4 November, 2024
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L’Autonomia riconosciuta a noi sardi in Costituzione ha ragioni molto diverse da quelle che oggi sono alla base del recente disegno di legge sull’“Autonomia differenziata”. La prima fu approvata per generare coesione nazionale e sussidiarietà. La seconda invece pare avere principi e finalità differenti.

L’Autonomia sarda derivò dall’esperienza di tre secoli di sottomissione alla Spagna, da un secolo di resistenza ai piemontesi e da un altro secolo di guerre e battaglie per fare l’Italia. I sardi inventarono l’“Autonomia” per porre fine alla povertà indotta dal feudalesimo. Nei tre secoli in cui la Sardegna era stata sottoposta al dominio spagnolo, la sua amministrazione era basata su una gerarchia molto semplice.

Esisteva il “vassallo” del re che, per diritto feudale, era proprietario di tutto: delle terre, delle persone, degli animali, dei mari e dei pesci, dei boschi, insomma di tutto. L’economia era semplicissima: dentro il feudo avvenivano la produzione, il consumo e la vendita o lo scambio dei prodotti della terra; il commercio finiva lì. In un sistema economico e culturale chiuso, senza scambi col mondo esterno, la povertà era assicurata. Una siffatta povertà si è poi radicata in modo strutturale e persistente. Fino all’anno 1714 la Sardegna e il ducato di Milano furono parte integrante dell’impero spagnolo. Il regime di controllo politico a cui erano sottoposti i sardi e i milanesi era simile, ma in Sardegna la vita era infinitamente peggiore. Nel 1702, dopo la morte dell’imperatore di Spagna Carlo II, che non lasciava eredi, era scoppiata una guerra di successione terrificante tra la Francia e il resto d’Europa (Inghilterra, Sacro Romano Impero e piccolo Ducato di Savoia). Alla fine, con il trattato di Ramstatt del 1714, l’impero spagnolo venne spezzettato. Con la spartizione la Sardegna venne assegnata al duca di Savoia, il Lombardo-Veneto invece venne assegnato agli Austriaci.

La nobiltà sarda, di genealogia spagnola, mantenne in vita il regime feudale con le note conseguenze sociali, economiche e culturali di arretramento. Il Lombardo-Veneto invece fu molto più fortunato perché, nonostante mancasse la libertà politica, il regime feudale finì e l’economia, la burocrazia, la cultura e l’organizzazione sociale si adeguarono all’evoluzione post-feudale di tutta l’Europa.

Fino al 1730 circa il duca di Savoia evitò di interessarsi di Sardegna ignorando lo stesso titolo di re che gli era piombato addosso. Dal 1730, con l’intervento del primo viceré sabaudo barone di Saint Remy e, soprattutto, dal 1756 con l’opera riformatrice del conte Lorenzo Bogino, iniziarono i cambiamenti. Fu soprattutto con la nuova cultura illuminista, che proveniva dalla Francia, che i sardi cominciarono a prendere coscienza dei diritti naturali dell’Uomo e del Cittadino. A Cagliari, alla fine del 1700, nel rione di Stampace, si formarono in segreto circoli illuministi di stampo giacobino e iniziò a prendere corpo l’idea di autogovernarsi secondo i principi di uguaglianza e di libertà. Contemporaneamente esisteva un vasto movimento autonomista in Corsica alimentato da Pasquale Paoli e si instaurarono contatti fra i movimenti delle due isole. Pasquale Paoli dapprima combatté i Genovesi per liberare la Corsica dal loro dominio, poi si ribellò anche ai Francesi, divenuti i nuovi padroni. Quella ribellione non si è mai spenta completamente tanto che Paoli tutt’oggi è considerato il padre della patria corsa. Similmente anche i sardi rifiutarono di finire sotto il nuovo padrone francese, e successivamente cacciarono i Piemontesi maturando l’idea di Autonomia del popolo sardo. Tutto iniziò nel 1793. A gennaio di quell’anno le navi da guerra francesi inviate dal Comitato rivoluzionario di Salute pubblica di Parigi, al comando dell’ammiraglio Truguet, occuparono le isole di Carloforte e Sant’Antioco. Come primo atto gli occupanti-liberatori vi fondarono la prima repubblica italiana: “La Rèpublique de la Libertè”. I Carlofortini, dapprima accettarono, ma i Calasettani e gli Antiochensi no.

