30 June, 2024
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Sono trascorsi 40 anni dalla tragica scomparsa di Enrico Berlinguer, avvenuta a Padova l’11 giugno del 1984 ed il suo ricordo e la sua eredità politica sono più vivi che mai. La sua figura e la sua azione a quasi mezzo secolo di distanza, hanno lasciato nella società italiana una traccia indelebile e sono divenute patrimonio comune di più generazioni, da preservare gelosamente.
A distanza di anni dalla sua morte, il suo pensiero politico, alcune delle sue intuizioni e la sua opera continuano ad influenzare il dibattito politico odierno, non mi riferisco esclusivamente al tema della questione morale e del progressivo degrado della funzione dei partiti nella società italiana, ma al suo impegno militante per il disarmo, per una politica di pace e di costruzione di un nuovo ordine mondiale; tema più che mai attuale, come dimostra l’orrore dei tanti conflitti e guerre in corso e la crisi delle relazioni internazionali tra le principali potenze mondiali.
La sua stagione sarà ricordata per la proposta politica del “compromesso storico” che non aveva la sola legittima aspirazione di superare “la conventio ad escludendum” nei confronti dei comunisti italiani, quanto contribuire all’allargamento della partecipazione democratica delle classi lavoratrici al governo del paese.
Come è noto questa strategia prende spunto da una riflessione sui tragici fatti del golpe militare fascista del Cile del settembre del 1973, ma anche dall’esaurimento della formula politica del centro-sinistra che aveva visto l’ingresso del PSI nell’area di governo nel corso degli anni ’60.
In questo percorso aveva incontrato in Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana, un interlocutore affidabile nella sfida per la costruzione di nuovi e più avanzati equilibri politici nel nostro paese, una prospettiva che si è interrotta con il rapimento e l’assassinio dello stesso Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, le quali (non da sole) hanno avuto come obiettivo principale interrompere un processo politico democratico che legittimava l’aspirazione di governo del paese da parte della sinistra italiana.
Per ragioni anagrafiche ho aderito al PCI neri primi anni della segreteria Berlinguer, proprio nel frangente in cui il partito avanzava al paese la proposta politica di “Austerità: occasione per cambiare l’Italia”, inviterei tutti a rileggere oggi, quelle tesi, con la mente libera dal pregiudizio che sovente accompagna il termine austerità, vi troveremo un’analisi e un’idea di cambiamento della società italiana che era propria di quelli che Andrea Mulas (autore di un bel libro su Allende e Berlinguer) definisce “i pensieri lunghi” di Enrico Berlinguer.
Gli anni ’70 sono ricordati come anni difficili soprattutto per la stagione delle stragi fasciste, della strategia della tensione, iniziata con Piazza Fontana nel 1969, l’Italicus, Piazza della Loggia a Brescia da un lato e dall’altro l’abisso in cui precipitò il paese con il terrorismo delle Brigate Rosse.
Va detto, inoltre, che quello degli anni ’70, fu un decennio particolarmente importante per il nostro paese, nonostante le difficoltà richiamate, furono anni fertili e di conquiste per il mondo del lavoro e di crescita per la democrazia italiana, cito ad esempio alcuni dei temi che avrebbero inciso in profondità nella vita civile e democratica dell’ Italia: la conquista dello Statuto dei Lavoratori, l’istituzione delle Regioni, il Decentramento Amministrativo, la Riforma della Sanità nel 1978 e sul piano dei Diritti Civili le Leggi su Divorzio e Aborto, una stagione riformatrice della quale oggi occorrerebbe recuperare, principi, metodo, memoria e insegnamento.
Mi è rimasta impressa nella memoria, una valutazione espressa da Enrico Berlinguer nel suo intervento al Comitato Centrale del PCI successivo al significativo arretramento elettorale alle elezioni politiche del 1979, nel quale rivendicava che l’azione condotta in questi anni dal PCI e dalle forze di sinistra, aveva contribuito ad introdurre nella società italiana, elementi di socialismo.
Una rivendicazione orgogliosa di un impegno coerente per lo sviluppo della democrazia e il progresso sociale e civile dell’Italia Repubblicana e dei risultati che avevano consentito un importante miglioramento delle condizioni di vita dei ceti più popolari del nostro paese.
A gennaio di quarant’anni fa, la sua ultima volta in Sardegna in un “tour de force” nelle quattro province sarde, di questa circostanza, vorrei raccontare alcuni momenti della sua visita del 1984 ai quali ho avuto occasione di assistere da vicino.
Il 1984 si presentava come un anno con scadenze elettorali importanti, si votava per il rinnovo del Parlamento Europeo istituito nel 1979 e si era prossimi al rinnovo del Consiglio Regionale della Sardegna che, avrebbe poi eletto, l’indimenticato Mario Melis a Presidente della Regione Sarda.
La visita del Segretario Generale del PCI era stata preparata con molta cura dalla segreteria regionale guidata da Mario Pani, ed ebbe inizio la mattina del 15 gennaio del 1984, con un comizio tenuto a Cagliari in Piazza della Costituzione, molto partecipato, e proseguì poi per diversi giorni nelle quattro province della nostra isola.
Ho avuto la fortuna e l’onore di poter partecipare a questa straordinaria esperienza e vorrei rendere con semplicità, una testimonianza personale.
A fine settembre del 1983 ero stato chiamato a sostituire Ugo Piano appena eletto sindaco di Carbonia, nel ruolo di funzionario della Federazione Comunista del Sulcis come responsabile dell’organizzazione e in questa veste fui incaricato dall’allora segretario della Federazione, Ignazio Cuccu – dolorosamente e prematuramente scomparso lo scorso 27 dicembre – ad occuparmi degli aspetti organizzativi relativi alla visita di Enrico Berlinguer nella Miniera di Seruci, prevista per la mattina del 16 gennaio 1984.
Nel pomeriggio del 15 gennaio Berlinguer arrivò a Carbonia per l’inaugurazione della nuova sede della Federazione in viale Arsia, dove fu accolto con grande gioia e partecipazione da una folla di militanti di tutto il nostro territorio.
L’incontro venne introdotto da Ignazio Cuccu segretario della Federazione, il quale annunciò nel corso della manifestazione, la decisione del Direttivo della Federazione di intitolare il Salone delle riunioni alla figura di Pio La Torre, assassinato dalla mafia, insieme al suo autista Rosario Di Salvo. Enrico Berlinguer nel suo intervento dedicò un pensiero significativo a questa decisione e disse a tutti i presenti, delle frasi particolarmente toccanti, che mi sono rimaste impresse: «Ricordatevi compagni, che con l’intitolazione di questa sala a Pio La Torre, state assumendo un compito particolarmente gravoso ed impegnativo».
Queste parole testimoniavano ancora una volta la stima politica e l’affetto umano per Pio La Torre, che aveva chiamato a collaborare con lui nelle segreteria nazionale del partito, ma anche un’esortazione severa a tutti noi ad onorarne il nome con la militanza e l’impegno politico quotidiano.
Conclusa la manifestazione si andò per la cena al Ristorante l’Olimpo che era un’ambiente ricavato nello stesso stabile dell’Albergo Centrale, prospiciente alla passeggiata della via Manno, a quei tempi il principale punto di ritrovo delle giovani generazioni di Carbonia; segnalo una circostanza che colpì tutti noi, alla vista di Enrico Berlinguer si levò un’onda di stupore, di attenzione e di meraviglia da parte della piazza: c’è Berlinguer! E’ Berlinguer! Segno che godeva di una grandissima popolarità ed affetto anche tra le giovani generazioni.
Non era stata questa la sua prima volta a Carbonia, c’era già stato da segretario nel 1974 per un comizio nella centralissima Piazza Roma introdotto dall’allora sindaco della città Pietro Cocco e ancor prima nel 1949 a Bacu Abis, quando ancora ricopriva l’incarico di segretario nazionale dei giovani comunisti e di questa visita, gli era rimasto impresso un ricordo preciso, quello di aver parlato dalla finestra di un’abitazione che dava su una piazza (Piazza Portoferrario) e che la manifestazione venne interrotta e dispersa da un’intervento delle forze dell’ordine  ricordo per inciso che in quel periodo la Polizia era guidata dal famigerato Commissario Giovanni Pirrone).
Devo aggiungere che la ricostruzione di Berlinguer coincideva alla perfezione con il racconto che mi avevano fatto i compagni più anziani della sezione di Bacu Abis.
La sera, non si trattenne a lungo per la cena e quindi una parte del gruppo dirigente della Federazione si trasferì con lui all’Hotel Panorama di Portoscuso che era stato pernottato per trascorrere la notte.
Sostanzialmente aveva voluto con se, il quadro dirigente di partito per pianificare la giornata successiva, che prevedeva due momenti di confronto in due realtà industriali molto importanti l’Alsar e la Carbosulcis, il primo curato da Tore Cherchi da poco tempo eletto al Parlamento per un saluto all’Azienda e i lavoratori, il secondo con i minatori incentrato sul tema del rilancio della produzione del carbone.
Avviò un confronto per affinare i temi e le risposte che avrebbe dovuto trattare nel suo intervento, chiese informazioni sulla situazione e sugli umori nelle aziende e tra la classe operaia, con cui si sarebbe dovuto confrontare.
Per me giovane dirigente di partito alle prime armi, fu una lezione politica indimenticabile, particolarmente istruttiva, di metodo, serietà, umiltà e di rigore.
La giornata del 16 mi riservò una sorpresa inaspettata, alle due iniziative menzionate Alsar e Carbosulcis, faceva seguito un incontro istituzionale con il comune di Iglesias, di cui ricordo oltre ad una festosa accoglienza un intervento particolarmente brillante del sindaco della città Paolo Fogu; l’impegno di Enrico Berlinguer proseguiva con una successiva tappa a Guspini e in tarda serata un incontro con i giovani al Liceo De Castro di Oristano, la giornata al seguito del segretario, per me si sarebbe conclusi ad Iglesias a fine mattina.
Ignazio Cuccu oltre a ricoprire l’incarico di segretario della Federazione era stato da poco tempo nominato responsabile regionale dell’Organizzazione di partito, mi comunicò che il pomeriggio saremo dovuti andare ad Oristano al seguito del segretario; l’incontro di Oristano con gli studenti fu molto intenso e partecipato, incentrato principalmente sui temi della pace e delle giovani generazioni. E’ divenuto poi famoso alle cronache per il finale, la cena in pizzeria con Enrico Berlinguer che accolse l’invito proposto da parte di alcuni studenti.
Sono stato testimone della circostanza e voglio dire la mia, Berlinguer appariva, agli occhi di tutti noi, abbastanza affaticato, quello di Oristano era il quinto appuntamento della giornata e quando alcuni dei ragazzi si avvicinarono per formulare ”il temerario invito”, furono “respinti” da Ignazio, preoccupato della stanchezza del segretario, ma i giovani non desistettero dal loro intento e provarono a sfondare con successo da un’altro fronte, ricordo Agostino Erittu, anch’egli componente della Segreteria regionale rispondere ai giovani, chiedetelo direttamente a lui, vedete se accetta?
«Onorevole Berlinguer verrebbe a mangiare una pizza con noi?» molto volentieri fu la risposta, concesse un’intervista ad un’emittente locale e poi si fini tutti da Catapano in pizzeria.
Anche in questa occasione mi colpì la sua capacità di dialogo e di ascolto, un interesse vero, sincero, non formale, la serata si concluse con una passeggiata notturna ad Oristano, accompagnati da Umberto Cocco allora segretario della Federazione, da Franco Sotgiu e da Mario Oggiano e dal suo segretario Tonino Tatò, mentre Ugo Baduel, al seguito si apprestava a redigere la cronaca della giornata per il quotidiano del partito: L’Unità.
Il giorno successivo lo attendevano diversi appuntamenti impegnativi, in particolare un’assemblea con gli operai di Ottana e successivamente un festoso incontro di popolo ad Isalle, una località di campagna tra Orune e Dorgali.
Ricordo che anche l’appuntamento con gli operai di Ottana fu preparato con un’attività istruttoria adeguata e in quella occasione furono espresse alcune preoccupazioni che poi si manifestarono nella giornata successiva, l’accoglienza ad Ottana fu se non fredda, abbastanza tiepida, iniziavano ad emergere anche tra quella classe operaia i segnali che avrebbero portato al grande balzo elettorale del Partito Sardo alle elezioni regionali del 1984, ma questa è un’altra storia.
Il viaggio di Berlinguer in Sardegna, si concluse con successo anche nelle altre due tappe, in Gallura e a Porto Torres.
La sua presenza nell’isola oltre ad aver contribuito al buon esito delle tornate elettorali, molto positive anche per il PCI, aveva assicurato un impegno corale del gruppo dirigente nazionale che venne onorato anche dopo la sua tragica e drammatica scomparsa.
Questo mio ricordo personale di Berlinguer in Sardegna e a Carbonia, non si è volutamente occupato degli aspetti politici della sua visita e delle sue principali implicazioni, non era questa l’intenzione, osservo e credo non valga soltanto per me che, se a distanza di 40 anni dalla sua scomparsa, sentiamo il bisogno di ricordarlo con questo trasporto, significa che ha lasciato un vuoto incolmabile, un segno indelebile nella coscienza e nell’animo di tutti noi.
Si tratta di un’eredità impegnativa, dati i tempi non semplice da coltivare, il mio auspicio è che possa proseguire una riflessione feconda sul suo pensiero e la sua opera a partire dai temi della pace e della necessità di un nuovo ordine mondiale, per il quale aveva speso la parte più importante delle sue ultime energie.
Questo ben al di là degli interessi di partito o di schieramento, il suo pensiero le sue battaglie, non appartengono solo alla sinistra di origine comunista, sono un patrimonio della democrazia del nostro paese, di tutti i democratici di questo paese, per questa ragione la sua lezione non va dimenticata ma riproposta con forza all’attenzione di tutti, soprattutto delle nuove generazioni.
Recentemente Corrado Augias nel corso di una puntata della sua trasmissione La Torre di Babele dal titolo: Cosa resta di Enrico Berlinguer, ne ha definito la fisionomia utilizzando le seguenti parole che riporto testualmente: «Se io dovessi chiudere da estraneo Berlinguer dentro un sostantivo, direi Etica».
Ecco, mi sembra una definizione molto felice e appropriata che riassume con grande efficacia la sua persona e la sua grande caratura politica e morale!

