibile”. E’ il titolo del convegno organizzato dalla CNA Sardegna che si terrà domani, sabato 20 ottobre, dalle 10,15 presso il Business Centre Aeroport di Elmas.

I lavori saranno aperti dal presidente regionale della CNA Pierpaolo Piras e dal presidente di Artigiancassa SPA Fabio Petri. Successivamente interverrà Daniele Pelleri, presidente Swizzy Lab, sul tema dell’Evoluzione digitale nel sistema Bancario. Seguirà la tavola rotonda.
Sosteniamo la crescita: più credito alle PMI Scenari e Prospettive moderata dal segretario regionale della CNA Sardegna Francesco Porcu, alla quale parteciperanno Raffaele Paci, assessore Regionale alla programmazione, Bilancio, Credito e Assetto del territorio; Franco Sabatini, presidente della Commissione Programmazione, Bilancio, Politiche Europee in Consiglio regionale e Francesco Simone, Direttore Generale Artigiancassa SPA.

Concluderà l’incontro il presidente nazionale della CNA Daniele Vaccarino.

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“Credito e il suo futuro per le micro imprese della Sardegna. Una strada stretta ma possibile”. E’ questo il titolo del convegno organizzato dalla CNA Sardegna che si terrà sabato 20 ottobre, alle 10,15, presso il Business Centre Aeroport di Elmas.

I lavori saranno aperti dal presidente regionale della CNA Pierpaolo Piras e dal presidente di Artigiancassa SPA Fabio Petri. Successivamente interverrà Daniele Pelleri, presidente Swizzy Lab, sul tema dell’Evoluzione digitale nel sistema Bancario. 

Seguirà la tavola rotonda “Sosteniamo la crescita: più credito alle PMI Scenari e Prospettive” moderata dal segretario regionale della CNA Sardegna Francesco Porcu, alla quale parteciperanno Raffaele Paci, assessore regionale della Programmazione, Bilancio, Credito e Assetto del territorio; Franco Sabatini, presidente della commissione Programmazione, Bilancio, Politiche europee in Consiglio regionale e Francesco Simone, direttore generale Artigiancassa SPA.

Concluderà l’incontro il presidente nazionale della CNA, Daniele Vaccarino.

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Nel 2017 il numero di fallimenti in Sardegna ha toccato il livello record dall’inizio della crisi. Sono state 263 le imprese sarde che hanno portato i libri in tribunale, contro le 246 che lo avevano fatto nel 2016. Il 2017 ha quindi confermato i segnali negativi arrivati nel 2016, il quale, delineando un quadro negativo rispetto all’anno precedente, aveva smorzato le aspettative di una significativa inversione di rotta della congiuntura economica regionale. Dall’analisi dei dati parziali, inoltre, alla fine dell’anno in corso i fallimenti dovrebbero mantenersi su livelli elevati in linea con il biennio precedente (ben 181 casi a tutto settembre 2018, contro i 194 dello stesso periodo dell’anno passato).

Lo rileva una recente analisi della CNA Sardegna sulla base dei dati dell’Osservatorio Fallimenti che analizza le procedure di amministrazione controllata, giudiziaria e straordinaria, concordato, fallimento, liquidazione coatta amministrativa e stato di insolvenza che hanno riguardato le imprese sarde dal 2008 al settembre 2018.

La situazione delle imprese sarde appare preoccupante anche se inserita nel contesto nazionale. Considerando l’ultimo triennio, e confrontandolo con quello precedente, emerge che solo Lazio e Valle d’Aosta hanno visto aumentare il numero di fallimenti in maniera più marcata. A partire dal dato del 2018 annualizzato, infatti, il numero di procedure concorsuali nel triennio in Sardegna sarà cresciuto del +25%, contro una media nazionale del +11%. Si tratta di un dato, inoltre, decisamente superiore rispetto a quello di tutte le altre regioni del Mezzogiorno. In Basilicata, Abruzzo, Molise e Calabria i fallimenti sono diminuiti; sono rimasti costanti in Puglia e sono cresciuti significativamente solo in Campania e Sicilia, ma con un’intensità inferiore rispetto al dato dell’Isola (+15%, appunto, contro il +25%).

Anche nel settore edile la situazione rimane complicata. Nei primi nove mesi dell’anno il numero di fallimenti registrati ha già raggiunto quello dell’anno passato (24). Va detto che il record di 40 procedure concorsuali registrato nel 2014 appare distante, ma il 2018 potrebbe far segnare una nuova impennata di fallimenti.