Una volta occupate militarmente le due isole sulcitane, le truppe francesi iniziarono la marcia su Cagliari passando dall’istmo di Santa Caterina. Allorché le truppe si inoltrarono nell’istmo vi fu un’incredibile reazione da parte di sei abitanti della zona che, saltati a cavallo e caricati gli schioppi, attaccarono i soldati francesi e in men che non si dica ne uccisero 20. Il fatto interruppe l’avanzata francese e dette tempo al cavalier Camurati, piemontese, di organizzare le sue truppe nella terraferma e di ricevere l’appoggio di armati inviati dalla curia di Iglesias. Questi erano una milizia privata bene armata e, infervorati fa un frate guerriero, un tal padre Arrius, erano pronti a tutto, pur di fermare i francesi rivoluzionari anticlericali. L’ammiraglio francese, vista quella micidiale resistenza, dimise subito l’idea di raggiungere Cagliari per quella via, reimbarcò le truppe sulle navi ancorate nel Golfo di Palmas e procedette per via mare. Dopo pochi giorni la flotta da guerra francese cannoneggiò Cagliari e sbarcò le sue truppe d’assalto nella marina di Quartu. Le guardie svizzere che proteggevano il Castello di Cagliari, si asserragliarono chiudendo i ponti levatoi. Il popolo, lasciato solo, si armò e, organizzato da leaders improvvisati come Vincenzo Sulis e Girolamo Pitzolo, sorprese i soldati invasori nelle paludi di Quartu e del Poetto e ne fece strage. I Francesi rinunciarono e ripartirono. In quelle due battaglie, quella di Santa Caterina nel Sulcis e quella di Quartu, si era manifestata, dopo molti secoli di rassegnato torpore medioevale, un nuova entità guerriera che avrebbe fatto la storia: il “popolo sardo”.

Il re piemontese in tutta risposta premiò le guardie svizzere che si erano asserragliate in Castello e ignorò il popolo che aveva difeso sé stesso e anche la sede del viceré Balbiano. I coscritti dei circoli stampacini, approfittando dei meriti maturati in quel momento, organizzarono un Commissione per chiedere udienza al re a Torino e proporgli le cosiddette “cinque domande”. Si trattava di richieste apparentemente molto semplici ma che contenevano fondamentalmente il riconoscimento e la legittimazione del “popolo sardo” come nuovo soggetto da prendere in considerazione e introdurre nell’apparato per l’amministrazione e la difesa della Sardegna. Si trattava, di fatto, del primo abbozzo scritto dell’idea di “Autonomia” sarda. Il re Vittorio Amedeo III, molto regalmente, ignorò la Commissione e la lasciò in attesa fuori dal suo palazzo per 6 mesi, poi respinse le “5 domande”. Fu una grande umiliazione.

A Cagliari, nel quartiere di Stampace, per reazione fervèttero ancor di più le riunioni dei circoli giacobini allo scopo di creare una coscienza popolare rivoluzionaria. Qui, un anno dopo le battaglia contro i francesi, maturarono i fatti di “Sa Die de Sa Sardigna”: il 28 aprile 1794. Quel giorno, non potendone più degli arresti e delle provocazioni delle guardie del Viceré, il popolo si rivoltò e puntò armi e cannoni contro Castello. La battaglia fu intensa, con morti da ambo le parti, è finì con la conquista della piazzaforte e con lo “Scommiato”, cioè la cacciata da Cagliari dei Piemontesi che vennero imbarcati su navi dirette a Genova. Con questi eventi violenti il popolo sardo entrò nel vortice delle rivoluzioni della fine del 1700 e con la sua rivolta contro i Savoia divenne attore di primo piano nello stesso violento scenario storico per portò all’Indipendenza degli Stati Uniti di America con Giorgio Washington e al Terrore di Parigi con Robespierre. Il re di Sardegna si trovò all’improvviso dentro la Rivoluzione che stava agitando l’Europa; capì la situazione e accettò immediatamente le “5 domande”. Fu la prima pietra storica dell’edificio giuridico che in 150 anni avrebbe sancito l’Autonomia Speciale della Sardegna. In quella storia di rivoluzione e riscossa avvenne un triste fatto emblematico dell’insofferenza del popolo sardo. Due dei Commissari sardi, rappresentanti del movimento patriottico, che si erano recati a Torino e avevano concordato i termini della compartecipazione della Sardegna alla nuova gestione, il marchese della Planargia e Girolamo Pitzolo, accettarono dal re incarichi e privilegi personali, diventando di fatto collaborazionisti dell’apparato di controllo politico straniero. Furono cioè cooptati nel sistema di potere piemontese. Tale posizione era in netto contrasto con le idee più radicali di Autonomia rappresentate da Giovanni Maria Angioy. Ciò creò nei sardi, che si sentirono traditi, un forte risentimento che esplose in una rivolta sanguinosa con il massacro dei due, avvenuto a Cagliari nel luglio 1795.

Il sogno dell’autonomia coltivato dai sardi con “Sa Die de sa Sardigna del 1794” non fu facile da realizzare; dopo l’accettazione delle “5 domande” quel sogno fu represso da frustrazioni dolorose che andarono avanti per tutto il 1800. I sardi, per le doti guerriere che avevano dimostrato, erano diventati, per il re di Sardegna, un esercito di soldati professionisti, fedeli, coraggiosi e micidiali, da utilizzarsi in battaglia. Furono impiegati efficacemente a fianco dei Francesi contro i Russi in Crimea nel 1853-56. Subito dopo Napoleone III accettò di aiutare il regno Sardo nella Seconda guerra d’Indipendenza. Da allora i sardi rappresentarono il nerbo delle forze speciali in tutte le guerre che seguirono. Questo non fu dimenticato.