Antonangelo Casula

Nella foto di copertina, da sinistra: Antonangelo Casula; Mario Pani, segretario regionale del PCI nel 1984; Ugo Piano, Enrico Berlinguer; Ignazio Cuccu.

Una numerosa rappresentanza degli studenti delle classi del triennio degli istituti superiori presenti nella città di Carbonia (Istituto di Istruzione Superiore Beccaria, Istituto Statale Professionale E. Loi, Istituto di Istruzione Superiore G.M. Angioy, Istituto di Istruzione Superiore Amaldi-Gramsci) ieri mattina ha partecipato con interesse, entusiasmo e curiosità alla presentazione del libro “La nostra marcia”, edito da Giampaolo Cirronis, alla presenza del sindaco Pietro Morittu, dell’assessora della Pubblica Istruzione Antonietta Melas e degli autori: Peppino La Rosa, Tore Cherchi, Antonangelo Casula, Sandro Mantega. Sono intervenuti anche alcuni protagonisti della marcia: Antonello Pirotto, Roberto Puddu, Riccardo Cardia, Rino Barca, e il professor Andrea Corrias.
L’evento, organizzato dal comune di Carbonia e svoltosi presso l’Aula Magna dell’Istituto di Istruzione Superiore Beccaria, è stato un prezioso momento formativo per valorizzare la memoria storica della città, promuovendo un’iniziativa rivolta ai giovani studenti per favorire la conoscenza della storia del Novecento, rievocando una pagina indelebile per tutti noi: la storica marcia per lo sviluppo economico e dell’occupazione realizzata nel Sulcis Iglesiente dal 19 ottobre al 15 dicembre 1992. Un’occasione per mantenere sempre viva la memoria degli uomini e delle donne che hanno lottato per lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche del Sulcis Iglesiente.

