21 November, 2024
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«E’ arrivata in gravi condizioni – con codice rosso per sospetto ictus – al Pronto soccorso dell’Aou di Sassari trasportata dal 118 e asintomatica per patologia respiratoria e febbre. Non c’erano cioè sintomi che la facessero rientrare nei criteri di caso sospetto così come previsto dalla “check list triage”, in uso al Pronto Soccorso. È per questo motivo che è stato seguito il percorso “non infetti”. La donna, dopo la consulenza del medico della Stroke Unit, è stata sottoposta a Tc e ad angioTc Tsa in Radiologia, per poi essere ricoverata nel reparto Stroke Unit. Ma durante tutto questo percorso assistenziale sono state adottate le misure precauzionali e l’utilizzo di protezioni individuali da parte di tutto il personale. Inoltre la paziente, già dall’arrivo, indossava una mascherina chirurgica; è stata attuata la sanificazione in Pronto soccorso e in Radiologia, così come avviene, più volte al giorno, quotidianamente. Il pronto soccorso non ha mai interrotto l’attività.»

A dirlo è il direttore del Pronto soccorso Mario Oppes che fornisce alcune delucidazioni sull’episodio avvenuto ieri e che ha visto arrivare in ospedale un’anziana donna ultraottantenne con Ictus e che, successivamente a un primo tampone, è risultata positiva al Covid-19. Ieri, invece, il secondo tampone ha dato esito negativo.

A dare informazioni ulteriori su quanto avvenuto ieri è il direttore della Stroke Unit, Antonio Manca, il quale fa sapere che «all’ingresso in reparto la paziente, sempre sulla barella del Pronto soccorso, è stata fatta entrare nella sala posta immediatamente subito dopo la porta di ingresso, adibita ai pazienti provenienti da percorso “pulito” ma con tampone naso-faringeo in corso. La signora non è mai entrata nell’open space, dove ci sono gli altri ricoverati. È stata sottoposta a tampone naso-faringeo e contemporaneamente a esami doppler transcranico e a trattamento fibrinolitico endovena».

Anche il direttore della Stroke Unit precisa che la paziente ha sempre tenuto la mascherina e che gli operatori indossavano guanti, mascherina e sovra-camice come prevede la procedura.

La paziente quindi è stata sottoposta a doppler transcranico che ha mostrato l’esito positivo della terapia prontamente prestata dai sanitari dell’Aou di Sassari. L’Ictus, infatti, è una patologia tempo dipendente che richiede una rapidità di intervento.

Nel pomeriggio di ieri, quando è stata comunicata la positività del primo tampone naso faringeo è stata trasferita nel reparto Covid+ della clinica di Malattie infettive, dove si trova attualmente. «Le sue condizioni restano gravi per la gravissima malattia cerebrale da cui è stata colpita ieri», fa sapere il direttore di Malattie infettive professor Sergio Babudieri.

Ieri sera, l’esito del secondo tampone analizzato dal laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Aou di Sassari ha dato esito negativo, oggi verrà ripetuto ancora insieme agli esami sierologici.

Intanto, il medico competente dell’Aou, Antonello Serra, hacome previsto in caso di accesso di un paziente risultato poi positivo – effettuato un sopralluogo in Pronto soccorso e in Radiologia. Qui «non sono state riferite manovre cagionevoli di dispersione di aerosol respiratori», ha fatto sapere, e ha avuto conferma che «la dotazione individuale degli operatori sanitari era conforme a quella prevista da disposizioni aziendali. Complessivamenteha concluso Antonello Serra l’assetto e l’atteggiamento di protezione, pur in una situazione di emergenza legata ai tempi ristretti da rispettare in casi del genere, è apparso adeguato».

Sono stati acquisiti i nomi degli operatori sanitari intervenuti da sottoporre a test Pcr.

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Si chiama “Area grigi” ed è la zona di degenza dei pazienti sospetti Covid-19 che non sono stati ancora biologicamente confermati. È stata attivata nei giorni scorsi al secondo piano della palazzina di Malattie infettive. L’obiettivo, con questa apertura, è garantire cure immediate ai pazienti e, al tempo stesso, sottoporli a ulteriori accertamenti che consentano di definire l’eziologia della loro malattia. Un’operazione che consente la minor circolazione possibile di degenti potenzialmente infettanti nei reparti degli ospedali.

Questi pazienti vengono ora ospitati all’interno della Clinica Malattie Infettive, dove sono stati messi a disposizione 10 posti letto in stanze singole, con anche una postazione per paziente critico. Qui vengono ospitati quei pazienti che arrivano dal pre-triage del Pronto Soccorso o da un reparto Covid free e vengono considerati casi sospetti. Da qui, se appurata la positività o la negatività al Covid-19, i pazienti vengono indirizzati nei reparti adeguati.

E così se positivi, in base allo stadio clinico della loro malattia, i pazienti vengono gestiti o nei due reparti Covid Aou (Malattie infettive o Rianimazione), oppure indirizzati nelle strutture di supporto esterno (Policlinico e Mater Olbia). Quindi se negativi potranno essere trasferiti nei reparti adeguati alla loro patologia.

«L’apertura di questo nuovo reparto – afferma il direttore della Clinica Malattie Infettive, professor Sergio Babudierirappresenta la soluzione all’esigenza di ridurre al massimo la possibilità di trasmissione del Coronavirus all’interno degli altri reparti dell’ospedale. Una sorta di area protetta che ci consente di assistere i pazienti da subito e in maniera adeguata, nell’attesa di capire con ulteriori accertamenti biologici la causa reale della malattia.»

