22 November, 2024
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«Anche in Sardegna “Energie Per L’Italia” correrà da sola alle prossime elezioni politiche.»

Lo scrive in una nota Tore Piana, coordinatore regionale della formazione politica creata da Stefano Parisi.

«Il messaggio di Silvio Berlusconi a Porta a Porta l’altra sera è stato chiaro, Parisi vuole fare il protagonista, se vuole avere l’apparentamento nella coalizione deve entrare nella 4ª gamba con Formigoni e Lupi (ex Alfano), Zanetti (ex Scelta civica di Monti), Cirino Pomicino, Mastella, Costa ex Scelta civica, Tosi, Cesa, Fitto che sono pronti ad accoglierlo – aggiunge Tore Piana -. Ma “Energie Per L’Italia” ha una propria individualità politica che di fatto è la vera novità politica in questo centro destra, “Energie Per L’Italia” è pronta a raccogliere quei voti che Berlusconi e il centrodestra e Berlusconi ha perso per strada in questi anni. L’attuale centrodestra è addirittura molto ma molto meno attrattivo del centrodestra che si presentò alle elezioni del 2013, può essere innovativo solo con la presenza della lista di Parisi.»

«Stefano Parisi oggi può essere la sola arma vincente che potrebbe far raggiungere la maggioranza assoluta al centrodestra e la vittoria nei collegi della Sardegna – sottolinea Tore Piana -. Ma ci sono delle rigidità da parte di Forza Italia, pensate che alle elezioni regionali in Lombardia Forza Italia ha fatto ricorso contro la deroga per non raccogliere le firme a noi concessa. Una vera follia. Tra 5 giorni scade il termine per disegnare gli apparentamenti delle liste della coalizione di centrodestra. Oggi la Meloni da Bologna si è espressa favorevolmente. Salvini più volte nei giorni scorsi ha fatto capire di non avere nulla in contrario. Forza Italia ci fa i ricorsi contro. Non c’è problema correremo da soli.»

«Anche in Sardegna con il nostro nuovo simbolo in tutti i collegi uninominali e plurinominali. Le nostre liste sono già pronte, noi di “Energie per L’Italia” siamo il Centro Destra che rappresenta il nuovo e la novità – conclude Tore Piana -, gli elettori ci capiranno e raggiungeremo abbondantemente oltre il 3%, per eleggere nostri parlamentari nel prossimo Parlamento.»

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«La legge elettorale è quanto di peggio ci si potesse aspettare. La disperazione di Forza Italia e del Partito Democratico nel vedere franare il proprio elettorato, la paura di affidare al popolo la selezione dei loro rappresentanti, ha portato Berlusconi e Renzi ad obbligare i loro parlamentari nominati e non eletti ad approvare a scatola chiusa la legge pensata da Verdini. Una legge che non ci consentirà di scegliere i nostri rappresentanti in Parlamento. Una legge che non riuscirà a garantire né la rappresentanza né la governabilità. Nella scorsa legislatura più del 50% dei parlamentari eletti nelle file di Forza Italia, eletti con i voti di Silvio Berlusconi, hanno tradito il loro mandato elettorale per andare al Governo con Renzi o scegliere partiti diversi.»

A sostenerlo è Stefano Parisi, leader di Energie PER l’Italia.

«Ora questa legge prelude ad un più grande tradimento dell’elettorato da parte degli stessi partiti “maggiori” – aggiunge Stefano Parisi -. La legge infatti prevede le coalizioni perché è maggioritaria, ma già si sa che nessuna colazione raggiungerà il 50% dei seggi e dunque le coalizioni si scioglieranno e Forza Italia andrà a fare il Governo con il PD, con il supporto delle varie “gambe” del Centro Destra e del Centro Sinistra. Insomma modalità Verdini per altri cinque anni. La crisi del PD e di Forza Italia ci sta consegnando un Paese dove il 50% degli Italiani non va più a votare e il 30% di coloro che votano lo fanno contro i partiti, votando 5Stelle. Il PD e Forza Italia invece di riconquistare il loro vecchio elettorato cercando di rinnovare le idee e gruppi dirigenti si abbracciano sorreggendosi, come due malati, sperando di allontanare nel tempo la fine, riducendo gli spazi di democrazia, nominando soldati fedeli in Parlamento.»