L’Amministrazione comunale di Carbonia, nell’ambito della valorizzazione della memoria storica della città, ritiene importante promuovere iniziative rivolte ai giovani studenti per migliorare la conoscenza della storia del novecento che ha avuto per protagonisti le comunità del nostro territorio.
L’obiettivo è quello di mantenere viva la memoria degli uomini e delle donne che hanno lottato per lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche del Sulcis Iglesiente.
A tal fine, venerdì 5 aprile 2024, dalle ore 9.30 alle 11.30, si svolgerà un convegno organizzato dall’assessorato delle Politiche Giovanili e dall’assessorato della Pubblica istruzione che avrà per tema la storia della marcia per lo sviluppo economico e dell’occupazione realizzata nel Sulcis Iglesiente dal 19 ottobre al 15 dicembre 1992.
L’evento, destinato agli studenti delle classi del triennio degli Istituti superiori presenti in città, si svolgerà presso l’aula magna dell’Istituto di Istruzione Superiore “Beccaria”.
Illustreranno gli avvenimenti storici di cui sopra gli autori del libro “La nostra marcia”: il prof. Peppino La Rosa, l’ingegnere minerario Tore Cherchi, Antonangelo Casula sindaco di Carbonia dal 1990 al 2001, il giornalista Sandro Mantega, autori del libro “La nostra marcia”.
Oltre gli autori citati, saranno presenti il sindaco Pietro Morittu e l’assessora della Pubblica Istruzione prof.ssa Antonietta Melas.
Parteciperanno all’iniziativa una rappresentanza di studenti degli Istituti Superiori presenti in città:
Istituto di Istruzione Superiore Beccaria, Istituto Statale Professionale E. Loi;
Istituto di Istruzione Superiore G.M. Angioy, Istituto di Istruzione Superiore Amaldi-Gramsci..

19 ottobre 1992 – 15 dicembre 1992. Due date rimaste impresse nella memoria di coloro che in quei 58 giorni furono protagonisti di un evento che scrisse un importante pezzo di storia del Sulcis Iglesiente nell’ultimo scorcio dello scorso millennio: “La Marcia per lo Sviluppo”.

Quell’evento è stato ricostruito da alcuni dei protagonisti, nel libro “La Nostra Marcia”, presentato ieri sera nella sala convegni del Lu’ Hotel, a Carbonia, riempita al limite della sua capienza («non accadeva da tempo» hanno sottolineato alcuni degli intervenuti nel corso della serata), in un incontro impreziosito dalla presenza di Sua Eminenza Cardinale Arrigo Miglio, ai tempi della “Marcia per lo Sviluppo” agli inizi della sua esperienza vescovile alla diocesi di Iglesias.

«Il libro ricorda marciatrici e marciatori, descrive il contesto, racconta e documenta la Marcia per lo Sviluppo del Sulcis Iglesiente, partita il 19 ottobre 1992 da Teulada e giunta a Roma l’8 dicembre.»

La presentazione è iniziata con gli interventi dei quattro autori: Sandro Mantega, allora responsabile della redazione di Carbonia del quotidiano l’Unione Sarda e giornalista di Telegamma; Tore Cherchi, allora parlamentare; Antonangelo Casula, allora sindaco di Carbonia; Peppino La Rosa, allora segretario della Camera del Lavoro CGIL del Sulcis Iglesiente. Nei loro interventi gli autori hanno ricostruito origine e sviluppo della Marcia per lo Sviluppo, il grande coinvolgimento popolare, i risultati raggiunti, importanti anche se non esaustivi per l’intero ultimo decennio del secolo scorso. Al termine del suo intervento, nel corso del quale ha ricostruito brevemente il diario della “Marcia”, iniziata a Teulada e conclusa a Roma, curato nel libro, Peppino La Rosa ha coinvolto il giornalista Giacomo Serreli, allora redattore di Videolina, che ha seguito la “Marcia” anche nella Penisola, fino a Roma, autore dei servizi proposti alla visione dei presenti in un filmato, unitamente ad una breve sintesi delle varie tappe della “Marcia”, filmate a livello amatoriale da uno dei protagonisti, Carlo Rosso.

Particolarmente significativo l’intervento del cardinale Arrigo Miglio che ha sottolineato l’importanza di quella mobilitazione che vide unito l’intero territorio, con l’auspicio che, in qualche modo, possa servire da esempio per le nuove generazioni, in un territorio che, purtroppo, ancora oggi vive una situazione socio-economica difficile, nella quale occorre unirsi per raggiungere nuovi obiettivi.

Sono seguiti numerosi interventi: Antonello Pirotto, uno dei marciatori, tra gli otto che hanno collaborato con una testimonianza personale alla stesura del libro; Salvatore Benizzi, allora direttore della Pastorale per il Lavoro della Diocesi di Iglesias; Nino Flore, amministratore delegato del gruppo Euralcoop, che ha presentato un filmato che racchiude i risultati raggiunti dal progetto imprenditoriale nato nella cooperativa soci Eurallumina e cresciuto in diversi settori (commercio, turismo, agricoltura) fino ad avere oggi un organico di oltre 400 dipendenti, per dimensioni seconda azienda del Sulcis Iglesiente; Pietro Morittu, sindaco di Carbonia, allora giovane studente che partecipò alla “Marcia”, che ha ringraziato gli autori del libro «per aver ricostruito una pagina importante, che resterà indelebile, nella storia del nostro territorio Una pagina che ha visto protagonisti uomini e donne, lavoratori e lavoratrici, marciare verso Roma per reclamare maggiori spazi ed occasioni di sviluppo per il Sulcis Iglesiente, un lavoro dignitoso per tutti. Una pagina che è, ancora oggi, un esempio della grande resilienza e della tempra tipica dei cittadini del Sulcis che, quando sono tutti uniti e capaci di fare fronte comune, riescono a ottenere risultati straordinari». Il primo cittadino di Carbonia ha assunto l’impegno di promuovere il ricordo delle marciatrici e marciatori del Sulcis Iglesiente attraverso la realizzazione di un progetto didattico con il supporto degli Istituti scolastici della città. Roberto Puddu, allora sindacalista degli elettrici della CGIL e autore anche lui di una testimonianza nel libro; Rino Barca, allora sindacalista della CISL, autore di una testimonianza personale nel libro; Raffaele Callia, direttore della Caritas della Diocesi di Iglesias; Riccardo Cardia e Franco Porcu, allora sindacalisti della CGIL, anche loro autori di una testimonianza nel libro. Gli altri autori delle testimonianze nel libro, presenti in sala, sono Francesco Tocco, Stefano Meletti e Ottavio Spanu.

Tra i tantissimi intervenuti alla presentazione, sindaci, amministratori locali, sindacalisti, lavoratori.

Il ricavato delle vendite del libro, pubblicato da Giampaolo Cirronis Editore, finanziato dalla Fondazione di Sardegna, verrà devoluto interamente alla Caritas della Diocesi di Iglesias.

 

Domani 26 aprile, a Carbonia, dalle 17.30, al circolo culturale Euralcoop di piazza Marmilla a Carbonia, si terrà un dibattito pubblico sui temi legati all’ordinamento regionale della Repubblica, organizzato dalla Fondazione Enrico Berlinguer e dall’associazione Festival Premio Emilio Lussu, l’incontro prevede gli interventi introduttivi del sindaco di Carbonia Pietro Morittu e del sindaco di Carloforte Stefano Rombi.

Parteciperanno al dibattito, tra gli altri, Laura Cicilloni, rappresentante del sindacato scuola Cgil sud Sardegna e Mauro Esu, segretario provinciale Pd; Tore Cherchi e Gian Giacomo Ortu, autori della pubblicazione: “La deriva dell’autonomia differenziata. E la Sardegna?”

L’incontro sarà coordinato dalla giornalista Sara Vigorita.

E’ in programma sabato pomeriggio, con inizio alle 17.30, presso il Circolo Soci Euralcoop, in piazza Marmilla, a Carbonia, la presentazione del libro “E l’Isola va – La Sardegna nella seconda modernizzazione”, di Gianfranco Bottazzi, presidente dell’Istituto Gramsci della Sardegna.

Introdurrà e modererà la presentazione, Francesco Ortu, componente del direttivo del Circolo Euralcoop. Interverranno Tore Cherchi ed Andrea Corrias.

Al termine degli interventi, verrà dato spazio al dibattito con il pubblico in sala, dove sarà presente l’autore.

