24 November, 2024
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Nel loro gergo i broker chiamano “anatra zoppa” i titoli quotati in Borsa non appetibili per gli investitori ed i giornalisti americani indicano con questa immagine figurata il Presidente degli Stati Uniti costretto a “volare basso” quando perde la maggioranza in Parlamento alle elezioni di Midterm. Gli appassionati di “bird watching” sanno che quando un’anatra perde l’uso di una zampa non riesce a spiccare il volo dalle acque dello stagno. Come descrivono gli osservatori l’uccello, nel momento in cui si appresta a decollare, inizia a correre sull’acqua con i suoi piedi palmati e, una volta aumentata la portanza delle ali, con la spinta di quella corsa convulsa, riesce a staccarsi dall’acqua e librarsi in volo.

Se l’anatra fosse zoppa non potrebbe decollare, con il solo battito delle ali, riuscirebbe solo a bagnarsi di più, col risultato di appesantirsi ed affondare. L’anatra zoppa non può sopravvivere.

La ASL di Carbonia, con i suoi ospedali di Iglesias e Carbonia è un’anatra zoppa da almeno 20 anni.

E’ un’immagine triste.

E’ la stessa tristezza che prende il viaggiatore che, di notte, tornando in auto da Cagliari verso Iglesias e Carbonia vede la strada impoverirsi, progressivamente, di luci e di indicazioni man mano che si allontana dal capoluogo. Appena usciti dal circondario di Cagliari, che ha una esagerata rete stradale illuminata come un Luna Park da una straordinaria ricchezza di fari, da cartelli indicatori, da guard rail con catarifrangenti, e si entra nel nostro territorio, si assiste alla trasformazione progressiva delle strade: si rarefanno sia i cartelli indicatori che le luci stradali poi, anche quel poco che rimane di indicazione dei bordi stradali, una volta arrivati all’altezza di Villamassargia, scompare e si entra nel buio totale. Dopo Villamassargia la strada è talmente buia d’avere la sensazione di cadere in un abisso. Si riesce appena a riconoscere la carreggiata seguendo da vicino le macchine che procedono in fila indiana, nella speranza che la prima della colonna abbia individuato, facendo da scout, il sentiero giusto. Quella strada, privata dei sistemi di sicurezza luminosi, è la metafora dei rapporti di ricchezza tra il capoluogo e la provincia.

Dopo esserne uscito, tiri un sospiro di sollievo e puoi immaginare l’apprensione dell’anatra zoppa che non riesce a staccarsi dall’acqua, libera di volare in un cielo più sicuro.

Si ha la stessa sensazione di incertezza leggendo il Piano sanitario Regionale del 2017, e quello già approvato dalla Giunta per il triennio 2022-2024. Nella premessa c’è scritto che la popolazione della città di Cagliari è quasi 5 volte la popolazione della provincia del Sulcis Iglesiente. Alla nostra Asl, con i suoi circa 120mila abitanti e 3 Ospedali, il Piano destina 313 posti letto, pari a 2,4 posti letto per 1.000 abitanti. In altri tempi, quando i nostri Ospedali erano tutti operativi, avevamo 700 posti letto. Oggi il Piano destina agli Ospedali cagliaritani un numero di circa 2.600 posti letto, che equivalgono a 4,5 posti letto per 1.000 abitanti. La logica matematica, che è l’unico parametro capace di definire il principio di Universalità, di Uguaglianza e di Equità, declamati dalle leggi, non è propriamente rispettata.

Anche ammesso che Cagliari abbia bisogno di un numero di posti letto maggiore per l’Università, e per i Servizi sanitari di rango regionale, come la Cardiochirurgia, la Neurochirurgia, la Chirurgia Vascolare e Toracica, la chirurgia plastica, il centro grandi ustionati, il centro trapianti (che in tutto necessitano di circa 150 posti letto), non si capisce come si giustifichino i 1.000 posti letto in più che le sono stati assegnati rispetto ai numeri attesi. Certamente c’è da capire la esigenza delle case di Cura Private, e questo non si discute, ma c’è anche da capire l’esigenza di servizi sanitari che dovrebbero essere proporzionali alla popolazione del nostro territorio.