«Questo percorsospiega il commissario dell’Aou Giovanni Maria Soropuò rappresentare il primo passo verso la ripresa dei livelli di attività programmate in modo sicuro e protetto, così da dare risposte ai bisogni della popolazione.»

Una prima risposta in questo senso, intanto, l’Aou di Sassari l’ha data sempre nei giorni scorsi con la ripresa dell’attività assistenziale del reparto di Neurologia, al primo piano del palazzo Clemente. Il reparto, a marzo scorso, era stato accorpato con l’unità operativa di Otorinolaringoiatria per potenziare le strutture deputate a fronteggiare l’emergenza Covid-19.

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Una vera e propria eccellenza: questa è Malattie infettive, la struttura dell’Aou di Sassari in prima linea nella lotta al Covid-19. È la precisazione dell’Aou di Sassari che tiene a rimarcare come la struttura, situata nella palazzina a valle di viale San Pietro, non è al collasso, come riportato oggi da alcuni organi di stampa.

Dall’avvio dell’emergenza l’équipe guidata dal professor Sergio Babudieri è stata arricchita da 4 medici, 19 infermieri esperti, provenienti da altri reparti, e 9 operatori socio assistenziali.

E se questa è la prima dotazione, in questa fase iniziale dell’emergenza, un ulteriore apporto di personale è previsto, anche in considerazione del progressivo accorpamento degli altri reparti dell’Azienda.

«C’è un livello di assistenza che non ha egualiafferma il responsabile delle Professioni sanitarie, Piero Bullainoltre, abbiamo in Azienda richieste numerose da parte del personale infermieristico di andare a lavorare in Malattie infettive. Si tratta di domande che sono in corso di valutazione, anche perché è necessario, comunque, tenere aperti anche altri reparti».

Il personale, al momento, lavora in turni di 12 ore. E la spiegazione la fornisce ancora una volta il responsabile delle Professioni sanitarie: «Una scelta assolutamente concordataspiegae fatta anche con l’obiettivo, al momento, di lavorare in gruppi numerosi. Una strategia che consente così di addestrare al meglio il personale nuovo e non lasciarlo da solo in condizioni di criticità». Il personale di ruolo, infatti, già da tempo si addestra a questo tipo di emergenze ed è in grado di trasmettere ai nuovi arrivi le dovute conoscenze per operare in questo tipo di situazioni.»

La struttura di Malattie infettive ha destinato all’emergenza due piani dei tre disponibili nella palazzina (al piano terra c’è il laboratorio di Microbiologia e Virologia e al primo sottopiano aule e ambulatori). In questi due piani sono disponibili 40 posti letto, tra stanze ordinarie e stanze singole e doppie in “alto contenimento”, dotate di strumentazioni tecnologiche come video e telecamere che consentono al personale sanitario di monitorare e comunicare con il paziente. Attualmente sono 33 i posti letto occupati.

Al primo piano, dove sono presenti gli studi medici e sono stati spostati i locali di vestizione e svestizione, è già prevista l’apertura di ulteriori posti letto.

Intanto, come da piano regionale delle emergenze che a Sassari prevede 68 posti Covid+, oltre ai 40 più 2 di primo soccorso di Malattie infettive sono disponibili, gli 8 posti subintensivi più i 20 di degenza ordinaria della Pneumologia. A questi si aggiungono gli 8 posti di terapia intensiva della Rianimazione di viale San Pietro.

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Una telefonata alla Prefettura da parte dell’Unità di crisi locale per la gestione dell’emergenza che segnala la presenza di un presunto caso di Ebola a Sassari. Un’ambulanza arriva nell’area della “camera calda” di Malattie Infettive con a bordo un paziente all’interno di una speciale barella isolata dall’esterno. Attorno all’area ospedaliera, si dispone un cordone sanitario a delimitare gli accessi e garantire la sicurezza. È iniziata così, alle ore 8 di sabato mattina 26 ottobre, l’esercitazione per il “trasporto di paziente in biocontenimento dal domicilio al reparto di Malattie infettive”. Un vero e proprio schieramento di “forze” che ha visto impegnate, in sinergia tra loro, l’Assl Sassari-Ats Sardegna, l’Aou di Sassari e l’Areus con le ambulanze del sistema 118.

Due ambulanze del 118, partite dal domicilio del paziente, sono arrivate di prima mattina davanti all’ingresso di Malattie infettive. A bordo operatori sanitari, gli addetti alla sanificazione e, soprattutto, il paziente a rischio biologico, posizionato su una barella isolata dall’esterno. Deve essere portato al terzo piano del reparto dove si trovano le camere di isolamento.

Il personale coordinato dalla Direzione medica di presidio, dal Servizio Gestione del rischio, dal Servizio di Prevenzione e sicurezza, dal Dipartimento infermieristico e dall’Ufficio tecnico dell’Aou, intanto, ha già sgomberato le stanze del terzo piano e isolato l’intero percorso sino alle camere di isolamento.

All’ingresso dell’edificio, il personale di vigilanza ha predisposto un cordone sanitario per consentire l’accesso al solo personale di servizio e il passaggio delle ambulanze scortate da una pattuglia in motocicletta della polizia locale del Comune di Sassari. All’ingresso di Malattie infettive il percorso è stato tracciato, così da consentire il rapido spostamento, senza sbagli, sino alla stanza d’isolamento. Il paziente viene adagiato sul letto, viene prelevato del sangue e le fiale inserite in contenitori speciali per essere inviati al Laboratorio analisi di via Monte Grappa e spediti al centro di riferimento nazionale. C’è, infatti, un volo dell’Aeronautica militare pronto a partire, allertato dalla Prefettura di Sassari. Gli operatori seguono le procedure per l’uscita dalla stanza del paziente. I medici e gli infermieri del reparto si svestono all’uscita della stanza dove vengono anche sottoposti a sanificazione, quelli del 118 raggiungono l’area della svestizione, dove si sottopongono a sanificazione. La barella, vuota, segue il percorso inverso e, dopo essere stata caricata sull’ambulanza, raggiunge il luogo predisposto per la sanificazione, a San Camillo. È qui che il test si conclude.

