23 November, 2024
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I Riformatori sardi gioiscono per i risultati delle Amministrative.

«Per i Riformatori sardi un risultato al di là di ogni aspettativa, in tutte le aree dell’Isola – ha detto il coordinatore regionale Pietrino Fois -. Con Selargius (dopo Sestu e Monserrato) ci confermiamo il terzo partito della Città metropolitana e conquistiamo la guida di due importanti comuni (Arzachena e Bari Sardo). Soddisfacente anche il risultato di Oristano e di Valledoria e San Sperate, dove abbiamo dato un contributo importante alla vittoria della coalizione. Un po’ in tutto il territorio eleggiamo nuovi consiglieri. Un grande incoraggiamento a mandare avanti il nostro progetto politico – ha concluso Pietrino Fois – che si consolida e diventa riferimento essenziale in Sardegna, sia a livello locale che regionale.»

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Dopo la presa di posizione del capogruppo del Partito dei Sardi (componente della maggioranza di centrosinistra) Gianfranco Congiu, arriva una dura critica alla maggioranza dal coordinatore regionale dei Riformatori sardi (partito di opposizione) Pietrino Fois, sullo stop imposto dal Consiglio dei ministri alla Finanziaria regionale 2017.

«La Giunta Pigliaru continua a inanellare figuracce istituzionali – attacca Pietrino Fois -. Questa volta è capitato con la manovra Finanziaria, su cui io governo ha fatto ricorso: il presidente non può pensare di togliersi dall’impiccio accusando di il governo di aver ricorso su formalità. Un autorevole professore universitario, quale è il presidente Pigliaru, dovrebbe sapere che la forma è sostanza. Senza considerare che nel contenuto, questa finanziaria non ha prodotto alcun tipo di risultato nei diversi settori produttivi ed occupazionali. Il tempo è scaduto e disgraziatamente per Pigliaru e per fortuna dei sardi – conclude il coordinatore regionale dei Riformatori sardi – questo governo regionale non potrà fare danni e figuracce ancora per molto tempo.»

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I Riformatori sardi tornano all’attacco della Giunta regionale sulla gestione della Sanità pubblica. «Il sistema sanitario isolano è sempre più malato, a oltre cinque mesi di distanza dall’istituzione dell’Ats nulla è cambiato, i costi sono aumentati e i servizi ridotti. E’ ora che la Giunta riferisca in Consiglio. In mattinata abbiamo presentato una mozione – annuncia il consigliere regionale Michele Cossa – chiediamo a Pigliaru di riferire in Aula sulla situazione del sistema sanitario e sugli interventi necessari per invertire la rotta».

«I dati sono catastrofici – aggiunge il coordinatore regionale Pietrino Fois – la sanità oggi si regge grazie alla dedizione di medici e infermieri. Si vive alla giornata senza programmazione e indirizzo». «Ciò che spaventa è l’immobilismo della Giunta – sottolinea il consigliere Luigi Crisponi – il sistema è in difficoltà e non si riesce a individuare la terapia per curarlo. Non si riesce a intervenire nemmeno su questioni specifiche. Nel 2014 il Consiglio ha approvato una legge sull’endometriosi per garantire cure ed esenzioni dai farmaci alle donne colpite dalla malattia. Ad oggi l’assessorato non è riuscito ad approvare le linee guida.»

«La Giunta oltre al peccato originale di considerare troppo esosa la spesa sanitaria, commette anche i peccati di gola, accidia ed ignavia – dice Franco Meloni – si pensava di risolvere tutto con l’istituzione dell’Ats, passaggio da noi stessi auspicato per la centralizzazione degli acquisti e la gestione del personale, ma la realtà è ben diversa. Oggi si pensa a distribuire direzioni generali e di servizio (gola); si trascurano i servizi territoriali con situazioni al di sotto degli standard di un paese civile come in Gallura (ignavia); si riducono i posti letto in alcuni territori senza pensare a servizi alternativi (accidia).»

