22 December, 2024
HomePosts Tagged "Renato Meloni"

Stiamo tornando talmente indietro nella Sanità che ormai potremmo arrivare al III secolo dopo Cristo. Allora il tempio della Medicina e della Chirurgia era in quella costa di Turchia e di Siria che lambisce il Mar Mediterraneo. In quei tempi esisteva un problema che esiste ancora oggi: le donne con gravidanze difficili a termine spesso morivano col loro bambino. Narra una “Passio” del terzo secolo, che la giovane cristiana Margherita d’Antiochia fosse stata ingoiata viva da un mostro, in un sol boccone. La Santa, avendo in pugno la croce, che usò come tagliente, aprì il ventre al mostro e uscì dalla sua pancia viva e sana. In questa “Passio” viene descritto un fantastico parto cesareo con salvataggio del nascituro.
Per tale ragione Margherita, una volta martirizzata con la decollazione per ordine dall’imperatore Massimiano, venne dichiarata “santa protettrice delle donne in travaglio”. Da quasi 2.000 anni Santa Margherita viene venerata in tutto il mondo cristiano con lo scopo di rendere il parto più protetto. e le puerpere che si ritengono miracolate, impongono il nome di Margherita alle neonate. Questo ne spiega l’enorme diffusione tra umili e regine. Tra gli anglosassoni il nome Margherita viene contratto nelle ultime due sillabe: “Rita”. La persistenza del nome e la sua diffusione corrispondono alla persistente paura che avvolge tutt’oggi le donne a termine di gravidanza, nel momento più bello.
Non si era mai trovato, in nessuna parte del mondo, il modo di mettere in sicurezza le donne con travaglio difficile fino al 1876. In quell’anno a Pavia il dottor Edoardo Bianchi Porro, per porre fine alle stragi da parto complicato, ideò un metodo chirurgico per salvare le mamme ed i nascituri: inventò il parto cesareo a “madre viva”. La sua idea geniale consisteva nel sedare la donna con protossido d’azoto e cloroformio, aprire velocemente l’addome, legare strettamente il collo dell’utero gravido con un fil di ferro, escidere l’utero totalmente, metterlo su un tavolo, aprirlo ed esporre all’aria il bambino vivo.
Per la prima volta nella storia si salvarono la mamma, Giulia Cavallini, ed il bambino. Però c’era un problema: quella mamma, con quel tipo d’intervento, non avrebbe avuto più figli. Tuttavia, fu un grandioso successo perché fino ad allora morivano il cento per cento delle donne con parto distocico. In pochi decenni con quella tecnica, che venne adottata in Europa, Stati Uniti, Sudafrica ed Australia, la mortalità di donne e neonati calò al venti per cento. I tedeschi apportarono modifiche al metodo ma la tecnica definitiva, in uso ancora oggi, venne messa a punto dal dottor Luigi Mangiagalli dell’Ospedale Cà Granda di Milano. Era l’anno 1900. In Sardegna, per alcuni decenni il cesareo si eseguì solo al San Giovanni di Dio di Cagliari. Le donne sarde in difficoltà, da qualunque parte della Sardegna, venivano trasferite a Cagliari con viaggi avventurosi e dolorosi in treno o in automobile. Esiste un bel libro di Giacomo Mameli “Hotel Nord America” che racconta le peripezie di un gruppo di ostetriche novelle che, intorno agli anni trenta, vennero inviate in Sardegna per abbattere l’altissima mortalità di donne e bambini legata al parto e descrive i dolorosi trasferimenti delle donne di Perdas de Fogu che, per parti complicati, dovevano essere portate a Cagliari.
Negli anni ‘40 del ‘900 gli allievi chirurghi della scuola cagliaritana vennero inviati ad operare negli ospedali provinciali. Allora le città minerarie di Carbonia e Iglesias erano popolosissime e vi nascevano molti bambini. A Carbonia venne inviato il dottor Renato Meloni, che era sia chirurgo generale, che specialista in Urologia, in Oncologia ed Ostetricia. Ad Iglesias, uno dei primi a fare cesarei fu il dottor Salvatore Macciò, anch’egli chirurgo generale ed ostetrico. Questi uomini formarono numerosi allievi di valore che hanno operato nei nostri ospedali fino a poco tempo fa.
Nonostante la bravura di questi grandi chirurghi e dei loro allievi, la pericolosità del cesareo è tutt’oggi incombente.
Il problema sta nella possibile insorgenza di emorragia dalle grosse arterie uterine.
Il dottor Giòmmaria Doneddu, ostetrico al Sirai, per sdrammatizzare invitava le pazienti in attesa di partorire a rivolgere una preghiera a Santa Rita, che era esattamente la stessa Santa Margherita del terzo secolo dopo Cristo.
Non va dimenticato che il momento del parto è, comunque, un dramma che in genere si risolve con sorrisi, ma che può talvolta trasformarsi, in pochi minuti, in una tragedia. Questo è vero sempre, anche oggi, nonostante l’evoluzione tecnologica.
Le cronache giornalistiche delle prime settimane di gennaio 2023 hanno riferito di un evento tragico avvenuto nell’ospedale “Perrino” di Brindisi. Una donna di 41 anni è deceduta per complicazioni legate al cesareo. Era portatrice di una gravidanza gemellare. L’ostetrico di turno, il giorno 17 dicembre 2022 procedette al cesareo e mise al mondo i neonati. Purtroppo, dall’incisione uterina iniziò subito una imponente emorragia. L’ostetrico, davanti all’impossibilità di fermarla, chiamò in aiuto il chirurgo d’urgenza dell’ospedale e gli chiese di asportare l’utero in toto per fermare il sanguinamento. Questo fu fatto. L’emorragia si fermò ma la paziente finì in Rianimazione dove il 22 dicembre morì.
Per salvare la paziente venne utilizzato lo stesso principio ideato dal dottor Edoardo Bianchi Porro un secolo e mezzo prima a Pavia, ma con minor fortuna.
Nel caso della donna di Brindisi l’ostetrico non riuscì ad asportare l’utero perché l’infarcimento emorragico degli organi pelvici gli impediva di riconoscerne l’ anatomia e non riusciva più a distinguere, nella massa emorragica intorno all’utero, la vescica, gli ureteri, il sigma, le grosse arterie e le vene pelviche e il retto. Egli si sentì perso in quel guazzabuglio anatomico e non si sentì competente a procedere oltre. Giustamente chiamò d’urgenza un chirurgo generale, esperto in chirurgia della vescica, degli ureteri, e dell’intestino; solo così fu possibile portare a termine l’isterectomia con tecnica di dissezione anatomica. Per chi non è del mestiere, è bene spiegare che tale dissezione richiede conoscenze ed esperienza in più specialità chirurgiche. Esistono ostetrici esperti anche di chirurgia generale che lo sanno fare, ma sono dei fuoriclasse non comuni. In questi casi è necessario che il chirurgo abbia competenze in chirurgia vascolare, in chirurgia urologica, in chirurgia intestinale: tutte specialità che esulano da quelle dell’ostetrico che è un chirurgo dedicato per l’apparato riproduttore femminile. Si conclude che una paziente con un livello di gravità di questa portata ha necessità di una struttura d’urgenza adatta al trattamento dei traumi dell’addome.
Una volta fermata l’emorragia il problema non è concluso. C’è ancora da controllare lo shock emorragico e traumatico. A questo punto, entrano in gioco il reparto di Rianimazione, quello di Nefrologia – Dialisi e quello di Cardiologia.
Questo ci dice che in un ospedale dove si esegue un cesareo complicato devono essere presenti una decina di specialisti diversi tra medici, infermieri e tecnici. Si tratta di un’organizzazione che esiste esclusivamente in una struttura ospedaliera che opera ininterrottamente h24 e 7 giorni su 7, in emergenza.
Se un parto ha una dinamica fisiologica, è sufficiente l’assistenza di un’ostetrica, ma se insorgono complicazioni diventa necessario disporre di un apparato d’urgenza piuttosto complesso. La sicurezza è l’imperativo assoluto. Quando il parto si complica si scopre che in pochi minuti si può passare dai sorrisi rilassati per il lieto evento alla tragedia più insopportabile nel campo della medicina. La morte è in agguato, e strapparle mamma e bambino è difficile.
Il caso raccontato dai giornali è emblematico. La paziente si dissanguò e le vennero trasfuse 17 sacche di sangue. Ora bisogna sapere che per ogni due sacche di sangue si deve aggiungere una sacca di plasma. Se si tiene conto che una persona adulta ha in circolazione, in media, 3.800 cc di sangue, si deve concludere che alla poveretta vennero trasfusi ben 8 litri di solo sangue, oltre alle altre soluzioni in flebo.
Questo significa che la paziente aveva perso più del doppio della sua massa sanguigna totale. Pertanto, si deve concludere che tutto il suo sangue le era stato sostituito almeno due volte. Molti possono pensare che la sostituzione del sangue perso sia sufficiente a salvare la paziente. Invece, non è così. Da subito compaiono fenomeni biochimici che alterano il metabolismo delle cellule dei tessuti di tutti gli organi nobili e queste cellule iniziano a produrre mediatori chimici alterati. Tali anomali mediatori chimici disturbano profondamente la circolazione sanguigna dei capillari e la nutrizione delle cellule dei tessuti. Il loro metabolismo peggiora ulteriormente perché le cellule iniziano a metabolizzare senza ossigeno. Ciò peggiora ancor più la loro capacità di sopravvivenza e, in tutti i tessuti, inizia una specie di “suicidio di massa” delle cellule: si scatena una “tempesta citochinica” simile a quella che fa morire i malati terminali di Covid. Si tratta dello Shock per crisi del microcircolo sanguigno. Il paziente non risponde alle terapie ed è candidato a morire. Qui intervengono gli specialisti in Rianimazione. Talvolta, fanno il miracolo di fermare lo Shock, ma non ci riescono se lo shock è già in fase irreversibile. Il dramma è tremendo per il paziente ed è angosciosissimo per il chirurgo ed i rianimatori. E’ una fase in cui il paziente spesso è ancora vigile, respira e parla, e dà la sensazione che vi sia ancora speranza ma non c’è niente da fare: muore, comunque. I polmoni non scambiano più ossigeno; i reni si fermano; il fegato non lavora più; il midollo non produce più le cellule del sangue; iniziano le emorragie, le trombosi da Cid (Coagulazione intravasale disseminata) e le tromboembolie polmonari e sistemiche. Il cuore, infine, si ferma e non riparte neppure con il defibrillatore.
E’ brutto fare queste descrizioni, ma è necessario per far capire l’enormità delle difficoltà nel parto complicato.
Quale sarebbe stata la soluzione migliore che avrebbe dovuto adottare quell’Ostetrico che aveva eseguito il cesareo? Aveva adottato esattamente l’unica soluzione percorribile: chiamare il chirurgo generale d’Emergenza ed i Rianimatori.
Il chirurgo fermò l’emorragia asportando l’utero, ma lo Shock era già in fase irreversibile. Ora si può porre la domanda: in quanto tempo si passa dallo shock reversibile allo shock irreversibile? Talvolta, in poche ore, talaltra in pochi minuti.
Se l’ospedale è dotato di una Chirurgia d’urgenza ultrarapida, una Rianimazione, una Nefrologia, una Cardiologia un Centro trasfusionale con un ricco organico di personale sempre presente, vi sono speranze. Altrimenti no.
Il caso raccontato dai giornali è diventato famoso perché la paziente morì sotto Natale e perché Papa Francesco il 25 dicembre 2022 chiamò al telefono il marito della poveretta per confortarlo. Purtroppo, questi eventi non sono rari: avvengono tutto l’anno e ovunque. L’ospedale dove si consumò quel dramma è un grande ospedale regionale della Puglia paragonabile al Brotzu di Cagliari. Se il chirurgo generale d’urgenza fosse intervenuto all’inizio dell’emorragia forse avrebbe potuto salvare la poveretta perché l’ospedale era bene attrezzato per le urgenze. Scorrendo le cronache della Puglia si troverà che nei giorni precedenti era avvenuto un fatto simile nell’Ospedale regionale di Taranto.
Drammi come questo, che non si risolvono colla isterectomia, in genere vengono affrontati dai chirurghi d’Urgenza nelle ostetricie di tutto il mondo e spessissimo le pazienti vengono salvate.
Il motivo della necessità che siano immediatamente disponibili i chirurghi d’Urgenza sta proprio nella loro specifica competenza nelle emorragie traumatiche dell’addome, nei traumi vascolari e urologici.
Considerata la gravità e l’importanza sociale di questi eventi è stato istituito un Ufficio apposito del ministero della Sanità e di Agenas che monitora tali tragedie connesse al parto, i cosiddetti “eventi sentinella”. Esattamente questo ufficio ha proposto leggi speciali per regolamentare gli ospedali che hanno il servizio ostetrico e per certificarne la sicurezza.
Comunque, in mancanza d’altro ci rimane sempre Santa Margherita, la protettrice a cui ricorrevano anche le regine, basti pensare al successo che hanno in tutte le città le vie principali intitolate alla Regina Margherita di Savoia, la cui madre, nel momento cruciale della sua nascita invocò la santa e ne ebbe la protezione. Ne era molto devota la laicissima Florence Nightingale, la leggendaria fondatrice dell’Ordine internazionale delle infermiere. Quando morì volle essere sepolta nel cimitero di St Margaret of Antioch. Speriamo che alla protezione di santa Margherita si associ quella dello Stato. Probabilmente, con due protettori, le cose andrebbero meglio.