«Siamo molto contenti di questa esercitazione – afferma il professor Sergio Babudieri, direttore della struttura complessa di Malattie infettive – perché il significato era quello di fare emergere eventuali criticità e disallineamenti tra le tre aziende. Non è facile mettere assieme diversi protocolli e un numero consistente di operatori. Chi opera sul paziente sono, ogni volta, un medico e un infermiere ma il numero di persone che vengono coinvolte in tutta l’organizzazione è cospicuo. Pur avendo studiato nelle riunioni i diversi protocolli, oggi abbiamo avuto la possibilità di valutare con precisione gli ulteriori correttivi da apportare alla nostra operatività». C’è soddisfazione quindi nelle parole del direttore della struttura il quale ricorda che «due volte al mese le nostre equipe si esercitano nella vestizione, svestizione e ingresso nelle camere ad alto biocontenimento, perché è rischioso quando si è in presenza di malattie infettive in cui, per contatto, si può essere contagiati», conclude Sergio Babudieri.

«Le esercitazioni sono sempre utili e devono essere ripetute più volte – afferma il direttore sanitario dell’Areus Piero Delogu -. Questa di oggi, fatta in collaborazione con l’Igiene pubblica dell’Ats Sardegna e le Malattie infettive dell’Aou e il nostro servizio 118, ha testato le problematiche nella gestione dei pazienti ad alto rischio infettivo. L’esercitazione è andata bene, emergono sempre delle criticità che servono a farci crescere e migliorare, così da trovare la condizione ottimale, la qualità e la perfezione che servono qualora dovesse avvenire un evento di questo tipo.»

«Abbiamo scelto di fare questa esercitazione, con un ipotetico caso di Ebola, perché recentemente – afferma Marco Mannazzu dirigente medico di Malattie infettive – c’è stato un allerta ministeriale per una nuova epidemia che si è sviluppata in Congo. Dall’assessorato regionale e dalla nostra azienda abbiamo ricevuto un impulso a essere pronti. A Sassari, nella scorsa epidemia del 2014-2015 abbiamo ospitato uno dei 4 casi al mondo di infezione da virus Ebola diagnosticata nelle zone di epidemia e poi manifestata nei territori di ritorno degli operatori sanitari. In quella occasione siamo riusciti a rispondere a un’emergenza così importante. Dopo una lunga preparazione, come Malattie infettive abbiamo chiesto di avere tutto quello che serve per essere pronti a fronteggiare emergenze di tipo infettivologico. L’esercitazione di oggi è un primo passo e una prima risposta.»

Il caso registrato a Sassari, come si può verificare dai report dell’Oms, è quello che ha determinato il minor numero di contatti senza trasmissione dell’infezione: soltanto 19 e molti di questi, per altro, legati al personale tecnico e ai familiari. I 19 casi sono stati monitorati per il tempo necessario dall’ufficio dell’Igiene pubblica.

«Il fatto che siano stati soltanto 19 – conclude Marco Mannazzu – evidenzia la buona organizzazione nella gestione del paziente, senza rischiare contatti inutili e pericolosi per la popolazione.»

 

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Saranno quasi 670 metri quadrati, una sala d’attesa con 36 posti, quattro sale con 20 posti totali per la terapia e sei ambulatori, una cucinetta, uno studio per il direttore e uno per la capo sala. Si presenterà così il nuovo day hospital oncologico del Santissima Annunziata per i lavori di realizzazione del quale, la prossima settimana, è prevista l’apertura delle buste con le offerte e a marzo l’aggiudicazione.

Nei giorni scorsi il direttore sanitario dell’Aou di Sassari, Nicolò Orrù, ha presentato il progetto esecutivo al gruppo movimento “Donne libere in lotta per il diritto alla salute”. Una occasione anche per fare il punto sulla situazione dopo il trasferimento del day hospital oncologico dall’ospedale di via De Nicola al terzo piano della palazzina di Malattie infettive, per consentire l’avvio dei lavori.

Secondo il crono-programma dell’Ufficio tecnico Aou il nuovo DH oncologico, che avrà un posto terapia in più rispetto alla situazione attuale, potrebbe essere pronto per i primi mesi del 2020.

L’incontro ha permesso di valutare alcune proposte anche migliorative, mentre altre sono già state messe in campo. A esempio l’estensione dell’orario di apertura del DH oncologico di viale San Pietro sino alle ore 18.00, per una migliore distribuzione delle terapie e una migliore assistenza ai pazienti. Inoltre, nei limiti dell’organizzazione della struttura, sono stati accolti alcuni suggerimenti arrivati dalle rappresentanti del movimento Donne, tra i quali quello di garantire ai pazienti la continuità dell’assistenza da parte del medico e dell’infermiere dell’unità operativa che accompagneranno lo stesso paziente per l’intero percorso terapeutico.

Sono state avanzate, poi, anche alcune proposte per la condivisione con i volontari del punto informativo all’interno della nuova struttura che nascerà al Santissima Annunziata. Il direttore sanitario ha sottolineato come la presenza di volontarie e volontari possa rappresentare una sicura e utile risorsa per utenti e operatori.