La ridondanza di ricchezza Ospedaliera del Cagliaritano, confrontata alla nostra povertà sanitaria, assomiglia molto all’esiguità della nostra scarna rete stradale. Non si tratta solo di povertà di posti letto; si tratta anche della proporzionale diminuzione di posti di lavoro in campo sanitario, ricollocati in altre sedi, con una perdita mensile di molti milioni di euro a danno della nostra rete commerciale.

Bisogna prenderne atto: la Sanità del Sulcis Iglesiente è già debole da molto tempo e corre il rischio di non sostenere lo sforzo per decollare. Le scelte da fare oggi sono vitali; esse devono riparare le falle strutturali rimaste aperte e ci servono più che mai il buon senso e l’unità.

Attualmente i nostri Distretti sanitari sono impegnati ad approvare il Nuovo Piano del Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente in cui il pezzo forte è rappresentato dagli Ospedali esistenti. La riorganizzazione della sanità territoriale è per ora un progetto, invece sugli Ospedali si devono prendere, oggi stesso, decisioni concrete. Non si può sbagliare. La pena di un eventuale errore sarà, come è stato scritto dai giornali, il fallimento. Il piatto da dividere è povero e vi è il pericolo che si scateni una competizione fra poveri.

Sono già nate incomprensioni e si leggono, sui quotidiani, surreali vicendevoli accuse di campanilismo.

E’ un’accusa infondata e fa perdere di vista le vere cause.

Tale atteggiamento è da archiviare subito.

Invece, dobbiamo riconoscere che la sanità non appartiene a nessuno dei distretti ma ai 125mila abitanti del Sulcis Iglesiente. Esattamente appartiene a 23 Comuni della provincia. 23 comuni sono una forza contrattuale importante, per peso elettorale, meritevole di molto rispetto. Si dovrebbe sommessamente riconoscere che anche questi 23 Comuni sono parimenti responsabili per mancato controllo di quanto avveniva sui tavoli dove si suddividevano i fondi del Piano sanitario Regionale, sia durante le precedenti Amministrazioni sia durante l’attuale.

Ciò premesso, la solidarietà impone che si approvino senza alcun dubbio tutte le richieste avanzate sia dal Distretto di Iglesias che dai Distretti di Carbonia e delle Isole. Richieste che appaiono fra loro compatibili e complementari.

Ora c’è da chiedersi: i nostri Ospedali riusciranno a far funzionare bene tutte le Unità Operative richieste? La risposta dipende dall’entità dei finanziamenti, dal numero dei posti letto messi a disposizione, dal personale che potrà essere assunto e anche dalle reali richieste avanzate dall’utenza. Se vi sarà un eccesso di richiesta sanitaria da parte della popolazione rispetto alla possibilità di offerta, si andrà incontro al fallimento, e i cittadini continueranno ad andare a Cagliari per ottenere le cure. In caso contrario, se vi sarà poca richiesta di certi servizi, le Unità Operative che resteranno sottoutilizzate e non garantiranno la produttività prevista dalla legge, verranno cassate dal piano di Ferruccio Fazio del 2010 e dalla legge del 2012 del Ministro Renato Balduzzi. Se non bastassero quelle leggi, le Unità operative inefficienti verranno chiuse in esecuzione del DM 70/ 2015 di Beatrice Lorenzin. Ne consegue che non ci conviene assolutamente fare programmi impossibili da rispettare. Se andassimo fuori dalle previsioni di produttività imposte dalle leggi rischieremmo di predisporci a diventare anatre zoppe per errore di valutazione. In previsione di questa evenienza il Piano Regionale già dispone che i posti letto delle Unità Operative soppresse debbano essere trasferiti nella ASL più vicina, che ne diverrà la titolare definitiva. Ci troveremmo nella condizione del vecchio adagio per cui “fra due litiganti il terzo gode”.

Esistono anche altri aspetti a cui prestare attenzione. Prendiamo il caso del Sirai che deve assolutamente essere adeguato all’aumento di richiesta dalla parte dell’utenza. Questo Ospedale è destinato alle Urgenze ed Emergenze per tutt’e tre i Distretti: quello del Sulcis, quello delle Isole, e quello dell’Iglesiente. Tutte le Unità operative dovranno obbligatoriamente essere sufficienti per soddisfare le richieste di trattamenti in urgenza tutti i giorni, 24 ore su 24, senza interruzioni durante l’anno né per le feste, né per le ferie, né per le epidemie.

L’organizzazione che stiamo dando a questo Ospedale è adeguata alle richieste di tutto il territorio?