Secondo Franco Meloni, il costo complessivo della sanità è commisurato alle esigenze geografiche e di distribuzione della popolazione sarda: «3,2 miliardi non sono troppi – afferma Franco Meloni – è vero che si potrebbe rimediare ad alcuni sprechi ma non si può paragonare il sistema sardo a quello delle altre regioni come la Lombardia e l’Emilia dove gli ospedali servono grossi bacini d’utenza a costi inferiori. I soldi vanno spesi bene, garantendo servizi e prestazioni di qualità ».

Sotto la lente d’ingrandimento dei Riformatori sardi, l’iter della riforma della rete ospedaliera. «Serve un pronunciamento del Consiglio senza il quale ogni atto è illegittimo, la riforma è bloccata per le divisioni interne alla maggioranza e per le critiche dell’opposizione – ricorda Franco Meloni – in questi mesi abbiamo assistito allo spostamento e alla chiusura di numerosi servizi. Chi lo ha deciso? La struttura dell’Areu potrebbe funzionare ma nei fatti è ancora un oggetto misterioso. Ancora non è stato nominato il direttore, nella migliore delle ipotesi ci vorrà almeno un altro anno e mezzo perché entri a pieno regime».  

Non meno critico il giudizio sul Mater di Olbia: «Non capiamo ancora perché si è scelto di affidarsi alla Fondazione del Qatar invece di ricorrere a una gara internazionale – ha detto Franco Meloni – l’ospedale doveva aprire nel 2016 ma, salvo ulteriori sorprese, aprirà a fine 2018».

Una situazione complessiva disastrosa, secondo i Riformatori sardi, un quadro allarmante che impone un dibattito in Aula. «Il Consiglio regionale ha il dovere di affrontare il tema – conclude il capogruppo Attilio Dedoni – c’è necessità di un ampio dibattito. L’Assemblea deve inoltre pronunciarsi sul futuro della Commissione d’inchiesta sui costi della sanità da me presieduta. La politica ha il dovere di dire se deve continuare la sua indagine o se invece deve fermarsi».

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«Il presidente Francesco Pigliaru e l’assessore della Programmazione Raffaele Paci continuano ad inviare dossier ai ministri dell’economia per contestare l’impennata degli accantonamenti, da noi denunciata da tempo e a più riprese. Ma il governo fa regolarmente carta straccia di questi dossier. Ed è la Sardegna che paradossalmente finanzia il fondo nazionale della sanità che a sua volta ripiana le passività delle Asl delle regioni a statuto ordinario.»

Lo scrive in una nota Pietrino Fois, coordinatore regionale dei Riformatori sardi.

«I dati degli accantonamenti sono questi: nel 2014 abbiamo dato allo Stato 578 milioni, nel 2015 681, nel 2016 684. Per il 2017 – conclude Pietrino Fois – lo Stato da noi ne vuole 781: una beffa!!!»

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I Riformatori sardi hanno tenuto stamane una conferenza stampa, nel Palazzo del Consiglio regionale, per denunciare i tempi lunghissimi delle liste d’attesa nel sistema sanitario pubblico della Sardegna. 

Un anno e mezzo per una mammografia all’Ospedale Businco di Cagliari, un anno per una colonscopia al SS. Trinità, quasi nove mesi per una visita cardiologica al Sirai di Carbonia e per una ginecologica a Olbia, otto per un consulto oculistico a Bono. Sono i casi più eclatanti estratti dalle liste d’attesa delle Asl sarde e denunciati questa mattina dai Riformatori sardi.

«In Sardegna i tempi di attesa per una visita specialistica sono di circa 4 mesi contro i 30 indicati dal Piano nazionale – ha detto il coordinatore regionale dei Riformatori Pietrino Fois – tutto questo accade nonostante la Regione destini il 60% del suo bilancio alla copertura delle spese del sistema sanitario.»

«Una situazione che va contro il Codice del Consumo che impone alle amministrazione pubbliche di rispettare precisi standard di qualità nell’erogazione dei servizi sanitari – ha aggiunto il presidente del partito Roberto Frongia – i cittadini hanno diritto a ricevere prestazioni adeguate. In Sardegna purtroppo questo non accade, la disorganizzazione è palese.»