All’incontro, oltre al direttore sanitario dell’Aou e alle rappresentanti del Movimento, hanno partecipato il direttore della clinica di Malattie infettive professor Sergio Babudieri, i rappresentanti del day hospital oncologico dottor Giovanni Sanna e la coordinatrice Alessandra Posadinu quindi il responsabile dell’Ufficio tecnico ingegner Roberto Manca.

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HIV e HCV sono stati tra i temi al centro del X congresso ICAR (Italian Conference on AIDS and Antiviral Research), svoltosi a Roma dal 22 al 24 maggio.

I pazienti coinfetti da HIV e HCV oggi sono stati tutti valutati e sono pronti alle nuove terapie con i farmaci per l’epatite C, che ora garantiscono la guarigione da questo virus anche in sole 8 settimane.

«A Sassari – spiega il prof. Sergio Babudieri, Direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari e Infettivologo della SIMIT, Società Italiana di Malattie Infettive e Troplicali – vengono seguiti circa 1.200 pazienti con infezione da HIV, di cui oltre la metà sono viremici anche per HCV e, pertanto, tutti candidati nel breve a ricevere questi farmaci. In tutta la Sardegna, nei primi mesi del 2018, sono già oltre 1600 le terapie avviate contro HCV, con un totale di 7.628 pazienti trattati fino ad oggi fra quelli già conosciuti con una diagnosi di epatite C”. Migliora, quindi, il trend delle terapie: dal 2015 in Sardegna sono state sottoposte a trattamento oltre lo 80% dei pazienti già conosciuti nei centri epatologici regionali.

«Il problema più grosso è quello del sommerso: un paziente inconsapevole della propria malattia ha 6 volte di più il rischio di trasmettere il virus ad altri – aggiunge il prof. Babudieri -. Per cercare di ottimizzare la diffusione della cura e tentare di eliminare l’epatite C dalla popolazione, il lavoro deve essere incentrato su determinate categorie per perseguire l’obiettivo di eliminare il virus presso i gruppi più vulnerabili e lasciare un numero di infezioni talmente ridotto da non incidere su nuovi casi. Tra queste, devono essere sicuramente considerati i tossicodipendenti e le persone detenute, ma anche gruppi speciali di pazienti più facilmente raggiungibili; fra questi, una fascia specifica cui ci stiamo rivolgendo è quella dei pazienti coinfetti da HIV e HCV: l’eradicazione dell’epatite C in tutti i pazienti affetti anche da HIV seguiti nei centri di riferimento dell’Isola è un risultato che vogliamo raggiungere in massimo 3 anni». I pazienti coinfetti da HCV-HIV in Sardegna sono circa la metà di coloro che sono colpiti dall’infezione da HIV/AIDS.

I dati dell’epatite C in Sardegna sono in linea con il resto del Paese. Ci sono 8 centri di riferimento, ma il problema principale è costituito dalle difficoltà logistiche per raggiungere questi centri, un disagio cui si è iniziato a sopperire con l’utilizzo dell’informatica per la trasmissione dei dati. «Una delle caratteristiche di questa regione è quella di avere una cospicua prevalenza di pazienti affetti da talassemia – chiarisce il dottor Roberto Ganga, epatologo direttore della S. C. della Medicina Generale dell’Azienda Ospedaliera G. Brotzu di Cagliari, struttura rinomata, tra le varie discipline, per la specializzazione in epatologia -. Molti di questi sono stati trasfusi anche in periodi precedenti all’obbligatorietà della ricerca del virus dell’epatite C nel sangue da trasfondere; di conseguenza, in questa popolazione speciale vi è una elevata prevalenza di infezione da virus C . Su tale fetta di popolazione è stato compiuto un lavoro capillare negli anni, ma  soprattutto in questi ultimi tre anni, con la disponibilità dei nuovi farmaci antivirali per HCV, è stato possibile un intervento più deciso che ci ha permesso di eradicare l’infezione in quasi tutti i pazienti talassemici che afferiscono alla nostra Azienda Ospedaliera, con minimi disagi per i pazienti; a fronte di risultati sovrapponibili al resto della popolazione trattata e senza interferire sul loro regime trasfusionale e sul programma di terapia ferrochelante.

Altri pazienti che possono avere beneficio dalla terapia con i nuovi antivirali per HCV sono i pazienti con malattia diabetica ed i cardiopatici, nei quali l’eradicazione del virus può influire positivamente anche sulla loro patologia extraepatica, ma soprattutto i pazienti con malattia renale cronica in tutti gli stadi di evoluzione, compresi predialitico e dialitico, nei quali l’eliminazione del virus C influenza positivamente l’evoluzione della malattia renale, e nei pazienti con malattia più avanzata permette di prendere in considerazione la possibilità di trapianto renale con il paziente libero da infezione da virus C. Questo motivo ci ha indotto ad avviare una collaborazione molto stretta  con tutte le strutture che effettuano dialisi in Sardegna, con l’obiettivo di eradicare l’infezione da virus C in tutti i pazienti nefropatici».

Presso l’Ospedale Brotzu di Cagliari, i pazienti affetti da HCV vengono trattati con i nuovi farmaci antivirali già dal 2015: «Da allora abbiamo trattato 635 casi con una risposta del 98% e pochissime recidive – evidenzia il dott. Roberto Ganga -. Il centro è autosufficiente per quanto riguarda la diagnostica dato che siamo autonomi per quanto riguarda gli esami ecografici ed elastografici (Fibroscan); possiamo poi contare sulla stretta collaborazione dei colleghi del laboratorio analisi della nostra Azienda e sulla disponibilità della Farmacia e della Direzione Aziendale. Le nuove terapie hanno poi consentito di aumentare ulteriormente il numero dei pazienti in cura e di rivolgersi a categorie speciali: visto che comportano tempi estremamente brevi di trattamento, con effetti collaterali minimi se non inesistenti, necessitano di minor numero di controlli ambulatoriali e sono facilmente somministrabile con conseguente grande aderenza da parte dei pazienti».

