19 November, 2024
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1 Silenzi

Desidero fare una premessa. Quando Velio Spano morì, nel 1964, io lo sostituii nel Consiglio Comunale di Carbonia. Ero la prima dei non eletti, indipendente nella lista del P.C.I. Velio Spano era stato un protagonista di grande rilevanza nella politica internazionale. Aveva avuto un’esperienza politica tunisina e mediterranea, come fuoriuscito nel fascismo. Nel postfascismo di Carbonia aveva diretto positivamente un lungo e difficile conflitto politico e sindacale. Nel 1956 e durante il risveglio dei movimenti di liberazione anticoloniale, era stato responsabile della sezione esteri del P.C.I. Nel 1958 era diventato segretario del movimento italiano e membro della presidenza dell’organizzazione mondiale per la pace. Accadde anche che fosse sostituito nel Consiglio Comunale di Carbonia da una sbiadita e inesperta ragazzina di 24 anni.
Nel 1964 ero una piccolissima briciola politica che si imbatteva nei cascami del fascismo residuale, che in certi ambiti di Carbonia perdurava. Mi pagavo gli studi universitari con supplenze precarie, a nomina dei presidi. In una scuola media, con un preside che si diceva liberale, ero sempre prima in graduatoria, ma non venivo mai chiamata per supplenze, date le mie posizioni di sinistra. Residui di autoritarismo fascista erano ben presenti a Carbonia quando Velio ne scriveva e durarono anche dopo la sua morte.
Era di plateale evidenza la mia inesperienza. Tacqui al momento in cui lo sostituii, per evitare ogni inutile retorica. Nadia lo ha avvicinato a me, offrendomi certe sue dimensioni di vita personale e familiare, e facendomelo sentire vicino e amico. Oggi voglio personalmente onorare Velio Spano dicendo quanto egli ha contribuito a farmi diventare una orgogliosa e ostinata comunista italiana, ancora impegnata per realizzare compiutamente la nostra costituzione, egualitaria e pertanto antifascista.
A Carbonia non eravamo tutti comunisti. Neppure nel 1948, anno di grandi conflitti. Nanni Balestrini, invece, nel 1971 scrisse di Carbonia. Narrò la storia di un minatore da lui intervistato e usò un titolo totalizzante: Carbonia. Eravamo tutti comunisti. Questo testo fu presentato con una versione in inglese nel 2012 all’interno di Documenta, una rassegna artistica internazionale, a cadenza quinquennale, che si tiene a Kassel. Il protagonista fu partigiano, prigioniero dei tedeschi e poi nei lager. A Carbonia lavorò in miniera e del lavoro dice: quello del minatore è un lavoro duro dove la persona s’imbestialisce (p. 36).
L’imbestialirsi appare un esito lavorativo obbligato e al lavoratore assoggettato rimane la violenza.
In breve, il protagonista appare estraneo alla dimensione democratica e profondamente autonomistica suscitata da Velio Spano nelle lotte operaie del bacino carbonifero. Sono celati differenti esperienze dei minatori i quali, proprio nel vivo di quelle lotte autonomistiche si fecero soggetti autonomi rifiutando gli esodi con super-liquidazione, che il suo protagonista invece accettò. In breve, l’autore e l’opera non hanno dato a Carbonia né verità né lustro, in tale prestigiosa occasione.
Vorrei partire da una personalissima dimensione di Velio nei giorni finali della “non collaborazione” dei 72 giorni che durò dal 7 ottobre al 17 dicembre 194: quella dei suoi silenzi.
Nella sua autobiografia pubblicata nel 2005, Mabrùk. Ricordi di una inguaribile ottimista (che può essere tradotto benedetto o benedetta secondo il termine di indirizzo, oppure congratulazioni secondo il contesto o l’occasione), a pagina 323 Nadia parla del «preoccupato silenzio» quando Velio e Pietro Cocco stavano insieme mentre la vertenza non si chiudeva. Nadia me li ha raccontati come “terribili silenzi”. Nel dialogo spontaneo diceva qualcosa di assai più toccante.
I “terribili silenzi di Velio”, dopo la sconfitta delle sinistre del 18 aprile e l’attentato a Togliatti del 14 luglio di quel 1948 con le sue rischiose conseguenze, probabilmente dicevano di rischi politici che erano anche rischi vitali per il futuro di migliaia di persone, rischi che si addensavano oscurando infine quella lunga e drammatica vertenza che riguardava particolari rischi patiti. Vi invito a riflettere con me sul ruolo di Velio e di Nadia sia sul patire comune e sia sulle strategie di solidarietà democratica realizzate nei conflitti sociali e politici presenti a Carbonia localmente, ma di scala assai più ampia.

2 Oltre i silenzi. Nei discorsi “carboniesi” di Velio la cruciale matrice gramsciana

Possiamo trarre certi elementi che nutrivano quei silenzi, in una certa misura, specialmente dai “discorsi carboniesi” di Velio, in cui appare evidente una matrice gramsciana. Un esempio si trova nel libro edito da Antonello Mattone nel 1978, con titolo assai eloquente Per l’unità del Popola sardo, quando Velio afferma:
La parola centrale dell’azione di Gramsci diventa la parola UNITA’…(egli) costruiva per l’avvenire…Egli proiettava la sua opera al di là della morte. Possiamo pertanto, a mio avviso, accostare Spano a Gramsci precisamente su due versanti messi in opera da entrambi: il primo versante riguarda l’obiettivo di perseguire l’unità popolare, il secondo l’orizzonte dell’operare per l’avvenire.
Propongo questo accostamento di fondo, come un modo utile per portare con noi sia Antonio Gramsci e sia Velio Spano oltre la memoria, proiettandoli insieme nel presente della nostra contemporaneità.