Fin dall’inizio del 1800, al centro dell’interesse, nella vita civile dei sardi, vi era sempre stata la rinascita dell’Isola, partendo dall’agricoltura. Il dibattito che ne era seguito in sede di governo aveva generato l’editto delle “chiudende”, nella convinzione che la distribuzione al popolo delle terre dei Salti o ademprivi, avrebbe favorito una nuova economia imprenditoriale.

Tale metodo di distribuzione del latifondo reale era stato sperimentato nel regno Unito con qualche successo. In Sardegna fu un fallimento, perché le terre finirono nelle mani dei più ricchi e i poveri rimasero senza pascoli e senza terra libera da coltivare, perché i salti vennero inglobati nel latifondo privato. L’uscita dalla mentalità feudale si rivelò difficilissima. Durante tutto il secolo vennero istituite diverse commissioni parlamentari che svolsero inchieste per trovare una soluzione alla cronica povertà dell’Isola. Nel 1897 venne approvata la prima legge speciale per la Sardegna. Ad essa seguirono le leggi speciali del 1902 e 1914. Alla fine si approdò alla legge nota come “Legge del Miliardo” con cui si disposero spese per l’esecuzione di opere pubbliche finalizzate ad ottenere una maggiore produzione e migliorare il tenore di vita della popolazione.

L’Italia neonata aveva continuato ad utilizzare i sardi in prima linea in tutte le guerre che seguirono. Da quelle in Africa a quelle in Europa. I sardi furono messi al centro del fronte di tutte le battaglie dell’Isonzo nella prima Guerra mondiale, e furono essi, con la Brigata Sassari, i temuti “diavoli rossi”, che protessero le truppe italiane in fuga dai cacciatori austriaci nella ritirata di Caporetto. Dai reduci di quella guerra nacque il Partito sardo d’Azione con un programma Autonomistico. L’Autonomia sarda non fu bene accetta dal Fascismo ma riprese vigore alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con la richiesta di introdurre in Costituzione il riconoscimento della Sardegna come regione ad Autonomia Speciale.

Il riconoscimento avvenne il 26 febbraio 1948, con la legge n. 3. I padri Costituenti che presentarono le motivazioni per la concessione dell’“Autonomia Speciale” alla Sardegna furono Emilio Lussu e Renzo Laconi. La sintesi delle motivazioni fu: «Povertà secolare per una storica sottomissione che ne ha impedito lo sviluppo economico».

I Costituenti Repubblicani tennero conto delle diverse istanze provenienti dalle regioni e optarono per concede ad alcune di esse l’Autonomia speciale, nel rispetto del principio di indivisibilità della Repubblica e della sussidiarietà tra le regioni.

Vennero riconosciute “Regioni a Statuto speciale” la Sicilia, la Sardegna, la Val d’Aosta, il Trentino alto Adige ed il Friuli Venezia Giulia.

Le motivazioni erano basate su ragioni storiche, geografiche, economiche, per contenere spinte autonomistiche e per la tutela delle minoranze linguistiche.

Ai Consigli regionali delle regioni elencate venne riconosciuto potere legislativo con la possibilità di produrre leggi concorrenti con lo Stato. Fu altresì riconosciuta a tali regioni la competenza ad imporre tributi propri e la capacità di trattenere per i propri bisogni una percentuale del gettito fiscale di alcune imposte statali che poteva essere anche del cento per cento (per esempio sulla produzione e consumo di energia).

Ora questo privilegio, che fu concesso per necessità, è in pericolo.

Una trentina d’anni fa un nostro conterraneo sulcitano, rappresentante sardista, venne invitato ad una cena politica organizzata dal leghista Roberto Maroni in una città del Nord. In quella cena i leghisti vantarono la loro superiorità morale, economica e politica rispetto al Sud. Il nostro uomo prese la parola e rispose: «…evidentemente non sapete che se voi oggi esistete come popolo libero e ricco lo dovete a noi sardi che nel 1859, quando voi eravate l’estrema periferia dell’impero austro-ungarico, con le battaglie di Solferino, di San Martino e di Magenta, vi liberammo dall’oppressore e vi facemmo assaporare l’indipendenza; con la libertà conquistata da noi avete potuto diventare quello che oggi siete».

Questa fu la posizione del sardo quel giorno. Oggi è vecchio e continua a pensare allo stesso modo; non so se le nuove generazioni abbiano la stessa consapevolezza della nostra storia.