«I dati sui fallimenti, insieme ai principali indicatori economici, confermano la condizione di estrema fragilità dell’economia isolana – affermano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della CNA Sardegna -. Le politiche pubbliche nazionali e regionali, purtroppo tutte orientate al sostegno dei consumi privati, deprimono gli investimenti, riducono le risorse destinate alle politiche attive, inaridendo i veri driver capaci di far crescere la produzione, le occasioni di lavoro, lo sviluppo economico. Nell’edilizia dopo una crisi settoriale di portata storica non sono bastati i segnali di ripresa degli investimenti a produrre una significativa inversione di rotta. Le previsioni per il 2018 motivate da segnali confortanti provenienti da tutti i driver settoriali (occupati, credito, compravendite immobiliari) prospettavano una crescita degli investimenti in edilizia residenziale del +2,4%, ma è probabile che l’intensità di questa ripresa sia ancora troppo limitata per incidere su una situazione pregressa estremamente problematica (il settore ha perso in dieci anni il 40% del suo mercato). In questo senso – concludono Pierpaolo Piras e Francesco Porcu – investire nella riqualificazione del patrimonio edilizio (considerando la più facile cantierabilità rispetto ai più complessi investimenti in opere infrastrutturali) rimane una strategia fondamentale se l’obiettivo è quello di rilanciare un settore composto per il 70% da piccole e piccolissime imprese artigiane.»

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«Nonostante la penuria di liquidità e la difficoltà di accesso al credito le imprese sarde hanno beneficiato in maniera molto marginale delle agevolazioni esistenti.”. I sostegni al sistema produttivo in questi anni pensati e tarati sui bisogni delle imprese più grandi, in assenza di elementi di riequilibrio tra i diversi segmenti di imprese e le diverse aree del paese, hanno visto la tipologia di impresa più strutturate e le aree più ricche del paese assorbire quasi per intero le risorse messe a disposizione dalla mano pubblica.»

E’ questo il commento di Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della CNA Sardegna, ad una recente ricerca del centro studi della CNA Sardegna che fornisce interessanti statistiche sull’utilizzo di alcuni degli strumenti che il legislatore nazionale ha messo a disposizione dei sistemi produttivi. 

Dall’indagine della Cna Sardegna emerge, ad esempio, che nell’isola sono ancora pochissime le esperienze di reti di imprese (Contratti di Rete) seppure si tratti di uno strumento ideale per le piccole imprese sarde che vogliono crescere e ampliare il bacino di utenza e molti esempi di successo lo dimostrano anche nella nostra regione. Stesso discorso vale per i Contratti di Sviluppo (appena tre progetti) ai quali è possibile accedere anche attraverso lo strumento delle reti. Modesto è inoltre il dato sulle start-up innovative agevolate tramite lo strumento Smart&Start, con l’isola che non brilla in un contesto in cui, specialmente nel Sud, queste rappresentano l’approdo imprenditoriale ideale (se non obbligato) per molti giovani imprenditori.

Viceversa – evidenzia la ricerca – sembra aver riscontrato qualche successo tra gli imprenditori sardi lo strumento NITE (Nuove imprese a tasso zero), che ha visto 21 imprese sarde finanziate con mutui agevolati a tasso zero, a fronte di oltre 140 richieste presentate (il 6% del totale nazionale). E’ invece limitato l’utilizzo da parte delle PMI sarde di strumenti di agevolazione per l’acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature (Nuova Sabatini), mentre il lento miglioramento della congiuntura regionale si è tradotto in una crescita del numero di richieste per finanziamenti garantiti dal Fondo di Garanzia per le PMI (anche se la Sardegna raccoglie appena l’1,4% dei fondi nazionali). E’ stato finora completamente ignorato dalle azienda sarde, invece, lo strumento del Minibond, pensato per permettere anche alle imprese non quotate di finanziarsi tramite l’emissione di obbligazioni (solo un soggetto emittente dal 2013). Diverso il discorso delle agevolazioni concesse nell’ambito delle Zone Franche Urbane: con l’istituzione delle nuove ZFU di Cagliari, Iglesias e Quartu Sant’Elena, la Sardegna risulta, infatti, la terza regione italiana per numero di imprese beneficiarie (escludendo le agevolazioni per le imprese del cratere sismico del Centro Italia).

Francesco Porcu

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Nonostante un netto aumento di assunzioni rispetto allo scorso anno, in Sardegna la ripresa prosegue a ritmi più lenti rispetto alla media nazionale e la fiducia delle imprese isolane è ancora molto blanda. E’ quanto si evince da uno studio della Cna Sardegna che analizza le rilevazioni mensili sulle aspettative di assunzione da parte delle aziende sarde effettuate dal sistema informativo Excelsior di Unioncamere. Tali dati – che fotografano in maniera efficace il livello di fiducia del sistema imprenditoriale isolano rispetto all’evoluzione della congiuntura regionale e nazionale – evidenziano che nell’ultimo trimestre le imprese sarde hanno indicato circa 30 mila unità lavorative in ingresso: un risultato positivo che supera abbondantemente le indicazioni fornite un anno fa (22.980 ingressi nello stesso periodo del 2017). In pratica circa il 13,2% delle imprese sarde ha indicato movimenti in entrata di lavoratori, percentuale in crescita rispetto al 12,5% dell’anno passato, eppure il dato sardo è significativamente inferiore rispetto alla media italiana (+14,7%), a testimoniare una ripresa economica regionale meno robusta (un anno fa i due dati erano in perfetto accordo).

La rilevazione trimestrale evidenzia un miglioramento della situazione occupazionale anche relativamente ai dati mensili: rispetto all’anno passato a luglio sono stati registrati nell’isola 4mila posti di lavoro in più, ad agosto 1.400 e a settembre circa 1.500.  