3 Con Velio per lavoro e vita e per vita e lavoro. Solidarietà umana e politica nella “non collaborazione”

Carbonia e il bacino carbonifero ebbero un ruolo assai rilevante nelle vicende del secondo dopoguerra e nel corso dei processi di concentrazione monopolistica e finanziaria delle imprese. Tali processi erano ben noti a Velio che mostra di conoscere, per esempio, il lavoro di Pietro Grifone, edito nel 1945 con il titolo Il capitale finanziario in Italia. Tuttavia, nei suoi discorsi egli metteva particolarmente in luce non solo il versante dei processi di concentrazione capitalistica, ma specialmente il versante degli effetti di tali politiche monopolistiche sulla vita quotidiana della popolazione. Inoltre, egli poneva in evidenza la prosecuzione della corruzione e della repressione, imperanti come forme continuative del fascismo. Infine, portava in vista la continuità storica della miseria e della fame che continuava a colpire persone e popolazioni locali nell’Isola. Egli affermava in modo assai radicale, come appare a pagina 60 nel testo di riferimento:
Si tratta, per la Sardegna, di una questione di vita o di morte.
A pagina 71 dello stesso libro si leggono frasi che purtroppo evocano una certa attualità sarda e nazionale, sui salari insufficienti per vivere: I sardi lavorano. Ma i sardi hanno fame.
Nell’Isola, durante il dopoguerra di fame e la politica repressiva del governo Scelba, le potenziali ricchezze del carbone sulcitano, che era servito «in vista della guerra e poi per la guerra», offrivano nuove opportunità per assumere caratteristiche inedite e valide in tempo di pace. Il carbone sulcitano, infatti, poteva valere in modo storicamente innovativo diventando materiale per nuovi usi chimici, rispetto ai suoi storici usi combustibili: poteva essere valorizzata proprio la presenza di azoto, penalizzante invece nella combustione.
Gli aspetti tecnici ed economici erano stati ben studiati e avevano ottimamente preso corpo soprattutto nel secondo Progetto Levi, incentrato sull’uso chimico-industriale del carbone e volto a superare il disordine aziendale imperante. Spano ne riferì assai puntualmente nella rivista «Rinascita», pubblicata nel dicembre del 1948. Il piano dell’ingegner Levi, presidente dell’Azienda Carbonifera, era avversato dal monopolio chimico della Montecatini che aveva vari alleati fra i dirigenti delle miniere carbonifere sarde, come il fedelissimo direttore generale della stessa Azienda Carbonifera, l’ingegner Spinoglio, che preferiva assecondare «l’imbelle politica» dei finanziamenti a fondo perduto, a scapito dei progetti di rilancio produttivo.
Richiamo fatti ben noti, per sottolineare che Spano, nelle vicende della “non collaborazione” dei minatori, metteva in luce certe connessioni fra vari aspetti convergenti nella crisi produttiva aperta.
In prima istanza egli faceva emergere l’intrigo del monopolio chimico, che incombeva sul bacino carbonifero, agevolato da certi vertici della stessa Azienda Carboni Italiani. Inoltre, mostrava come la direzione aziendale non collaborava con i lavoratori per lo sviluppo industriale carbonifero e contribuiva invece ad affossare le prospettive positive. Il primo indirizzo critico riguardava le complessive inadeguatezze e debolezze, fino ai reali sabotaggi, di certi dirigenti aziendali. Dall’altro lato Velio rimarcava le scelte antisociali che l’azienda preferiva per realizzare economie, adottando misure che incidevano sui livelli di vita delle persone che vi lavoravano e delle loro famiglie.
Presentando dettagliatamente i conti della spesa, Velio provava che i provvedimenti aziendali rendevano precarie le condizioni di vita per quanti non accettavano le super-liquidazioni e le smobilitazioni con un premio di 30.000 lire.
Consideriamo con Velio, e anche un po’ con la pertinente antropologia dei poteri del filosofo Michel Foucault, i salari di quel tempo in rapporto agli aumenti del costo della vita imposti dall’Azienda come insufficienti per vivere. Un alloggetto che era costato 63 lire al mese costava poco più del doppio, 132 lire. Un posto-letto per scapolo costava ogni giorno quel che prima costava ogni mese. I sei quintali di carbone concessi erano stati ridotti a quattro. Il prezzo del carbone era stato aumentato da 12 a 300 lire, quello della corrente elettrica da una lira e mezzo a dodici lire. Tali aumenti costituivano una brusca e forte riduzione del salario per una media di 1500-2000 lire mensili, con vari rischi di sopravvivenza a seconda del numero e dei bisogni dei familiari. Si era nel campo dei poteri di vita, drasticamente ridotti ai lavoratori e alle loro famiglie.
Per chi restava al lavoro le misure imposte dall’Azienda riguardavano in particolare nuovi criteri di applicazione dei cottimi. Inasprire i cottimi significava accelerare il lavoro a scapito dei tempi da dedicare all’attenzione lavorativa e pertanto alla prevenzione dei rischi vitali. Per quanto riguarda i cottimi, la direzione aziendale che era riuscita a modificarne l’applicazione a proprio vantaggio con vari colpi di mano: sia eludendo la vigilanza delle Commissioni interne e sia con la complicità di un Comitato di Gestione addomesticato con la corruzione di qualcuno e con l’ingenuità di qualche altro, oppure evitando di convocare i membri effettivi e facendo invece partecipare i supplenti più docili. Niente era stato fatto, invece, per migliorare le condizioni di lavoro, per rinnovare le attrezzature, per eliminare gli sprechi, per eliminare il disordine amministrativo, per ovviare agli errori tecnici, per utilizzare i residui sterili.
Queste erano le informazioni che Velio Spano diffondeva sulle difficoltà di poter vivere e del poter lavorare in sicurezza nell’Azienda. I poteri di vita dei minatori erano limitati per un verso con l’aumento dei costi di beni primari per vivere (affitti, luce, riscaldamento) per l’altro verso con i cottimi che, accelerando il lavoro, indebolivano l’attenzione verso i rischi lavorativi.
I vari cottimi minerari, denominati o meno Bedaux, avevano un’ascendenza mondiale che faceva capo alla cosiddetta Organizzazione Scientifica del Lavoro, al Taylorismo e al fordismo americano. Richiamo solo le note di Gramsci su Americanismo e fordismo. I principi di accelerazione del lavoro con un modello unico imposto di lavoro accelerato, riguardavano un cambiamento epocale mondiale. In miniera, a giudizio dei minatori carboniferi più accorti, significava instaurare pratiche da “bestia lavorante” che non pensava autonomamente al valore della vita condivisa.
I migliori minatori, i “maestri” nelle miniere carbonifere avevano invece creato pratiche autonome di attenzione ai rischi, sempre più condivise e validate. Le pratiche diffuse da tali minatori erano alternative rispetto ai bestiali e rischiosi cottimi accelerati e costituivano un alternativo modello culturale di lavoro ragionato, produttivo di spazio e di tempo vitali, insieme al minerale. L’impegno di Velio contro i cottimi stabiliva una particolare solidarietà culturale e politica con le pratiche e i modelli lavorativi vitali che si diffondevano fra i lavoratori di miniera.
La “non collaborazione” dei minatori affrontava anche il nodo dei poteri di vita nella parte che contrastava i rischiosi cottimi. Nel 1948 erano morti in miniera 9 operai. L’ultimo perì durante la vertenza, il 5 ottobre. I funerali dei morti in miniera esprimevano e costituivano una solidale comunità di dolore condiviso. Erano performativi. Producevano speciali solidarietà.
La vertenza in atto riguardava complessivamente i biopoteri alimentari e lavorativi. Nel verbale di accordo che concludeva la lunga vertenza, il punto 5 riguardava interventi negli spacci aziendali con funzioni calmieratrici per l’acquisto di generi alimentari, il punto 6 stabiliva la revisione concordata dei cottimi.


Sia sul versante dei costi per i beni primari di vita e sia per i cottimi, si giunse per certi versi con Velio Spano in un campo, assai avanzato, di lotta per i diritti umani alla vita la cui Dichiarazione avvenne il 10 dicembre del 1948, mentre la lunga agitazione pareva estendere fino a lì la portata del proprio campo conflittuale. D’altra parte, quando l’azienda licenziava, restare senza lavoro costituiva un differente rischio di salute e di vita limitata in altri modi.

4 Fra i silenzi di Velio e i discorsi di Nadia: solidarietà di genere e solidarietà fra i generi

Nei licenziamenti erano comprese le donne, come Spano denunciava e come compare a pagina 103 del prezioso libro di Mattone: Hanno continuato operando licenziamenti a danno, non degli elementi superflui, ma degli elementi e delle categorie più deboli, p. es. le donne.
Le donne sono a questo punto nominate per la prima volta e appaiono in questi scritti quasi come un non detto. Possiamo vedere tali silenzi negli scritti di Velio, storicizzandoli adeguatamente come limiti politici. Possiamo considerarli per certi versi come complementari al sorgere di autonomi movimenti progressisti di donne, come per esempio l’Unione Donne Italiane, a cui non era estranea Nadia Gallico Spano, compagna e moglie di Velio. Tuttavia, la stessa Nadia ci aiuta forse a capire meglio tali questioni quando, scrivendo Mabrùk, a pagina 310 afferma:
Per noi, donne comuniste, l’attività quotidiana era estremamente difficile anche perché, come ho già detto, nel Partito molti attribuivano al voto delle donne la grave sconfitta elettorale dell’aprile 1948. Per anni ci siamo sentite accusare di aver favorito la vittoria della Democrazia cristiana. A parole i compagni riconoscevano l’importanza di un’azione tra le donne, ma questa veniva affidata esclusivamente a noi; se i risultati non erano evidenti e ottenuti in tempi brevi, venivamo tacciate d’incapacità.
Vorrei condividere un breve colloquio, donatomi da Nadia il 30 giugno del 1972, in cui risalta l’impegno democratico delle donne di Carbonia contro la fame e contro la grave povertà infantile: problema non estraneo alla nostra contemporaneità
Mi ricordo dei bambini. Dunque dovettero essere trasferiti in continente nel gennaio del Cinquanta. Mi pare, dopo lo sciopero dei 72 giorni. Fu frutto, naturalmente dell’organizzazione. Il trasferimento avveniva tramite l’UDI (Unione Donne Italiane), il sindacato e il partito locale, ma anche dei paesi ospitanti….
Quando c’erano lotte, sul piano sindacale di particolare importanza, allora risorgeva l’iniziativa. Ora se vogliamo è specifico di Carbonia e nello stesso tempo non lo è. Faccio un esempio: quando le donne di Carbonia si ponevano tra i minatori e la polizia non è che lo facessero perché in Emilia si è fatto così, ogni volta si ricrea la tradizione e si rinnova in forme specifiche. Comunque, dobbiamo dire che la polizia non le risparmiava, perché la polizia in quel periodo si scagliava indistintamente su donne, bambini, senza risparmiare nessuno
Nell’ordine del suo discorso, Nadia sembrava accostare o intrecciare due ordini di rischi: sia i rischi della fragilità dell’infanzia povera per la crisi alimentare, nella drammatica condizione delle famiglie operaie durante la cruciale vertenza con l’Azienda, e sia i rischi della repressione poliziesca durante le manifestazioni democratiche. Su entrambi i rischi affrontati delle donne carboniesi vorrei richiamare una particolare attenzione.
Le esperienze di ospitalità dei bambini carboniesi “in continente”, in realtà, erano un’espansione di precedenti e più limitate esperienze locali, come appare dallo spoglio del quotidiano comunista. Il 10 settembre 70 bambini erano partiti da Carbonia, ospitati da famiglie contadine per la “vendemmia della solidarietà” dedicata ai bambini vittime della politica scelbiana. Il 14 settembre erano diventati 85. L’Unità del 18 settembre denunciava che con 20.600 lire di salario non era possibile andare avanti. Il 23 di quel mese i bambini di Carbonia, ospitati dalle famiglie contadine della provincia, attraverso il quotidiano comunista, mandavano saluti ai parenti lontani con una foto.