I reparti d’urgenza hanno il numero di posti letto sufficiente ad accogliere tutti i richiedenti?

Sono stati predisposti i Servizi Specialistici che devono fisicamente affiancarsi alle Unità Operative?

Il Personale Medico ed Infermieristico è sufficiente per coprire i turni, in presenza, sia del mattino, che della sera, che della notte, compresi i festivi? è necessario che tutti i cittadini entrino in sintonia con questi problemi perché se non li risolviamo adesso avremo tutti da soffrirne, prima o poi.

Per entrare nell’emozione del dramma che accompagna tutte le emergenze, fatta di ansia, di solitudine e di speranze destinate spesso ad essere disattese, senza distinzione di censo, di genere, o d’età, racconto un episodio. Un paziente di rango politico rilevante ebbe un ittero ostruttivo gravissimo; di quel tipo che porta a morte in poco tempo. L’ittero, come è noto, è quel colore giallo della pelle che compare a causa della ostruzione della via biliare, il canalicolo che porta la bile dal fegato all’intestino. Se il canalicolo non viene disostruito il paziente muore. Per fortuna può essere disostruito con una procedura endoscopica inserendovi un tubino che si chiama stent. Il paziente si rivolse a Carbonia ma non trovò quel servizio in funzione, poi andò ad Iglesias ma non venne accolto. I nostri Servizi erano deficitari ed incapaci di prendersi cura di lui. Allora chiese l’intervento di un suo amico che in quel tempo era a capo di una struttura ospedaliero-universitaria di Cagliari. Attraverso quell’interessamento trovò un posto nell’Ospedale di San Gavino Monreale. Là venne trattato e, in pochi, giorni tornò a casa in buone condizioni. Quel che ho descritto successe ad un uomo conosciuto e importante. Se fosse capitato ad un cittadino comune del Basso Sulcis, o di Carloforte, o di Buggerru, senza conoscenze in alto loco, coma sarebbe finita? Non lo so. Certamente avrebbe avuto ancora più difficoltà ed una sorte molto diversa.

In passato il problema dell’ittero ostruttivo sarebbe stato risolto subito, e bene, in casa nostra.

Debbo dire che nella Chirurgia Generale di Carbonia esisteva una Endoscopia digestiva di livello avanzato che per 20 anni eseguì tali procedure, ad ogni ora del giorno e della notte, salvando molte vite.

Non si limitava solo a questo. Con grande frequenza quei bravi colleghi trattavano pazienti emorragici che perdevano sangue in quantità inimmaginabili da varici esofagee rotte o da ulcere o da cancri dello stomaco; riuscivano a fermare l’emorragia con le procedure endoscopiche e spesso li salvavano.

Oggi, questo servizio non esiste più. Tuttavia può essere ricostituito immediatamente e reso operativo all’interno della Chirurgia Generale d’Urgenza che si organizzerà al Sirai.

E’ immaginabile l’esistenza di un Ospedale d’Urgenza che non può disostruire una via biliare ostruita o non può fermare un’emorragia irrefrenabile del tubo digerente? Assolutamente no.

Un Ospedale così sarebbe un’anatra zoppa e finirebbe la sua corsa prima di iniziarla.

Perdere la vocazione ospedaliera delle città di Carbonia e Iglesias sarebbe grave: metterebbe ancora di più i nostri malati nelle condizioni umilianti ed impietose di chi soffre e viene rifiutato.

E’ necessario proteggere subito il territorio dal pericolo di perdere altra sanità.

Questi nostri ospedali potrebbero risalire ad alta quota se, senza indugio, si dovessero soddisfare tutte le richieste avanzate dai Sindaci dei 23 Comuni, ad una condizione imprescindibile: che si proceda immediatamente alla definizione di un atto che descriva con precisione numerica la dotazione degli Organici del Personale dei vari Servizi. Senza tale atto, che deliberi l’assunzione immediata di tutto il Personale che serve, la riforma degli Ospedali è solo “chiacchiera”. Ciò che sta succedendo alla Dialisi del Sirai, ne è un monito. Dopo la Dialisi, come birilli, cadrebbero anche tutti gli altri reparti.

E’ un momento cruciale e dobbiamo stare uniti.

E’ necessario che i Politici guardino al Sulcis Iglesiente come ad un’unica entità indivisibile e solidale.