Il titolo del libro “L’Europa al bivio” riguarda una pubblicazione, curata da Salvatore Cherchi e Gian Giacomo Ortu, che raccoglie gli scritti dello stesso Ortu, di Christian Rossi, Benedetto Barranu e Omar Chessa, introdotti da Cherchi. Complessivamente, offre ben più che un pamphlet informativo e di un insieme di stimoli importanti per una discussione. Per quanto preceda la guerra in corso che obbliga a ripensamenti non da poco e non solo sul piano politico-istituzionale, storico-giuridico ed economico-finanziario. Impegna, soprattutto, verso nuovi percorsi di pace nelle relazioni non solo fra gli Stati, ma anche dentro ogni Stato. A mio avviso questo testo rappresenta uno sviluppo rispetto al manifesto di Ghilarza che determinò il raggruppamento Sinistra Autonomia Federalismo (SAF). Pertanto, offre una più ampia base di riferimento, per successivi e auspicabili aggiornamenti. Anche nell’immediato questa pubblicazione stimola profonde riflessioni che riguardano ogni gruppo progressista nello schieramento di sinistre sarde, italiane ed europee, per andare oltre l’Europa al bivio, compreso il bivio della guerra nucleare, in un impegno di pace e di giustizia sociale fra gli Stati e negli Stati.

Ho imparato molto da tutti i saggi e anche dalla pregevole introduzione di Tore Cherchi. Ringrazio tutti. In particolare, noto che Tore Cherchi, rispetto al passato, presenta innovative convinzioni e nuove determinatezze con una propria e straordinaria forza culturale e politica che, purtroppo, non emerge nella palude precongressuale del Pd in Sardegna. È utile leggerlo con particolare attenzione politica, per cogliere i suoi nuovi orientamenti. Forse, bisogna pensare a quali associazioni possono promuovere qualche dibattito precongressuale, per conoscere meglio le attuali posizioni in campo nel Pd sardo.

Dico subito che ho attraversato questo testo, come antropologa, con la mia “cassetta degli attrezzi” che verifica vecchie e nuove disumanizzazioni e vecchi e nuovi assoggettamenti, insieme a certe capacità di farsi soggetti autonomi a vari livelli, più o meno istituzionalizzati: individuali e collettivi, di classe e di genere, socio-etnici e della specie umana. Leggendo questo libro ho tenuto conto, in particolare, di una certa antropologia economica e di un suo percorso. Per dirla in breve su questo settore, nel quadro del sistema-mondo, l’antropologia economica alla quale mi sono riferita è diventata antropologia della globalizzazione finanziaria, analizzando processi ed effetti del neoliberismo con innovativi approcci. Appadurai per esempio, con il suo percorso biografico e di ricerca, illustra anche un recente tragitto di questo settore. Egli studiava nel 2011 le aspirazioni democratiche che producono futuro e che richiedono riconoscimenti (Le aspirazioni nutrono la democrazia). Nel 2016, giungeva ad approfondire il filone di studi antropologici che riguarda i fallimenti tecnici, finanziari e di mercato (Scommettere sulle parole. Il cedimento del linguaggio nell’epoca della finanza derivata). Nel 2020 egli passava allo studio dei fallimenti del “finanziarismo” (Fallimento). In questo percorso considerava anche angosce e tossicità che accompagnavano la gig economy, compresi gli investimenti sul rischio e la frammentazione dei soggetti che subivano le crisi.

Di lavori precari e di dequalificazione delle persone e di certi lavori si è occupato, inoltre, David Graebner (Bullshit Jobs, A Theory 2018), antropologo americano alla London School of Economics, morto in Italia ai tempi iniziali del coronavirus. Incoraggio fortemente a osservare la più attuale e innovatrice antropologia, anche nelle riflessioni sul federalismo che vogliamo sostenere.

Vorrei, pertanto, indicare e richiamare ora alcune tematiche che riguardano i processi finanziari e gli impoverimenti dei soggetti umani fino al loro indebolimento, depotenziamento e annichilimento, insieme alle loro esperienze di resistenza e per un cambiamento democratico. Si tratta di temi che Appadurai affronta soprattutto nel suo saggio del 2016. Riguardano esperienze della frammentazione dei soggetti che per certi versi lo avvicinano ad Amartya Sen e ad Antonio Gramsci. Sono questioni presenti nel testo in discussione. Ne parla in un certo modo Giangiacomo Ortu, citando proprio Amartya Sen a proposito di Libertà individuale come impegno sociale. Non a caso si tratta di un’opera particolarmente vicina al Federalismo italiano ed europeo, a partire da Eugenio Colorni e dal Manifesto di Ventotene, in cui il rapporto problematico fra soggettività individuale e collettiva è assai consapevole e ben considerato. Si tratta di un tema di straordinaria importanza che merita di essere approfondito perché, a mio avviso, un nuovo federalismo deve chiamare in causa e implicare la vita di ogni persona, la dimensione soggettiva individuale nella creazione di un soggetto collettivo federale.

Tore Cherchi sostiene che bisogna ritornare a quel pensiero. Condivido tale affermazione, fatte salve, ovviamente, le opportune storicizzazioni su cui dovremmo avviare oggi qualche approfondimento ed effettuare qualche necessaria sottolineatura.

Parto dalle sottolineature. Riprendo due punti, fra i commenti del 1974 di Noberto Bobbio al Manifesto federalista di Ventotene. Uno riguarda la pace e il pacifismo transnazionale. Sono contenuti nella critica, propria del federalismo, alla sovranità assoluta. Questo punto concerne, inoltre, il rapporto fra il federalismo europeo e il federalismo mondiale, in attesa del quale pare a me che non ci si possa limitare alla sola cooperazione europea, per quanto importantissima, come soluzione funzionale e generatrice automatica di pace mondiale (Bobbio 2014:102):

In questo senso il pacifismo europeo non è propriamente una dottrina pacifista, non tanto perché a rigore se è valido il suo sillogismo – la causa delle guerre è la sovranità assoluta, per limitare le guerre bisogna limitare la sovranità – la conseguenza necessaria dovrebbe essere non la federazione europea ma la federazione mondiale (ideale che rimaneva, sì, sullo sfondo, ma non era diventata ancora un programma politico), ma perché la pace non viene considerata in seno al movimento federalista sin dai suoi inizi come il fine ultimo ma come il presupposto, la conditio sine qua non, per la realizzazione di altri fini considerati come preminenti, quali la libertà, la giustizia sociale, lo sviluppo economico e via discorrendo. (sottolineatura mia)

Si tratta di un punto che merita più che una sottolineatura. Per certi aspetti, ci rinvia a Piketty e a certe sue domande che precedono certe sue risposte, utili anche per precisare ora la nostra rotta. Quale federalismo? Per fare che cosa? Si tratta di domande contenute in un suo testo del 2015 che ha per titolo una principale domanda: Si può salvare l’Europa?

Prima di riprendere alcune proposte di Piketty, vale la pena di sottolineare un altro punto importante, indicato da Bobbio. Egli rimarca come il federalismo nasca nel crogiuolo della crisi e della risposta alla crisi con la Resistenza, volta a un nuovo assetto sociale. Egli, affermando il carattere storicamente inventivo della Resistenza e del federalismo, dice così (Bobbio 2014:108).

L’ideale federalistico si pone su questo terzo livello: la resistenza non come restaurazione ma come innovazione. La resistenza che deve chiudere e aprire, distruggere per costruire, essere negazione non in senso formale ma in senso dialettico. Che non deve limitarsi a vincere il presente ma deve inventare il futuro. Il federalismo fu, ed è tuttora una di queste invenzioni storiche. Per questo è legato a quel momento creativo della storia che fu la Resistenza europea. Una delle più alte coscienze della Resistenza italiana, Piero Calamandrei, scrisse: «Tutte le strade che un tempo conducevano a Roma conducono oggi agli Stati Uniti d’Europa». (sottolineatura mia)

Per quanto riguarda la crisi e il rilancio delle istituzioni europee tutti gli autori Rossi, Barranu e Chessa offrono con Tore Cherchi importanti riflessioni critiche e positivamente ponderate, senza autolesionismi. Le condivido con qualche più accentuata preoccupazione, già presente nei loro scritti. Per esempio, Benedetto Barranu mette in luce le importanti attenzioni europee ai parametri finanziari a fronte, tuttavia, della disattenzione verso gli obiettivi di integrazione economica, sociale e civile delle diverse regioni europee. Egli si riferisce a Piketty, ma se ne discosta in certa misura nell’ordine delle proposte. Sull’incremento della pressione fiscale, infatti, mi pare più forte in Piketty l’esplicitazione della progressività fiscale, sia come ordine prioritario e sia come ordine qualitativo, ordine che nello scritto di Benedetto Barranu risulta al quarto posto delle proposte. Mi pare, invece, che questo elemento della progressività fiscale sia considerato cruciale per poter combattere le disuguaglianze partendo dalla distribuzione, sia da Piketty e sia dal suo maestro Antony Atkinson.