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Il Coronavirus sta condizionando pesantemente il regolare svolgimento del campionato di serie D. Sono ben 33 le partite rinviate nei vari gironi, tra le quali cinque delle nove previste per la quinta giornata di andata nel girone G, dopo l’accertamento di casi di positività al virus tra i tesserati. Non si giocheranno le partite Vis Artena-Latte Dolce Sassari, Muravera-Giugliano, Monterosi-Team Nuova Florida, Insieme Formia-Gladiator e Nocerina-Nola. Il programma conserva solo quattro partite: Latina-Torres, Afragolese-Lanusei, Arzachena-Cassino e Carbonia-Savoia.

La Torres, la squadra più deludente di questo avvio di stagione, ancora a zero punti dopo quattro sconfitte, gioca in anticipo alle 14.30, a Latina, dirige Andrea Zambetti di Lovere, assistenti di linea Gino Passaro di Salerno e Roberto Maroni di Fermo.

Carbonia-Savoia, domenica pomeriggio, alle 14.30, sarà diretta da Edoardo Papale di Torino, assistenti di linea Alex Arizzi di Bergamo e Francesco Raccanello di Viterbo). Per la prima volta quest’anno lo stadio Carlo Zoboli sarà aperto al pubblico, con un ingresso contingentato nella misura del 15% della capienza massima della tribuna.

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E’ stata sancita con la firma di un Protocollo d’intesa, questa mattina a Villa Devoto, la collaborazione tra la Regione Sardegna e la Regione Lombardia per l’avvio del nuovo sistema di emergenza-urgenza sardo. A sottoscrivere l’accordo i presidenti Francesco Pigliaru e Roberto Maroni, affiancati dai rispettivi assessori della Sanità, Luigi Arru e Giulio Gallera, dal direttore generale dell’assessorato della Sanità della Sardegna, Giuseppe Sechi, e dal direttore generale dell’AREU lombarda, Alberto Zoli.

La collaborazione si incentra soprattutto sulle modalità di funzionamento dell’Areus; la riorganizzazione del sistema regionale dell’emergenza/urgenza sanitaria extraospedaliera (118); le attività di implementazione del servizio di elisoccorso HEMS (Helicopter Emergency Medical Service) regionale; la costituzione, attivazione e funzionamento del Numero Unico dell’Emergenza (NUE) 112; la formazione di tutte le figure professionali coinvolte, anche utilizzando strumenti e metodiche sperimentali. Il protocollo ha una durata di due anni e non comporta oneri economici a carico dei rispettivi bilanci regionali.

«Siamo molto soddisfatti dell’intesa con il Presidente Maroni», ha detto il presidente Francesco Pigliaru. «Il loro modello di AREU è eccellente, leggero, orizzontale, basato su un forte coordinamento, decisamente il più adatto alle nostre esigenze. La firma di oggi è un’ottima occasione per ribadire quanto diciamo da tempo: le buone pratiche sviluppate dalle regioni sono una grande ricchezza per l’intero Paese», ha proseguito il presidente Pigliaru. «Lo Stato dovrebbe impegnarsi a diffonderle, magari con la creazione di un catalogo, che diventi repertorio di esperienze e soluzioni già attuate con successo e al quale tutte le regioni possano attingere. A un centralismo che costringe a far capo alla burocrazia di un qualche ministero romano è di gran lunga da preferire un regionalismo virtuoso – ha concluso Francesco Pigliaru -, dove il confronto costante tra esperienze regionali diventa luogo nel quale generare sperimentazioni».

«Questa iniziativa della struttura dell’emergenza-urgenza Areu e il Numero Unico di Emergenza 112 che abbiamo sviluppato in Lombardia parte dalla sperimentazione attivata da me, nel 2010, quando ero ministro dell’Interno», ha detto il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni. «Partimmo dalla provincia di Varese e la cosa funzionò e ora è estesa in tutta la regione. Prevede la riunificazione delle centrali operative, che rispondono alla chiamata di quelli che erano i diversi numeri di emergenza e inviano sul luogo di un incidente, per esempio, solo i mezzi che davvero servono. Mettiamo questa nostra esperienza a disposizione delle altre Regioni, in questo caso della Sardegna, con spirito di leale collaborazione istituzionale. Sostengo la proposta del presidente Pigliaru di istituire, tra le Regioni, un ‘Catalogo delle buone pratiche’, che preveda lo scambio delle eccellenze che ogni Regione sviluppa in diversi settori – ha aggiunto Maroni – e propongo di portare questo modello di scambio delle buone pratiche in Conferenza della Regioni.»

Il responsabile sardo della Sanità, Luigi Arru, ha ricordato che la collaborazione con l’Areu e, in particolare, con il direttore generale Alberto Zoli, si è sviluppata negli anni. «Quello lombardo – ha detto – è il modello più adatto alle nostre caratteristiche e alle esigenze della nostra tempistica. Proprio oggi è stato pubblicato il bando per l’elisoccorso della Sardegna sulla Gazzetta Ufficiale Europea e, anche grazie alla collaborazione con la Lombardia, contiamo di avere al più presto un nuovo sistema di emergenza-urgenza sardo».