Poco più di due mesi dopo, 19 novembre, mentre si dispiegava l’offensiva aziendale con il dimezzamento delle paghe, 105 bambini di Carbonia erano scelti per essere ospitati “in continente”. La decisione fu presa nel Convegno nazionale dell’UDI, svoltosi a Firenze. Nadia Spano aveva sollecitato nuove solidarietà per le lotte di Carbonia.

Ospitalità e aiuti economici furono decisi allora, insieme a beni alimentari e igienico-alimentari.

Solidarietà democratiche inizialmente a scala regionale si estesero, per opera delle donne, a livello nazionale con i bimbi di Carbonia. Quasi una settimana prima, il 13 novembre, uno sciopero di 24 ore era stato realizzato in tutte le miniere d’Italia in solidarietà con i lavoratori e la popolazione di Carbonia.
La solidarietà di donne a Carbonia e verso Carbonia risultò forte ed estesa, ma non fu l’unica dimensione dei loro modi d’agire democratici. L’agire solidaristico delle donne non deve occultarne l’intersezione con i comportamenti di fronteggiamento, di contrasto, di opposizione realizzati in proprio e per sé dalle donne stesse contro la repressione poliziesca messa in campo dal Commissario di P.S., ex repubblichino Antonio Pirrone, giunto in città il 19 giugno 1948 che non risparmiava donne e bambini.
Per spiegarmi sulla portata degli scontri delle donne con le forze dell’ordine, anticipo un fine antropologo inglese ancora vivente, Tim Ingold. Egli ci aiuta a vedere che tali donne, mentre operavano nella sottomissione difendendosene in prima persona, agivano attivamente anche su altri piani: sia sulla sottomissione stessa per indebolirla e sia su di sé per affermarsi come soggetti di autonomia e di libertà.
Egli giunge ad affermare acutamente che «il fare nel subire è opposto al subire nel fare». L’attiva padronanza su di sé nelle e contro sottomissioni sprigiona, secondo Ingold, certe capacità di autogenerarsi come persone libere. Il fare per trasformare le sottomissioni è perfino particolare cura di sé, secondo questo antropologo: crea infatti autonomamente un proprio sé di valore, valorizzato nel proprio agire.

Quando Nadia afferma che le donne avevano affinato le proprie capacità democratiche nel concreto agire solidale che non si limitava alla denuncia della fame, possiamo trovarvi il senso delle analisi fatte da Foucault sugli affrontamenti anti-autoritari che realizzano l’emergere di soggettivazioni autonome.
Possiamo rilevarvi anche certe prossimità con le analisi di Ingold che analizza l’agire contrastivo nelle e sulle sottomissioni: un agire specifico che produce d’umanità e che fa umanità contenendo le oppressioni e gli oppressori violenti.
Le donne di Carbonia realizzavano non solo solidarietà democratiche con i lavoratori in lotta, ma anche autonome strategie, in un processo autonomo di sviluppo democratico personale e collettivo. A partire da certe reazioni spontanee dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio nel 1948, esse erano diventate protagoniste non solo nelle dimostrazioni di piazza e nei cortei con repressioni violente, ma anche imputate nei tribunali, recluse nelle carceri, elette nelle istituzioni locali come rappresentanti del popolo. In gran parte ciò era avvenuto attraverso le loro esperienze in contrasto con Pirrone.
Ai fatti di Carbonia del 22 luglio che seguirono l’attentato parteciparono due donne, con l’assalto ai magazzini di Multineddu: Scanu Giulia e Masala Lucia. Non fu un atto di semplice vandalismo. Sarebbe riduttivo. Possiamo anche intravvedervi una logica di proprio contrasto rabbioso contro la stessa Azienda Carbonifera. Egli, infatti, vendeva a prezzi non concorrenziali e maggiorati avvalendosi dei cosiddetti boni fidus, moneta cartacea privilegiata e garantita dall’Azienda che aveva come antecedenti i noti ghignoni diffusi nelle zone minerarie inglesi e usati agli inizi del secolo a Bacu Abis, come ho ricordato lì. Alla rabbiosa devastazione delle Acli, vista come organizzazione fiancheggiatrice della politica aziendale, parteciparono sei donne. Con la sentenza del 24 dicembre del 1949, dopo quasi un anno e mezzo di carcere, due furono assolte: Farris Antonietta e Osanna Genoveffa. Quattro furono invece condannate a 2 anni e 6 mesi di reclusione: Caddeo Eleonora, Pazzaglia Teresa, Pusceddu Cicita, Ledda Luciana. Quest’ultima aveva partorito in carcere.
Per i fatti di Bacu Abis dello stesso luglio dall’Arma dei Carabinieri furono denunciate 8 donne. Furono in seguito rinviate a giudizio 11 donne e furono condannate in 13, sia pure con pene lievi, per aver invaso la sede del partito sardista con violenze e minacce: Aracri Rosa, Bonavento Vitalia, Cadeddu Assunta, Dessì Rosa, Diana Angela, Farris Carmela, Locci Angela, Pinna Francesca, Putzu Barbara, Putzu Petronilla, Sanna Beatrice, Scanu Maria Rosa, Valdés Gisella. Fu una prima fase di spontaneismo, come in altre parti d’Italia.
Nadia parlava esplicitamente di lotte delle donne di Carbonia per il lavoro e per la vita nel libro collettaneo Cari bambini vi aspettiamo con gioia nelle pagine 126-129. Nel suo libro autobiografico, a pagina 325, Nadia Gallico Spano diceva ancora di quelle lotte cittadine definendole per il diritto alla vita e al lavoro. Il diritto alla vita risultava allora in primo piano. pagina 310, Nadia ricordava con orgoglio la combattività delle donne di Carbonia, meglio organizzata sul piano democratico. In particolare, nominava Graziella Marongiu, che divenne moglie di Licio Atzeni poi segretario della Federazione del Sulcis. Ricordava anche Peppina Salaris che divenne consigliera comunale e molti di noi chiamavano Peppina Nieddu.
In quelle popolari lotte cittadine le donne facevano la loro parte importante contro i poteri che limitavano o mettevano a rischio la vita delle persone, affrontando con inedito coraggio le violenze poliziesche quando partecipavano alle manifestazioni per diritti umani vitali. Velio lo sapeva bene.
Le donne di Carbonia in quegli anni seppero andare in prima fila nei cortei fronteggiando le cariche delle forze dell’ordine, ma impararono anche a nascondersi nei cespugli, quando era possibile, per sottrarsi alle violenze delle cariche poliziesche ordinate per sciogliere i comizi dal commissario di P.S. Antonio Pirrone, ex repubblichino, condannato e riabilitato in un clima fin troppo indulgente del post fascismo. Su di lui a Carbonia ho appreso informazioni importanti dal prezioso testo inedito di Alberto Vacca, La repressione del commissario Pirrone contro i comunisti nella città di Carbonia (1948-1949). Egli sciolse così il comizio di Velio il primo settembre del 1948, quello di Nadia il 28 agosto del 1949, quello di Dessanay il 16 ottobre dello stesso anno provocando proteste parlamentari a livello nazionale e regionale. Giunto a Carbonia il 19 luglio del 1948, fu trasferito dalla città il 31 agosto 1949. Fu un tempo assai breve ma, nel ricordo delle molte persone con cui ho parlato, quel tempo era straordinariamente lungo per le violente limitazioni alla libertà subite. Nadia parla delle manganellate da lui ordinate senza risparmiare donne e bambini nella sua autobiografia, a pagina 322. Velio lo sapeva bene.


