150 studiosi di 25 paesi del Mediterraneo, a Cagliari, ad un convegno sulle malattie animali.
Raccolta di informazioni di diversa origine, rielaborazione e incrocio dei dati (i cosiddetti “Big data”), condivisione delle conoscenze e identificazione delle azioni prioritarie per meglio contrastare tempestivamente le malattie animali in tutto il pianeta. Su queste parole d’ordine si sono articolati i lavori nella due giorni di convegno organizzato, tra ieri e oggi a Cagliari, dall’Istituto zooprofilattico sperimentale (IZS) della Sardegna, dall’OIE (Office International des Epizooties, oggi denominata OIE-World: Organization for Animal Health) e dal ministero della Salute. Circa 150 esperti provenienti da 25 Paesi dell’area mediterranea (Europa, Africa e Medioriente), i rappresentanti del ministero della Salute e di organizzazioni internazionali come l’OIE, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e la FAO, i direttori generali dei 10 Istituti zooprofilattici italiani, si sono riuniti per la prima volta in Sardegna per fare il punto sulle nuove sfide che attendono le autorità veterinarie mondiali. Il messaggio ribadito con forza dal Summit di Cagliari punta sulla “One health”, una sola salute, che consiste in un approccio interdisciplinare che affronti i problemi di sanità umana, animale e ambientale in modo coerente e sinergico. Una strada nuova per meglio orientare la ricerca scientifica visto che oggi circa il 75% delle malattie trasmissibili che colpiscono l’uomo sono di origine animale. A causa dei cambiamenti climatici e ambientali gli agenti di queste patologie si stanno moltiplicando nella loro diversità, dimostrandosi sempre più difficili da controllare con i soli approcci tradizionali comunemente utilizzati dai servizi sanitari. L’aumento degli scambi, dei movimenti di merci e di animali in tutto il mondo, compreso il bacino del Mediterraneo, sta ulteriormente contribuendo ad aumentare la diffusione delle malattie. Epidemie come la Blue tongue e la Peste suina africana sono un esempio di tali “malattie emergenti” che stanno preoccupando, oltre che la Sardegna, l’Europa e il mondo intero. La PSA è attualmente l’emergenza veterinaria numero uno a livello internazionale, a seguito della epidemia che da alcuni anni sta imperversando in Europa Orientale e in Asia, con danni sanitari ed economici enormi. Nella sola Cina, primo produttore e consumatore al mondo di carne di maiale, sono state stimate perdite per circa 140 miliardi di dollari, con un calo delle produzioni rispetto al 2018 che per la fine dell’anno rischia di raggiungere un meno 50%.Il convegno si è aperto ieri con i saluti istituzionali dell’assessore regionale della Sanità, Mario Nieddu, e del direttore generale dell’IZS, Alberto Laddomada, a cui sono seguite le introduzioni della direttrice generale dell’OIE, Monique Eloit, e del direttore generale e responsabile dei servizi veterinari del ministero della Salute, Silvio Borrello, che ha letto inoltre una lettera inviata dal ministro Roberto Speranza. “Le moderne tecnologie consentono di raccogliere, analizzare e correlare tra loro enormi quantità di informazioni di diversa origine. Questi ‘Big Data’ ci possono permettere di prevedere, prevenire e controllare in modo sempre più preciso le malattie animali. Alla Conferenza di Cagliari sono intervenuti studiosi con conoscenze ed esperienze tra loro molto differenti, ma tutti convinti che mettere insieme le informazioni provenienti da diversi settori e condividerle quindi fra i centri di ricerca internazionali, può portare a sinergie importantissime da un punto di vista sanitario”. Lo ha detto ieri la direttrice generale dell’OIE, Monique Eloit, che ha poi aggiunto: “La Peste suina africana è diventata una emergenza della sanità animale a livello mondiale, in particolare in numerosi Stati dell’Europa dell’est e in Asia. Il lavoro fatto qui in Sardegna sta portando a risultati molto favorevoli che possono rappresentare un modello per numerosi altri Paesi”. Da ultima della classe, la Sardegna è salita oggi in cattedra con due relazioni importanti e notevolmente innovative sul piano dell’approccio scientifico e dei risultati raggiunti in questi anni sul campo. Prima è stato il turno del direttore generale dell’IZS, Alberto Laddomada, sul tema della Peste suina africana, e poi di Sandro Rolesu, dell’Osservatorio epidemiologico veterinario regionale, che ha illustrato un report sulla Blue tongue (lingua blu). Nel 2013 c’erano stati 109 focolai di PSA in tutta l’Isola, scesi a 6 nel 2018 e a zero nel 2019. Trend in forte decrescita anche nel selvatico. Lo dicono i risultati delle analisi di laboratorio dell’IZS che controllano i campioni