L’omologo lombardo, Giulio Gallera, ha aggiunto che l’esperienza dell’Areu non è nata in poco tempo e che ha avuto bisogno di diverse correzioni: «Il nostro modello di Emergenza Urgenza – ha detto Giulio Gallera – è un modello trasversale che vede l’Areu in un ruolo di governance della rete dei soccorsi che uniforma il servizio in tutto il territorio regionale, dandogli così maggiore efficienza e concretezza».

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Si apprende da agenzie di stampa che oggi il presidente della RAS Francesco Pigliaru e il presidente della Lombardia Roberto Maroni, con i rispettivi assessori della Sanità, si incontrano per firmare un protocollo d’intesa finalizzato alla “costituzione, attivazione e definizione delle modalità di funzionamento dell’ Azienda Regionale Emergenza Urgenza  della Sardegna: AREUS ”.

La notizia, a dire il vero, è stata preceduta da parziali informazioni e mezzi-annunci sul merito della questione Areus e relativo sistema di elisoccorso con un  impegno di risorse di circa 90 milioni di euro stanziati con l’ultimo assestamento di bilancio. Quel che è certo, anzi sconcertante, rimane il fatto che il Consiglio Regionale, di questo accordo Maroni-Pigliaru, non ha mai saputo nulla e non è mai stato reso partecipe in alcuna discussione di merito.

La stessa VI commissione consigliare competente in materia Sanità non è mai stata coinvolta sul tema e su questo argomento mai ha potuto esprimere neanche un parere. Ritengo inaccettabile il mancato coinvolgimento della massima assemblea rappresentativa della Sardegna su un tema di questa portata.

Da quali analisi di fabbisogno di servizi per il cittadino Sardo nasce e quali  sono i risultati attesi da tale accordo? Perché per la Sardegna, che qualcuno forse dimentica è un’isola, dovrebbe essere ottimale un modello Lombardia che forse, lo stesso qualcuno dimentica ancora, non ha accessi al mare e non ha  isole da tutelare e servire, come invece dovrebbe fare  con attenzione prioritaria, chi governa la nostra terra? Perché la regione con la più alta densità abitativa (Lombardia) viene presa a modello per la regione con la densità più bassa ( Sardegna)? Perché la Regione con la più potente e pervasiva Sanità privata diventa un esempio e modello da adottare? 

Nella legge n. 17/2016 di istituzione dell’ATS, la città di Nuoro viene indicata quale sede dell’istituenda AREUS per il suo posizionamento baricentrico e anche con l’intento di potenziare il sistema di servizi sanitari e lo stesso ruolo dell’ospedale San Francesco.

Come si colloca questa visione nell’adottando modello Lombardia?

Chiedo, pertanto, che l’assessore Luigi Arru e il presidente Francesco Pigliaru riferiscano immediatamente e in modo circostanziato alla VI Commissione e al Consiglio Regionale, assolutamente prima di stipulare qualsivoglia accordo o ratifica di adozione di modelli di gestione del sistema di emergenza urgenza per la Sardegna o si impegnino con questa finalità risorse finanziarie nostre. Tutto potrebbe andar bene e tutto potrebbe avere un senso.

Rimane lo sconforto per il metodo politico e per l’adozione ormai chiaro di un “Modello Decisionale” che non presuppone alcun confronto e alcuna condivisione  con la Comunità Sarda né con i suoi rappresentanti istituzionali e ancor meno con gli operatori di una sanità sarda, gestita con supponenza e arroganza, come fosse, ancora una volta, una semplice rappresentazione scolastica in Power Point.

Anche queste condizioni hanno determinato l’opportuna determinazione di Rossomori di uscire da questa maggioranza di Governo che da tempo, coglie tutte le occasioni per perdere ogni legittimità a continuare ad operare in nome del popolo Sardo.

Emilio Usula – Rossomori

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Il presidente Francesco Pigliaru e l’assessore della Sanità Luigi Arru firmeranno domani mattina, alle ore 11.15, a Cagliari, nella sede della Presidenza della Regione di Villa Devoto, con il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni e con l’assessore Giulio Gallera, il protocollo operativo tra le due Regioni per l’avvio dell’Azienda per l’emergenza-urgenza (Areus) e del Numero Unico Europeo (NUE) 112. Subito dopo la firma dell’intesa, si terrà un incontro con la stampa.
L’accordo, approvato dalla Giunta regionale lo scorso 25 novembre, nasce dall’esperienza della Regione Lombardia, prima in Italia ad attivare la propria Azienda regionale dell’emergenza urgenza nel 2008 e diventata riferimento a livello nazionale.
La collaborazione tra le due Regioni riguarderà le modalità di funzionamento dell’Areus; la riorganizzazione del sistema regionale dell’emergenza/urgenza sanitaria extraospedaliera (118); le attività di implementazione del servizio di elisoccorso HEMS (Helicopter Emergency Medical Service) regionale; la costituzione, attivazione e funzionamento del Numero Unico dell’Emergenza (NUE) 112; la formazione di tutte le figure professionali coinvolte, anche utilizzando strumenti e metodiche sperimentali. Verranno assicurati il coordinamento e il monitoraggio delle iniziative promosse, la redazione per ogni ambito di intervento di un progetto, la scelta delle misure di informazione e comunicazione da adottare.
La Regione Lombardia offrirà la propria collaborazione per il tramite dell’AREU Lombardia, che collaborerà con la Direzione Generale della Sanità dell’assessorato dell’Igiene e Sanità e dell’assistenza sociale della Regione Sardegna.
Il protocollo avrà una durata di due anni e non comporterà oneri economici a carico dei rispettivi bilanci regionali.