In tal modo, forse, eviteremo che altri reparti ospedalieri vengano chiusi ed i loro posti letto (ed i proporzionali posti di lavoro che assicureremmo per il Personale) trasferiti in altre città, distanti poche decine di chilometri.

I Sindaci chiedono ogni giorno, per la nostra Sanità, servizi concreti come:

– I “Pronto soccorso” funzionanti

– L’azzeramento delle “liste d’attesa”

– Ospedali attivi e con posti letto sufficienti

– Medici di base presenti “qui e subito”.

Fino ad ora le risposte dei Governanti sono apparse irrealizzabili, con un linguaggio burocratico poco accessibile, basate su schemi di progetti-tipo, come:

– Reti ospedaliere.

– Reti territoriali.

– Allegati vari.

Siamo nella nebbia.

Finalmente, in questa nebbia fitta, si vede una tenue indicazione che ha dell’incredibile: nell’ultima legge di riforma, che si chiama “DM 77”, nell’introduzione dell’allegato “1” viene riportato in auge il principio su cui si basò la Grande Riforma sanitaria 833/78 di Tina Anselmi.

Per intenderci, è quella Riforma che assicurava l’assistenza sanitaria gratuita a tutti “dalla culla alla tomba”. Quella Riforma fu un successo perché funzionò. E qui sta il mistero: perché funzionò?

Funzionò perché si pensò di affidare la concretizzazione del Piano sanitario nazionale ai sindaci dei vari territori. I Sindaci divennero Presidenti delle ASL e dei Comitati di gestione; i consiglieri comunali divennero componenti delle Assemblee generali delle ASL. Cosa fecero per rendere concreto il disegno della nuova Sanità? Utilizzarono i soldi del Fondo sanitario nazionale, suddivisi equamente fra tutte le ASL, per raggiungere gli obiettivi della legge di riforma. Vennero costruiti nuovi ospedali e nuovi reparti specialistici usando il buon senso: puntarono tutto sui professionisti strategici che avrebbero trainato il sistema sanitario nel futuro. Così ogni ASL cercò di accaparrarsi i primari migliori e gli specialisti più motivati e più capaci; vennero assunti contabili eccellenti e furono istituite scuole per la formazione di infermieri.

La strategia contenuta nella legge prevedeva che il Direttore sanitario potesse essere eletto fra i primari dei reparti; ad eleggerlo erano i rappresentanti dei medici, degli infermieri e dei tecnici. Ne conseguiva che il Direttore sanitario era un vero leader. La sua autorevolezza era indiscussa; l’obbedienza era certa; il controllo che esercitava era potente e ben accetto. Tutti sostenevano lo scopo del Direttore sanitario che era quello di far funzionare bene l’Ospedale. Il Direttore sanitario aveva lo scopo di soddisfare i desiderata del Presidente e del Comitato di gestione che provenivano dalle istanze democratiche della popolazione.

Questa fu la strategia.

Poi la legge 833/78 venne affondata dal ministro Francesco De Lorenzo nel 1992 e dal ministro Rosy Bindi nel 1995-1999. Questi due ministri trasformarono la ASL da aziende di Diritto pubblico in Aziende di Diritto privato. Le Aziende sanitarie privatizzate cambiarono la”mission” della legge 833 . Quella legge era basata sulla “solidarietà” che si esprimeva nell’idea di “dare il servizio sanitario secondo tre principi fondamentali: universalità, uguaglianza, equità”. Con le nuove Aziende pubbliche di Diritto privato la nuova mission fu: la “contabilità”.

La sostituzione della solidarietà con la contabilità finanziaria comportò un’altra sostituzione: i sindaci ed i primari vennero espulsi dalla funzione di controllo e di direzione del Sistema sanitario nazionale e al loro posto vennero nominati i “manager”, apolitici.

Lo scopo era quello di passare da una “costosa” amministrazione pubblica ad una (supposta) “meno costosa” amministrazione privata. Si voleva estendere all’Italia intera la riforma sanitaria della regione Lombardia che negli anni ’90 aveva affidato la cura della popolazione al sistema delle Case di cura.