Giungo a un punto democraticamente cruciale. Nelle diseguaglianze – come notano questi due autori e come sappiamo – quelle di genere hanno una particolare rilevanza. Tuttavia, particolare attenzione deve essere dedicata anche alle disuguaglianze interne ai generi. Infatti, debbono essere ora considerate con una nuova attenzione, che scientificamente riguarda le “intersezioni”. Detto semplicemente, si tratta di considerare i fili delle condizioni e delle posizioni non solo sociali, ma anche locali, per esempio infrastrutturali e ambientali, specialmente per le donne. Tali intersezioni sono anche individuate come socio-geo-culturali, per esempio considerando le relazioni di genere secondo il colore della pelle e secondo i contesti locali, anche di spopolamento o di abbandono o d’inquinamento. La questione delle disuguaglianze, in particolare di genere ma anche interne al genere, a mio avviso, è un punto dirimente per un nuovo federalismo democratico e partecipativo.

Nelle egemonie vecchie e nuove, considerate dal federalismo che si sta elaborando in Sardegna, pare rimanere in ombra il nesso con le nuove subalternità, generazionali e di genere, determinate dal neoliberismo, imperante anche nelle complessive politiche europee non solo con le politiche di austerità. Negli approcci federalistici finora da noi pubblicati, gli aspetti delle “nuove subalternità” sembrano ancora sottaciuti o impliciti, oscurati o fuori da ogni interesse programmatico di nuovo federalismo. Ovviamente la realtà non è sempre quella che appare e ciò vale anche in questo caso. I ritardi e gli offuscamenti, di cui sono anche io responsabile, sono di varia natura e riguardano anche vari impedimenti personali. Tuttavia, non possiamo restare insufficienti su tali aspetti.

Dobbiamo, evidentemente, fare qualcosa in più e di diverso, per promuovere, specie con studentesse e studenti, nuovi protagonismi di donne e di giovani che siano non conformistici verso chicchessia, ma seriamente rigorosi nei pensieri, nelle iniziative e nelle relazioni. In ogni caso, non possiamo essere soddisfatti di una nostra cornice concettuale generale, fatta in casa, che lascia nella stagnazione e nell’opacità tali aspetti delle nuove subalternità e delle nuove inuguaglianze, specie di genere, diffuse nel mondo ultraliberistico, incontrollato e diventato imperante.

Il federalismo che Sinistra Autonomia Federalismo (SAF) richiede, a mio avviso, proprio nel piano delle nuove subalternità e delle nuove inuguaglianze, una specifica connessione con il pensiero gramsciano sulle subalternità, operante nella cultura politica globale. Vale la pena di affermarlo proprio oggi 27 aprile, in modo non celebrativo a 85 anni dalla sua morte, ma per rivelare la vitalità concettuale e operativa di parti importanti del suo pensiero.

Forse, ma non vorrei mettere troppa carne al fuoco, la nostra riflessione può giovarsi anche di una parte del pensiero berlingueriano. Egli, infatti, guardava all’eurocomunismo e al rapporto fra democrazia e socialismo in un suo orizzonte riformista dell’Europa dei popoli, e della stessa Nato. Posso solo auspicare una riflessione collettiva su tali aspetti di rilettura dell’eurocomunismo berlingueriano. Tuttavia, è necessario ponderare ora su che cosa si può fare di più e meglio in merito alle nuove subalternità e alle nuove inuguaglianze di genere e nei generi, nel nostro progetto di un “democratico federalismo sociale”.

Vorrei tornare ora alle inuguaglianze, perché credo che queste debbano essere declinate non solo a scale limitate in Sardegna, in Italia e in Europa. Penso che le inuguaglianze debbano essere inserite anche in più ampie scale transnazionali, cercando di individuare legami tematici trasversali, dalle politiche di genere a quelle ambientali. A mio avviso, infatti, è necessario far emergere un federalismo sociale, nuovo e avanzato democraticamente, in cui le nuove subalternità e le nuove inuguaglianze siano individuate e connesse fra loro secondo specifiche trasversalità e in cui la pace sia, non presupposta, ma un obiettivo permanente e mai definitivamente compiuto. Penso a un federalismo sociale europeo, gramscianamente aperto al mondo

Nel quadro delle nuove subalternità, credo che tutte e tutti noi dobbiamo dare continuità e sviluppo a un altro versante dell’impegno di Sinistra Autonomia Federalismo, avviato con Laura Pennacchi il 26 novembre 2018, per ripensare la crisi capitalistica, la socializzazione degli investimenti e la lotta agli impoverimenti attraverso la promozione del buon lavoro per tutte e tutti. L’iniziativa del novembre 2018 corrispondeva in parte, sul piano scientifico, al titolo del libro dell’economista keynesiano Hyman Philip Minsky, edito nel 2014, Combattere la povertà. Lavoro non assistenza, in cui Laura Pennacchi pubblicava un saggio introduttivo. In questo testo, come in altri impegni di questa studiosa, si affermava con particolare forza l’importanza dell’autonomia culturale nelle esperienze lavorative in cui i soggetti diventavano autonomamente protagonisti attivi di un cambiamento democratico.

Vorrei, mantenendo il focus sul lavoro, metter l’accento sul fare, sul fare immediatamente possibile che sia Piketty e sia Atkinson rendono evidente per realizzare un’Europa caratterizzata dalla democrazia ugualitaria e dal federalismo sociale. In questa Europa il buon lavoro per tutte e per tutti è un obiettivo fondamentale. Si tratta, infatti, di promuovere un democratico federalismo sociale in cui il lavoro viene garantito a chi lo chiede.

Parto da Atkinson (2015:307-308). Il titolo Sulla disuguaglianza ha come sottotitolo la domanda Che cosa si può fare? La parte finale del testo indica La strada che ci sta davanti. In questa parte egli delinea vari percorsi per andare avanti ed esplicita 15 proposte che è ora impossibile riportare o riassumere. Ne vorrei selezionare alcune, a titolo esemplificativo.

La proposta n. 3 recita: Il governo deve adottare un obiettivo esplicito per prevenire e ridurre la disoccupazione e deve sostenere tale obiettivo offrendo un impiego pubblico garantito a salario minimo a quanti lo cercano.

La proposta 8 dice: Dobbiamo tornare a una struttura di aliquote più progressiva per l’imposta sui redditi delle persone fisiche, con aliquote marginali crescenti per scaglioni di reddito imponibile, fino a un’aliquota massima del 65%, il tutto accompagnato da un ampliamento della base imponibile.

I due punti sono evidentemente connessi, ma vado in fretta e richiamo ancora qualche punto dell’elenco, rinunciando alle esplicitazioni. Per fare progressi democratici egli prevede: al punto 9 uno sconto sui redditi da lavoro; al punto 10 eredità e donazioni con imposta progressiva; al punto 11 l’imposta progressiva sugli immobili, basata sulla valutazione catastale aggiornata; al punto 15 l’assistenza allo sviluppo dei Paesi poveri da parte di quelli ricchi, elevata all’1% del reddito nazionale lordo. Si tratta di questioni all’ordine del giorno anche in Italia.

L’approccio dinamico di Atkinson, teso realisticamente al fare possibile, si riscontra anche nel suo allievo Piketty. Quest’ultimo, con altri studiosi, nel 2017 pubblicò un pamphlet: Democratizzare l’Europa! Per un Trattato di democratizzazione dell’Europa. Egli considerava la fattibilità politica di tale trattato, per la governance economica dell’eurozona. Valutava i possibili cambiamenti dell’assemblea dell’eurozona, anche di fronte a un rifiuto di vari partner. Prospettando un’alleanza fra Francia, Spagna e Italia, forniva una bozza di tale trattato di 22 articoli, che merita indubbiamente un’attenzione particolare, ora impossibile.

Successivamente, nel suo libro edito nel 2020, Capitale e ideologia, Piketty (2020:61) affermava che intendeva «delineare i contorni di un socialismo partecipativo e di un socialfederalismo basato sulle lezioni della storia». Ciò richiedeva, a suo avviso, una ridefinizione radicale dei fondamenti programmatici che sostengono le attuali categorie politiche, intellettuali, ideologiche. Si tratta di affermazioni che hanno per noi un particolare interesse, in questa occasione e in questo clima politico-culturale. Soffermandosi sulle esperienze antidiscriminatorie in India e analizzando l’esperienza delle quote sociali e di genere, egli affermava (Piketty 2020: 414).