Dei racconti avuti in città sulla fame rischiosa patita e sulla solidarietà politica incentrata su Velio posso offrire ora solo pochissimi frammenti: mia madre era sempre malata, a capogiro, e il medico diceva sempre che era denutrizione. Erano anni di fame e malattie. in via M ci sono tante famiglie; ci conosciamo dalla A alla Z: una vita uguale alla nostra…La miseria dava una coscienza… Una volta mia zia mi ha portato a uno sciopero, a Bacu Abis… era un corteo soprattutto di donne…Nei periodi di fame non si trovavano neppure erbe selvatiche, era tutto cercato… Eravamo in questo i più attivi della strada, specialmente mia sorella
la figura di Velio Spano come dirigente era popolare perché si spingeva nella lotta ed era sempre fra gli operai… Qui non c’è l’affetto come in paese, ma c’è l’unità politica… L’arresto mio, per esempio, comportava anche il licenziamento. Ma molti, come per i 72 giorni, sono riusciti a ottenere che fossero riassunti. E questa fu una vittoria. Non si sarebbe potuto fare, se gli operai non fossero stati convinti di avere ottenuto un successo.
Le donne democratiche di Carbonia andavano avanti con Velio e con Nadia Spano realizzando un’autonomia che partiva da sé stesse e incrociava gli operai nelle intersezioni delle esperienze subite. Si agiva insieme per indebolire chi limitava o negava sia una vita sicura e sia le libere manifestazioni di dissenso al malgoverno aziendale con proposte alternative. Tali donne creavano nuove solidarietà di genere e nuove solidarietà fra i generi per il proprio avvenire e per quello della città, del territorio locale e regionale e anche oltre, con l’obiettivo di creare una sicurezza vitale che toccava la pace diffusa.
L’asse politico generativo della solidarietà fra i generi riguardava gli innovativi usi pacifici del carbone, allora chimici, incentrati nel Progetto Levi. Gi usi innovativi del carbone come materiale non combustibile e delle stesse miniere è un tema assai attuale e ha nuove declinazioni: dal progetto Aria a una serie di nuovi progetti che vengono elaborati, per esempio, a Nuraxi Figus. Tali progetti non risultano al centro di un dibattito pubblico ampio e diffuso per scelte popolarmente condivise. Non appaiono come punti forti di orientamenti istituzionali per il futuro del territorio carboniese, sulcitano e regionale. Manca la riconoscibile visibilità dei partiti della sinistra, impegnati per innovare il piano produttivo, il piano istituzionale, il piano della rappresentanza degli interessi popolari, che risultano lasciati alla deriva populista. Vari sindaci appaiono soli e costretti a microfisiche mediazioni politiche, in assenza dei partiti. C’è molto da fare dopo le macerie delle rottamazioni e nell’avanzare delle tracotanze autoritarie.
Velio e Nadia sono qui con noi ora. E saranno entrambi presenti, ne sono profondamente convinta, in tutti i nostri impegni di pace con una nuova unità democratica per un futuro vitale condiviso: impegni in cui sappiamo trarre forza e orgoglio dalle storiche esperienze fatte con entrambi, per rigenerare e irrobustire noi stessi e le sinistre, insieme alla città e al territorio, portando a pieno compimento la Costituzione Italiana.

Paola Atzeni

Giovedì 10 ottobre, nella sala riunioni della Sezione di storia locale, nella Grande miniera di Serbariu, a Carbonia, si terrà un incontro dibattito per ricordare Velio Spano, a 60 anni dalla sua scomparsa.

La figura di Velio Spano e le vicende storiche della città di Carbonia, sono strettamente connesse. Velio Spano, proveniente da un impegno politico ultra ventennale, che lo ha visto già nei primi anni venti, iniziare la sua militanza politica, a contatto col gruppo dirigente del Partito Comunista d’Italia (Gramsci, Terracini, Togliatti, ecc…), il carcere e le condanne del Tribunale Speciale Fascista. Il suo impegno prosegue nell’emigrazione politica in Francia, nella guerra civile in Spagna, nella Tunisia del governo fantoccio di Vichy e poi dell’occupante nazi/fascista. Con l’armistizio dell’8 settembre e l’occupazione alleata dell’Italia meridionale, il rientro in Italia, a Napoli appena liberata, e qui il dispiegarsi dell’impegno per la liberazione e la ricostruzione del paese in rovina e del consolidamento della democrazia. L’arrivo in Sardegna e a Carbonia in un quadro così difficile mettono a dura prova la sua tempra di dirigente politico. La fine dei governi di unità nazionale, porta all’inasprimento dei rapporti tra le forze politiche, e arrivano le prime grandi difficoltà per la realtà mineraria carbonifera. I 72 giorni di lotta sono uno scontro sindacale ma anche politico, nel quale si gioca la stessa sopravvivenza della città. La repressione è terribile, e, in quella temperie, Velio Spano, viene incaricato di assumere la carica di Segretario della Camera del Lavoro di Carbonia. Il 17 dicembre 1948, viene siglato l’accordo di chiusura della vertenza. Aldilà del contenuto dell’accordo, è indubbio il fatto che quella battaglia, viene vissuta come una grande vittoria, dai lavoratori, e da tutta la città e la Sardegna. Pensiamo che in quelle difficili vicende si sia cementato e temprato il sentimento di cittadinanza di tante persone provenienti da tutta Italia. Velio Spano prosegue la sua battaglia politica, sempre attento alle problematiche di Carbonia e della Sardegna fino alla sua morte.

Giovedì 10 ottobre verrà rievocata la sua figura e la grande battaglia della città di Carbonia, con una serata di dibattito e la mostra grafica che durerà sino al 18 dicembre.

Durante la serata e fino al 18 dicembre, anniversario dell’inaugurazione della città di Carbonia, sarà esposta una mostra documentale di giornali e immagini che illustrano momenti salienti della vicenda politico/sindacale della battaglia dei 72 giorni e del ruolo di Velio Spano in essa.

Il 7 ottobre del 1964, sessant’anni fa, moriva a Roma Velio Spano. Era nato a Teulada il 15 gennaio del 1905 e dopo aver trascorso la gioventù al seguito della sua famiglia a Guspini, dove suo padre era segretario comunale, aderisce ancora studente al Partito Comunista d’Italia.
La svolta decisiva della sua vita, raccontata nel saggio “Gramsci Sardo”, pubblicato nel 1937 in occasione della morte di Antonio Gramsci, avviene quando si reca a Roma per gli studi universitari, ed è in quel tempo che conosce e inizia la frequentazione di Antonio Gramsci. Durante la permanenza romana condivide con Altiero Spinelli la direzione del gruppo comunista universitario, successivamente entra in clandestinità a causa della messa al bando dei partiti ad opera del regime fascista, svolgendo la sua militanza politica al nord prevalentemente a Torino.
Sottoposto ad una stretta sorveglianza dell’Ovra nel 1928 viene arrestato e condannato dal Tribunale Speciale fascista, viene scarcerato nel 1932 a seguito dell’amnistia concessa in occasione del decennale dalla “Marcia su Roma”. Da qui inizia una lunga vicenda umana e politica che lo vedrà impegnato su diversi fronti: protagonista della lotta antifascista in Italia e, su incarico del partito, all’estero prima in Francia, successivamente in Spagna con le Brigate Internazionali guidate da Luigi Longo contro le milizie fasciste di Francisco Franco e successivamente in Tunisia contro il regime del maresciallo Petain.
L’esperienza africana è indubbiamente quella più rilevante, nel 1935 lo troviamo impegnato in Egitto a svolgere attività contro la guerra coloniale in Etiopia, tra le truppe italiane di passaggio a Suez, nel 1937 in Spagna, nel 1938 viene inviato dal partito in Tunisia dove svolgerà nel corso degli anni un ‘azione di resistenza contro i nazifascisti a fianco di eminenti figure politiche: Giorgio Amendola, Maurizio Valenzi (che diverrà negli anni ‘70 sindaco di Napoli), Loris, Ruggero, Diana e Nadia Gallico, Marco Vais, i fratelli Bensasson, per citarne alcuni tra i più noti. E’ in questo frangente che sposerà Nadia Gallico che diverrà la sua compagna di lotte e di vita.