Mario Marroccu

Abbiamo notizia, attraverso la cronaca quotidiana, di un evento unico nella Storia della Medicina in Sardegna: una donna di 57 anni ha dato alla luce una neonata, nell’Ospedale Brotzu di Cagliari.

E’ un evento anti-storico per tre motivi:

1 – per l’età della paziente,

2 – per la nascita di un figlio desiderato in un’epoca che ha abolito il desiderio di figli,

3 – per l’impotenza del sistema sanitario sovrastato dal potere della scienza.

L’età colloca la paziente in quella fascia di donne in menopausa avanzata (“very, very old” secondo la dizione inglese). Significa che qualcuno ha pilotato le leggi naturali dell’invecchiamento riproduttivo, riportandolo indietro nel tempo.

Limitarsi a sostenere che è stato il risultato ben riuscito dell’impianto di un embrione nell’utero sarebbe una verità minimale. In realtà, per ottenere una gravidanza a quell’età, bisogna fare un’operazione più complessa: fermare l’orologio biologico dell’invecchiamento globale della persona.

Con la menopausa decade la produzione di estrogeni del progesterone e del testosterone; ciò modifica il desiderio, l’attrazione, il comportamento sessuale, il rapporto di coppia e quello con se stessi. Avvengono modificazioni del carattere, della personalità e dell’aspetto fisico. Cambia la struttura della pelle e del pannicolo adiposo sottocutaneo e con esso scompare la levigatezza, la lucentezza, la sofficità della cute; cambia la sudorazione, la produzione del sebo, le caratteristiche olfattive, la temperatura, lo spessore dei tegumenti. Ne conseguono le rughe, il crollo verso il basso delle parti molli del viso, dell’addome, dei fianchi e degli arti. Decade il trofismo e il tono muscolare. Si modificano i capelli che riducono il loro numero e la sofficità. Diminuisce la vividezza dello sguardo, l’acuità visiva ed uditiva. Si modificano le corde vocale, la lingua e le arcate dentarie e ne deriva il cambio della voce e della mimica facciale. Questo è ciò che percepisce l’occhio umano.   