Quando un gruppo sociale è vittima di pregiudizi e di stereotipi antichi e consolidati, come le donne un po’ in tutto il mondo o come gruppi specifici nei diversi paesi (per esempio, le caste inferiori in India), di fatto risulta insufficiente organizzare la redistribuzione unicamente in funzione del reddito, del patrimonio o del titolo di studio. In questi casi può essere necessario introdurre sistemi di accesso preferenziale e apposite quote (come le “quote riservate” in ambito indiano) basate sulla pura e semplice appartenenza a specifici gruppi. (sottolineatura mia)

Egli considerava che nel 2016 erano 77 i Paesi che utilizzavano sistemi di quote specifiche per aumentare la rappresentanza femminile nelle assemblee legislative, mentre le democrazie elettorali dei Paesi ricchi registravano la forte diminuzione dei deputati che appartenevano alle classi popolari, in particolare operai e impiegati. Altri problemi di inuguaglianza riguardavano, a suo avviso, gli accesi preferenziali all’istruzione secondaria e universitaria. Idealmente, nella sua concezione il sistema di quote dovrebbe includere e contemplare anche le condizioni del proprio superamento. Comunque, direi che tali problemi di disuguaglianza di genere, in quanto questioni di alto profilo democratico, riguardano anche un nuovo e democratico sociale federalismo della Sardegna, nella disuguaglianza compiuta e nell’uguaglianza incompiuta che caratterizza il XXI secolo. Le inuguaglianze di genere riguardano, fra l’altro, divari salariali occultati in vari modi, ancora persistenti perché le sinistre politiche e sindacali, specialmente in Italia, a mio avviso non le hanno affrontate in modo storicamente adeguato.

Le possibilità di un innovativo e democratico federalismo sociale europeo sono reali e di ampia portata, per Piketty (2020: 1009). Indurre certi Stati alla perdita del privilegio del diritto di veto non sarà facile. Tuttavia, secondo questo studioso, si può insistere sulla regola della maggioranza qualificata per le deliberazioni sui temi fiscali e di bilancio.

Nel raccordo fra sovranità parlamentare europea e sovranità parlamentari nazionali, egli sostiene, bisogna pensare a un vero e proprio trattato per democratizzare l’Europa con un asse costituito da 4 importanti imposte comunitarie: 1 una tassa sugli utili delle società, una sugli alti redditi, una sui patrimoni elevati, una sulle emissioni di CO2. I proventi potrebbero essere così ripartiti: una metà trasferiti agli Stati per diminuire il prelievo che grava sulle classi popolari e medie, l’altra metà per la transizione energetica, per la ricerca e la formazione, per agevolare l’integrazione dei migranti e renderla più condivisa.

Il progetto del federalismo sociale di Piketty è teso verso il futuro. Inoltre, contiene interessanti proposte operative per risolvere il problema della crisi del debito pubblico che probabilmente ora aumenterà, date le guerre in corso. Il suo approccio di federalismo sociale è indirizzato a un gruppo di Paesi europei che intendano attuare un’unione politica e fiscale migliorata e potenziata, che egli chiama Unione Parlamentare Europea per distinguerla dalla attuale Unione europea. Tali Paesi europei possono operare senza metter in discussione l’Unione a 27 Stati, mettendo nel conto l’ovvia opposizione dei Paesi che praticano il dumping fiscale. Tuttavia, si può procedere anche gradualmente, ma tenacemente.

Nei limiti della sintesi necessariamente sommaria che ho potuto abbozzare, alcune proposte di Piketty possono apparire radicali. Invece si iscrivono nel filone del socialismo democratico, superandone varie debolezze in cui certe opzioni socialdemocratiche avevano di socialista solo il nome, come egli dice a un certo punto di quel testo del 2020.

Gli argomenti da lui esposti sotto le etichette del socialismo partecipativo e del federalismo sociale, in realtà, riprendono sviluppi culturali che riguardano i cambiamenti delle disuguaglianze, osservabili in varie parti del mondo, che egli colloca in un’ampia prospettiva storica e mondiale. Si tratta anche di elementi suscettibili di sviluppi culturali che spesso appaiono, anche in contesti limitati, come repertori di idee di equità o come tracce democratiche, a cui attingere nei momenti di crisi.

Su questo piano frammentato, ma che può essere germinativo di cambiamenti democratici, egli afferma di essere condizionato nel suo punto di vista e nel suo percorso personale, dal suo background familiare. Ha visto le sofferenze delle sue due nonne per il modello patriarcale, subito dalla loro generazione. Una, scontenta della sua vita borghese, scomparve prematuramente. L’altra era domestica di campagna già a 13 anni, durante la seconda guerra mondiale. Da una delle bisnonne, invece, Piketty ha avuto i sofferti racconti delle guerre.

Questa genealogia culturale familiare che accomuna acute e storiche sofferenze di donne, a cui egli ricorre giungendo alla fine del libro, dà un senso alle sue opere germinate dalle relazioni intime e affettive con le donne della famiglia. A tali relazioni egli si riferisce per risolvere le nuove subalternità e le nuove disuguaglianze di genere. Attinge da tale genealogia di donne, e dalle loro sofferenze, l’impegno per un federalismo sociale culturalmente partecipato proprio dalle donne con le proprie storie, le proprie motivazioni, le proprie urgenze, individuali e di gruppo.

Le domande e le risposte contenute nel libro curato da Salvatore Cherchi e Gian Giacomo Ortu riguardano un’Europa al bivio delle crisi democratiche e della guerra. Interessano anche quale federalismo scegliamo di realizzare e per che cosa. Fanno, però, sentire la mancanza di un nuovo federalismo sociale, democraticamente partecipativo, che deve necessariamente passare attraverso un ineludibile e urgente scrutinio delle politiche di genere, anche nei nostri impegni locali.

Paola Atzeni

Il circolo culturale Soci Euralcoop, in piazza Marmilla, a Carbonia, ha ospitato ieri sera un dibattito sulla transizione energetica per l’ambiente ed il lavoro, organizzato dal Partito Democratico del Sulcis Iglesiente.

In oltre 4 ore di dibattito, si è parlato di energie rinnovabili come un bene per la comunità da sottrarre alla speculazione; comunità energetiche; metano nella transizione; problematiche legate alla chiusura della Centrale Grazia Deledda che Enel non intende riconvertire; il Piano per la giusta transizione. 

Il dibattito, coordinato da Giorgia Meli, assessore della Cultura del comune di Carbonia, è stato introdotto da Daniele Reginali, segretario della federazione e dal sindaco Pietro Morittu.

Dopo la relazione di Alfonso Damiano, professore ordinario del Dipartimento di Ingegneria elettrica ed elettronica dell’Università di Cagliari, sono intervenuti Claudio Atzori, presidente della Lega delle cooperative, che ha illustrato le iniziative in corso per le comunità energetiche; Samuele Piddiu, segretario regionale della Cgil; Salvatore Vincis, segretario territoriale Cisl; Fabrizio Floris, lavoratore della Portovesme srl; Alessio Dessì, ingegnere industriale; Pietro Cocco, sindaco di Gonnesa; Giacomo Guadagnini, consigliere comunale di Carbonia e consigliere d’amministrazione del Consorzio industriale; Piero Comandini, consigliere regionale; Alberto Bionducci, ingegnere, già direttore di una centrale elettrica a Portovesme; Emanuele Madeddu, segretario territoriale Filctem Cgil; Roberto Forresu, segretario regionale Fiom Cgil; Francesco Garau, segretario regionale Filctem Cgil.
Hanno concluso gli interventi, il deputato Andrea Frailis ed il senatore Gianni Marilotti, prima delle conclusioni di Tore Cherchi.