Nell’esperienza tunisina esercita in clandestinità l’attività di giornalista e sotto lo pseudonimo di Antiogheddu pubblica diversi articoli rivolti anche alle vicende sarde con un’attenzione particolare alla neonata Carbonia e ai minatori del bacino minerario.
Il Governo di Vichy alleato dei nazifascisti, lo condannerà a morte per due volte in contumacia. A questo proposito vorrei ricordare un curioso aneddoto relativo all’ incontro con il Generale De Gaulle capo della resistenza francese, il Generale francese si presentò al suo interlocutore, con la seguente frase: «Piacere Charles De Gaulle una condanna a morte”, ottenendo in risposta “Velio Spano, due condanne a morte».
Ritornato in Italia dopo l’armistizio, esercita nel Sud Italia, appena liberato, una funzione politica rilevante, partecipa nel gennaio del 1944 al Congresso di Bari all’incontro dei Comitati di Liberazione Nazionale, in rappresenta della delegazione del PCI, insieme ad Eugenio Reale e Marcello Marroni.
Dopo la proclamazione della Repubblica sarà eletto nell’Assemblea Costituente che darà vita alla Costituzione Repubblicana nel 1948, della stessa farà parte sua moglie Nadia Gallico Spano. Una piccola parentesi su Nadia (nella foto) che ho avuto l’onore di conoscere da giovane militante comunista, in occasione delle sue frequenti visite a Carbonia, di lei vorrei sottolineare oltre all’attività di direzione politica esercitata in Sardegna, l’importante funzione politica e sociale nel partito sulla scala nazionale, tra le masse popolari, nelle borgate romane e un’importante attività di organizzazione di salvataggio da fame e miseria di bambini meridionali e sardi pregevolmente testimoniata nel libro: “Cari bambini vi aspettiamo con gioia” e successivamente nella sua autobiografia “ Mabruk”.

Velio Spano fu il primo comunista italiano a recarsi in Cina nel 1949 dove si trattenne per diversi mesi e fu autore per il quotidiano del Partito l’Unità di diversi reportage sulla Rivoluzione Cinese e la conclusione vittoriosa della “Lunga Marcia di Mao Tse Tung”. Nel corso di questa esperienza ebbe modo di entrare in relazione oltre a Mao, con alcuni dei principali dirigenti che segneranno la storia cinese sino alla fine del novecento, Ciu en Lai e Deng Xiao Ping.
Una biografia, la sua, troppo ricca ed impegnativa da raccontare in questo breve spazio per cui mi permetto
di suggerire a chi intendesse approfondirne l’opera ed il pensiero, la lettura di due testi pubblicati dall’editore della Torre nel 1978, a cura dello storico sassarese Antonello Mattone: “Vita di un rivoluzionario di professione” e “Per l’unità del popolo sardo”, ai quali si aggiunge una pubblicazione monografica di Rinascita Sarda del 1994 a trent’anni dalla sua morte, a cura di Giorgio Caredda e Giuseppe Podda, oltre ovviamente ai discorsi parlamentari e alla corposa pubblicazione di articoli sull’Unità, Rinascita, libri e giornali.
L’associazione “Amici della Miniera” in collaborazione in collaborazione con “CSC Umanitaria Fabbrica del Cinema”, il “Circolo Soci Euralcoop”, la “Sezione di Storia Locale di Carbonia”, con le istituzioni locali e con la rete di associazioni che opera nella città, ha deciso di ricordarlo con un convegno nel quale si evidenzia la sua vicenda politica anche attraverso l’ausilio di una mostra di fotografie, giornali e documenti storici suddivisa in diverse sezioni distinte che mettono in evidenza la sua vita attraverso le immagini fotografiche, l’impegno politico dai resoconti dei giornali, il viaggio in Cina nel 1949, Carbonia e lo sciopero dei 72 giorni del quale fu insieme ai minatori, uno dei principali protagonisti, la morte nel 1964 per finire con la sua produzione letteraria.
Velio Spano verrà eletto il 18 aprile del 1948 senatore della Repubblica nel collegio minerario, ma ciò che legherà indissolubilmente la sua figura alla città di Carbonia sarà determinato da un altro avvenimento storico, l’attentato al segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti (nella foto in un comizio tenuto in piazza Roma, a Carbonia), il 14 luglio del 1948.


A seguito di questo efferato episodio, in tutta Italia si verificarono tumulti, moti di piazza e scontri con le forze dell’ordine, tanto da temere una “ guerra civile” e solo l’invito alla calma da parte di Palmiro Togliatti dal letto dell’ospedale fu decisivo per la loro cessazione; in questo stato di cose Carbonia non costituì un eccezione e bisogna ricordare – tenuto conto doverosamente del contesto in cui si svolsero – che, purtroppo, avvennero anche fatti di degenerazione esecrabili, mi riferisco in particolare alla vicenda dell’aggressione di Fiorito a Bacu Abis nonché a episodi di disordini scoppiati in città.
Tale insieme di circostanze innescò il pretesto per un’azione repressiva della Polizia guidata dal commissario Antonio Pirrone – un passato da fascista e Repubblichino – che culminò con la decapitazione del gruppo dirigente amministrativo, politico e sindacale della città di Carbonia.
Furono spiccati, infatti, mandati di cattura per Renato Mistroni (nella foto in occasione del 50° della città di Carbonia) primo sindaco della città, per Antonio Selliti segretario della Camera del lavoro, che riuscirono ad espatriare in Cecoslovacchia e per Silvio Lecca rappresentante del Partito Sardo d’Azione.

Sono questi anni che verranno ricordati in tutto il paese per l’azione di repressione del movimento operaio e sindacale da parte della Polizia del ministro degli Interni guidata da Mario Scelba.
E’ in questa temperie che Velio Spano che nella sua qualità di senatore della Repubblica godeva dello status dell’immunità parlamentare, viene chiamato a ricoprire l’incarico di segretario della Camera del lavoro e del movimento dei minatori di Carbonia.
Le cronache dei giornali dell’epoca sono utili a ricostruire il clima poliziesco nel quale si operava, già a settembre del 1948 il predetto commissario Antonio Pirrone disperdeva con l’uso della forza pubblica un comizio di Velio Spano e tratteneva arbitrariamente lo stesso, in uno stato di fermo per diverse ore, prima negli uffici del Comune e successivamente dell’Albergo Centrale, vicenda che si concluse con l’intervento di un ufficiale dei carabinieri pienamente consapevole dell’abuso del commissario Antonio Pirrone.
Analoga vicenda si manifestò in occasione di un comizio nel settembre del 1949, questa volta protagonista Nadia Gallico Spano anch’ella parlamentare, circostanza descritta fedelmente nell’edizione sarda dell’Unità del 2 settembre. Ne conseguì anche in questo caso una denuncia alla magistratura per abuso e violazione dei compiti di istituto disciplinati dalla legge e a fine anno del 1949 il commissario Antonio Pirrone concluse la sua esperienza in città e venne opportunamente trasferito da Carbonia a Messina.
Negli anni del primo dopoguerra quindi, Velio Spano con l’elezione a segretario regionale assume in Sardegna un ruolo fondamentale nella direzione del Partito Comunista e nella battaglia per l’Autonomia alla quale imprime una svolta decisiva Palmiro Togliatti nel 1947 con lo storico discorso alle Manifatture Tabacchi alla conferenza dei comunisti sardi. E’ in questo contesto che Velio Spano già affermato dirigente nazionale, diviene insieme a Renzo Laconi (nella foto), il principale interprete nella costruzione del partito nuovo e di una nuova cultura autonomistica in Sardegna.