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Palazzo del Consiglio regionale 3 copia

E’ stato costituito in Consiglio regionale il Comitato per il NO al referendum costituzionale.

«Aderendo alla proposta dei governatori di Liguria e Lombardia Giovanni Toti e Roberto Maroni e dei parlamentari Giorgia Meloni e Raffaele Fitto abbiamo costituito anche nel Consiglio regionale della Sardegna il Comitato per il No al referendum costituzionale» ha dichiarato consigliere del gruppo Misto-Fdi Paolo Truzzu precisando che, dal punto di vista del centro-destra, «il No alla riforma è riferito al merito, perché noi vogliamo il cambiamento e ci schieriamo dalla parte degli innovatori, siamo per esempio per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e per consentire ai cittadini di esprimersi, attraverso una consultazione referendaria, sulle scelte dell’Unione europea».

«Per quanto riguarda la Sardegna – ha aggiunto – è chiaro che la vittoria del Si metterebbe a rischio la nostra autonomia regionale, consentendo allo Stato di decidere in modo esclusivo su importanti materia di interesse regionale, dall’energia ai trasporti; sarebbe bene che, su questo punto, il Consiglio regionale facesse sentire la sua voce.»

Per il consigliere Marcello Orrù, nel comitato del No in rappresentanza del Movimento cristiano-Forza popolare, «le riforme costituzionali si fanno quando Governo e Parlamento hanno una legittimazione popolare piena (come accadde nel ’48) e questo non è il nostro caso; inoltre il Senato diventerebbe una sorta di circolo di sindaci del Pd con una rappresentanza regionale del tutto squilibrata, soprattutto a danno della Sardegna».

Secondo Giancarlo Carta, consigliere di Forza Italia, «è stato una grave errore del centro-sinistra non impostare la riforma costituzionale cercando il consenso più ampio in Parlamento delle opposizioni e delle forze politiche; ne è venuta fuori una riforma centralista che, fra l’altro, comprime ulteriormente il ruolo dei Comuni. Noi invece – ha aggiunto – siamo per il federalismo municipale, vogliamo che i Comuni tornino ad essere protagonisti perché rappresentano le istituzioni più vicine ai cittadini ed ai loro problemi di ogni giorno».

Annunciando la costituzioni di Comitati per il No in tutti i Comuni della Sardegna ed un programma di iniziative sul territorio Paolo Truzzu ha ricordato infine che, in termini reali, «nel nuovo Senato la Sardegna passerebbe da 9 senatori a 3, il taglio più consistente (in rapporto alla popolazione) fra le Regioni a Statuto speciale».

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In occasione del BIE Day, la Giornata del Bureau International des Expositions, in programma oggi a Expo Milano 2015, alla presenza del segretario generale e del presidente del BIE, Vicente Loscertales e Ferdinand Nagy, si sono tenute le premiazioni dei padiglioni dei Paesi partecipanti.

Sono state previste 3 sezioni di Premi: Architettura e paesaggio; Allestimenti e Sviluppo del tema. Inoltre, i padiglioni sono stati raggruppati in altrettante categorie, vale a dire i lotti con dimensione inferiore ai 2 mila metri quadri e quelli di dimensione superiore, i Cluster.

Per quanto riguarda i Cluster – sezione Allestimenti – il primo premio è andato al Montenegro per “i valori didattici dei suoi display”. Argento al Venezuela, medaglia di bronzo al Gabon. In merito allo “Sviluppo del tema”, il migliore è l’Algeria (“meravigliosa combinazione di elementi tradizionali e ricca informazione sulla varietà agricola del Paese”), seguito dalla Cambogia e dalla Mauritania.

Categoria padiglioni con dimensione inferiore ai 2 mila metri quadri: per gli allestimenti il primo premio è andato all’Austria (“L’audacia dell’esperienza sensoriale nella quale i visitatori sono coinvolti”), argento all’Iran e bronzo all’Estonia. Lo “sviluppo del tema” ha visto trionfare il padiglione della Santa Sede per “la chiarezza e sobrietà con le quali il tema espositivo è proposto nei suoi eventi quotidiani”, seguito da Monaco e dall’Irlanda. Infine, il padiglione con l’architettura più centrata è quello del Regno Unito (“unione tra contenuti, display ed esperienza spaziale”); subito dopo ecco il Cile e la Repubblica Ceca.