La posizione del PD sulle materie trattate, può essere così sintetizzata, come riportato in un documento:
• Piena condivisione dello sviluppo delle energie rinnovabili. Le Istituzioni, a partire dal Governo e dalla Regione, devono garantire che sole, vento, acqua, territorio e paesaggio siano considerati come beni della collettività per il suo benessere sociale e non come merci per la speculazione a profitto di pochi gruppi, come, spesso, attualmente accade.
• Sostegno alle comunità energetiche. Queste costituiscono una modalità di utilizzazione delle energie rinnovabili con effetti economici molto positivi sui cittadini. I Comuni devono dare impulso alla loro organizzazione.
• Agire per soddisfare interamente con fonti rinnovabili l’intero fabbisogno energetico pubblico a partire da quelli dei Comuni.
• Programmare i grandi impianti di energia rinnovabile in funzione degli interessi economici e sociali della collettività cioè cambiare metodo rispetto all’attuale mercato selvaggio.
• La filiera dell’idrogeno sia sviluppata nel Sulcis. Anche Enel vi abbia un ruolo attivo.
• Il gas naturale liquefatto nella transizione energetica è indispensabile. Senza la disponibilità del GNL, aziende rilevanti sono destinate alla chiusura e la già pesante situazione sociale si aggraverà.
• La sicurezza degli impianti per il GNL deve essere sempre ricercata. Per questo fine, sono indispensabili valutazioni pubbliche e trasparenti delle soluzioni più idonee, come del resto prevedono le leggi e come si è fatto in altre parti d’Italia e di Europa. In ogni sede devono esserci atteggiamenti responsabili e costruttivi.
• Il Governo e la Regione impediscano che l’Enel chiuda la centrale e scappi. il problema non si risolve accompagnando alla pensione gli attuali dipendenti e costruendo un parco batterie. Altrove, anche in Sardegna, le aziende elettriche, quando chiudono un impianto a carbone, propongono investimenti per la riconversione a gas. In altri casi nazionali ed
europei, sviluppano la filiera energia rinnovabile/idrogeno.
• Nella situazione di alti prezzi dell’energia cittadini ed imprese soffrono mentre le aziende energetiche italiane, comprese Enel e Eni, realizzano extra profitti stimati in 26 miliardi euro. Governo e Parlamento agiscano per risolvere la situazione della Portovesme che assicura il lavoro a 1500 persone non dimenticando che Enel ha nel Sulcis la sua più grande centrale eolica.

• Si denuncia, una volta di più, il grave ritardo nella predisposizione del “Piano territoriale per la giusta transizione” per il quale l’Unione Europea ha messo a disposizione centinaia di milioni di euro di finanziamenti. La Regione è perfettamente latitante.
La Giunta regionale guidata dal presidente Solinas si è rivelata incapace di affrontare questioni cruciali come la transizione energetica, il piano per la giusta transizione, il piano nazionale di ripresa e resilienza. Ha abbandonato il piano Sulcis. Nel vuoto di iniziative della Giunta regionale, è necessaria una forte iniziativa politica e sociale nel territorio. Un ruolo cruciale di progettazione del futuro e di guida unitaria spetta alle Amministrazioni locali in raccordo con le organizzazioni sociali a partire da sindacati.
Il Partito Democratico, direttamente e attraverso sindaci e amministratori, parlamentari e consiglieri regionali, agirà ricercando l’unità con l’insieme delle forze che vogliono contribuire seriamente ad affrontare questioni cruciali come la transizione energetica, a difendere le aziende pesantemente colpite da una congiuntura dei prezzi alti dell’energia e a cogliere le opportunità offerte dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e dal Fondo per la giusta transizione.

 

 

Le tematiche ed i progetti legati alla transizione energetica sono sempre al centro del dibattito politico e sindacale in tutta l’Isola ma, in particolare, nelle aree interessate al Dpcm energia approvato definitivamente qualche giorno fa con la firma del presidente del Consiglio Mario Draghi.
Lunedì 11 aprile, dalle 17.00, il circolo culturale Soci Euralcoop, in piazza Marmilla, a Carbonia, ospiterà un dibattito sulla transizione energetica per l’ambiente e per il lavoro, organizzato dal Partito Democratico del Sulcis Iglesiente.
Diversi i temi al centro del dibattito: le energie rinnovabili sono un bene per la comunità non merci per la speculazione; le comunità energetiche; il metano nella transizione; la chiusura della Centrale Enel, il Governo impedisca che l’Enel chiuda e scappi; il Piano per la giusta transizione; l’inerzia della Regione. L’iniziativa degli enti locali e delle forze politiche e sindacali.
Coordineranno il dibattito Tore Cherchi e Giorgia Meli.
E’ prevista la presenza del sindaco di Carbonia Pietro Morittu e del segretario di federazione Daniele Reginali.
Interverranno inoltre parlamentari, sindaci ed amministratori locali, sindacalisti.

Il 20 gennaio su iniziativa della associazione “Amici della Miniera” presso la Sezione di Storia Locale è stato presentato “Carbonia progetto e costruzione al tempo dell’autarchia”, e-book a cura di Antonello Sanna e Giuseppina Monni.

All’iniziativa, introdotta da Gian Matteo Sabiu, sono intervenuti gli autori, a nome dell’Amministrazione comunale di Carbonia, gli assessori Giorgia Meli e Pierangelo Porcu, Tore Cherchi e, infine, collegata da remoto, Natasha Pulitzer, figlia di Gustavo, che ne ha definito il ricordo familiare e professionale, con un intervento articolato, attraverso cinque atti tra ’800 e ‘900.

Nel corso dell’introduzione, Mario Zara, presidente dell’associazione Amici della Miniera, nel sottolineare il ruolo dell’associazione nella promozione del ricordo di personalità che si sono distinte nella storia della Città di Carbonia, ha avanzato la proposta di dedicare, in un luogo da identificare nel centro cittadino, analogamente a quanto è stato già fatto ad Arsia in Istria, una targa commemorativa per ricordare la figura dell’architetto Gustavo Pulitzer (1887-1967).

L’assessore Giorgia Meli, a nome dell’Amministrazione comunale ha accolto con favore la proposta nell’auspicio di poter celebrare l’evento nella prossima primavera.

L’E-Book

Merita una lettura attenta, è un’opera ben strutturata con un corredo documentale pregevolissimo, nella quale si uniscono armonicamente l’inquadramento storico della vicenda e l’informazione tecnica, punti di osservazione utili entrambi a documentare il processo di costruzione della Città di Fondazione.

Si mette in evidenza il ruolo recitato dall’architetto Pulitzer, non solo nella progettazione del centro cittadino, la cui impronta è ben visibile e documentata ancora oggi, ma anche nella redazione delle scelte urbanistiche originarie. In particolare, in modo molto pertinente, sottolinea il ruolo niente affatto subordinato di Pulitzer anche nelle scelte di pianificazione della città nuova.

Queste affermazioni trovano riscontro in maniera più nitida dalla lettura dei diari tenuti dall’autore, che aprono una nuova prospettiva nella conoscenza delle vicende urbanistiche che precedono la nascita di Carbonia.

Ho avuto il privilegio, dall’architetto Natasha Pulitzer, sua figlia, che ne ha curato la trascrizione, di poterli consultare e divulgarne il contenuto nelle sue parti più significative.

I diari sono concernenti gli anni 1935-1938, periodo in cui Pulitzer viene incaricato di redigere, prima il piano urbanistico di Arsia in Istria (oggi Croazia) e successivamente di Carbonia.

Il contesto in cui matura la decisione di far nascere Carbonia è stato tratteggiato puntualmente da Ignazio Delogu nel suo libro “Carbonia: Utopia e progetto”, nel quale sono descritti con un dettaglio unico luoghi (Trieste) e ambienti quali quelli della finanza ebraica rappresentata dal Commendator Guido Segre, destinato nel breve volgere del tempo, alla “damnatio memorie”.

Sarà proprio Segre uno dei principali attori dell’imprenditoria triestina, ad incaricare Pulitzer sia per la progettazione di Arsia che per quella di Carbonia.

I diari

Dalla lettura dei diari emergono novità assolute e al tempo stesso una conferma alcune intuizioni contenute nel libro di Antonello Sanna e Giuseppina Monni, una miniera di informazioni, sugli stati d’animo del Pulitzer, i rapporti con i colleghi, considerazioni sul tempo, frequentazioni di luoghi e di persone che hanno segnato nella sua traiettoria di vita, passaggi della vita nazionale, Marcello Piacentini, Giovanni Battista Ceas, Giò Ponti, Eugenio Montuori per citarne alcuni noti nel ramo dell’architettura.

Il primo contatto segnalato riguardo al suo impegno per Carbonia, risale al 19 ottobre 1936 quando tutto inizia: «Dal Com. Segre, parlo della questione del terreno… e della commessa Sardegna».

1 novembre 1936: «Arriva Ceas (uno dei progettisti di Arborea e socio dello studio Stuard fino al 1926) a casa nostra a colazione. Gli parlo del lavoro in Sardegna»

1937

12 gennaio: «Alla stazione per salutare Segre che parte per la Sardegna».