«Questa legge è un grande regalo al M5S. Se ne sentono anche gli effetti in Sicilia, in piena campagna elettorale. Il Paese ha dei problemi gravi: debito pubblico, disoccupazione, regioni del Sud abbandonate, lo Stato disfatto che non è in grado di garantire sicurezza e giustizia, infrastrutture fatiscenti, fratture sociali insanabili.  I partiti protagonisti della vita politica degli ultimi 20 anni hanno prodotto questa situazione. Con Energie PER l’Italia abbiamo costruito una nuova casa per gli Italiani che vogliono una politica seria, che si assuma le responsabilità di Governo, che porti nei luoghi della rappresentanza persone esperte, dedicate a costruire il nostro futuro. Le grandi adesioni che ci giungono da tutta Italia ci danni forza ed entusiasmo – conclude Stefano Parisi -. È nostro dovere andare avanti.»

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Se c’è stato un periodo nel quale la nostra Isola ha subito l’arroganza, la prepotenza ed è stato in una condizione di forte sudditanza nei confronti di un governo nazionale è stato quello in cui il primo ministro era Silvio Berlusconi e Ugo Cappellacci il suo silenzioso uomo di fiducia in Sardegna. È incredibile la faccia tosta dell’ex presidente, che da un anno a questa parte ha ritrovato miracolosamente voce per scagliarsi su ogni tema contro il governo regionale guidato da Francesco Pigliaru.

Rispetto alla scorsa legislatura, il governo di centrosinistra e la maggioranza che lo sostiene hanno un’altra maniera di intendere il rapporto col cosiddetto “governo amico”: nessun complesso di inferiorità, nessun silenzio complice ma franca e leale collaborazione negli interessi della nostra Isola e dei suoi cittadini.

Si metta l’animo in pace, l’ex inquilino di Villa Devoto: il presidente Pigliaru e la sua squadra, in questo anno, hanno lavorato con grande impegno e serietà per rendere la Sardegna un interlocutore affidabile e serio nei confronti degli investitori internazionali, realizzando concretamente in pochissimo tempo cose di cui la giunta Cappellacci ha solo parlato per anni. I frutti di questo lavoro non stanno tardando ad arrivare, come nel caso del confronto proficuo col Qatar, e altri sono attesi nei prossimi mesi: la Sardegna è tornata sulle rotte dei grandi investimenti dopo essere scomparsa dai radar negli anni di Cappellacci.

Pietro Cocco

Capogruppo del PD in Consiglio regionale

Pietro Cocco 4 copia

Si è svolta venerdì sera nella sala Ausi della Grande Miniera di Serbariu, la presentazione del libro autobiografico di Achille Occhetto “La gioiosa macchina da Guerra” Casa Editrice EIR.
Il racconto di un pezzo di secolo con protagonisti il PCI e lui, il suo ultimo segretario.

Achille Occhetto, ospite del  circolo Zorba il Gatto Sel Sulcis Iglesiente, ha raccontato con grande partecipazione la lunga storia del partito ma, nonostante il libro sia stato pubblicato ad inizio 2013, non ha mancato di sottolineare le sue opinioni sulla svolta successiva, caratterizzata dall’avvento di Matteo Renzi. Al termine della presentazione si è svolto un dibattito su quello che è la sinistra oggi.

I lavori sono stati coordinati da Matteo Sestu, consigliere comunale a Carbonia e coordinatore federale di Sinistra Ecologia Libertà Sulcis Iglesiente. Presente anche il coordinatore regionale nonché consigliere regionale Luca Pizzuto.

Prima dell’inizio della presentazione, il sindaco di Carbonia, Giuseppe Casti, ha portato ad Achille Occhetto il saluto dell’Amministrazione comunale e quello di tutta la città. Al suo fianco l’assessore dei Lavori pubblici Franco Manca. Tra i tanti intervenuti, l’ex sindaco di Carbonia, Antonio Saba.