Passando ai lotti con dimensione superiore ai 2 mila metri quadri, l’allestimento migliore è quello del Giappone per “l’armoniosa combinazione tra la rappresentazione della natura e l’innovazione tecnologica”, vincente sulla Repubblica di Corea e sulla Russia.

A sviluppare il tema nella maniera ideale ecco la Germania per “l’efficacia nella trasmissione di contenuti innovativi in merito all’agricoltura, al cibo e allo sviluppo”, seguita dall’Angola e dal Kazakhistan. Per l’Architettura, primo premio alla Francia (“l’innovativo concetto di un mercato del cibo coperto e di un paesaggio vivace ed aperto”), poi il Bahrain e la Cina.

Successivamente è stato consegnato il BIE-Cosmos Prize, assegnato a CESAL per il progetto “Dieta Nutriente e Futuro Sostenibile per i Bambini di Haiti”. CESAL è un’organizzazione per lo sviluppo della cooperazione e la promozione dello sviluppo di politiche nei Paesi più poveri del mondo.

Infine, ecco la consegna delle medaglie del BIE, a cominciare da quelle d’oro. Innanzitutto, al Governo della Repubblica Italiana (medaglia ritirata dal commissario generale di Expo Milano 2015, Bruno Pasquino); poi Diana Bracco ha ricevuto la medaglia per la Società Expo 2015, mentre il presidente Roberto Maroni per la Regione Lombardia. Il sindaco Giuliano Pisapia ha ritirato la medaglia per la Città di Milano; medaglia d’oro anche a Diana Bracco, commissario generale di Sezione per il Padiglione Italia. Riconoscimenti dorati anche allo Steering Committee dei commissari generali a nome di tutti i Partecipanti Ufficiali a Expo 2015 (premio ritirato da Albina Assis Africano, commissario generale dell’Angola e presidente dello Steering Committee) e per WE – Women for Expo, con il premio ricevuto da Emma Bonino a Marta Dassù, presidente Esecutivo di We – Women for Expo.

Infine, le medaglie d’argento: ai Volontari di Expo Milano 2015 (premio ricevuto da Alessandro Cordova), all’Ordine Nazionale dei Giornalisti, rappresentato dal presidente Enzo Iacopino, e alla Società Civile, con la presenza di Felice Romeo, dirigente di Cascina Triulza.

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«Un genio come Leonardo da Vinci avrebbe ammirato tantissimo questa Esposizione universale». Con questa battuta ad effetto il segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, John Kerry, ha aperto ufficialmente la sua visita a Expo Milano 2015. Accolto dal commissario unico delegato del Governo per Expo Milano 2015, Giuseppe Sala, e dal Ministro per gli Affari Esteri, Paolo Gentiloni, Kerry nel suo discorso di apertura ha dimostrato vivo apprezzamento per l’Italia e l’Esposizione Universale, strappando applausi a scena aperta quando ha letto una breve parte dello speech in italiano.

Davanti ad una platea ricca di personalità ed autorità, dall’ex presidente del Consiglio, Mario Monti, al presidente di Regione Lombardia, Roberto Maroni, da Letizia Moratti a Emma Marcegaglia, il Segretario americano ha incentrato il suo intervento sulla necessità di garantire cibo sano e sufficiente per tutti, con uno sguardo rivolto al futuro, preoccupato per le generazioni che verranno, e determinato nell’apportare cambiamenti concreti. Le parole di Kerry suonano quasi come imperativi: «Dobbiamo imparare a gestire meglio il cibo che abbiamo» ha detto, e poi, ricordando il grave problema del cambiamento climatico e l’influenza negativa che questo ha sulla sicurezza alimentare, ha assicurato l’impegno degli Stati Uniti a lavorare con l’Italia e proprio per trovare soluzioni condivise.

John Kerry non ha la bacchetta magica ma ha esortato «tutte le nazioni ad impegnarsi e unirsi per intervenire velocemente. E’ necessario essere più creativi ed essere più flessibili». Solo in questo modo, secondo John Kerry, «possiamo far fronte al problema della malnutrizione e della fame, provando, tutti insieme, a sconfiggerlo».

Giuseppe Sala, nel suo intervento, ha voluto rimarcare che «la presenza degli Stati Uniti a Expo Milano 2015 è un grande successo, visto che le visite al Padiglione americano hanno superato i cinque milioni». Il Commissario Unico ha ricordato l’importanza dell’Esposizione universale, occasione unica e irripetibile per discutere di tematiche cruciali per l’avvenire del pianeta: «Ieri, in occasione del World Food Day abbiamo ospitato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, nei mesi scorsi Michelle Obama e il segretario americano dell’Agricoltura, Tom Vilsack e oggi è un grande onore avere qui John Kerry”.