L’epatite cronica da virus C, o più semplicemente Epatite C o HCV, è una malattia che, in virtù della sua cronicità, provoca un processo che va spontaneamente avanti nel tempo fino a compromettere strutturalmente e funzionalmente il fegato. Si stima che in Italia ci siano circa 300.000 pazienti diagnosticati con Epatite C (HCV) ed un numero imprecisato di persone inconsapevoli di aver contratto l’infezione, per un totale stimato che va oltre il milione di persone. Negli ultimi tre anni è profondamente mutato lo scenario della terapia delle malattie epatiche da virus C e, con la disponibilità dei nuovi farmaci ad azione antivirale diretta, è oggi possibile curare la maggior parte dei pazienti a prescindere dallo stadio della malattia. La nuova molecola glecaprevir – pibrentasvir è talmente potente che con la nuova terapia la risposta è aumentata dal 45% ad oltre il 95%, con tempi ridotti ad appena 8 settimane. È un’evoluzione straordinaria, legata peraltro a farmaci molto più tollerati dei precedenti: grazie alla qualità e alla durata ridotta della terapia, gli effetti collaterali sono quasi totalmente assenti.

HIV e HCV, con particolare attenzione ai casi di pazienti coinfetti, sono stati tra i temi al centro del congresso ICAR (Italian Conference on AIDS and Antiviral Research), giunto alla decima edizione a Roma dal 22 al 24 maggio, con oltre 1250 partecipanti fra cui 900 specialisti tra ricercatori, medici, specialisti di vari settori coinvolti nell’assistenza e cura dell’infezione da HIV, e 300 circa tra volontari delle Community, associazioni impegnate nella lotta contro l’AIDS. A 35 anni dalla scoperta del virus dell’HIV un bilancio per tappe e progressi registrati.

ICAR è organizzata sotto l’egida della SIMIT, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali e con il patrocinio di tutte le maggiori società scientifiche di area infettivologica e virologica.

«L’Italia – spiega il prof. Andrea Antinori, presidente ICAR – è oggi al 13° posto in termini di incidenza di nuove diagnosi di HIV. E’ stimato che in Italia vi siano da 125.000 a 130.000 persone viventi con HIV, di cui 12.000-18.000 non ancora diagnosticate, di cui almeno un terzo sarebbe in condizioni di immunodeficienza avanzata. Nel 2016, le diagnosi di HIV tardive sono state pari a più del 55% di tutte le nuove diagnosi

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Una convenzione per consentire l’assistenza ai pazienti affetti da malattie infettive e che si trovano negli istituti penitenziari Sassari e di Alghero. L’hanno siglata la Aou di Sassari e l’Ats Sardegna – Assl Sassari e consentirà di effettuare visite mediche specialistiche, prescrivere farmaci anti-infettivi e predisporre piani terapeutici personalizzati. L’accordo, della durata di un anno, vedrà lavorare assieme, secondo un piano di lavoro concordato, i medici della clinica di Malattie infettive dell’AOU e quelli dell’unità operativa “Tutela della salute in carcere” dell’Assl sassarese.

Nel 2016 Aou e Asl avevano siglato apposita convenzione per il trattamento dei pazienti affetti da malattie infettive. Un atto che, già da allora, metteva in evidenza la necessità di garantire questo tipo di assistenza sanitaria all’interno delle case circondariali del territorio della provincia. E il motivo è chiaro: «Il carcere è un’occasione straordinaria di sanità pubblica e concentra numerose patologie, con soggetti affetti da Hiv, da epatiti C e B, quindi ancora malattie sessualmente trasmissibili e tubercolosi latente». A dirlo è Sergio Babudieri, direttore della clinica di Malattie infettive e presidente onorario della Società italiana di Medicina e sanità penitenziaria. Di origini romane, da oltre trent’anni vive e lavora a Sassari. Dal 1987 in Malattie infettive, per il suo lavoro ha conosciuto la realtà di San Sebastiano, il carcere cittadino ottocentesco, che dal 2013 ha chiuso i battenti per dare spazio alla nuova Casa circondariale “Giovanni Bacchiddu” a Bancali. Una realtà lontana da Sassari ma a volte, «anche in città, bastava un muro per separare, oscurare e nascondere la popolazione che stava al di qua di quella cinta muraria», aggiunge lo specialista.

In Italia, il dato sulla popolazione dei detenuti, aggiornato al 28 febbraio, è di 58.163 e di questi 2.402 sono donne e 19.765 stranieri. A Sassari, invece, alla stessa data i detenuti sono 492, 16 donne e 166 stranieri, quindi ad Alghero 126 di cui 46 stranieri.