Un simile decadimento riguarda anche gli organi interni. Il cervello produce meno neurotrasmettitori ed i neuroni della corteccia diminuiscono di numero mentre l’ippocampo perde efficienza nell’immagazzinare memoria. Contemporaneamente decade il funzionamento dell’ipotalamo che si trova alla base del cervello, e crolla l’efficienza della ghiandola ipofisi che serve a regolare, come un direttore d’orchestra tutte le ghiandole endocrine. Per effetto di ciò diminuisce il funzionamento della tiroide, delle ghiandole surrenali e delle ghiandole dell’apparato riproduttore. Contemporaneamente avviene il decadimento del metabolismo delle ossa, e ne consegue osteoporosi , facilità alle fratture e artrosi. Cambia la statica della macchina corporea, e cambia l’efficienza dei muscoli, della pompa cardiaca, delle arterie e delle vene. La postura, la deambulazione, l’abilità manuale si modificano in peggio. L’aspetto finale è determinato da una riduzione dell’altezza, dall’incurvamento in avanti della colonna vertebrale, dal rallentamento e dalla rigidità dei movimenti. Per deficit dei neurotrasmettitori viscerali, degli ormoni, degli enzimi cambia il funzionamento dell’apparato digerente ed urinario, che diventano meno controllabili dal Sistema nervoso centrale. Il tutto si traduce nella necessità di adattare i propri ritmi ad una diversa gestione della convivenza sociale.

E’ il corpo umano che viaggia indietro nel tempo.

Nel caso riportato dalla cronaca, che riguarda la cinquantasettenne gravida che ha messo al mondo una bellissima bambina, è stata compiuta un’operazione scientifica che suscita stupore da un punto di vista biologico: è una notizia straordinaria paragonabile alla notizia che una cinquantasettenne ha vinto l’oro del titolo europeo nella gara dei cento metri arrivando prima di Marcell Jacobs.

E’ evidente che, per far vincere una gara di quell’entità ad una cinquantasettenne, non è sufficiente ringiovanirle l’apparato riproduttivo, ma bisogna rimettere in efficienza giovanile tutto: dal sistema endocrino a quello cardiovascolare e muscolo-scheletrico, dal sistema neurologico a quello dell’apparato respiratorio, dal digerente a quello urinario. Per comprendere quanto è stato fatto, dobbiamo spostare la nostra attenzione dal mero apparato riproduttivo a tutto ciò che gli sta intorno.

Per ridare la giovinezza ad un corpo nella sua totalità, non è possibile interessarsi al solo apparato riproduttivo. Bisogna conservare e ripristinare l’efficienza di tutti gli apparati ed i sistemi; operazione difficilissima anche per scienziati.

La storia è nota. La signora Maria Cristina, giunta all’età di 50 anni, non aveva mai avuto gravidanza a causa del suo utero rovinato da molteplici fibromi che impedivano l’impianto stabile di un embrione. Già sette anni fa, sia per l’età, sia per il danno uterino, era assolutamente indicato asportarle l’utero. Invece il ginecologo-oncologo, accogliendo la richiesta della paziente, decise di eseguire un intervento di salvataggio dell’utero, per poi tentare una gravidanza medicalmente assistita.

In sette anni di complesse procedure di “ringiovanimento funzionale” di tutti i sistemi metabolici, correggendo deficit importanti a livello dell’emostasi e della capacità immunitaria, è arrivata la gravidanza, che poi si è conclusa con un parto cesareo. La nascita della bambina è avvenuta, sempre sotto il controllo dello stesso team medico dell’Oncologico, all’Ospedale Brotzu dove è direttore il dr. Antonio Macciò. Si tratta dello stesso primario che in passato aveva diretto il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Sirai di Carbonia. Durante la sua permanenza aveva fondato il Servizio specialistico di Chemioterapia oncologica. Le ricerche di quegli anni sui tumori e sull’implicazione delle citochine infiammatorie nel cancro dell’ovaio, ci hanno lasciato in eredità sia il servizio di Oncologia al Sirai, sia le informazioni basilari per comprendere la responsabilità delle interleukine nel Covid-19.

Oggi l’Ospedale Sirai, come del resto tanti ospedali sardi, ha difficoltà. Sembra che il suo corpo sia in preda ad un invecchiamento di grado severo.

La notizia della bambina nata in un corpo vecchio (“very, very old”), può avere il valore di “metafora” della rinascita del nostro Ospedale.

Ci serve assolutamente la diagnosi sul male che ha invecchiato la Sanità sarda.

– Sono invecchiate le strutture ospedaliere?

– Sono invecchiati i sistemi amministrativi?

– Sono invecchiate le Riforme sanitarie subentranti?

– Sono invecchiati gli organici del personale?

– E’ invecchiata la Politica in generale?

E’ difficile trarre una conclusione semplificata.

Sicuramente la nave della Sanità pubblica “fa acqua”. Molti naviganti si stanno precipitando verso le scialuppe di salvataggio; lasciano gli ospedali e vanno verso la sanità privata. La perdita di specialisti avrà conseguenze.

Forse è ancora possibile salvare la nave che affonda: ci vuole un bravo timoniere. Servono persone adatte a questo momento di bisogno.

Quando l’Ospedale di Carbonia era appena nato, aveva in dotazione solo tre chirurghi, un ginecologo, un ortopedico, due medici internisti, un farmacista ed un’ostetrica. Quelle nove persone tennero l’Ospedale in funzione giorno e notte, senza ferie, senza interruzioni. Per non allontanarsene mai vivevano, con le loro famiglie, nelle palazzine che stanno a fianco dell’Ospedale.

Il medico ginecologo condivideva il lavoro con i chirurghi generali. Il reparto di Ostetricia si trovava nello stesso piano della Chirurgia. In quegli anni la gente del Sulcis preferiva partorire a casa. Le gravide a termine si rivolgevano all’Ospedale solo in casi difficili o drammatici. Il numero d bambini nati era eccezionale.

Negli anni successivi (anni ‘60), quando si toccarono i quasi 2.000 parti l’anno, venne costruito il quarto piano dedicato all’Ostetricia, e venne assunto un secondo specialista ginecologo.

Il dottor Renato Meloni, che era anche oncologo, eseguiva interventi per tumori dell’utero e delle ovaie ed applicava i protocolli di chemioterapia in uso nel tempo.

Nei decenni successivi aumentò notevolmente il numero dei Medici ginecologi, delle Ostetriche  e degli Infermieri. Fu il periodo felice degli anni ‘70-’80-’90 e primi anni 2000.

L’ultimo primario ginecologo fu il dottor Antonio Macciò. Dopo il suo trasferimento all’ospedale Businco di Cagliari, la direzione dell’Ostetricia non venne più affidata a nessun primario. Il reparto venne gestito a scavalco dal primario di Iglesias. Infine, più recentemente fu deliberato il provvedimento amministrativo per cui il reparto e tutto il suo personale venne trasferito ad Iglesias.

Oggi Carbonia è priva di reparto di Ostetricia e Ginecologia.

Attualmente l’Ospedale Sirai è privo dei reparti di: Ostetricia, Pediatria, Neurologia, Medicina interna, Anatomia Patologica, Medicina Nucleare, Laboratorio, Endoscopia digestiva.

Altri reparti, come Dialisi, Radiologia, Cardiologia, Emodinamica, Anestesia e Rianimazione, soffrono per forte carenza di specialisti.

L’immagine che se ne trae è desolante. Eppure, bisogna sperare e ricordare che settant’anni fa l’Ospedale nacque con sette medici, un farmacista ed un’ostetrica. Poi crebbe.

Dobbiamo immaginare di aver toccato il fondo e dì dover tornare alle origini.

Ecco perché la nascita della neonata da una donna molto attempata, potrebbe essere la metafora della rinascita dell’Ospedale Sirai di Carbonia.

Ci serve una scintilla per riavviare il nostro motore sanitario. In fin dei conti, settant’anni fa, la scintilla scoccò con appena sette medici, un farmacista ed un’ostetrica.