Il discorso di John Kerry è stato preceduto dalle parole del ministro degli Affari Esteri, Paolo Gentiloni: «La presenza americana qui conferma la centralità della sicurezza alimentare e dei cambiamenti climatici, che poi sono il cuore di Expo Milano 2015. Speriamo che la nuova agenda delle Nazioni Unite su queste tematiche possa sensibilizzare tutta la comunità internazionale affinché si arrivi a vincere la sfida contro la fame entro il 2030».

La visita di John Kerry è proseguita nel pomeriggio con la visita a Palazzo Italia, dove ha incontrato il Presidente di Expo 2015, Diana Bracco, e successivamente proprio al padiglione degli Stati Uniti.

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Da oggi Expo Milano 2015 ha il suo francobollo celebrativo. L’immagine filatelica raffigura un particolare della mascotte Foody insieme al logo dell’Esposizione. Il francobollo è stato presentato presso il sito espositivo, alla presenza di Giuseppe Sala, Commissario Unico Delegato del Governo per Expo Milano 2015, Roberto Maroni, Presidente di Regione Lombardia, Domenico Tudini, Presidente dell’Istituto Poligrafico Zecca dello Stato e Luisa Todini, Presidente di Poste Italiane.

L’affrancatura, emessa dal ministero dello Sviluppo economico, è accompagnata da una serie di altri 15 francobolli che rappresentano xilografie tratte da un antico volume di Giovanni Tatti edito nel 1560 dal titolo “Della Agricoltura”, e riproducono il mondo del cibo e dell’agricoltura dell’epoca.

«Non poteva mancare il francobollo come elemento caratterizzante dell’Esposizione Universale» ha dichiarato Giuseppe Sala. Il presidente Maroni ha aggiunto: «Expo Milano 2015 deve celebrare il buon cibo italiano e combattere la lotta alla contraffazione alimentare. Questo francobollo è un omaggio a questo tema e alla Lombardia in generale». Per Luisa Todini «l’Esposizione Universale è una vetrina internazionale che racconta i sapori e suscita le energie vitali del mondo per nutrire il pianeta. Si tratta dunque di un’occasione straordinaria e Poste Italiane con questa speciale emissione ne vuole sottolineare la rilevanza e l’impatto culturale sull’opinione pubblica». «Il nostro obiettivo era dar vita ad un francobollo inconfondibile – ha spiegato Tudini – e quello principale riunisce in modo semplice e immediato logo e mascotte».

Insieme all’emissione di 1 milione e 600mila esemplari, sarà posto in vendita il bollettino illustrativo con articolo a firma di Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali.

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Ugo Cappellacci copia

Cresce l’appeal di Ugo Cappellacci, che ora è 15° con il 47,3% dell’indice di gradimento (era al 44,1% nel mese di marzo), nell’indagine trimestrale di Monitoregione dell’istituto Datamonitor sull’apprezzamento dei governatori di Regione per il terzo trimestre del 2013. Ugo Cappellacci torna ai livelli di gradimento del marzo 2012, il più alto degli ultimi 18 mesi dopo il 47,5% del giugno 2012.

Enrico Rossi (Toscana – PD), con una percentuale di gradimento pari al 58% è il Presidente di regione più amato d’Italia (era secondo nella precedente rilevazione). Al secondo posto Nicola Zingaretti (Lazio – PD), che passa dalla prima posizione del secondo trimestre alla seconda del terzo con il 57,8% dei consensi. Si conferma al terzo posto Luca Zaia (Veneto – Lega Nord) con il 57,5%.

In quarta posizione troviamo un ex aequo con il 53,2% tra Stefano Caldoro (Pdl), presidente della regione Campania che conferma la sua posizione, la neo eletta Debora Serracchiani (Friuli Venezia Giulia – PD) e Vasco Errani (PD), che nella precedente rilevazione era quinto, governatore dell’Emilia Romagna.

Nella top ten troviamo poi in settima posizione Gian Marco Spacca (Marche – PD) con il 53,1% era quinto a giugno 2013, ottavo Rosario Crocetta (PD) presidente della regione Sicilia con il 52%, che perde due posizioni, nono Roberto Maroni (Lombardia – Lega Nord) che con il 51,3% fa segnare una discesa di due posti.

La classifica dei governatori vede passare dalla nona alla decima posizione Nichi Vendola (Puglia – SEL) con il 50,7%, dall’ottava all’undicesima Claudio Burlando (Liguria – PD) con il 50,5%, pari merito con Paolo di Laura Frattura (Molise – PD) con il 50,5% che invece era sesto nel secondo trimestre dalla decima alla tredicesima Katiuscia Marini (Umbria – PD) con il 49,6%.

La quattordicesima piazza è per il governatore del Piemonte Roberto Cota (Lega Nord) al 48%. Alle spalle di Ugo Cappellacci, quindicesimo, chiudono la classifica Giuseppe Scopelliti (Calabria – Pdl) sedicesimo con il 47% e Giovanni Chiodi (Abruzzo – Pdl) diciassettesimo con il 46,4%.