Secondo le stime a disposizione degli specialisti, «perché mancano i dati epidemiologici ufficiali», oltre il 33 per cento della popolazione carceraria italiana è portatrice di epatite C, il 6 per cento di epatite B, quindi tra il 3 e il 4 per cento dell’Hiv e il 25/30 per cento della Tbc. Si comprende l’importanza dei medici infettivologi all’interno del carcere. «Ecco perché il carcere è occasione unica di sanità pubblica – aggiunge il direttore della clinica di Malattie infettive – perché oltre alla diagnosi è possibile iniziare una terapia su persone che, una volta tornate in libertà, sarebbe difficile rintracciare». Questa attività, che presenta le sue difficoltà, è centrale per la sanità pubblica. «Non farla in carcere, può significare perdere il contatto con molte malattie, non solo infettive. Ci troviamo difronte a persone che – prosegue Sergio Babudieri – non hanno certamente il bene salute in cima alle proprie necessità». L’obiettivo è, allora, oltre l’aspetto sanitario e terapeutico, quello della prevenzione. «Con il contatto diretto – spiega ancora – rendiamo maggiormente consapevoli queste persone della loro situazione e, una volta che saranno fuori, non trasmetteranno l’infezione. L’attività che portiamo avanti con il colleghi dell’Ats rappresenta quindi un nuovo stimolo, che va nel senso di considerare la sanità penitenziaria come sanità pubblica».

La Clinica di Malattie infettive è, comunque, sempre stata un riferimento sul territorio. «Storicamente – conclude il direttore della Clinica – siamo sempre stati impegnati con un’attività che ci ha portato a essere presenti nel territorio con i nostri specialisti, nelle comunità terapeutiche, nelle case famiglia, nell’assistenza domiciliare e, periodicamente, nelle scuole per la formazione e la sensibilizzazione degli studenti».

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È attivo nei nuovi locali da poco più di due mesi e ha, a sua disposizione, spazi ampi, attrezzati e più confortevoli. È il nuovo day hospital oncologico situato al terzo piano della Clinica di Malattie infettive la cui apertura, da subito, ha rappresentato un salto di qualità nell’assistenza dei pazienti, seguiti in precedenza nel vecchio Dh situato nella palazzina di Clinica Medica.
I nuovi spazi sono composti da una sala d’attesa, un’accettazione, tre ambulatori medici, tre sale per la terapia, spogliatoi e bagni, una stanza per la segreteria e un’altra per l’archivio.

Nel Dh sono state installate, inoltre, dieci nuove poltrone per le sedute di chemioterapia. Nuove e confortevoli, le poltrone sono state donate dalle associazioni Mariangela Pinna Onlus, Fidapa e Lions Club Sassari Monte Oro. Ciascuna poltrona ha un costo di circa 4.300 euro. La donazione ha arricchito la dotazione a disposizione della struttura.

Questa mattina la direzione aziendale dell’Aou ha voluto presentare i nuovi locali che «ci consentono di fare un passo avanti nell’assistenza agli utente – ha detto il direttore generale Antonio D’Urso – in linea con la nostra mission che punta a rendere migliore l’esperienza del paziente in ospedale. Questo di oggi è un risultato che abbiamo raggiunto anche con l’aiuto delle associazioni che ci hanno fornito uno stimolo importante». Il manager ha voluto ringraziare anche il direttore della Clinica di Malattie infettive, Sergio Babudieri, che «in un’ottica di squadra ha messo a disposizione questi spazi».

È stato il direttore della struttura di Oncololgia Medica, Antonio Pazzola, a illustrare il progetto del nuovo day hospital e a ricordare il finanziamento con fondi regionali resi disponibili dall’assessore Luigi Arru. Il primo cittadino di Sassari Nicola Sanna ha sottolineato «come questo sia un momento importante perché dà la consapevolezza che l’ospedale non sia un luogo di tristezza. Inoltre è il segno dell’attenzione e dell’impegno corale». Il presidente del Consiglio regionale, Gianfranco Ganau, ha voluto evidenziare il fatto che i nuovi locali e l’arredo con le nuove poltrone siano «il risultato dell’ottima intesa tra pubblico e privato». L’assessore regionale della Sanità Luigi Arru ha rimarcato il «bell’esempio di sanità. Ci fa capire – ha detto – che in attesa del cambiamento, con la realizzazione del nuovo ospedale, non è possibile restare fermi mentre è importante lavorare per risolvere i problemi esistenti».

All’incontro nei nuovi locali erano presenti anche il direttore sanitario dell’Aou Nicolò Orrù quindi i presidenti delle associazioni che hanno contribuito a donare le nuove poltrone per le chemioterapie: Antonio Contu per Mariangela Pinna Onlus, Ersilia Fiori della Fidapa sezione di Porto Torres e Gavino Terrosu past president del Lions Club Sassari Monteoro. È stato il cappellano delle cliniche don Eugenio Pesenti, infine, a benedire i nuovi locali.
La direzione strategica dell’Aou con l’apertura del nuovo day hospital ha dato il via a una riorganizzazione programmata degli spazi che consentirà, inoltre, di iniziare i lavori anche per la ristrutturazione del Dh oncologico del Santissima Annunziata.

Infatti, al terzo piano della Clinica di Malattie infettive è previsto, in una fase successiva e per il tempo necessario alla ristrutturazione dei locali, anche il trasferimento della struttura situata al primo sottopiano del nosocomio sassarese. Una volta terminati i lavori, i due day hospital oncologici, che fanno capo all’Unità operativa complessa di Oncologia diretta da Antonio Pazzola, saranno trasferiti al Santissima Annunziata. Diventerà, così, un’unica struttura, moderna ed efficiente, in grado di accogliere l’intera attività diurna oncologica e tutto il personale medico e infermieristico attualmente suddiviso nelle due strutture di Dh.

Per la realizzazione delle opere di ristrutturazione l’Aou di Sassari ha ricevuto dalla Regione un finanziamento finalizzato dell’importo di 500mila euro. L’ufficio tecnico dell’azienda di viale San Pietro sta completando il progetto per l’avvio della gara d’appalto.
I lavori prevedono la realizzazione di sei ambulatori medici, una sala Pis, cioè punto di informazione e supporto, un ambulatorio psicologico, quattro sale terapie dove saranno suddivise 14 poltrone per chemioterapie e 6 letti, quindi una sala d’attesa, un archivio e spazi di supporto.