Mi pare significativo, a questo proposito, richiamare un giudizio esterno relativo a quegli anni, contenuto in un libro a cura di Eugenia Tognotti “Americani comunisti e zanzare”. Nello specifico si tratta di una relazione datata 7 gennaio 1949 (siamo a meno di un mese dalla conclusione dello sciopero dei 72 giorni) commissionata dalla Fondazione Rockfeller che realizzava attraverso l’Erlaas la lotta antimalarica in Sardegna, dalla quale emerge un giudizio su Spano abbastanza lusinghiero considerando che, lo stesso documento con molta probabilità fu redatto da agenti dell’Intelligence USA, del quale riassumo un breve stralcio e del quale segnalo un’imprecisione, Spano non fu mai in Russia in quel periodo: «Ad un certo punto ci fu anche un movimento in favore di un partito comunista sardo separato dal PCI nazionale. Questa situazione venne presto corretta da Velio Spano (alias Paolo Tedeschi) che durante il suo esilio dall’Italia si era impegnato in un’intensa attività politica e di reclutamento nell’Europa Occidentale in Russia e nel Nord Africa. Rapidamente e con grande energia costruì un’organizzazione efficiente, eliminando ogni tendenza alla deviazione o al separatismo. Di conseguenza il PCI in Sardegna è particolarmente sensibile ad ogni accenno di autonomia ed è rigidamente controllato dal quartier generale del partito. Velio Spano che è un sardo del sud di origine medio-borghese, ha una visione molto lucida dello scenario politico sardo: negli anni cruciali del 1945/46 che videro la rapida espansione del comunismo in tutta Italia, il partito in Sardegna ha fatto dei rapidi progressi sotto la sua direzione, specialmente nel Sulcis, dove la politica di infiltrazione in posizioni di prestigio nei sindacati dei minatori, è stata particolarmente efficace».
Potrebbe apparire singolare un’attenzione così interessata da parte americana verso la sinistra e i comunisti, ma dalla lettura di documenti declassificati di recente, provenienti dal National Archives di Washington, provano l’attenzione alle vicende del bacino minerario di Carbonia e Iglesias ebbe inizio fin dal settembre del 1943 dopo l’armistizio e proseguì ininterrottamente nel tempo.
Spano si afferma quindi come una personalità di grande spessore politico ed intellettuale ed è dotato di un carisma riconosciuto nella sua organizzazione politica, tra i minatori, ma lo è altrettanto dai suoi avversari che ne hanno timore e rispetto, c’è tra le altre una vicenda che mi piace ricordare, riguarda il contraddittorio tra Padre Lombardi (noto alle cronache dei tempi come il Microfono di Dio) e Velio Spano.
Il confronto venne ospitato a Cagliari il 4 dicembre del 1948 presso il Cinema di Sant’Eulalia, all’esterno però furono piazzati degli altoparlanti che consentirono a migliaia di persone di assistere alla tenzone con le inevitabili tifoserie. Questa vicenda ebbe una grande risonanza anche nelle cronache del tempo, in Sardegna giunsero inviati di giornali stranieri oltre alle principali testate italiane, ma a noi arriva anche attraverso il racconto letterario: c’è un capitolo del romanzo di Giulio Angioni l’Oro di Fraus che lo celebra e una in poesia in “limba sarda” attraverso una riduzione riassuntiva a cura di Pietro Soru dal titolo evocativo: Roma o Mosca? eseguito secondo la struttura metrica della quartina che, in questo caso, sostituisce quella più tradizionale dell’ottava che, a quei tempi, era una forma di espressione molto praticata nella tradizione orale della poesia sarda.
Questo episodio avviene nel mezzo dello sciopero della non collaborazione dei 72 giorni dei minatori di Carbonia, una lotta importantissima per la sopravvivenza della città, che si concluderà vittoriosamente il 18 dicembre del 1948 a distanza di soli 10 anni dalla sua fondazione.
Per tanti questa data, il 18 dicembre del 1948 è stata concepita come un nuovo inizio, una sorta di rifondazione della città, è un’espressione che ho avuto modo di ascoltare da diversi protagonisti di quella lotta, alcuni dei quali sono stati discepoli di Velio Spano: da Pietro Cocco, Antonio Puggioni, Antonio Saba per citare alcuni dei più noti; Tore Cherchi nel suo libro “Città Industriale e Post Industriale” riassume efficacemente questo concetto: «Due date, il 18 dicembre del 1938 e il 18 dicembre del 1948, fra loro distanti esattamente 10 anni, segnano il primo periodo di storia della città. La prima è l’inaugurazione della città intesa come spazio costruito, l’urbs appunto. La seconda potrebbe essere considerata come conclusiva del progressivo divenire degli immigrati, infine furono cittadini e cittadine per atto di volontà individuale e collettiva, cives non solo per condizione giuridica. Il 18 dicembre del 1948 mostra plasticamente che la civitas è formata.»
Le cronache sui quotidiani del tempo, ricostruiscono con molto realismo la complessità e la drammaticità di quella lotta – compresa la dialettica interna alla CGIL – che mi pare non sia esagerato affermare, assunse una forma epica e così è giunta sino a noi; su tutte ho il piacere di segnalare la prima pagina dell’Unione Sarda del 17 dicembre del 1948 a firma di un giovane cronista di allora Peppino Fiori, che abbiamo poi conosciuto come un affermato giornalista televisivo, scrittore di successo e, infine, senatore della Repubblica eletto come indipendente nella liste del PCI.
La conclusione vittoriosa di quella lotta fu per i cittadini di Carbonia uno spartiacque, anche se le vicende successive degli anni ’50 riproposero nuovi problemi e nuovi dolori, licenziamenti e conseguente emigrazione nel nord Italia e verso le miniere della Francia, Belgio e Germania.
L’impegno istituzionale di Velio Spano in Senato per la Rinascita, il Bacino minerario, rimase costante sino alla data della sua scomparsa, ma occorre dire che l’attenzione per la sorte della città di Carbonia fu un suo continuo cruccio, su questo punto suggerisco in particolare la lettura di un suo discorso al Senato della Repubblica nella seduta del 12 ottobre del 1953, nella quale conclude il suo appassionato intervento con un’esortazione: «Salviamo Carbonia».
Credo che la decisione di ricordarlo a sessant’anni dalla sua scomparsa sia un gesto importante che assume un valore di testimonianza e insieme di gratitudine per il suo impegno politico coerente, per una militanza intesa come servizio e per un’intera vita spesa per affermare i valori di democrazia e di libertà!

Antonangelo Casula

 

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Si è svolto sabato scorso 26 novembre, nel salone della Sezione di Storia Locale di Carbonia della Grande Miniera di Serbariu, il convegno “In ricordo di Antonio Puggioni, dirigente politico e sindacale nelle istituzioni”.

L’evento, organizzato dall’Associazione Amici della Miniera, con il patrocinio del comune di Carbonia, rientra in un programma che prevede il ricordo di alcune figure che hanno avuto ruoli di rilievo nella storia della città, del territorio del Sulcis Iglesiente e dell’intera Sardegna.

I lavori, coordinati dalla prof.ssa Anna Lai, sono stati aperti da Mario Zara, presidente dell’Associazione Amici della Miniera. Il ricordo di Antonio Puggioni è stato affidato prima alla proiezione di un’intervista realizzata nel 1985 dagli studenti della scuola media Zanella e poi agli interventi degli ospiti, il primo dell’ex sindaco Antonangelo Casula che ha ricostruito la lunga esperienza di vita, in particolare quella politica e sindacale, di Antonio Puggioni (alleghiamo il testo integrale).

Don Amilcare Gambella, parroco della chiesa di San Ponziano, si è soffermato sul rapporto di Antonio Puggioni con la chiesa, in particolare con due parroci che hanno segnato la storia della città di Carbonia, Don Vito Sguotti e Don Luigi Tarasco; Giampaolo Cirronis, giornalista e direttore del periodico “La Provincia del Sulcis Iglesiente” ha parlato del suo rapporto con Antonio Puggioni che, negli ultimi due anni e mezzo della sua vita (è scomparso il 24 agosto 1998), ha curato una rubrica del periodico, sulla storia politica e sindacale della città e del territorio, con un occhio di riguardo sul ruolo della chiesa; l’ex sindaco Antonio Saba ha parlato brevemente del suo rapporto di amicizia e di impegno politico con Antonio Puggioni; Salvatore Figus, operatore culturale, si è soffermato sui rapporti dei giovani iscritti al PCI con Antonio Puggioni, uomo di punta del partito fin dagli anni giovanili; e, infine, il senatore Francesco Macis, ha ricostruito l’impegno di Antonio Puggioni nelle istituzioni, in particolare in Consiglio regionale, dove ha lavorato al suo fianco per alcuni anni.

In conclusione, è stato dato spazio al pubblico presente in Aula ed è intervenuto il figlio Antonello (presenti anche le due figlie, Cristina ed Annamaria, mentre la moglie non se l’è sentita di partecipare) che ha ringraziato tutti per l’iniziativa in ricordo della figura del padre.

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L’intervento di Antonangelo Casula

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IN RICORDO DI ANTONIO PUGGIONI –  DIRIGENTE POLITICO SINDACALE E DELLE ISTITUZIONI. Intervento di Antonangelo Casula, Carbonia 26 novembre 2016.

Il presidente dell’Associazione Amici della Miniera, Mario Zara, ha illustrato le modalità relative allo svolgimento della nostra conversazione odierna dedicata al ricordo di Antonio Puggioni.

Il filmato che abbiamo appena visto e le immagini che lo ritraggono nel lungo arco della sua vita privata e  politica, fanno rivivere un emozione particolare, che rende ancora più interessante e piacevole questo incontro.

Il titolo assegnato a questa iniziativa, Antonio Puggioni – dirigente politico, sindacale e delle Istituzioni, richiede un particolare impegno a partire dalla mia introduzione, nella quale vorrei insieme alla ricostruzione del suo profilo pubblico prevalentemente conosciuto, contribuire a portare alla luce aspetti meno noti della sua vicenda politica, personale ed umana.