Diverse le cause che influiscono sull’allungamento delle liste d’attesa secondo il deputato Pierpaolo Vargiu, componente della Commissione sanità della Camera: «In Sardegna sono ancora pochi gli investimenti in nuove tecnologie, indispensabili per adeguare l’offerta e monitorare l’appropriatezza delle prestazioni – ha detto Pierpaolo Vargiu – spesso i macchinari sono obsoleti e la classificazione delle prestazioni è fuori controllo. Altra questione riguarda le risorse umane: anche in questo caso servono investimenti per la formazione del personale medico. Una soluzione potrebbe essere rappresentata dal potenziamento dei servizi territoriali e della medicina 2.0 per la gestione dei pazienti da “remoto” – ha aggiunto Vargiu – i malati cronici devono essere intercettati prima che vadano ad intasare le liste d’attesa, altri potrebbero essere gestiti in modo semplice e rapido con l’utilizzo delle nuove tecnologie».

Le informazioni sulle liste d’attesa – hanno spiegato gli esponenti dei Riformatori sardi – sono stati estrapolate dai siti delle Asl sarde. «Si tratta di dati ufficiali – ha detto Attilio Dedoni, consigliere regionale e presidente della Commissione d’inchiesta sui costi della Sanità – il nuovo manager dell’Ats Fulvio Moirano sembra essere interessato ad altro. Preoccupa il fatto che le lungaggini riguardino anche gravi patologie, non c’è una Asl che si salvi. E’ una questione sulla quale si deve intervenire con urgenza, la politica ha il dovere di correggere se stessa senza aspettare che arrivi la magistratura».

Secondo i Riformatori sardi, la Sardegna dovrebbe guardare con attenzione alle pratiche virtuose di altre regioni italiane come l’Emilia Romagna che ha adottato soluzioni molto positive per la riduzione delle liste d’attesa. «Oggi è in via di definizione il nuovo Piano nazionale per la gestione delle liste d’attesa, alcune regioni hanno già approvato i loro piani, la Sardegna è invece in ritardo. Eppure – ha concluso Pierpaolo Vargiu – la nostra spesa sanitaria continua a crescere: secondo un recente studio dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Roma la spesa media pro capite della nostra Regione è di 2062 euro contro i 1838 della media nazionale».

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I Riformatori sardi hanno presentato una proposta di legge per incentivare i “turisti residenti” e fare della Sardegna la Florida d’Europa, concedendo sgravi fiscali ai pensionati che scelgono di soggiornare nell’Isola per almeno nove mesi l’anno. È l’obiettivo della proposta di legge dei Riformatori sardi (inserita nel pacchetto delle misure fiscali denominato “Sardegna no tax”) che è stata illustrata questa mattina in conferenza stampa, oltreché dal capogruppo in Consiglio, Attilio Dedoni, dal segretario del partito, Pietrino Fois, dal presidente, Roberto Frongia, e dal responsabile dell’ufficio studi, Franco Meloni.

«Nei giorni in cui si discute la “finanziaria-stipendificio” del centrosinistra, affermiamo che alla Sardegna serve qualcosa di straordinario per rilanciare economia e sviluppo – ha dichiarato Pietrino Fois – e la nostra proposta lo è perché consente di incrementare il gettito fiscale e di creare una serie di opportunità per il lavoro e i redditi».

«Nel “bilancio fuori dal mondo” che si discute in Aula – ha aggiunto Attilio Dedoni – più della metà delle risorse  sono destinate a spese fisse (sanità, stipendi e agenzie) e non ci sono fondi per programmare lo sviluppo della Sardegna». «Servono maggiori entrate – ha proseguito il capogruppo – e con la nostra proposta le otteniamo favorendo la crescita del settore chiave per la nostra economia: il turismo».

«In sostanza – ha spiegato Franco Meloni – a tutti i pensionati che decidono di spostare la loro residenza in Sardegna, la Regione riconosce il rimborso Irpef pari alla metà delle tasse pagate e il beneficio aumenta fino al 60% se si sceglie di risiedere in un paese con meno di duemila abitanti.»