L’unità operativa complessa di Oncologia medica dell’Aou, diretta da Antonio Pazzola, prende in carico ogni anno circa 1200 nuovi pazienti malati di tumore. Il day hospital situato al primo sottopiano del Santissima Annunziata effettua ricoveri diurni e visite ambulatoriali e registra circa 400 prime diagnosi ogni anno alle quali si aggiungono circa 2.500 accessi ambulatoriali, tra visite di controllo, chemioterapie giornaliere endovena e terapie ormonali.

Il day hospital al terzo piano di Malattie infettive effettua ricoveri diurni e visite ambulatoriali e fa registrare circa 450 prime diagnosi ogni anno oltre a circa 1900 accessi ambulatoriali tra visite di controllo, chemioterapie giornaliere endovena e terapie ormonali.

L’Oncologia medica, inoltre, al quarto piano dell’ospedale di via De Nicola ha a che un reparto per le degenze ordinarie (ricoveri ordinari diurni e notturni h24), con 18 posti letto. Sono circa 1.300 i ricoveri annui. Allo stesso piano è presente una sala per le terapie brevi che registra circa 350 prime diagnosi ogni anno e circa 2.250 accessi ambulatoriali tra visite e terapie per tossicità da chemioterapia, visite di follow-up, chemioterapie brevi, biopsie.

L’unità operativa complessa di Oncologia Medica è composta da un direttore, quattro medici che operano nel reparto degenze del Santissima Annunziata, quattro medici presenti nel day hospital al primo sottopiano del Santissima Annunziata, tre medici al day hospital di Malattie infettive. A questo personale si aggiunge una coordinatrice del reparto degenze del Santissima Annunziata, 13 infermieri professionali per il reparto degenze, una coordinatrice per i due day hospital, quindi quattro infermieri per il day hospital del Santissima Annunziata e tre infermieri per il day hospital al terzo piano di Malattie infettive.

La struttura effettua oltre 6mila sedute di terapia all’anno.

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Nei maiali abbattuti lo scorso 9 gennaio in agro di Orgosolo è stata riscontrata la Trichinella. Le due macro-campionature, in cui sono stati suddivisi i 112 campioni prelevati dai 268 suini depopolati durante l’ultima operazione dell’Unità di Progetto per l’eradicazione della peste suina africana in Sardegna, sono risultate quindi positive al pericoloso parassita. Il risultato delle analisi, sui campioni prelevati dagli animali, è frutto della seconda serie dei test di laboratorio sulla Trichinella effettuati dall’Istituto zooprofilattico sperimentale (IZS) sui maiali abbattuti a Orgosolo. Il primo controllo, di esito negativo, era stato fatto per i capi abbattuti lo scorso 3 gennaio.
L’allarme è stato lanciato questo pomeriggio durante una conferenza stampa straordinaria convocata a Cagliari e a cui hanno partecipato il direttore generale dell’IZS, Alberto Laddomada, il direttore generale dell’Assessorato della Sanità, Giuseppe Sechi, e il direttore della clinica di malattie infettive dell’AOU di Sassari, prof. Sergio Babudieri. Allerta massima quindi per i consumatori che potrebbero aver acquistato in nero o avuto in regalo carni di provenienza ignota e macellate clandestinamente senza alcun tipo di controllo sanitario. La Trichinella, infatti, è pericolosissima per la salute dell’uomo e in casi estremi può portare al decesso.
La Regione invita perciò i cittadini a prestare la massima attenzione nel consumare o trasformare in salumi le carni suine, che devono provenire esclusivamente da allevamenti sottoposti a costante controllo sanitario. «Si invitano quindi i consumatori – ha spiegato Alberto Laddomada – a sfatare il falso mito che il maiale allevato al pascolo brado, e quindi senza alcuna garanzia sanitaria, sia sinonimo di genuinità. Si tratta invece di animali che potenzialmente potrebbero avere virus, parassiti o altri patogeni letali per la salute dell’uomo. Nel caso di macellazioni domestiche, previste dalla legge, è obbligatoria la presenza di un veterinario che attesti la salubrità delle carni». 
«Il parassita – ha osservato il prof. Sergio Babudieri – si localizza inizialmente a livello intestinale per dare poi origine a una nuova generazione di larve che migrano nei muscoli dove si incistano. La trasmissione all’uomo avviene esclusivamente per via alimentare con il consumo di carne cruda, poco cotta o di salumi contenenti la larva del parassita. Il periodo di incubazione è di circa 8-15 giorni, con variazioni da 5 a 45 giorni a seconda del numero dei parassiti ingeriti. La trasmissione può avvenire attraverso il consumo di carni suine (maiale e cinghiale) o equine.»
Sergio Babudieri ha inoltre spiegato che la sintomatologia classica è caratterizzata da diarrea, dolori muscolari, debolezza, sudorazione, edemi alle palpebre superiori, fotofobia e febbre.
La Trichinellosi è una zoonosi parassitaria del genere Trichinella. Presente in tutti i continenti tranne che nell’Antartico, è stata segnalata in più di 100 specie di mammiferi, 13 specie di uccelli, 3 specie di rettili. Colpisce più di 2.500 persone all’anno. Il parassita è presente in Sardegna dal 2005 quando in due distinti focolai (aprile e dicembre) 19 persone finirono in ospedale con sintomi clinici causati da grave infestazione di Trichinella: in entrambi i casi venne accertata che l’origine dell’infestazione era dovuta al consumo di insaccati freschi provenienti da suini macellati senza controllo sanitario. I casi si verificarono ad Orgosolo.
Nel 2007 un altro caso umano, poi nessuna segnalazione fino al gennaio 2011 quando è ricomparsa la malattia con 6 casi umani che hanno richiesto il ricovero in ospedale. In quest’ultimo evento, il numero sarebbe potuto essere molto più elevato se non si fosse adottato un maggiore controllo anche sugli animali già macellati per consumo familiare nel comune di Orgosolo. Infatti, dopo aver confermato che la fonte dell’infestazione nelle persone ricoverate erano stati, anche in questo caso, gli insaccati provenienti da una scrofa macellata per uso famiglia, nel periodo gennaio-marzo l’IZS di Nuoro esaminava 351 maiali, allevati allo stato brado nel territorio comunale senza alcun controllo sanitario, riscontrando positività per Trichinella in altri 8 capi, prontamente esclusi dal consumo alimentare.
La Trichinella, tranne un’unica positività riscontrata nel 2008 in un cavallo importato dai Paesi dell’Est e macellato regolarmente in un mattatoio della provincia di Cagliari, è stata rilevata fino a oggi solo nei territori del comune di Orgosolo. L’infezione, dai primi focolai del 2005, si è diffusa in quasi tutto l’agro del comune e si avvicina pericolosamente ai paesi limitrofi, in particolare di Nuoro e Oliena.
Il periodo invernale rappresenta il momento di maggior rischio di infezione per l’uomo, perché in questa stagione tradizionalmente si macella il maiale per preparare prosciutti, salsicce, guanciali, pancetta, etc.
Questi prodotti “fatti in casa” rappresentano la principale sorgente di infezione, perché non cotti, ed è quindi assolutamente necessario che tutti gli animali macellati o cacciati siano sottoposti all’esame specifico per la ricerca della Trichinella, prima del loro consumo.
La fauna selvatica e in particolare le volpi, che costituiscono il vero serbatoio della Trichinella, e i cinghiali interagiscono con le diverse specie selvatiche e con suini bradi al pascolo nello stesso territorio.
La presenza della Trichinella nella fauna selvatica e la promiscuità tra questa ed i suini allevati allo stato brado è un motivo in più (si veda la PSA) per regolamentare definitivamente l’allevamento estensivo del suino, da portare avanti al pascolo confinato e in regime di semibrado.