Nel libro Achille Occhetto ha ricostruito esperienze di vita vissuta all’interno del PCI, di cui è stato l’ultimo segretario, la svolta della Bolognina e poi i primi anni di vita del PDS. di cui è stato il primo segretario dall’8 febbraio 1991 al 13 giugno 1994, soffermandosi sulla sconfitta subita ad opera di Silvio Berlusconi nel 1994, quando era alla guida della cosiddetta “Gioiosa macchina da Guerra” e perse una battaglia che alla vigilia in tanti avevano dato per vinta ancora prima di combatterla.

Da quell’esperienza ha tratto spunto per il titolo del suo libro, quando ha constatato che, anziché per la svolta della Bolognina, un po’ tutti associavano il suo nome alla “Gioiosa macchina da Guerra” del 1994.

Achille Occhetto ha detto, contrariamente a quanto hanno pensato in tanti, di non sentirsi sconfitto dalla storia politica per quella vicenda, mentre il vero sconfitto, a posteriori, per come si è sviluppata la storia d’Italia nei successivi vent’anni, è stato colui che quelle elezioni le vinse: Silvio Berlusconi.

Sono stati tanti i passaggi interessanti nell’intervento di presentazione del libro, alcuni risalenti all’era del PCI, altri alla stretta attualità targata Matteo Renzi. L’ex segretario ha detto che «alle idee lunghe di Enrico Berlinguer oggi si sono sostituiti i twitter di Matteo Renzi» e non ha avuto bisogno di sottolineare di preferire le prime…

«Il PCI era un Partito ben strutturato, in qualche modo anche una chiesa – ha detto Occhetto – oggi la struttura è costituita da un solo uomo, un leader attorno al quale ruota tutto.»

Ne ha avute ancora per Matteo Renzi, che «parla come se prima di lui non ci fosse stato niente, come se si fosse passati da Enrico Berlinguer direttamente a lui. Roba da analisi psichiatrica».

Achille Occhetto ha ricordato alcune battaglie condotte da giovane, come quando nel 1956, da coordinatore degli universitari del PCI, scrisse il suo primo articolo condannando l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica, che viceversa venne appoggiata dai leader di allora, in testa Palmiro Togliatti; e il suo intervento al 18° Congresso del PCI, nel quale dedicò i primi 14 minuti ai problemi della deforestazione dell’Amazzonia, subendo fortissime critiche e la definizione di matto. Oggi – ha aggiunto – tutti parlano dei problemi ecologici del Pianeta. Ha parlato inoltre dei rapporti del PCI di allora con il PSI, dei suoi rapporti con i socialisti storici la cui concezione della politica era molto distante da quella che sarebbe stata poi quella di Bettino Craxi.

Achille Occhetto ha poi rimarcato le distanze che lo separavano da Massimo D’Alema: «Io proponevo una nuova sinistra, D’Alema la presa del potere». Ha definito il PD (al quale non ha aderito) «una fusione fredda» ed il cosiddetto “Partito della nazione”, di cui tanto si parla e che, secondo molti, sarebbe il vero obiettivo politico di Matteo Renzi, un’«autentica corbelleria», in quanto «il partito per definizione è una parte, mentre la Nazione è di tutti».

Achille Occhetto, dopo l’esperienza da segretario del PDS, è rimasto nel partito fino al 1998, quando sono nati i Democratici di Sinistra, ai quali ha aderito, mentre nel 2007, quando i DS si sono sciolti per dare vita al PD, ha scelto un’altra strada, entrando in Sinistra Democratica, esperienza conclusa nel 2009. Da allora ha lasciato la politica attiva, con alle spalle otto legislature consecutive, sette da deputato e una da senatore (l’ultima, la XIV) e dedica il suo tempo al lavoro di giornalista pubblicista e a scrivere libri.

Achille Occhetto 1 Achille Occhetto 2 Achille Occhetto 3 Achille Occhetto 4

Foto Forza Italia
Un incontro con il presidente Silvio Berlusconi, si è tenuto questa mattina a Roma, a Palazzo Grazioli, per tentare di rilanciare il partito. Presenti i consiglieri regionali di Forza Italia, che hanno avuto un vertice con il leader del partito. C’erano Edoardo Tocco, il capogruppo Pietro Pittalis, gli ex assessori Alessandra Zedda e Oscar Cherchi, ad Antonello Peru, l’ex governatore Ugo Cappellacci e Alberto Randazzo. L’incontro è servito per disegnare le prossime strategie del partito, chiamato a dare un’azione propulsiva all’opposizione verso la giunta Pigliaru e atteso dalle amministrative della prossima primavera e potrebbe essere l’inizio per una nuova stagione del partito.