Per comprendere i vantaggi che ne deriverebbero alla Sardegna è stato ipotizzato il caso di un pensionato con 40mila euro lordi di pensione/anno. Sulla base degli scaglioni fiscali in vigore pagherebbe di Irpef circa 12mila euro/anno: 8.400 euro finirebbero nelle casse della Regione, in applicazione di quanto disposto dall’articolo 8 dello Statuto di Autonomia che stabilisce che la quota di compartecipazione regionale per i tributi sia pari ai 7 decimi Irpef e 9 decimi dell’Iva.

Verrebbe dunque restituita al “turista residente” la somma di 4.200 euro di Irpef, mentre le altre 4.200 euro resterebbero alla Regione che introiterebbe anche i 9 decimi dell’Iva sulle spese effettuate nel territorio regionale («stimando che si spenda l’80% della pensione rimanente dopo le tasse, circa 23mila euro, si incasserebbero  in media 4mila euro dall’Iva»).

In sintesi, un pensionato con 40mila euro lordi che sceglie di risiedere in Sardegna per nove mesi l’anno, in applicazione delle norme proposte dai Riformatori sardi, godrebbe di un sostanzioso sgravio fiscale e nel contempo genererebbe un incremento delle entrate fiscali della Sardegna pari almeno a 12mila euro l’anno.

«Ipotizziamo che centomila pensionati potrebbero scegliere la Sardegna invece del Portogallo o la Tunisia, dove già vigono queste forme di incentivo – ha spiegato ancora Meloni – e così il Pil sardo farebbe un balzo di almeno l’8% annuo (circa due miliardi di euro in più)».

I Riformatori sardi auspicano che la proposta possa registrare l’attenzione della maggioranza: «Ma non ci facciamo troppo affidamento anche se l’unica buona riforma che hanno fatto, quella della Asl unica, è nata da una nostra idea».

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La battaglia per le accise, che valgono un miliardo di euro l’anno, riprende. I Riformatori sardi hanno deciso di presentare ricorso all’Alta Corte europea per sanzionare il governo italiano che ha bloccato la norma sulle accise votata dal Consiglio regionale all’unanimità. Lo hanno annunciano  oggi il coordinatore regionale e il presidente del partito, Pietrino Fois e Roberto Frongia.

«L’articolo 8, comma 1, lettera d, e ancor più il comma 2, dello Statuto Speciale della Regione Autonoma della Sardegna, costituisce un grande risultato storico per la nostra Regione, riferito all’esito finale della lunga iniziativa politica regionale denominata “Vertenza sulle Entrate”, con la quale lo Stato riconobbe, con l’approvazione del comma 834 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, a favore della Sardegna, tra le altre partite di entrate elencate dal citato articolo 8, anche la compartecipazione, nella misura dei 9/10 delle imposte di fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percette nel territorio della regione  e non solo ma anche quelle, sebbene riferite a fattispecie tributarie maturate nell’ambito regionale e che affluiscono, in attuazione di disposizioni legislative o per esigenze amministrative ad uffici finanziari situati fuori del territorio della regione.

La questione di fondo è che la compartecipazione sulle accise, in quanto imposta di fabbricazione maturate nell’ambito regionale, gravanti sui prodotti petroliferi “fabbricati” in Sardegna, la cui entità è dell’ordine di alcuni miliardi di euro, non viene riconosciuta a favore della nostra regione.

Fa più comodo, infatti,  allo STATO CENTRALE, interpretare, con una forzatura giuridica fantasiosa, che le accise siano delle imposte di consumo e che quindi la compartecipazione debba essere riconosciuta limitatamente alle “accise” riferite ai consumi avvenuti nell’ambito del territorio regionale.

Il paradosso che si crea è che così lo STATO non risparmia niente ma le compartecipazioni che dovrebbero essere versate ai sardi vengano invece riconosciute alle regioni italiane nelle quali i prodotti petroliferi fabbricati nella nostra isola vengono invece consumati.   