Però, c’è un “però”. Mentre il padrone della Casa di cura privata produce Sanità a pagamento per trarne un utile, e per avere questo utile deve trasformare i cittadini-pazienti in suoi “clienti” attraendoli con servizi efficienti, i manager pubblici, che non hanno gli interessi di un padrone di clinica, hanno un solo fine: ottenere l’equilibrio di bilancio, anche a costo di ricorrere alla riduzione della spesa. La richiesta di spendere poco in Sanità divenne esplicita col governo Berlusconi del 2003 che con legge vietò nuove assunzioni negli ospedali, impose il blocco dei turn-over di chi andava in pensione e la riduzione dello 0,4% annuo della spesa sanitaria. Il risparmio della spesa sanitaria venne attenuto riducendo: il personale, l’acquisto di farmaci e l’aggiornamento tecnologico e strutturale.

In quegli anni la Sanità privata migliorava se stessa assumendo i migliori specialisti ed acquisendo le migliori tecnologie. Con ciò diventava l’oggetto del desiderio dei pazienti, mentre la Sanità pubblica diventava sempre più grigia, professionalmente e strutturalmente.

Maturò nella mentalità collettiva un effetto respingente della Sanità pubblica. Così, mentre la Sanità privata faceva un balzo in avanti, quella pubblica faceva molti passi indietro. Nel 2012 vi fu un potente salto all’indietro con ministro della Salute Renato Balduzzi, essendo presidente del Consiglio Mario Monti. In quell’anno, quel ministro emanò un decreto con cui imponeva la drastica riduzione dei posti letto ospedalieri a 2,7 posti letto per 1.000 abitanti. Tutti i manager si precipitarono al taglio dei posti letto, alla chiusura di reparti specialistici e di Ospedali.

Nell’anno 2015 venne emanato il DM 70 che è una legge di Riforma della rete ospedaliera voluta dalla ministra Beatrice Lorenzin ed approvata dal Governo di Matteo Renzi. Quella legge pose condizioni capestro ai piccoli Ospedali che non avessero raggiunto un certo numero di procedure chirurgiche e di alte indagini specialistiche, senza curarsi di verificare se i risultati fossero stati indotti dal declassamento delle strutture ospedaliere, impoverite dalle leggi di risparmio emanate dai Governi precedenti. Dato che i piccoli ospedali sono nelle province ed i grandi ospedali, con i loro grandi numeri, sono nelle città capoluogo, ne consegue che gli Ospedali territoriali (provinciali) vennero ulteriormente ridotti e messi nelle condizioni di chiudere, mentre i grandi ospedali dei capoluoghi crebbero ulteriormente in dimensioni e ricchezza.

In queste condizioni di depauperamento la nostra rete ospedaliera nazionale e la Sanità territoriale sono giunte ad affrontare lo tsunami dell’epidemia di Covid-19 del 2020. Il risultato è stato disastroso ma molto istruttivo. Si è visto come la Sanità privata sia inefficiente nell’affrontare i grandi problemi di salute pubblica. Infatti, soprattutto la Lombardia ed il Veneto, che sono state le regioni iniziatrici della privatizzazione della Sanità pubblica, sono state all’inizio del tutto incapaci ad affrontare l’epidemia. Il disastro fu tale che vennero in soccorso medici dalla Cina, dalla Russia, da Cuba, dalla Romania e gli Ospedali tedeschi e francesi misero a disposizione i loro posti letto per accogliere i nostri malati per aiutare il nostro sistema al collasso.

L’insufficienza sanitaria italiana fu talmente grave e penosa che la Unione europea concesse all’Italia un super-fondo, in parte regalato, in parte in prestito, per ricostruire la Sanità e il sistema produttivo.

Il Governo Draghi ha pubblicato il progetto per la spendita di 230 miliardi – Recovery Fund – per la ripresa e resilienza. Il Piano è distinto in sei “mission”. La “mission n° 6” è destinata alla Sanità. Saranno spesi per la Sanità 16 miliardi di euro. Quei fondi verranno spesi in preponderanza per la medicina territoriale e di prossimità.

Per spiegare come spendere quei soldi il Governo ha emanato il DM 71 e il DM 77 /2022. Mentre il DM 70 del 2015 dava disposizioni per la Riforma degli Ospedali, i DM 71 e 77 rappresentano la Riforma della medicina territoriale.

Il 22 giugno 2022, cioè pochi giorni fa la Gazzetta ufficiale fa pubblicato il DM 77 (decreto 23 maggio 2022).

Cosa contiene? Contiene il Piano di riforma sanitaria del territorio, quindi la medicina di prossimità.