Mario Marroccu

Oggi, 23 settembre 2021, vi è stata ad Iglesias una manifestazione popolare contro il tradimento dei LEA ( i Livelli Essenziali di Assistenza), garantiti dallo Stato ai cittadini.
Un qualche “scienziato pazzo”, uscito da un incubo, ha inserito il territorio del Sulcis Iglesiente in un marchingegno che ci sta respingendo nel passato. Il “passato” deve essere conosciuto, sopratutto nelle sue atrocità, allo scopo di non farlo rivivere.
Nel 1700 il filosofo britannico Edmund Burke formulò un aforisma di saggezza che dice: «Chi non conosce la Storia è condannato a ripeterla».
La frase di Burke ha fatto il giro del mondo e si trova scritta, in trenta lingue diverse, in un monumento nel campo di concentramento di Dachau.
Filosofi e scrittori, grandi e piccoli, hanno scritto libri sull’aforisma di Burke. Due anni fa è stato ripreso in un libro dallo scrittore filosofo George Santayana che ha scritto contro quelli che “non sanno ricordare il passato”, e pochi giorni fa lo stesso concetto è stato ripreso dalla scrittrice sarda Dolores Deidda (“La signora della stazione”), che racconta la saga di una famiglia di Serri tra le due guerre mondiali ed il primo dopoguerra. La scrittrice vi riporta la grande storia a cui sono collegati fatti di vita famigliare variamente influenzati dal fascismo, dalle guerre, dalla cultura tradizionale contadina, e dalla nuova modernità della città.
Fra i tanti episodi, ve n’è uno da cui si può desumere lo stato dell’organizzazione sanitaria del tempo. Alla “signora della stazione”, nel 1940-42, accadde di dover assistere, come levatrice, una passeggera del treno che veniva da Sorgono diretto a Cagliari. La stazione si trovava a Corte, una località a pochi chilometri da Desulo, da Atzara e da Tonara. Il motivo per cui la gravida a termine viaggiava tutta sola per Cagliari era dovuto alla necessità di consegnarsi nelle mani degli Ostetrici specialisti dell’Ospedale Civile San Giovanni di Dio in quanto nel suo territorio non esistevano Ospedali attrezzati. Il motivo del viaggio della speranza era da ricercarsi in un sua malformazione del bacino che avrebbe ostacolato un parto naturale. La donna sapeva benissimo che, se non fosse riuscita a partorire, il bambino si sarebbe incastrato nel canale del parto e lei sarebbe morta assieme al figlio. Questo era il destino di tutte le donne che non riuscivano a partorire naturalmente. La poveretta stava tanto male che non sarebbe mai arrivata a Cagliari. Venne fatta scendere e fu accompagnata nella casa di Eva (la signora che dirigeva la stazione) dove miracolosamente avvenne un parto regolare e mamma e bambino si salvarono.
Questo racconto fa entrare la micro-storia della stazione ferroviaria di Corte nella Grande Storia dell’Umanità.
In quegli anni, a Carbonia, esisteva un ospedaletto in piazza Cagliari, destinato all’assistenza dei minatori per gli incidenti in galleria e, per necessità, venne messo a disposizione anche della popolazione. Allora era giovanissimo medico il dottor Renato Meloni che era chirurgo generale e, in quanto tale, si intendeva anche di ostetricia. Il primario era il professor Ignazio Scalone, patologo chirurgo esperto in chirurgia del cervello per causa traumatica; era esperto in tecnica chirurgica per ferite da guerra del cranio e del cervelletto. L’esperienza l’aveva acquisita al fronte della Prima Guerra Mondiale. Era il chirurgo adatto per assistere i frequenti traumi cranici che avvenivano in miniera a causa del franamento di massi sulla testa degli operai. Chirurghi di questo genere erano idonei ad operare il cesareo, quindi il Sulcis era sicuramente più fortunato, dal punto di vista sanitario, della popolazione del centro Sardegna. Simile fortuna toccava anche ad Iglesias dove operava un ospedale che secondo le cronache del tempo, già nel 1904, in occasione della rivoluzione operaia di Buggerru si occupava di chirurgia complessa.
Nel 1904, ad Iglesias, non si eseguiva ancora il parto cesareo perché quella tecnica era stata ideata da poco e non era ancora stata standardizzata sul territorio nazionale. Infatti la tecnica del cesareo classico venne sistematizzata nell’anno 1900 dal dottor Luigi Mangiagalli di Milano. In realtà il primissimo cesareo venne eseguito a Pavia nel 1876 dal dottor Bianchi Porro, maestro di Mangiagalli. Ma la tecnica di Porro era distruttiva per l’apparato riproduttivo femminile.
Fino all’avvento del taglio cesareo messo a punto dagli italiani le donne morivano in tutto il mondo; nulla le poteva salvare da un parto distocico, né i soldi né il potere. E’ stata recentemente pubblicata una serie televisiva dedicata alla vita della zarina di Russia Caterina la Grande. La ricostruzione storica è accuratamente documentata. In un frammento del film si vede chiaramente l’immagine della giovane moglie dello Zar Paolo I adagiata su un tavolo autoptico, nuda e totalmente eviscerata. Accanto era adagiato il cadavere del neonato. La donna aveva avuto una buona gravidanza ma un parto impedito da un’anomalia del bacino. Nonostante lo stuolo di medici reali indaffarati per salvare la regina ed il principino, la poveretta era comunque morta. Appena spirata le era stato aperto l’addome e l’utero per estrarne il bambino forse ancora vivo. Ma fu tutto inutile. Era già morto.
Era l’anno 1793, l’anno in cui due donne monarca reggevano due imperi: Elisabetta prima d’Inghilterra e Caterina la Grande di Russia. Eppure non bastava essere regine per salvarsi dal destino mortale di un parto distocico.
In quell’anno 1793 Giorgio Washinghton governava gli Stati Uniti d’America e dopo breve tempo moriva per un salasso eccessivo di sangue praticato per curare una faringite febbrile.