E’ indiscutibile che le accise siano delle “imposte di fabbricazione”, e stupisce come, pur di voler sottrarre alla Sardegna una parte rilevante delle entrate dovuteci, si trovino mille argomentazioni, tutte senza alcun fondamento giuridico,  per sostenere che le accise non sono delle imposte di fabbricazione ma imposte di consumo. Ma stupisce ancora di più quando chi dovrebbe in prima fila difendere le nostre prerogative statutarie, in funzione del proprio ruolo di governo regionale, si prostra alla volontà dello Stato Centrale, allineandosi su interpretazioni artificiosamente create per non riconoscere quanto ci debba essere dato.

1) Basterebbe considerare che il prezzo finale che il consumatore paga sui prodotti petroliferi è gravato dall’IVA (che viene quindi calcolata anche sulle accise) per dimostrare che, non potendo in alcun modo esistere l’imposta su un’imposta,  è fin troppo evidente che le accise siano a tutti gli effetti un’imposta di fabbricazione e non imposte sul consumo, ma che quindi concorrono  a comporre il costo complessivo del prodotto, insieme agli altri costi di produzione, legittimandolo come imponibile per il calcolo dell’IVA. Se invece fosse un imposta di consumo lo STATO commetterebbe un palese illecito nei confronti dei cittadini, applicando illogicamente un’imposta su un’imposta.

2) Un’altra considerazione è derivata dalla organizzazione effettiva sull’imposizione e riscossione delle accise: il prodotto finito, prima di uscire dalla fabbrica, viene monitorato e misurato dall’Ufficio delle Entrate, che provvede ad emettere delle note di addebito dell’imposta nei confronti dell’azienda produttrice e nel contempo, emette un provvedimento di “sospensione temporaneo del gravame tributario” finalizzato al trasferimento del prodotto in “depositi fiscali” localizzati, guarda caso strano, fuori dalla Sardegna (lungo le coste tirreniche e adriatiche). Una traslazione nel tempo dell’imposizione fiscale che non muta però il soggetto sul quale grava il debito tributario.

3) Il riconoscimento della compartecipazione sulle accise a favore della Regione Sardegna, come imposta di fabbricazione, nella misura dei 9/10, è opportuno ricordare che lo STATO intendeva riconoscere alla nostra regione una sorta di “prezzo di compensazione” per l’immenso danno ambientale creato dallo stabilimento di fabbricazione e lavorazione dei prodotti petroliferi, localizzata in un punto incantevole delle nostre coste, a vocazione turistica, al centro dell’area metropolitana di Cagliari, sulla quale insiste una presenza di oltre 500mila abitanti.

La partita in gioco per la Regione Sardegna è molto elevata e i Riformatori sardi l’hanno sempre denunciata e indicata anche nel suo valore presunto se pur approssimato per difetto.

Occorre infatti considerare che in Sardegna si produce attualmente circa il 20% dell’intera produzione nazionale di prodotti petroliferi gravati da accise e destinati al consumo interno, che pertanto genera  circa 1/5 delle entrate misurate nel Bilancio dello Stato per accise +IVA sulle accise, che complessivamente ammontano annualmente  a circa 30 miliardi di euro.

Ricordando che la compartecipazione riconosciuta sulle entrate regionali sull’IVA è nella misura dei 9/10 di quella percetta sui consumi registrati nel territorio regionale (lettera f del comma 1 dell’articolo 8 dello Statuto) diventa immediato calcolare che a fronte dei soli 450 milioni di euro che ci vengono corrisposti annualmente come compartecipazione sulle accise, la regione Sardegna ha un credito annuale verso lo STATO di ben oltre 3 miliardi di euro ogni anno.

Questo spiega perché lo Stato su questo fronte sia completamente sordo alle richieste dei sardi e nel contempo si prenda beffa di noi dal momento che, come se giocasse al gioco delle tre carte , va a sostenere  quando gli fa comodo esattamente la validità della tesi opposta.

Con l’approvazione del comma 1 dell’articolo 1 della L.R. n. 7 del 21 gennaio 2014, 2014 , con la quale veniva approvata la Finanziaria ed il Bilancio di previsione per l’anno 2014, la volontà unanime del Consiglio Regionale Bilancio Regionale, fu quella di mettere in mora lo STATO richiedendo quanto ci era dovuto, in una misura se pur forfettaria annuale di 1 miliardo di euro.