raccolti dai cacciatori nei cinghiali abbattuti. Proprio la preziosa collaborazione del mondo venatorio e delle loro associazioni ha permesso di delineare la presenza e i possibili spostamenti della malattia. Lo scorso anno sono stati controllati, non solo per la PSA ma anche per la Trichinella, 13mila cinghiali di cui oltre 5mila provenienti dalla zona infetta della Sardegna. “La PSA è uno dei problemi più sentiti a livello planetario e l’esperienza che abbiamo maturato in questi ultimi anni in Sardegna, dove la situazione è nettamente migliorata rispetto al passato portandoci molto vicini alla eradicazione del virus, può essere anche di aiuto per altri Paesi nel capire come venire a capo della malattia”. Così Alberto Laddomada che ha spiegato come “i traguardi tagliati dall’Unità di Progetto regionale per l’eradicazione della PSA sono il frutto di una pianificazione di attività pensate sul piano sanitario, economico, culturale e della comunicazione. Oggi in Sardegna – ha proseguito – disponiamo di un patrimonio di dati e conoscenze derivanti dalla rielaborazione di tali informazioni che in pochi al mondo possono vantare. Possiamo dimostrare scientificamente che al calo del pascolo brado illegale dei suini, e quindi della circolazione del virus, corrisponde una fortissima riduzione dei focolai nel domestico e anche della malattia nei cinghiali. La strada che abbiamo intrapreso, con sacrifici da parte di tutti i soggetti coinvolti nel comparto, ci ha permesso di arrivare a 13 mesi senza focolai negli allevamenti sardi e a un radicale declino nel selvatico: l’ultimo cinghiale con malattia in corso è stato individuato ad aprile. In questa fase, forse la più difficile, non bisogna abbassare la guardia. Dobbiamo chiudere la partita e portare a casa l’eradicazione finale, che possiamo raggiungere tra il 2020 e il 2021”, ha concluso il direttore generale dell’IZS. Anche sul versante della lingua blu il quadro è notevolmente migliorato rispetto al recente passato. In poco più di dieci anni, centinaia di migliaia di capi sono stati colpiti dalla febbre catarrale degli ovini causando enormi perdite per il comparto. Fra i primi anni 2000 e il 2013 ben 10mila delle 13mila aziende presenti in Sardegna sono state vittime dell’epidemia. Oggi, grazie ai dati raccolti e all’elaborazione di sistemi matematici specifici, si possono definire le mappe di rischio per area, se non addirittura per azienda, così da poter prevenire in anticipo l’insorgenza della Blue tongue e agire di conseguenza. “Sono ben 29 i diversi sierotipi in cui si articola la febbre catarrale degli ovini. In Sardegna abbiamo avuto a che fare con queste varianti: 2, 4 e 1 sul versante delle grandi epidemie; la 8, la 3 e la 16 con problemi contenuti. Grazie a milioni di informazioni raccolte in 19 anni, abbiamo predisposto modelli di analisi che ci permettono di costruire le cosiddette mappe di rischio epidemiologico nei diversi territori dell’Isola”. Lo ha detto Sandro Rolesu dell’Osservatorio epidemiologico veterinario regionale. “La base del nostro ragionamento – ha proseguito lo studioso – parte dal presupposto che gli animali siano stati sottoposti a vaccinazione quando serve e soprattutto nei tempi giusti. La patologia infatti è molto condizionata da tante altre variabili che interessano aspetti ambientali, dinamici nel tempo e nello spazio, condizioni metereologiche (umidità dell’aria, temperatura, vento e quantità di pioggia caduta a terra) e altitudine dove si trovano le greggi. A questi fattori si può inoltre integrare la realtà socioeconomica del territorio in cui opera una determinata azienda. Messe assieme queste informazioni + ha concluso Sandro Rolesu – e tenuto conto dei riscontri provenienti dagli animali sentinella posizionati nelle zone più sensibili, possiamo definire e aggiornare le nostre mappe di rischio che gli allevatori possono consultare ogni 10 giorni”. L’evento ha rappresentato un’opportunità per promuovere e aggiornare programmi e roadmap di ricerca transnazionali e globali. Sono stati inoltre diffusi i risultati di diverse ricerche scientifiche e promosse soluzioni per migliorare il controllo dei patogeni attraverso programmi sostenibili di controllo delle malattie. E poi la promozione di nuove tecnologie disponibili, il rafforzamento di reti e attività regionali, la creazione di sinergie e la costruzione di azioni e programmi comuni per garantire la sostenibilità degli interventi sanitari supportati dalle capacità di analisi dei big data. Da qui la sfida che il mondo veterinario riunito a Cagliari mette in campo per capire e rispondere alle minacce sanitarie del prossimo futuro, con particolare attenzione all’area mediterranea.