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Un centro unico per la cura delle malattie del fegato, con quattro ambulatori collegati tra loro e che, in un unico ambiente di lavoro, garantiscono prestazioni ambulatoriali, day hospital e consulenze. È l’unità integrata di epatologia (Uniep), il centro ambulatoriale aziendale per la diagnosi e le terapie delle malattie del fegato, che l’Aou di Sassari ha attivato nei giorni scorsi, unificando così l’assistenza epatologica in città.

La creazione del centro nasce dell’esigenza appunto di unificare tutte le competenze di epatologia in un unico percorso assistenziale, in grado di garantire al paziente un accesso unico, chiaro e ben definito.

In precedenza, infatti, l’attività internistica riferita alla patologia epatica si è basata sulle competenza di medici che lavorano in contesti tra loro separati e dislocati in strutture, talvolta, lontane tra loro.

«Si tratta di una novità nel panorama dell’assistenza e delle cure – afferma il direttore generale dell’Aou Antonio D’Urso – una struttura integrata, in grado di trattare tutti i pazienti affetti da patologie del fegato. Si mettono assieme specialisti diversi, si elimina la frammentazione degli ambulatori, così da migliorare l’assistenza e creare un sistema che fa crescere le esperienze specialistiche.»

Un team che vede lavorare gomito a gomito quattro medici dell’unità operativa di Medicina interna del Santissima Annunziata, due medici dell’unità operativa di Gastroenterologia, quattro medici dell’unità operativa di Malattie infettive, e ancora due medici dell’unità operativa di Patologia medica e un medico della clinica Medica.

I medici hanno iniziato l’attività già da alcuni giorni nei locali situati al primo sottopiano della palazzina di Malattie infettive.

«Il nostro obiettivo – spiegano Francesco Bandiera e Sergio Babudieri che assieme a Giuliano Alagna, Salvatore Sassu, Noemi Manzoni, Ivana Maida, Maria Antonietta Seazzu, Alberto Muredda, Salvatore Zaru, Mina Oggiano, Antonello Solinas, Giovanni Garucciu e Gianpaolo Vidili ha costituito l’équipe medica dell’Uniep – è effettuare circa 30 prime visite epatologiche a settimana quindi oltre un centinaio di visite di controllo e circa 30 visite di elastometria epatica, che consentono di valutare le condizioni del fegato in presenza di alcune patologie.»

Quattro gli ambulatori presenti, coordinati da Giovanni Garrucciu, ai quali si può accedere per le prime visite attraverso la prenotazioni a Cup. Le visite successive, invece, vengono fissate direttamente dai medici dell’Uniep, così da inserire il paziente in un percorso unico di assistenza e cura.

Il paziente con patologia epatica, una volta preso in carico, viene così inserito all’interno di percorsi diagnostici e terapeutici appropriati, distinti per diversi quadri clinici: tra questi epatopatia da alcol, epatite da virus, epatite da disordini metabolici, epatite da farmaci, epatopatia da danno vascolare, epatopatia associata a colestasi, epatite autoimmune e tumori epatici. I medici potranno condividere i dati del paziente attraverso un’unica cartella clinica, canalizzare i ricoveri, creare integrazione con i medici radiologi e programmare la presa in carico del paziente epatopatico nel post-ricovero.