Si registrò in quei giorni politicamente un momento di grande spessore autonomistico della nostra potestà legislativa.

La reazione dello Stato non si fece attendere ed il 27 marzo del 2014, forse anche fuori dai termini di ammissibilità, depositò un ricorso presso la Corte Costituzionale richiedendo la dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 1, comma 1, della nostra Legge Regionale 7/2014.  

Questa straordinaria ed esaltante volontà unanime del nostro consiglio Regionale è stata poi incomprensibilmente e dolosamente dimenticata dall’attuale governo regionale, che di fronte al ricorso dello STATO contro questo disposto normativo, ha preferito, prostrandosi supinamente alla volontà dello Stato Centrale e mortificando quindi non solo la volontà di tutti i sardi ma anche la nostra Autonomia Statutaria, la cui forza era contenuta nel dettato dell’articolo 8, non costituendosi nel giudizio e rinunciando a portare le proprie fortissime ragioni del fondamento dei nostri diritti statutari di fronte alla Corte Costituzionale.

I Riformatori Sardi sono convinti che questa inerzia del governo regionale costituisca in ogni caso un gravissimo atto di tradimento alla nostra Autonomia e che non poteva optare di non scendere in campo per giocare una “partita” così importante per le Entrate regionali.

Oggi parrebbe, a distanza di tre anni, che i lamenti di questo governo regionale contengano anche un non velato pentimento per aver consumato un atto di tanta viltà nei confronti di tutti i sardi».

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«Il problema delle entrate lo si può risolvere facilmente: rimettendo al centro la battaglia sulle accise, che la Giunta Pigliaru ha deciso di abbandonare e che ci avrebbe consentito di incassare un miliardo di euro. Una battaglia che aveva visto tutte le forze politiche unite nella scorsa legislatura. Ecco al presidente della commissione Bilancio, Franco Sabatini, proponiamo di riprendere in mano quella battaglia: incassare le accise dei prodotti petroliferi realizzati in Sardegna è un nostro diritto. Del resto, il Governo nazionale per il terzo anno consecutivo ha accantonato 460 milioni di euro di soldi dei sardi, con la promessa di restituirli. Ovviamente si guarda bene dal darceli».

Lo scrive il coordinatore regionale dei Riformatori, Pietrino Fois, in una lettera appello al presidente della commissione Bilancio del Consiglio regionale.

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«La Sardegna è allo sbando e le imprese continuano a chiudere: non solo perché la situazione economica è pessima ma anche perché Regione ed enti pubblici non pagano i fornitori. Tantissime aziende sono costrette ad sbarrare la serranda nonostante i crediti che vantano con il pubblico». Lo dice il coordinatore regionale dei Riformatori sardi, Pietrino Fois.

«Anche gli ultimi dati Istat confermano che in Sardegna sono stati battuti tutti i record negativi – aggiunge Pietrino Fois – abbiamo il più alto tasso di disoccupazione giovanile, il maggior numero di senza lavoro mai registrato, il più alto indice di abbandono scolastico. Per non parlare della sanità. In tutto questo il centrosinistra abbandona la nave e non approva neppure l’esercizio provvisorio per mancanza del numero legale. Bisogna tornare al voto subito, prima che sia troppo tardi per la Sardegna.»

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«La Finanziaria è al palo, la Sardegna è bloccata, la disoccupazione corre: è arrivato il momento di dire basta. Il Consiglio discuta rapidamente la manovra per dare almeno qualche risposta ai sardi. L’esperienza di questa Giunta fallimentare per la Sardegna deve concludersi al più presto». Lo dice il coordinatore regionale dei Riformatori sardi, Pietrino Fois.

«Auguriamo al presidente di riprendersi presto – conclude Pietrino Fois – ma crediamo che il Consiglio regionale debba immediatamente mettere mano ai documenti di bilancio: la Sardegna non può attendere ulteriormente risposte che il centrosinistra in questi due anni e mezzo di governo non è stato in grado di dare per incapacità a governare e per scelte suicide.»