Nello stesso anno Robespierre decapitava la regina Maria Antonietta e Luigi XVI.
In quell’anno la Sardegna vide i tentativi dei francesi di invaderla, ma furono fermati dapprima all’istmo di Santa Caterina a Sant’Antioco e poi nella spiaggia di Quartu da truppe raccogliticce guidate dal notaio Vincenzo Sulis, A ciò seguì la cacciata del viceré piemontese dal Castello di Cagliari. In quell’anno a Cagliari non esisteva l’Ospedale civile ma vi erano perlopiù strutture caritative religiose destinate ad ospitare poveri e incurabili. Il Cesareo non si praticava e, anche in Sardegna, le donne gravide con anomalie del canale del parto morivano. Queste anomalie erano frequenti perché erano molto diffusi il rachitismo, la tubercolosi ossea, ed i deficit alimentari.
Bisogna precisare che esisteva una tecnica chirurgica che si eseguiva esclusivamente a mamma morta nel tentativo di estrarne il bambino che poteva essere ancora vivo.
Tutto il mondo cristianizzato si adeguava alla bolla papale emanata da Paolo V nel 1615. In essa si disponeva che nella circostanza di un parto distocico il medico stava in presenza fino alla morte della donna. Appena certificata la morte egli doveva procedere all’apertura dell’addome ed estrarne il bambino. Il prete doveva procedere all’immediato battesimo. In assenza del medico questa funzione chirurgica veniva assunta dalla levatrice. In assenza della levatrice la procedura doveva essere portata a termine del prete che, estratto il bambino, doveva affrettarsi a battezzarlo.
Poi nel 1876 il dottor Bianchi Porro di Pavia ebbe una illuminazione: eseguì l’asportazione dell’utero intero a “madre viva” per estrarne il bambino senza traumatizzarlo. La tecnica che aveva ideato non prese piede ma fu utile al suo allievo Luigi Mangiagalli per mettere a punto la sua nuova tecnica nel 1900.
Fino ad allora la prospettiva di salvezza per le donne di tutto il mondo era identica, sia che fossero delle povere popolane o potenti regine.
In quell’anno 1900 il dottor Luigi Mangiagalli dimostrò che con la sua nuova tecnica di cesareo, eseguito a “madre viva”, poteva salvare sia la madre che il bambino e consentiva di salvare anche l’utero per future gravidanze.
Questa lunga premessa serve a dimostrare quanto, fino a poco tempo fa, fosse terrificante il destino delle madri con difetti del canale del parto. Questo orrore si concluse in Sardegna negli anni a ridosso della Prima Guerra mondiale con la diffusione degli Ospedali territoriali. Fino ad allora l’assenza di una valida rete ospedaliera imponeva alle donne della provincia di imbarcarsi sul treno, in pieno travaglio, per arrivare a Cagliari dopo molte ore di viaggio.
La nascita degli Ospedali territoriali fu un miracolo. Da allora il terrore è cessato, ma un pericolo nuovo incombe: la destrutturazione degli Ospedali con la chiusura di reparti.
Nel Sulcis Iglesiente, nella ASL 7, sta avvenendo un fenomeno che ci sta respingendo nel passato. Si stanno impoverendo gli Ospedali sia di Medici che di Infermieri e strumenti.
A Carbonia, dopo la chiusura della Pediatria si è proceduto alla chiusura della Ostetricia e Ginecologia. E’ stata chiusa l’Anatomia Patologica impedendo la diagnosi immediata in corso di un intervento chirurgico programmato con l’intento di escidere radicalmente un tumore.
L’Emodinamica in Cardiologia è chiusa al 70 per cento e durante la sera, la notte, e nei giorni festivi non si possono operare gli infarti. Chi arriva in Ospedale fra le 8.00 e le 16.00 può essere operato. Chi ha l’infarto durante la notte o il sabato e la domenica e nei festivi deve essere trasferito a Cagliari e sperare che ci arrivi vivo.
La Radiologia è ridotta ai minimi termini sia in specialisti che in tecnici. Similmente avviene per la Dialisi. I sei Medici in organico sono ridotti a tre. Questo bassissimo numero genera eroi (i Medici) e pericoli (per i malati).
La Chirurgia Generale ha dovuto subire la chiusura dell’Endoscopia digestiva che è imprescindibile per l’individuazione della fonte di emorragie dal tubo digerente e la crescita dei tumori maligni (che possono trovarsi in tutto il percorso dall’esofago all’ano); per non parlare poi della riduzione dei posti letto resasi necessaria per la scarsità di personale.
Le stesse difficoltà soffrono l’Anestesia e la Rianimazione. Ne consegue la drastica riduzione delle sedute operatorie (una la settimana) per mancanza di Specialisti e Infermieri.
Ad Iglesias il disastro è immane. Oltre alla chiusura di servizi e alla riduzione dei posti letto, avverrà presto la messa in pensione del Primario di Chirurgia Generale. Con la sua uscita di scena quel reparto cesserà di funzionare.
Per effetto di questo insieme di carenze adesso esiste la pericolosissima condizione per cui l’Ostetricia di Iglesias è privata del supporto della Chirurgia generale. Supporto che è assolutamente necessario nel caso in cui un parto cesareo venga complicato dalla insorgenza di lesioni arteriose e viscerali mortali.
Questa coesistenza di deficit strutturali dovrebbe immediatamente indurre a riorganizzare con urgenza la Chirurgia generale con un Primario, oppure a trasferire la Ostetricia al Sirai di Carbonia dove è ancora libera l’antica sede posta al III piano. Così le pazienti operate in Ostetricia, in caso di complicazioni chirurgiche, verrebbero messe sotto la protezione della Chirurgia generale che è ancora bene organizzata ed è in grado di dare immediata assistenza in caso di patologie ginecologiche associate a malattie chirurgiche addominali, o urologiche o vascolari.
Le vicende politiche ed amministrative pubbliche che si sono succedute dal 1992 ad oggi hanno precipitato il territorio del Sulcis Iglesiente in un passato di oscurantismo sanitario che ci fa vivere in uno stato di pericolo incombente.
La facilità con cui siamo arretrati così pericolosamente fa supporre che questo degrado non sia solo derivato da incapacità amministrativa centrale ma anche da una assurda inconsapevolezza popolare di questi fatti.
E’ necessario ripartire dalla Storia passata e conoscere le atrocità in campo sanitario perpetrate nei secoli passati per capire quali strumenti abbiamo per non doverle rivivere.
Aveva ragione Edmund Burke: «Chi non conosce la Storia è condannato a riviverla» con tutti i suoi risvolti disumani. E’ necessario farsi promettere dai politici del futuro la restituzione di tutto il maltolto.
Oggi, a conclusione della enorme manifestazione popolare incoraggiata dalle componente dei pensionati di SPI CGIL, CISL, UIL, ad Iglesias, il sindaco Mauro Usai ha sintetizzato le ragioni della protesta in alcuni precisi punti:
1 – Il degrado degli Ospedali e della sanità territoriale.

2 – La sottrazione di personale sanitario a favore del centro Covid del Santissima Trinità, che dovrebbe rientrare immediatamente nei nostri Ospedali subito dopo la chiusura del Centro Covid cagliaritano.

Inoltre:
3 – ha dichiarato chiuso il tempo dell’invio di istanze a protezione della nostra sanità perché tutte le formalità procedurali presso le istituzioni regionali sono state già esperite. In mancanza di provvedimenti soddisfacenti si passerà a proteste direttamente nel capoluogo.
4 – Ha poi dichiarato testualmente: «E’ finito il tempo dei campanili, uniti saremo più forti».
5 – E ha concluso dicendo «Non ci interessa avere tre Ospedali non funzionanti; ce ne basta uno, ma che funzioni».
Tale discorso è stato tenuto in rappresentanza dei 23 sindaci del Sulcis Iglesiente, che hanno sottoscritto il “Patto per la Salute” formulato dai tre sindacati CGIL, CISL, UIL, e che è stato inviato al presidente della Giunta regionale Christian Solinas ed al Commissario dell’ARES Massimo Temussi.

Mario Marroccu

 

[bing_translator]