Come detto nell’ultimo trimestre circa il 13,2% delle imprese ha indicato movimenti in entrata di lavoratori, una percentuale in crescita rispetto al 12,5% dell’anno passato. Eppure il dato sardo è significativamente inferiore rispetto al dato medio italiano (14,7% nazionale).

La differenza col dato nazionale va ricercata per lo più nella scarsa fiducia delle imprese di costruzioni e di quelle manifatturiere. Solo il 9,1% delle imprese di costruzioni ha infatti indicato aspettative positive di assunzione contro il 12% registrato al livello nazionale. Appare evidente, dunque, che nonostante le confortanti indicazioni che arrivano da compravendite, credito e attività edilizia, il settore delle costruzioni regionale fatichi ancora ad avviare un nuovo ciclo espansivo in grado di ripristinare parte dell’occupazione persa durante la dura fase di crisi: 20 mila occupati in meno tra 2009 e 2017, un calo del -34%, da confrontare con il -3,8% del totale dell’economia.

Ancora più accentuato è il gap di fiducia che si osserva tra dato regionale e dato nazionale relativo alle assunzioni delle imprese manifatturiere (circa 4 punti percentuali). Tale circostanza si lega in parte alla minore vocazione all’export delle imprese sarde. D’altra parte, rileva l’analisi della Cna Sardegna, sono proprio le aziende più strutturate a mostrare la distanza maggiore con la media nazionale: tra le imprese con più di 250 addetti, infatti, il 53% indica il ricorso a nuove assunzioni tra luglio e settembre, contro il 61% della media nazionale. Tra le aziende sarde più piccole (1-49 addetti) chi assume è solo l’8,2% del totale, a testimonianza di una ripresa del mercato interno ancora stentata.

Altra indicazione interessante proviene dall’analisi del tasso di entrata di dipendenti nelle imprese del settore turistico (numero di assunzioni in rapporto ai dipendenti già presenti in azienda nella media del periodo). Oltre ad indicare una sostanziale tenuta dei livelli occupazionali rispetto al 2017 (anno record per il turismo in Sardegna con oltre 3 milioni di arrivi nelle strutture ricettive), il confronto con l’andamento nazionale dimostra, per l’ennesima volta, la forte stagionalità di cui soffre il turismo regionale: i tassi di ingresso dei lavoratori stagionali sono infatti arrivati al 27% a maggio, al 26% a giugno e al 25% a luglio (in linea con il dato del 2017), contro poco più del 10% che si registra per la media nazionale.

«Nonostante i dati sulle aspettative di assunzione delle imprese indichino un miglioramento del contesto congiunturale – commentano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario nazionale della Cna Sardegna -. La differenza rispetto agli indici di fiducia registrati al livello nazionale rileva come la ripresa in Sardegna prosegua a ritmi inferiori rispetto al resto della Penisola. Il ritardo maggiore si registra nei settori dell’edilizia e del manifatturiero, soprattutto tra le imprese di piccole dimensioni, a testimoniare la necessità di intervenire con più decisione con politiche che possano sostenere il mercato interno. Il settore dei servizi, di contro, mostra indicazioni positive, anche grazie alle performance del settore turistico, che ha beneficiato di una stagione che potrebbe aver confermato gli importanti risultati dell’anno passato. La forte stagionalità, cui si aggiunge una scarsa diversificazione territoriale degli arrivi – concludono Pierpaolo Piras e Francesco Porcu -, continua però a porre un grosso limite alla capacità del settore di impattare sul sistema economico regionale e di farlo in maniera più sostenibile, continuativa e territorialmente omogenea

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Il Selargius ha vinto la fase regionale della 51ª #Coppa Santa Barbara Trofeo Aldo Carboni. Nella finalissima, disputata ieri pomeriggio allo stadio Comunale “Carlo Zoboli” di Carbonia, la squadra di Pierpaolo Piras ha superato l’Oristanese per 3 a 0, con reti di Francesco Porru al 28′ del primo tempo, Riccardo Marongiu e Mattia Cossu rispettivamente al 13′ ed al 22′ del secondo tempo. Al termine della partita sono state effettuate le premiazioni delle due squadre finaliste e di Manuele Porru, centrocampista dell’Oristanese, premiato quale miglior giocatore della finale.

Le formazioni scese in campo al Comunale “Carlo Zoboli”.

ASD Selargius: Ambu, Lintas, Mura Alessio, Squicciarini, Mura Alessandro, Piras, Marongiu, Cossu, Pilloni, Muta Mattia. A disposizione: Matacena, Porru Francesco, Sanna, Puddu, Piludu, Basciu e Pascale. All. Pierpaolo Piras.

ASD Oristanese: Rimawi, Panetto, Atzori Nicola, Sarais, Campus, Girat, Contu, Solinas, Calegari, Porru Manuele, Carta. A disposizione: Atzori Alessandro e Coni. All. Federico Trudu.

Arbitro: Mattia Tidu.

Assistenti: Maurizio Meloni e Francesco Secchi.

Reti: 28′ p.t. Porru Francesco, 13′ s.t. Marongiu, 22′ s.t. Cossu.

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