Antonio Puggioni nasce a Scano Montiferro, nell’attuale provincia  di Oristano, il 14 giugno del 1927 e  si trasferisce all’età di dodici anni, nel 1939 insieme alla famiglia, a Carbonia.

Il 1 aprile del 1942, non ancora quindicenne, viene assunto dalla Società Carbonifera Sarda in qualità di aiuto meccanico.

Nel gennaio1943 si arruola presso la Scuola militare di Pola (in quel periodo l’Istria apparteneva ancora all’Italia) nel Corpo Reale Equipaggi Marittimi come allievo motorista navale.

Il 9 settembre dello stesso anno (il giorno successivo all’annuncio dell’armistizio) viene fatto prigioniero dai tedeschi a Pola e la mattina del giorno successivo il 10 settembre, viene liberato dai partigiani di Tito a Passino presso Trieste, nello stesso anno viene fatto prigioniero nella periferia di Trieste e liberato per una seconda volta da una formazione di partigiani italiani.

A dicembre del ’43, rifugiato a Sant’Orso in provincia di Vicenza, viene arruolato nella Brigata Partigiana- Martiri della Val Leogra – Battaglione Ramina Bedin.

L’esperienza partigiana, per quanto mi risulta è una vicenda della sua vita nota a pochi, dura sino alla conclusione del conflitto e a giugno del 1945 fa ritorno in Sardegna, a Carbonia, dove viene riassunto nella miniera di Nuraxeddu per essere successivamente trasferito nel 1946 nell’officina meccanica della miniera di Serbariu.

Eletto prima nella Commissione Interna, diviene nello stesso anno segretario del Comitato di coordinamento delle commissioni interne  della miniera, membro della segreteria della Lega dei Minatori e infine componente dell’Esecutivo della Federazione provinciale dei minatori diretta per lungo tempo da Martino Giovannetti, il padre di Daverio.

Diviene nell’arco di pochi anni, al fianco di Velio Spano, Renato Mistroni, Antonio Sellitti, Pietro Cocco, Marco Giardina, e di tanti altri, uno dei principali dirigenti della classe operaia di Carbonia e del Sulcis.

E’ uno dei protagonisti della battaglia dei 72 giorni conclusasi il 18 dicembre del 1948a 10 anni dalla fondazione della Città, data che possiamo considerare – la citazione non è mia  ma la ritengo molto appropriata  data della rinascita morale della Città.

Non mi dilungherò, soprattutto per ragioni di tempo, su queste importanti vicende, essendo abbastanza  note ai più e sulle quali proprio Antonio ci ha lasciato importanti e dettagliate testimonianze, raccolte in una serie di articoli pubblicati sulla Provincia del Sulcis Iglesiente a cura di Giampaolo Cirronis e che saranno oggetto proprio di una sua successiva testimonianza nel corso di questo dibattito e saranno riprese certamente da Antonio Saba, con il quale ha condiviso insieme ad un’amicizia durata una vita, tutti i momenti cruciali della storia politica della nostra città.

Ancora giovanissimo, parliamo di un ragazzo di 21 anni è già protagonista in una temperie di lotte particolarmente difficili – mi riferisco alla battaglia per la sopravvivenza della città – che in tanti a quei tempi avrebbero voluto cancellare dall’atlante di geografia.

Inizia, dunque, al fianco di tanti altri protagonisti, un percorso di formazione  di quadro dirigente – come si usava dire allora  della vita politica e sindacale del Bacino Minerario, nel gennaio del 1949 viene inviato a Bologna al primo corso semestrale del P.C.I. presso la Scuola di partito in via dei Bottieri, al suo ritorno a Giugno viene eletto segretario della Lega dei minatori e segretario della Camera del Lavoro,  inoltre viene eletto nel Comitato Federale del  PCI della Federazione di Cagliari, a quei tempi non vigeva la regola dell’incompatibilità tra incarichi politici e sindacali.

Nel 1950 iniziano – chiamiamoli così – i primi inconvenienti del mestiere, viene arrestato per adunata sediziosa, corteo non autorizzato e aggressione delle forze dell’ordine, liberato dopo cinque mesi e condannato a dieci mesi con il beneficio della condizionale.

Viene sottoposto ad altri tre processi e di nuovo arrestato nel 1951, ne da conto anche l’avvocato Umberto Giganti anch’egli recluso in seguito ai fatti del 1948 in una lettera alla moglie Ina datata 9 febbraio 1951, contenuta nel libro “ La prigionia di un sogno” a cura di sua figlia Pia Giganti, dalla quale riporto testualmente: «Pelessoni è stato in causa ieri. E’ stato condannato a due anni di reclusione ma è uscito perché la pena gli è stata condonata. Puggioni è stato invece arrestato, per quella montatura della Cassa operaia, e si trova qui. Temo che dovrà rimanerci per un pezzo.»

Questa era la sorte comune per tanti dirigenti comunisti, socialisti di allora i tempi del “famigerato”  commissario Pirrone e della polizia di Scelba.

Il già citato Umberto Giganti, uscito dal carcere e rieletto in Comune, nella qualità di assessore anziano, subentrerà nel 1953/4 a Pietro Cocco nell’esercizio delle funzioni di sindaco, il quale fu destinatario di un provvedimento di sospensione dalle sue funzioni emanato dal prefetto di Cagliari.

La vita non era semplice a quei tempi in politica, sia nel sindacato che nelle istituzioni.

Puggioni viene eletto in Consiglio comunale per la prima volta nel maggio del 1952, assume l’incarico di assessore delle Finanze e del Bilancio e nel novembre dello stesso anno nominato Ispettore regionale degli Enti locali del PCI.

Nell’anno successivo, il 1953, viene nominato vicesindaco del comune di Carbonia.

Il 27 maggio del 1956 alle elezioni amministrative, viene riconfermato consigliere comunale.

L’attività politica e sindacale si intreccia con quella amministrativa e per riprendere un filo cronologico, nel 1954 viene nominato responsabile di zona del PCI e membro  della segreteria provinciale di Cagliari.

Nel 1957 viene chiamato insieme a Giovanni Lai e Girolamo Sotgiu a far parte della segreteria regionale del PCI in una fase che possiamo definire senza alcun eufemismo, di transizione.

Siamo in una fase successiva al terremoto del 1956, del quale ricordiamo la successione di avvenimenti storici sulla scala internazionale: il XX Congresso del PCUS con il rapporto segreto di Kruscev, l’invasione dell’Ungheria da parte delle truppe del Patto di Varsavia, VIII Congresso del PCI.

In questo quadro, in questi anni, nel PCI in Sardegna si afferma la segreteria di Renzo Laconi con  un conseguente ridimensionamento del ruolo di Velio Spano e del quadro dirigente di partito che a lui faceva riferimento, soprattutto del Bacino Minerario.

Antonio Puggioni era come la prevalenza del gruppo dirigente di Carbonia e del Sulcis, particolarmente legato a Velio Spano.

L’esito personale di questa fase politica per Puggioni può essere riassunto nella nota locuzione latina: Promoveatur ut amoveatur (sia promosso affinché sia rimosso).

Quindi dopo il matrimonio nel 1958 con Nilde Lampis compagna per tutta la sua vita, nel 1959 su incarico della direzione nazionale del partito, parte in incognito insieme alla consorte per l’Unione Sovietica, con un  passaporto intestato ai coniugi Calvi.

Il 1959 si presenta come un anno di svolta significativo nella vicenda personale e politica di Puggioni.

Il 28 aprile una prima tappa a Berlino orientale, in una città non ancora divisa dal muro, a maggio a Praga sino ad agosto dello stesso anno e, da questa data sino ad aprile del 1961, a Mosca.

Questa esperienza si rivelerà comunque molto importante, a partire dagli aspetti squisitamente politici, ed gli consentirà di entrare in contatto con personalità eminenti del movimento comunista internazionale; quindi si ritrova prima a Radio Praga al fianco di Aldo Tolomelli (divenuto in seguito senatore dell’Emilia) e di Francesco Moranino che vi svolgeva un attività di coordinamento squisitamente politico.

Moranino ex capo partigiano della Val d’Ossola era espatriato dall’Italia in ragione di una sentenza relativa a fatti dolorosi avvenuti nel corso della guerra partigiana e culminati in una sua condanna per la quale fu fatto decadere (prima circostanza nel Parlamento repubblicano) dall’incarico parlamentare.