La Sanità di Iglesias e Carbonia del dopoguerra fu il prodotto professionale di Medici illustri.
Iglesias eccelleva nella Pneumologia, nella Pediatria, nell’Ortopedia, nella Ostetricia e Ginecologia e nella Chirurgia Generale. Aveva un’ottima Medicina Interna e una Radiologia di altissimo livello.
L’Ospedale di Carbonia prese ad esistere per effetto dello studio e del sacrificio quotidiano di medici versati in tutte le branche della Medicina.
Questo fu il primo periodo. Poi negli anni ’70 arrivarono altri professionisti illustri come il professor Lionello Orrù, cattedratico di Anatomia Umana Normale all’Università di Cagliari e docente di Anatomia Chirurgica nella scuola di specializzazione di Chirurgia.
Alla direzione del reparto di Ostetricia e Ginecologia, dopo il dottor Renato Meloni, venne nominato il dottor Giommaria Doneddu. Questi aveva perfezionato la sua specializzazione in Francia ed aveva introdotto in Italia il professor Kos di Lubiana, esperto nelle tecniche di isterectomia senza taglio addominale.
Questi Medici illustri sono tutti scomparsi. Hanno lasciato come eredità alle due città, insegnamenti di Medicina e di Chirurgia che ancora si tramandano.
L’Ospedale Comunale di Carbonia aveva come Presidente il Sindaco. L’apparato amministrativo era costituito da 5 impiegati.
La Direzione Sanitaria era condotta da un Primario nominato dal Sindaco su indicazione del Consiglio dei sanitari. La parte politica interveniva per ratificare le indicazioni date dal Consiglio
dei Sanitari. L’armonia tra parte laica e parte sanitaria era perfetta. Successivamente questo ordine di cose venne stravolto.
Attualmente la Direzione Generale della ASL viene nominata dal Presidente delle Giunta Regionale. I Sindaci sono esclusi dalla scelta.
Oggi il Direttore Sanitario viene nominato dal Direttore Generale. Anche in questo caso i Sindaci sono esclusi dalla scelta. Ne sono esclusi anche i Primari Ospedalieri.
Questo nuovo sistema di gestione ha una scala gerarchica in cui i Sindaci e i Medici non esistono. In sostanza esiste un rapporto semplificato fra due soggetti: nel gradino superiore c’è chi comanda, e nel gradino inferiore c’è chi obbedisce (i Medici) senza potere di replica. In questo modo le intelligenze sanitarie sono escluse del pianeta Sanità e non esiste possibilità che emergano personalità illustri.
Questo stato di cose dura da almeno 20 anni, cioè da quando si attuarono le revisioni della legge di Riforma Sanitaria n. 833/78. Con la revisione in senso burocratico degli Ospedali, il lavoro dei Medici fu regolato secondo schemi di “efficienza ed efficacia” che ricordano gli schemi della macchina produttiva industriale descritta magistralmente da Charlie Chaplin nel film “Tempi Moderni”. Il risultato fu la demotivazione dei medici, esclusi dalla programmazione, trasformati in “meccanici” esecutori in uno “stabilimento” dove si produce sanità come si producono “bulloni” a vantaggio di pazienti che vengono trattati come “clienti”.
L’ultimo dei Medici illustri dell’era dei “Comitati di Gestione” fu il dottor Paolo Pettinao. Fu il più grande Direttore Sanitario ed il più straordinario Primario di Anestesia. Lasciò in eredità una scuola di altri Primari Anestesisti. Non tutti sanno che egli fu il vero fondatore della Rianimazione che dette il via all’era dei trapianti. Negli anni ’80 esisteva un problema nel campo dei trapianti d’organo: il coma irreversibile deteriorava gli organi interni. Pertanto i reni, il cuore ed il fegato non erano utilizzabili. Ciò avveniva per il degrado metabolico del paziente comatoso. Il dottor Pettinao, a Carbonia, mise a punto tecniche per inserire i cateteri da alimentazione a livello dell’atrio destro del cuore. Tali cateteri servivano per misurare la “pressioni venosa centrale” e capire se il circolo arterioso fosse efficiente. In caso contrario si correggeva. Quei cateteri, sistemati all’imbocco del cuore, erano anche utili per infondere soluzioni  concentrate di Sali, Zuccheri, Aminoacidi, e Lipidi. Nessuno, fino ad allora, utilizzava questi metodi di “cateterismo venoso centrale” e “alimentazione parenterale” in Sardegna.
Ma non tutto era ancora chiaro sul perché si deteriorassero quei corpi.
Nel 1981 avvenne un fatto di politica internazionale che contribuì a gettare luce sul come mantenere efficiente il metabolismo degli organi mantenuti vivi con l’“alimentazione parenterale totale”. A Marzo era morto, in carcere a Londra, Bobby Sands. Costui era un affiliato all’IRA (Irish Republican Army) di Belfast. Catturato dagli inglesi, fu detenuto a Londra e tenuto in cattività per anni senza processo. Nel 1980 si svolsero le elezioni nel Regno Unito ed egli venne eletto parlamentare per la parte cattolica dell’Irlanda del Nord, vincendo sul candidato protestante. Nonostante ciò Margareth Tatcher non lo liberò. Allora Bobby Sands iniziò lo sciopero della fame. Dopo 50 giorni di digiuno, venne sottoposto ad alimentazione con sondino gastrico, tuttavia le sue condizioni metaboliche peggiorarono, finché morì nel 66° giorno dall’inizio dello sciopero della fame. Questo dimostrò che se un paziente fa un digiuno troppo prolungato, si verificano negli organi interni lesioni metaboliche irreversibili e, seppure si pente e riprende a mangiare, muore comunque. Il suo corpo venne sottoposto ad autopsia e studiato a fondo. Si scoprì che un digiuno prolungato altre i 40 giorni, provoca un danno irreversibile delle cellule. In particolare, crollano le strutture lipidico-proteiche che formano i pilastri portanti dell’edificio cellulare. La perdita dei grassi strutturali non è riparabile, ed è mortale.
Fu illuminante. Si capì l’importanza dei grassi nella dieta. I lipidi (grassi) non sono solo importanti per l’apporto energetico ma anche come elemento strutturale degli organi. I corpi in coma, in uno stato di restrizione dietetica prolungata senza grassi si deterioravano. In tutto il mondo, si approfondirono gli studi sull’alimentazione parenterale nei comatosi candidati al prelievo d’organi.
Il dottor Pettinao, a Carbonia, seguendo quegli studi, mise a punto schemi di alimentazione parenterale totale di soluzioni contenenti tutto ciò che serve alle cellule per sopravvivere.

Nel 1987 il dottor Pettinao vinse il primariato al Brotzu e, lì giunto, applicò le nuove tecniche di alimentazione in Rianimazione. I pazienti in coma, candidati al prelievo d’organi per trapianto, migliorarono il loro trofismo; gli organi nobili (reni, fegato, cuore) non si deteriorarono più ed iniziò l’era dei trapianti d’organo a Cagliari.

***

Negli anni successivi, gli Ospedali entrarono nell’“era grigia” del nuovo modo di gestire la Sanità pubblica, caratterizzato dall’esclusione dei rappresentanti politici delle città, dei Sindaci, e dei Primari.
Il ruolo dei Primari venne sottoposto a restrizione incompatibili con l’autostima. Fino a metà degli anni ’90, una volta vinto il concorso pubblico nazionale, i nuovi Primari sottoscrivevano con lo Stato un contratto a tempo indeterminato. Dopo la metà degli anni ’90 la nuova leva di riformatori di stampo “bocconiano” escogitarono un sistema che mise i “ceppi” al cervello dei Primari, inventando un modo opprimente di rapportarsi con loro: le nomine primariali potevano, da allora in avanti, durare solo 5 anni. Poi, dopo una valutazione della parte amministrativa, gli incarichi potevano essere rinnovati o dichiarati scaduti. Era come dire: «Tu mi appartieni».

***

Dato questo stato di precarietà dei ruoli è difficile far esporre pubblicamente i Medici illustri dei nostri Ospedali. Comunque, ci sono, ma nell’ombra e nel silenzio. Possiamo trovare traccia dei nostri concittadini illustri in altri luoghi. Faccio due esempi.
Primo esempio.
Il professor Nicola Perra proviene dal Liceo scientifico di Sant’Antioco; oggi è un Fisico teorico prestato alla Sanità. Studia gli algoritmi che governano la diffusione delle notizie, delle idee politiche, della pubblicità, e delle epidemie.
Già il 31 gennaio, nella versione cartacea di questo giornale, parlammo del libro scritto dal professor Nicola Perra intitolato “CHARTING THE NEXT PANDEMIC”. Si tratta di una pubblicazione edita a Boston nel 2017 in cui venne prevista una Pandemia disastrosa da Coronavirus a partenza dalla regione di VUHAN in Cina. Aveva azzeccato i tempi della diffusione, le vie, i danni e l’ipotetica durata (imprevedibile).
Pochi giorni fa Nicola Perra ci ha inviato, dall’Università di Seattle, dove si trova per un contratto di studio, uno scritto che aveva già pubblicato nell’anno 2011 negli Stati Uniti. Ce lo invia a proposito della fine del lockdown e del pericolo ipotetico di seconda ondata, e dice: «L’ho scritto nel 2011…».

La paura si rafforza, fino a quando non riduce gravemente il serbatoio di individui sensibili, causando un declino di nuovi casi. Di conseguenza, le persone vengono attirate in un falso senso di sicurezza e tornano al loro normale comportamento (recupero della paura) causando un secondo picco epidemico che può essere ancora più grave del primo. Alcuni autori credono che si sia verificato un processo simile durante la pandemia del 1918, portando molteplici “CIME EPIDEMICHE”.
Suona familiare? Attenzione gente, non è ancora finita.

***

Secondo esempio.