Dal 26 giugno 2022 il Decreto è legge e quindi già da oggi dovremmo vedere realizzato il Piano. Esso contiene il progetto di:

– il Distretto sanitario

– le Case della Comunità

– gli Ospedali di Comunità

– la COT (Centrale Operativa Territoriale)

– gli IfoC (infermieri di famiglia o comunità)

– i LEPS (livelli essenziali delle prestazioni sociali)

– il Nea (numero europeo armonizzato 116117)

– il PAI (progetto di assistenza individuale integrato)

– il PNC (piano nazionale cronicità)

– il PNP (piano nazionale prevenzione)

– il PRI (piano riabilitativo individuale)

– il PUA (punto unico di accesso)

– il PDTA (percorso diagnostico terapeutico individuale) e tante altre cose.

In quel Piano c’è tutto il desiderabile. E’ un grande progetto. A leggerlo si rimane ammirati, tuttavia c’è una assenza importante: manca la strategia.

E’ come ricevere dall’architetto il progetto per costruirsi la casa. Si ha in mano un bel disegno ma ci manca l’ingegnere che realizzi la costruzione dell’edificio. Mancano i muratori, gli elettricisti, gli idraulici, il materiale da costruzione con porte e pavimento compresi.

Ecco. Manca la strategia di realizzazione della Riforma. Per questo, dalla riforma Balduzzi del 2012, e dalla riforma Lorenzin del 2015 in Sardegna abbiamo assistito alla demolizione di Aziende ospedaliere ma nessuna ricostruzione. Stesso destino, probabilmente, spetta alla Riforma dell’assistenza territoriale.

A questa immensità di progetti, ben disegnati ma talmente belli da sembrare irrealizzabili, fa da contraltare la realtà quotidiana del pensionato sulcitano o iglesiente che manda in piazza i propri sindaci e sindacalisti per chiedere almeno un medico di base che fornisca le ricette periodiche dei farmaci.

La situazione della Sanità reale è questa:

1 – Pochissimi posti letto negli Ospedali pubblici per effetto delle leggi dal 2003 ad oggi. Quelle leggi per la riduzione della spesa sanitaria vennero applicate, paradossalmente, solo negli Ospedali pubblici ma non negli Ospedali privati. Nell’ultimo anno in Italia sono stati inaugurati 12 Ospedali di cui solo uno è pubblico.

2 – Gravissime carenze nei Pronto Soccorso che, ricordiamolo, si trovano solo negli Ospedali pubblici.

3 – L’attribuzione ai medici del territorio di funzioni complesse che hanno l’effetto di complicare le procedure di assistenza al paziente.

4 – La persistenza della dualità fra medicina degli Ospedali e del territorio. Ne deriva l’assenza di un raccordo razionale, immediato ed efficiente, fra reparti ospedalieri, Pronto soccorso e medici del territorio.

Oggi il DM 77 merita attenzione e curiosità per un motivo singolare: perché dopo che i vari Governi che si sono succeduti hanno distrutto la Legge di Riforma sanitaria 833/78, il Governo attuale in premessa al decreto scrive: «Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), uno dei primi al mondo per qualità e sicurezza, istituito con la Legge n. 833 del 1978, si basa su tre principi fondamentali: universalità, uguaglianza, ed equità».

Per chi legge queste righe sulla Gazzetta Ufficiale, la frase equivale ad un atto di dolore per aver affondato la Legge 833/78. A questo punto, se questa premessa fosse una sincera dichiarazione di pentimento per aver prodotto, negli ultimi 30 anni, leggi sanitarie affette da “aborto abituale”, potremmo sperare nella comprensione di quanto sarebbe utile riportare in vita la strategia di applicazione che venne adottata per rendere reale la Riforma 833/78.

In particolare la Regione Sardegna dovrebbe prendere atto che l’istituzione di un Ente di diritto privato che gestisce la Sanità pubblica corrisponde alla rinuncia dell’autorità politica alla gestione diretta della Sanità regionale.

Di necessità la corretta impostazione della riforma, per funzionare, dovrebbe comportare:

1 – Il conferimento del potere di Presidenza, dell’Azienda regionale sanitaria, all’assessore regionale competente. La gestione al Direttore generale.

2 – la delega delle attribuzioni e dei poteri di Presidenza delle ASL ai Sindaci del territorio e, l’attribuzione dei poteri di gestione, ai Direttori generali.

3 – La suddivisione equa del fondo sanitario regionale fra le ASL.

4 – l’indicazione inequivocabile degli Ospedali di base e quelli di I livello.