«In questo senso – ha commentato il consigliere Edoardo Tocco – l’incontro con il presidente Berlusconi ci ha spinto a porre in primo piano la vera emergenza della Sardegna, ovvero il lavoro, con un piano straordinario per la nostra isola. Per questo occorre una vera mobilitazione in tutta la Sardegna. La parola d’ordine è stata unità. Solo ritrovando una condivisione d’intenti potremmo tornare alla guida della Regione.»

Matteo renzi 02 copia

Un uomo solo al comando, la sua maglia ha i colori del PD, il suo nome è #Matteo Renzi! Nel momento più grave della crisi economica, quando molti paventavano il rischio di andare incontro ad una ancora più preoccupante fase di instabilità, gli italiani hanno individuato nell’ex sindaco di Firenze l’uomo della nuova speranza, la scialuppa alla quale aggrapparsi per evitare di affondare definitivamente nella miseria e nella disperazione.

Le elezioni Europee ci consegnano un segretario del Partito Democratico ed un presidente del Consiglio più forte che in questo momento sembra davvero un uomo solo al comando. Matteo Renzi con le elezioni primarie si è preso il partito, dilaniato dal fallimento di Pierluigi Bersani, poi ha forzato la mano prendendosi anche il Governo senza passare passare per le elezioni, sostituendosi senza badare alla forma al compagno di partito Enrico Letta.

Le elezioni Europee sono arrivate in un momento molto difficile che Matteo Renzi ha affrontato con la sua “sfrontatezza”, sfidando un avversario che della “sfrontatezza” ha fatto una delle sue armi vincenti negli ultimi 12 mesi: #Beppe Grillo. Il presidente del Consiglio ha fatto una campagna elettorale “solitaria”, come “solitaria” è stata la campagna elettorale del suo principale avversario e quella dello stesso Silvio Berlusconi, e i numeri emersi dalle urne dicono che non solo ha vinto, ma ha addirittura “stravinto”!

Molti, soprattutto all’interno del Partito Democratico, tra coloro che Matteo Renzi ha messo da parte (nessuno parla più di “rottamazione” ma la “rottamazione” è sotto gli occhi di tutti!), aspettavano al varco il nuovo leader, pronti a scaricargli addosso le responsabilità della sconfitta se Beppe Grillo avesse preso un voto in più, ed ora i risultati dicono chiaramente che quello “storico” 41%, prima che una grande vittoria del Partito Democratico, è un vero e proprio trionfo di Matteo Renzi!

Come è stato possibile un trionfo di tale portata? E’ questo il principale tema di riflessione del dopo voto.

Quando alcuni mesi fa veniva ipotizzato l’inserimento del nome di Matteo Renzi nel simbolo del Partito Democratico, molti si sono scandalizzati, affrettandosi a dire che non si sentiva proprio il bisogno, dopo l’esperienza di Silvio Berlusconi e di tutti gli altri leader di partito che avevano fatto altrettanto anche a sinistra (Antonio Di Pietro, Nichi Vendola), e il suo nome nel simbolo non è stato inserito, ma per gli italiani ieri è stato come se, insieme al nome, su quel simbolo ci fosse anche la sua faccia!