Riguarda il dottor Massimo Medda. Anche lui è un prodotto dei nostri licei del Sulcis Iglesiente. E’ un illustre Medico che ha dimostrato doti eccezionali nella gestione della epidemia di Coronavirus a Milano.
Laureato a Cagliari in Medicina e Chirurgia, ha poi studiato Cardiologia a Milano e oggi è Primario Cardiologo del reparto di Emodinamica dell’Ospedale Sant’Ambrogio del Gruppo San Donato.
Domenica 7 giugno, alle ore 11,30, è stato intervistato dal Direttore della rete televisiva RAI 3. Perché ne ha suscitato la curiosità? Perché durante il peggior periodo dell’epidemia, quando non si sapeva dove smaltire i tanti morti perché i forni crematori non bastavano, il dottor Massimo Medda continuava ad operare giorno e notte, senza paura per la sua vita, organizzando il reparto in modo tale da curare anche gli infartuati affetti da Coronavirus in fase acuta. Ha spiegato: «Ho diviso il reparto e la sala operatoria in 3 settori. Nel primo settore trattiamo i pazienti senza virus. Nel secondo settore trattiamo i Covid positivi infartuati, con angioplastica e stent, poi li trasferiamo in un reparto a loro dedicato. La parte più importante è il terzo settore. In questo vengono trattati con angioplastica tutti i pazienti di cui non si sa se siano o no affetti dal virus. A tutti viene eseguito, all’ingresso, il tampone rinofaringeo per estrarre l’RNA virale. Non aspettiamo neppure un minuto per la risposta di laboratorio. Portiamo subito il paziente in sala operatoria e lo operiamo per l’infarto, perché l’infarto non può attendere neanche un minuto. Poi, finito l’intervento, il paziente viene trasferito in una “zona grigia” e viene curato come seavesse il Coronavirus. Quando arriva il referto del tampone decidiamo la destinazione definitiva del paziente».
Questo oggi è il cardiologo emodinamista interventista più illustre della Lombardia e, dato che la Lombardia è la regione più colpita d’Europa, questo è il cardiologo interventista più illustre d’Europa.
Questi due casi servono a dimostrare che noi produciamo sempre Scienziati e Medici illustri e che ne abbiamo ancora molti altri. Gli altri, i locali, sono condannati al silenzio e all’ininfluenza.
Chiunque stia soffrendo per il clima di respingimento che si subisce all’ingresso dei nostri ospedali e, soprattutto, coloro che, avendo un infarto dopo le ore 16.00, vengono respinti perché il reparto di Emodinamica è aperto solo di mattina, dalle 8.00 alle 16.00, guardi l’intervista del dottor Massimo Medda.
Guardatela, commuovetevi davanti a questi giovani meravigliosi e pensate a tutti coloro che, avendo un infarto tra il venerdì sera ed il lunedì mattina, trovano le porte del reparto di Emodinamica di Carbonia chiuse.
Per Massimo Medda la vita di un vecchio, con l’infarto, vale come la sua vita. Per questo, corre il rischio di morire anche lui di Coronavirus. Ma qui a Carbonia, per motivi puramente amministrativi, avviene il contrario e questa propensione dei Medici, di dare se stessi per la salvezza del malato, non può essere espressa.
Questa lunghissima premessa serve a porci una domanda: «Perché siamo così vili da consentire tanto disprezzo per le nostre vite?»

Mario Marroccu

[bing_translator]

Nulla sarà come prima. Man mano che le settimane passano, tutte quelle morti e la paura di morire scivoleranno nell’oblio. Eppure, nei rapporti sociali, fatti di politica, economia, cultura, questo incidente sanitario durato tre mesi modificherà gli schemi della convivenza. Avverrà lentamente. All’inizio questi incidenti sembrano piccoli episodi della storia, successivamente si manifestano nella loro grandiosità.

Capitò a Cristoforo Colombo quando scoprì l’America pensando di aver trovato solo una nuova strada per il commercio delle spezie e della seta. Invece aveva messo il seme di: Canada, Stati Uniti eAmerica Latina.

Esistono tre fili guida su cui corre la Storia: la cultura umanistica, la ricerca del benessere e l’astrazione religiosa. Sono le tre direttrici dell’identità. Poi esistono direttrici peculiari dei luoghi:

  • Sant’Antioco si identifica col suo porto ed il mare;
  • Carloforte nella sua insularità;
  • Il Sulcis nelle sue vigne ed allevamenti;
  • Carbonia e Iglesias nei loro ospedali e nelle attività industriali.

Inoltre queste città riconoscono una identità comune nella storia del loro “Sistema sanitario”.

La Sanità di Carbonia iniziò esattamente il 18 dicembre 1938 con il discorso di Benito Mussolini dalla Torre Littoria, nel tripudio popolare.

Allora esisteva a Carbonia un piccolo ospedaletto in piazza Cagliari. La storia di quei primi anni è scarsa. Abbiamo più notizie nel 1941. Siamo in pieno fascismo e in piena guerra. Le miniere producevano la materia prima per il consumo bellico di energia. 

I primi  professionisti sanitari vennero assunti, con regolare delibera, nel 1941.

La prima figura di Sanitario dipendente fu la signora Liliana Casotti, infermiera ostetrica. Venne assunta il 16 agosto 1941. Lei  da sola, fece nascere migliaia di bambini dalle donne della vasta città di 65.000 abitanti appena sorta.

Il 16 Settembre 1944 venne assunto il dottor Renato Meloni, chirurgo, urologo, ematologo, oncologo, ostetrico e ginecologo. Aveva 25 anni.

Questi due personaggi furono i progenitori del futuro mondo Sanitario.

Esiste su Youtube un bellissimo film documento con immagini di Carbonia in quegli anni. “Fascism in the family”. Interessantissimo. E’ stato girato da Barbara Serra, la famosa corrispondente da Londra di Al Jazeera. Racconta del Podestà di Carbonia di quegli anni: Vitale Piga. Era il nonno di Barbara. Nel film è ben tratteggiato l’ambiente umano di cui si prendeva cura l’Ospedale di piazza Cagliari.

Alla fine della guerra l’Ospedale nuovo, sorto fuori città, venne utilizzato dalle truppe Inglesi. Poi nel 1956, finito il dopoguerra, tutto il personale di piazza Cagliari si trasferì al Sirai. L’Ospedale era diventato “Ente Ospedaliero Comunale”, ed era classificato come “Ospedale zonale”. Al di sopra dell’ospedale zonale vi era l’”Ospedale Provinciale di Cagliari”, il San Giovanni di Dio. Nel passaggio tra anni ’60 e ’70 il Sirai, per il suo volume di attività, stava per essere riclassificato come Ospedale “Provinciale”. Era Sindaco Pietro Cocco. La procedura non andò a conclusione.

Intanto la compagine Sanitaria era cresciuta:

  • Nel 1945 venne assunto il nuovo primario chirurgo, proveniente dalla Patologia Chirurgica dell’Università di Cagliari, dottor Gaetano Fiorentino. Era un  reduce della campagna di Russia come chirurgo dell’ARMIR.    
  • Nel 1951 venne assunto il dottor Luciano Pittoni, chirurgo, pediatra, ginecologo, ostetrico, traumatologo, neurochirurgo e, soprattutto, anestesista. Fu il primo specialista in Anestesiologia in Sardegna. 
  • Nel 1953 fu assunto il dottor Giuseppe Porcella, chirurgo, traumatologo, proveniente da Sassari.
  • Nel 1954 venne assunto il dottor Enrico Pasqui che, all’età di 25 anni, iniziò a dirigere la Medicina Interna e la Pediatria.
  • Nel 1955 fu assunto il dottor Pasquale Tagliaferri: oculista.
  • Nel 1956 fu assunto il dottor Mario Casula: farmacista.
  • Nel 1956 fu assunto il dottor Enrico Floris: nuovo primario internista.

Nell’anno 1956 il corpo sanitario era formato da 9 persone di cui: di cui 7 medici, 1 ostetrica, 1 farmacista.

Da quel primordiale crogiolo fu generata la complessa organizzazione Sanitaria successiva.

L’Ospedale fu governato, negli anni di crescita, dal Sindaco Pietro Cocco. L’Amministratore era Dioclide Michelotto. Il “Consiglio di Amministrazione” era lo stesso “Consiglio Comunale di Carbonia”. Il Sindaco della città, era il Presidente dell’Ente Ospedaliero.

Il numero degli ammalati messi nelle mani di questi pochi medici era immenso. Si consideri che Carbonia agli albori degli anni ’60, aveva 60.000 abitanti; Sant’Antioco ne aveva 14.000; Carloforte ne aveva 7.000.