12 aprile: «Tempo sempre incerto, parlo con Segre del lavoro che sto facendo per la Sardegna».

13 aprile: «In ufficio lavoriamo al Piano Regolatore per la Sardegna».

16 aprile: «In ufficio si lavora per il piano regolatore della Sardegna. Temporale».

22 aprile: «Ultimiamo il Piano Regolatore per la Sardegna».

23 aprile: «Milano. A colazione da Ponti, Giornata serena. Cattive informazioni dall’arch. Valle che ha da essere consultato per la Sardegna, vedo quindi prospettive poco allegre per questo lavoro»

4 maggio: «Il nostro progetto del piano regolatore per la Sardegna è stato consegnato a Roma all’ing. Valle e arch. Guidi – hanno accettato e non cambiano nulla salvo qualche dettaglio»

21 maggio: «La mattina mi viene a prendere Segre e Guidi. Incontro con ing. Valle. Buona impressione. A colazione con Ceppi – ci mettiamo d’accordo sulla ripartizione del lavoro – a Valle e Guidi piano regolatore e scuole – a Montuori albergo e ville impiegati – per me in centro urbano – resta in forse la chiesa». «Segre alle 11 ha visto il capo (Mussolini) che ha accettato completamente il programma finanziario per le miniere della Sardegna.»

7 giugno: «Colloquio con Ceppi e con gli arch. Valle Guidi e Montuori. Cena al Quirinale all’aperto – bellissimo – … riparto».

19 giugno: «Consegno a Lach (collaboratore dello studio STUARD ) il mio progetto per la piazza di Carbonia».

19 giugno: «Occupazione di Bilbao da parte dei nazionalisti. Bagno a Sistiana. Colloquio con Segre a cui mostro il progetto di Carbonia, la Chiesa ancora in forse».

1 luglio: «Alle 11 partiamo da Ostia con l’aereo per Cagliari, Ceppi, Guidi, Montuori ed io. Dopo pranzo a Bacu Abis e nella zona del futuro villaggio di Carbonia».

2 luglio: «Discuto con Ceppi i miei progetti, poi con Guidi la pianta del centro urbano che avevo sostanzialmente modificato e che ora riporto a Guidi per dargli una soddisfazione come autore del piano regolatore. Parto alle 15 con l’aereo, la sera parlo col dott. Frasca – riparto per Trieste».

15 luglio: «Si lavora al progetto per il centro urbano di Carbonia».

21 luglio: «È morto Marconi a soli 63 anni – il mondo intero esalta la memoria del grande genio che darà nome al suo secolo».

20 agosto: «Lavoro febbrile per i disegni del norvegese e per preparare progetti di Carbonia (chiesa e resto) che Lach dovrà portare a Fusine dal Comm. Segre».

17 settembre: «In ufficio lavoro intenso per Carbonia. Progetto di Teatro».

19 settembre: «Preparo nuovo progetto per il Municipio di Carbonia, 21 parto per Roma».

22 settembre: «A Roma lunga conferenza con ing. Ceppi, con Guidi e con Valle. Esamino con Valle Casa e con Galante i lavori del bar Ambasciatori – Ceppi a nome di Segre insiste perché il lavoro si faccia con paternità collettiva. Non sono per niente convinto».

24 settembre: «Piove. Lach torna da permesso di 5 giorni. Facciamo nuovi progetti per alcuni edifici della Piazza di Carbonia».

3 ottobre: «In ufficio si lavora per spedire i progetti di Carbonia a Roma».

9 ottobre: «Disegniamo prospettive piazza Carbonia – sono scontento della planimetria generale impostata da Guidi e Valle»

20 ottobre: «Da Roma mi fanno urgenza per la consegna dei progetti Carbonia. Sono inquieto e tormentato perché non soddisfatto di alcuni particolari».

21 ottobre: «Con Segre, Tannini, Alessi ad Arsia per i preparativi dell’inaugurazione che avrà luogo il 4 novembre. Giornata luminosa».

22 ottobre: «Nel mio ufficio si è fatto un modello della piazza di Carbonia – con ciò posso controllare meglio il rapporto fra i vari edifici. All’ultimo momento trovo una soluzione anche per l’edificio poste bar – incomincio ad essere più tranquillo».

23 ottobre: «Spediamo a Roma disegni per gli edifici della piazza di Carbonia».

27 ottobre: «Esamino il modello della piazza di Carbonia».

Con quest’ultima notazione si conclude il diario del 1937, nel 1938 con una lettera datata 1° agosto lamenta il pagamento della sua parcella. Cala il sipario sul suo impegno per Carbonia.

Siamo ormai prossimi alla data del 18 settembre del 1938 in cui Benito Mussolini a Trieste pronuncia il discorso che annuncia l’emanazione delle leggi razziali; può apparire un paradosso: siamo a tre mesi dall’inaugurazione di Carbonia che avverrà il 18 dicembre del 1938 e proprio a Trieste, dove tutto era incominciato, si chiude il cerchio di questa vicenda con l’immediato allontanamento dei principali protagonisti di questa “avventura” dalla scena pubblica.

Guido Segre fu rapidamente rimosso dalla direzione dell’Azienda Carboni Italiani, Gustavo Pulitzer abbandonerà l’Italia, cogliendo l’occasione rappresentata dall’incarico della progettazione del padiglione “Italian Restaurant Conte di Savoia alla Fiera Internazionale di New York”. Tornerà in Italia 9 anni dopo nel 1947.

Tore Cherchi, nel corso del suo intervento, ha giustamente richiamato l’attenzione sulla data del 27 gennaio dedicata al giorno della memoria in ricordo della Shoah, una delle pagine più buie dell’intera storia dell’umanità. Si tratta di un richiamo attinente al nostro racconto, vorrei ricordare in questa sede uno degli altri nomi dell’architettura del ventennio: Giuseppe Pagano che fu incaricato di redigere il piano urbanistico che prevedeva il raddoppio del comune di Portoscuso; concluse la sua sfortunata esistenza nel campo di sterminio di Mauthausen.

A Carbonia si intravide da subito la sua forte vocazione urbana con tutti gli elementi di modernità che la contraddistinsero, mettendola in qualche modo, in oggettivo contrasto con le parole d’ordine che avevano caratterizzato la propaganda dedicata dal regime fascista delle città di Fondazione, sia dell’Agro Pontino che della stessa Arborea: bonifica e ruralizzazione.

La stessa narrazione di queste vicende, talvolta accompagnata ancor oggi da toni nostalgici, delle quali non intendo sminuire in alcun modo grandezza e valore, spesso ne ignora la complessità e la dialettica che ha generato; c’è, infatti, una fase precisa nella quale emergono pubblicamente elementi di deterioramento nei rapporti tra ingegneri, architetti e committenza pubblica, che talvolta resero necessario l’intervento riparatore dello stesso Mussolini, come nel caso di Sabaudia e della Stazione di Firenze.

La lettura dei diari rivela in modo inequivocabile il ruolo preminente esercitato da Pulitzer non solo nella progettazione del Centro Urbano, degli Alberghi Operai, etc. ma nella redazione stessa del Piano Regolatore della Città, attribuito finora a Valle e Guidi e del quale può essere considerato a pieno titolo uno dei principali autori.

Gustavo Pulitzer Finali, nonostante il suo valore sia stato colpevolmente sottovalutato in sede storica e anche dagli ambienti dell’Accademia, è ricordato per il grande contributo fornito all’architettura navale del nostro paese e sulla scala europea, ebbe committenti di grande caratura nel ramo civile, dall’Armatore Cosulich, al Lloyd Sabaudo, quello Triestino, alla Società Italia, come ne ebbe altrettanti importanti anche dalla Marina Militare Italiana come quello delle Corazzate Vittorio Veneto, Andrea Doria, Roma, per citare le più note.

In questo panorama, siamo nel nefasto ventennio, Pulitzer non prese mai la tessera del PNF (Partito Nazionale Fascista), aggiungo con piacere un richiamo presente del già citato libro di Sanna e Monni a proposito del suo stile: «… da sempre avverso a qualsiasi forma di elogio del fascismo».

Credo che la decisione di ricordarne solennemente la figura, con l’apposizione di una targa commemorativa nella nostra città assunta dall’Amministrazione comunale, riassume con un gesto semplice la gratitudine che noi tutti gli dobbiamo.

Antonangelo Casula