Matteo Renzi ci ha messo la faccia, prima con i provvedimenti del suo Governo, su tutti quegli 80 euro promessi a tutti in busta paga e poi anche a quanti la busta paga non ce l’hanno e ai pensionati, poi nell’accesissima campagna elettorale, e gli elettori lo hanno premiato! L’Italia che non ne può più del vecchio sistema che l’ha portata ad una condizione socio-economica drammatica, ha bisogno di ritrovare una speranza e Matteo Renzi, risultati delle Europee alla mano, ha dimostrato che in questo momento, questa speranza è soltanto lui! Beppe Grillo e il suo Movimento Cinque 5 Stelle, pur restando una consistente forza politica con oltre il 20% dei consensi, hanno fatto un consistente passo indietro e dovranno riflettere sul loro ruolo nel breve e medio termine. Anche Forza Italia ha fatto un passo indietro ed è arrivato il momento di pensare al dopo-Berlusconi. Agli altri è rimasto poco ma c’è un’area politica che è praticamente sparita, il Centro, cancellato dalla scena politica dopo i tanti errori commessi. Il 10% messo insieme da Mario Monti e Pierferdinando Casini alle ultime Politiche, si è ridotto a cifre da “prefisso telefonico”. Appare evidente che i voti dei moderati abbiano cambiato casa ed abbiano contribuito a rendere così trionfale il successo di Matteo Renzi che ora potrà continuare la sua esperienza governativa con la forza della straordinaria legittimazione ricevuta ed è chiamato a trasformare la “speranza” che ha saputo incarnare e le tante promesse fatte agli italiani, in fatti concreti.

Il Palazzo del Consiglio regionale.

Il Palazzo del Consiglio regionale.

Il centrosinistra è alle prese con la sfida a cinque delle primarie per la scelta del candidato governatore (tra Francesca Barracciu, Gianfranco Ganau, Roberto Deriu, Andrea Murgia e Simone Atzeni), con operazioni di voto fissate per il 29 settembre; nel centrodestra c’è un’unica certezza, l’autoricandidatura del presidente uscente Ugo Cappellacci, e tante divisioni, per superare le quali molto probabilmente ancora una volta verrà chiesto “aiuto” al leader Silvio Berlusconi; il Movimento 5 Stelle farà ancora corsa solitaria e sceglierà il suo candidato Governatore attraverso le primarie on line; gli indipendentisti stanno cercando di creare un fronte unico, il più largo possibile, con una candidata Governatore già in campo, la scrittrice Michela Murgia.

A circa sette mesi dal voto, il panorama politico che precede le Regionali 2014 è molto complicato per le divisioni tra i partiti e tra le varie componenti interne agli stessi, condizionato fortemente dal nuovo sistema elettorale scaturito dall’approvazione della legge statutaria regionale del 25 giugno 2013, tornata in Aula dopo l’impugnazione del Governo e riapprovata il 28 agosto con l’“Abrogazione del comma 3 dell’articolo 22 della legge statutaria elettorale approvata il 25 giugno 2013 (Legge statutaria elettorale ai sensi dell’articolo 15 dello Statuto speciale per la Sardegna)”.

Il prossimo presidente della Regione sarà il candidato che otterrà il maggior numero di voti validi (art. 1 comma 4 e art. 11 comma 2). Questo significa che, in presenza di una profonda frammentazione del voto, con tre grandi schieramenti ed un forte fronte indipendentista, è concreta la possibilità che per vincere le elezioni possa essere sufficiente superare la soglia del 30% dei voti. E’ evidente che saranno decisive le alleanze ed anche le forze minoritarie, in seno ad un’alleanza, potrebbero decidere la partita.

La legge statutaria all’art. 1, comma 7, prevede due soglie di sbarramento, con l’esclusione dall’attribuzione dei seggi:

a) i gruppi di liste che fanno parte di una coalizione che ottiene meno del 10 per cento del totale dei voti validi ottenuti da tutti i gruppi di liste a livello regionale;
b) i gruppi di liste non coalizzati che ottengono meno del 5 per cento del totale dei voti ottenuti da tutti i gruppi di liste a livello regionale.

Lo sbarramento al 5 per cento per i gruppi di liste non coalizzati, è evidente, costituiscono un fortissimo freno alle ambizioni di chi starebbe pensando di fare corsa solitaria e quindi un’altrettanto forte spinta a stringere alleanze in seno alle coalizioni maggiori.

L’art. 13 fissa la ripartizione dei seggi ed il premio di maggioranza:

a) il 60 per cento dei seggi del Consiglio regionale se il presidente proclamato eletto ha ottenuto una percentuale di voti superiore al 40 per cento;

b) il 55 per cento dei seggi del Consiglio regionale se il presidente proclamato eletto ha ottenuto una percentuale di voti compresa tra il 25 ed il 40 per cento.