L’Ospedale aveva 384 posti letto, tre volte tanto gli attuali  posti letto per acuti. Vi erano due reparti di Medicina Interna, uno di pediatria, uno di Chirurgia Generale, uno di Traumatologia, uno di Ostetricia e Ginecologia, il Pronto Soccorso, la Radiologia, un attrezzato Laboratorio, un Centro Trasfusionale, un ambulatorio chirurgico oculistico per le operazioni di cataratta e rimozione dei corpi estranei dall’occhio, un ambulatorio di Otorinolaringoiatria, le cucine per i ricoverati , la Lavanderia, la falegnameria, le caldaie per il riscaldamento, la squadra di elettricisti, l’officina, la squadra di operai tecnici. Vi erano residenti in Ospedale le Suore Orsoline e i medici (dottor Gaetano Fiorentino, dottor Renato Meloni, dottor Luciano Pittoni). I chirurghi erano immediatamente presenti per le urgenze.

Si eseguivano 1.600 interventi chirurgici l’anno, contro gli 800 circa attuali.

Nascevano 2.000 bambini l’anno, contro gli attuali 300 circa di Carbonia e Iglesias assieme.

Le prestazioni sanitarie venivano pagate dalle Casse Mutue. Il Bilancio dell’Ente era sempre attivo e Il surplus veniva utilizzato per le opere pubbliche nella città di Carbonia. Attualmente invece i bilanci annuali sono in debito per milioni di euro.

Poi arrivò la crisi delle miniere, ma l’Ospedale sotto la guida del Comune, aumentò la consistenza numerica dei suoi dipendenti, e distribuì stipendi che tennero viva la rete commerciale locale. Pertanto, il buon funzionamento della Sanità si traduceva anche in un beneficio economico per il territorio.

Era sempre Presidente Pietro Cocco quando venne promulgata la legge più importante della storia Repubblicana: la legge 833 del 1978. Era la “Legge di Riforma sanitaria”. Fu una grandiosa rivoluzione. Nacquero le ASSL. Quella di Carbonia fu la n. 17; quella di Iglesias fu la n. 16. Scomparvero gli Enti Ospedalieri Comunali e comparvero le “Aziende Socio Sanitarie Locali”. Tutti i Comuni dell’hinterland, cioè il Sulcis, nominarono nel 1982 i Delegati Comunali per il “Comitato di Gestione della ASSL”. Tra i consiglieri comunali eletti, venne formato il Consiglio di Amministrazione della ASSL. Il primo Presidente, dopo Pietro Cocco, fu Antonio Zidda; il vicepresidente fu Andrea Siddi, che era anche Sindaco di Sant’Antioco.

Le deliberazioni della ASSL venivano assunte dopo confronti serrati sia fra i consiglieri comunali del territorio, sia fra Amministrazione e Sindacati.

L’epoca dei Comitati di Gestione fu un fermento di idee e di partecipazione popolare. Furono prese allora le decisioni di miglioramento dei Servizi Ospedalieri fino ad oggi.

Il numero dei Sanitari aumentò e le istanze dei Medici furono rappresentate, in Amministrazione, dal “Consiglio dei Sanitari”. Il parere dei Medici fu fondamentale per qualsiasi decisione di tipo sanitario. La collaborazione fu proficua.

La Direzione Amministrativa Sanitaria della Sardegna era attribuzione dell’Assessore regionale della Sanità che agiva come super-presidente delle ASSL.

In questa scala gerarchica della catena direzionale la volontà popolare del territorio era genuinamente rappresentata.

Negli anni ’90 il corso della storia della Sanità Ospedaliera cambiò bruscamente direzione.

Arrivarono i “Tecnici”. Tristi figure di scuola bocconiana che stravolsero il senso del “prendersi cura dell’Altro”. Gli Ospedali cambiarono nome: si chiamarono “Stabilimenti”. Anche i “pazienti” cambiarono nome: si chiamarono “clienti”. Il prodotto dello “Stabilimento” doveva essere gestito con le stesse regole con cui si producono e si vendono i prodotti industriali. L’obiettivo non era più il benessere sanitario ma il “bilancio”. Il numero di posti letto per mille abitanti fu portato da 6 a 3. Il “bilancio” fu l’ossessione contabile prevalente e si pretendeva di conservare “efficienza e efficacia” pur tagliando posti letto, organici e spese per aggiornamento strumentale e strutturale. Le dinamiche decisionali non derivavano più dal confronto fra i bisogni popolari e la parte politica, ma dalla sequenza rigida di azioni dettate dalla scaletta di un algoritmo. L’algoritmo spodestò lo “spirito di servizio” e la “mediazione” con le “forze sociali” attraverso un retinacolo di passaggi burocratici, impenetrabile al cittadino comune. Il cittadino comune, e anche il più alto rappresentante sanitario della città, il Sindaco, vennero tecnicamente espulsi dal luogo dove si formulano le proposte programmatiche e si prendono le decisioni. Questo fu il frutto delle continue rielaborazioni fino al totale sovvertimento della legge 833.

Il centro del nuovo mondo sanitario venne occupato dallo “apparato burocratico”. I pazienti e i medici vennero posti alla periferia di quel mondo o, più frequentemente, al di fuori.

Il dominio del puro risultato “contabile”  sulla mission di tutela sanitaria della 833 produsse:

  • L’annullamento dei Medici nelle dinamiche decisionali sanitarie,
  • L’annullamento degli Infermieri,
  • La riduzione degli Organici,
  • La conseguente chiusura di reparti medici e chirurgici,
  • La contrazione delle spese per attrezzature ed aggiornamenti,
  • L’accorpamento di reparti deteriorati,
  • La mancata sostituzione dei primari e personale andati in pensione,
  • La insoddisfazione della popolazione costretta a cercare assistenza altrove generando mobilità passiva,
  • L’accentramento della Sanità nelle città capoluogo,
  • L’impoverimento dei Servizi,
  • Le scandalose liste d’attesa.

E ne sono conseguiti:

  • La mobilità passiva verso Cagliari, Sassari ed il Continente,
  • Il trasferimento di somme enormi del Bilancio per pagare i Servizi Sanitari comprati dal capoluogo e dalle Case di Cura private.
  • La perdita, lenta, di circa 1.000 posti di lavoro tra Carbonia e Iglesias a vantaggio di Cagliari.
  • Le 1.000 buste paga scomparse in progressione dal Sulcis Iglesiente, tra la fine degli gli anni ’90 ed oggi, corrisponde a oltre un milione e mezzo di euro di stipendi al mese che manca alla rete commerciale locale.
  • In un anno mancano al circuito di danaro nel Sulcis Iglesiente almeno 18 milioni di euro.
  • La mancanza di soldi dal nostro territorio a vantaggio di territori già traboccanti di privilegi e servizi come Cagliari genera: povertà.
  • La povertà e la mancanza di lavoro chiudono il cerchio e si autoalimentano.
  • La fuga delle giovani coppie che ne consegue si traduce in spopolamento ed invecchiamento relativo.
  • I meno giovani restano in balia di un sistema che non è più “accogliente” come ai tempi dei “Comitati di Gestione” ma “respingente”.
  • Le lunghissime “liste d’attesa” sono la rappresentazione grafica perfetta del “respingimento” in atto.

Durante il “lockdown” abbiamo assistito ad un fenomeno impensabile: il “silenzio” dei Medici Ospedalieri.

Nessuno parla, nessuno informa, né partecipa alle ansie della gente. Muti lavorano, distogliendo lo sguardo.  Il “silenzio” dei Medici Ospedalieri è il sintomo chiaro della loro esclusione dalla Sanità.

Ora è il momento.

Se è vero che nulla sarà come prima, dobbiamo stare attenti. Il cambiamento può essere in meglio o anche in peggio.

Per tutto ciò che ho detto in premessa, questo è un momento storico: sul cavallo in corsa della nostra Storia Sanitaria è stato cambiato il cavaliere. Bisogna verificare chi è, e in quale direzione intende correre questo cavaliere post-Covid.              

Mario Marroccu