5 – l’interpretazione autentica delle funzioni attribuite alle tre tipologie di ospedali. Identificazione del personale e dei reparti coinvolti nel DEA.

6 – La centralità ed il potenziamento dei Pronto Soccorso sia come sede di valutazione dell’urgenza, sia come raccordo immediato fra i servizi chirurgici e medici d’urgenza, e i medici del territorio.

7 – l’ampliamento degli organici dei Pronto soccorso.

8 – l’ampliamento dei posti letto per le degenze ordinarie e le terapie intensive.

9 – Sanità territoriale ed ospedaliera fusi e interconnessi in un unico sistema di servizio continuo e complementare. Il Pronto Soccorso inteso come estensione dell’Ospedale nel territorio con l’intento di superare la dualità esistente.

10 – Attribuzione di un nuovo ruolo strategico ai Primari delle Unità Operative specialistiche intesi some figure strategiche della ASL.

11 – Direzione Sanitaria costituita dal Direttore Sanitario eletto, fra i Primari, dalla Commissione dei Sanitari, e coadiuvato da un ufficio di Direzione costituito da medici legali, specialisti in igiene ospedaliera, avvocati, amministrativi e ingegneri sanitari. Queste strutture burocratiche sono già esistenti.

Per procedere in questa direzione le leggi attuali (legge regionale n. 24/2020) devono essere adeguatamente implementate. L’unica modifica sostanziale consiste nell’introduzione dell’assessore regionale alla Presidenza dell’ARES e dei sindaci del territorio alle Presidenze delle ASL, con funzioni di controllo e deliberanti, coadiuvati dai Direttori generali per la gestione.

Riferimenti:

Legge 833/78

Riforma Balduzzi 2012

Riforma Lorenzin 2015

DM 71;

DM 77

FOSSC (Forum delle società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani).

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A due anni e mezzo dall’istituzione della ASL unica (Azienda per la tutela della salute ATS), il dibattito sull’assistenza sanitaria in Sardegna è sempre vivo e interessante. Anche sotto l’aspetto della spesa sanitaria (che rappresenta circa la metà del bilancio della Regione). Su questi temi l’Ordine dei giornalisti della Sardegna, il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari e l’Associazione della Stampa sarda, nell’ambito del programma della formazione continua dei giornalisti hanno invitato a Cagliari, per il 3 ottobre prossimo, il prof. Renato Balduzzi, ex ministro della Salute nel Governo Monti, docente di Diritto costituzionale all’Università Cattolica di Milano e componente laico del Consiglio Superiore della Magistratura.

L’evento si svolgerà il 3 ottobre prossimo, nell’Aula Magna Maria Lai, Facoltà di Scienze Economiche Giuridiche Politiche, in via Nicolodi 102, dalle 14.00 alle 17.00. Oltre al prof. Renato Balduzzi, interverranno il prof. Gianmario Demuro (costituzionalista) e Celestino Tabasso (Presidente Associazione Stampa Sarda). Introdurrà Francesco Birocchi (presidente Odg Sardegna). I giornalisti partecipanti avranno diritto a tre crediti formativi. 

Il prof. Balduzzi ha pubblicato di recente sulla rivista scientifica “Corti Supreme e Salute” un saggio dal titolo “La specialità che c’è, ma non si vede. La sanità nelle Regioni a Statuto speciale”. Diversamente dalle Regioni ordinarie, infatti, la maggior parte delle Regioni speciali finanzia il sistema sanitario con risorse provenienti dal proprio bilancio. Ciò limita indirettamente il potere dello Stato di dirigere e vincolare la loro legislazione in materia sanitaria, espandendo di fatto la loro autonomia legislativa. Il saggio analizza motivi e limiti di questo più ampio potere legislativo alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale e della legislazione più rilevante in materia sanitaria approvata dalle Regioni a Statuto speciale.

Francesco Sanna copia

Il deputato del Partito Democratico Francesco Sanna è stato chiamato a far parte della commissione parlamentare per le questioni regionali in sostituzione del sottosegretario, alle Infrastrutture, Umberto Del Basso De Caro.

La commissione parlamentare bicamerale per le questioni regionali, presieduta da Renato Balduzzi (SCpI), è una commissione parlamentare direttamente prevista dalla legge costituzionale italiana.

Francesco Sanna è anche componente della commissione Affari costituzionali della Camera.