Nell’URSS inizia a lavorare nella redazione italiana di Radio Mosca, nella quale anche la moglie Nilde trova occupazione nel lavoro di segreteria.

Questa esperienza, si rivelerà nel tempo fruttuosa, poiché oltre a consentire una importante confidenza con gli strumenti di comunicazione e l’attività di una redazione giornalistica, ne affinerà in meglio il   linguaggio, che come lo ricordiamo tutti, riusciva ad essere diretto, chiaro e semplice.

Chi ha avuto modo di ascoltare Puggioni sia in occasioni pubbliche, che in conversazioni private, sicuramente ne avrà apprezzato la proprietà di linguaggio, la capacità di scandire tempi e toni in maniera sempre molto efficace.

A Mosca risiede in un piccolo appartamento presso l’Hotel Ucraina ed entra subito in contatto con personalità del mondo sovietico moscovita, ma anche con una presenza italiana importante, tra le quali mi  preme segnalare quella con il “mitico” Giovanni Germanetto, giunto nell’URSS nel 1922, autore di un famoso libro “Le memorie di un barbiere” e insieme a Paolo Robotti “Trent’anni di lotte dei comunisti italiani”.

Frequenta e stringe amicizia con Giulia Schucht, la moglie di Antonio Gramsci, e con sua sorella Eugenia.

Di quello stesso periodo è l’amicizia Maurizio Ferrara corrispondente dell’Unità da Mosca (che successivamente sarà direttore de l’Unità), sua moglie Marcella che fu collaboratrice nella segreteria di Palmiro Togliatti.

In quelle circostanze Nilde si trovò più volte a prendere in braccio l’allora piccolo Giuliano, che diventerà noto a tutti noi per la militanza in un altro schieramento.

Sono anni in cui maturano una serie di rapporti sul piano politico ed umano con dirigenti nazionali che si recano a Mosca, tra i quali Nilde mi ha segnalato tra tutti, quello con Pietro Ingrao.

Inoltre, c’è una frequentazione molto importante per tutti gli avvenimenti di carattere culturale che si svolgevano attorno alla residenza dell’Hotel Ucraina e, infine dulcis in fundo, la frequentazione costante della vita culturale moscovita e del Teatro Bolscioi.

Sono anni importanti e prima di venire assegnato a nuova funzione in Polonia, nell’aprile del 1961 – alla quale oppone un diniego – l’esperienza si conclude con il rientro repentino a Carbonia, preceduto da un breve intervallo a Berlino Est che dura da aprile a luglio e con un intervallo romano dove vengono ricevuti insieme ad altri compagni provenienti da analoghe esperienze, da Palmiro Togliatti.

Nel luglio del 1961, appena rientrato a Carbonia, assume l’incarico di segretario del Comitato cittadino del PCI ed eletto nella segreteria della federazione del Sulcis, appena costituita al fianco di Licio Atzeni che è stato il primo segretario della federazione del PCI del Sulcis.

Una breve notazione, Licio Atzeni era il padre del noto e indimenticato scrittore Sergio Atzeni ed era la figura che ha ispirato il personaggio principale del libro “Il figlio di Bakunin” dal quale ha preso spunto per l’omonimo film,  il regista cinematografico Gianfranco Cabiddu.

Alle elezioni amministrative del novembre 1964 viene rieletto consigliere comunale, in una consiliatura nella quale si succedono due sindaci Antonio Saba ed Aldo Lai, quest’ultimo alla guida di una coalizione di centro sinistra in sintonia con il quadro politico nazionale di quella stagione politica, ma questa esperienza si conclude in modo traumatico con l’arrivo del commissario prefettizio, dottor Pandolfini se la memoria non mi inganna che amministrerà la Città sino alle elezioni del 17/18 novembre del 1968.

Antonio Puggioni viene eletto in questa tornata e rieletto consigliere alle elezioni amministrative del novembre del 1973 e siederà in Consiglio comunale sino alle elezioni del giugno 1979, in una consiliatura che, per ragioni di allineamento elettorale nazionale, dura sei e non cinque anni come previsto.

Riprendendo il filo dell’impegno politico a luglio del 1965 viene nominato Segretario della Federazione del PCI del Sulcis e nel 1969 viene eletto consigliere regionale nella VI Legislatura e riconfermato  nel 1974 VII legislatura nell’incarico di consigliere regionale che si concluderà nel 1979.

Su questo punto, quello dell’esperienza nel Consiglio regionale mi limito  a questa enunciazione poiché abbiamo chiesto al senatore Francesco Macis che è stato suo collega nei banchi del Consiglio, di tracciare nel suo intervento un profilo significativo dell’esperienza politica e istituzionale  condotta come legislatore.

Nel 1981, dopo un incarico di breve durata nel Comitato di gestione dell’USL n° 17 di Carbonia, Antonio Puggioni lascia tutti gli incarichi per dedicarsi ad attività private.

Come avete avuto modo di constatare, nella mia esposizione, ho cercato di seguire un ordine cronologico preciso  nel segnare il percorso della vita di Puggioni e a questo proposito devo dirvi che, mi è stato di particolare aiuto, proprio un suo scritto autografo nel quale ha segnato le tappe più significative delle esperienze della sua vita terrena che si è conclusa con la sua morte avvenuta a Carbonia il 24 agosto del 1998.

Una vita costellata da un impegno politico molto assorbente che però non gli ha impedito di essere molto presente nella vita familiare come marito e nell’educazione dei tre figli, Antonello, Cristina ed Annamaria che lo ricordano come un padre affettuoso e attento.

Vorrei aggiungere qualche ricordo personale del rapporto che ho intrattenuto personalmente con Antonio e qualche valutazione di carattere politico.

Una delle sue caratteristiche principali era costituita dalla capacità di dialogo e di intessere rapporti sul piano personale, sia con il mondo esterno, mi riferisco al dialogo con le altre forze politiche che con quello interno al proprio partito.

Assegnava al tema del rapporto con le persone un grande valore e questo era un suo grande pregio.

Una dialettica votata sempre alla ricerca dei punti d’incontro e di unione  soprattutto quando le distanze tra le posizioni in campo  rischiavano di diventare incolmabili.

Una capacità non certo unica, ma abbastanza rara, il saper mantenere in vita il filo del dialogo anche nelle situazioni di maggiore difficoltà.

Non fu mai un uomo di rottura, ma di dialogo, anche su piano sociale, lo testimoniano i rapporti con l’Azienda Mineraria, tra i minatori e nel rapporto con il clero e la sfera religiosa.

A questo proposito, mi preme ricordare il suo rapporto ed il ricordo affettuoso che aveva di don Vito Sguotti, che è stata una figura importante nella storia della Città, ben al di là della sua funzione di Sacerdote, quello con don Luigi Tarasco, cappellano dell’Ospedale Sirai, con i quali ha condiviso alcuni dei passaggi difficili dei primi anni di vita di Carbonia e, in ultimo, nella seconda metà degli anni ‘80, con fra Nazareno da Pula, con don Amilcare Gambella, che lo ricorderà nell’intervento successivo al mio, anni nei quali si era riavvicinato anche dal punto di vista spirituale alla fede e alla Chiesa.

Era inoltre animato da una curiosità culturale ed intellettuale non comune, per le vicende del Bacino Minerario e della sua classe operaia, era un lettore vorace e sempre impegnato nella ricerca di documenti.

Per questa sua attitudine alla ricerca ed all’accumulo di carte, atti, documenti, fotografie, pubblicazioni ,era avvertito come un pericolo, lo dico simpaticamente, soprattutto nelle sezioni di partito.

Questa tenacia gli ha consentito di acquisire e conservare un patrimonio documentale di grande rilievo del quale troviamo già da tempo, un significativo riconoscimento con delle citazioni in pubblicazioni di carattere nazionale, quali: “Carbosarda”, a cura di Giuseppe Are e Marco Costa, nella collana Mondi Operai nell’Italia del Novecento;

Ricordo di aver ricevuto da lui in dono, copia originale del Piano Levi, copia dell’Atto costitutivo della Società delle miniere di Iglesias, stipulato a Parigi nel 1867.

In questo lavoro era particolarmente scrupoloso ed aveva metodo e questo è stato tra gli altri, uno dei  tratti moderni della personalità di Puggioni sui quali intendo soffermarmi, perché sono un coniugato di sensibilità e lungimiranza insieme.

Tra le sue attività, delle quali mi aveva parlato e di cui ebbi modo di prendere visione, c’è un’interessante rassegna biografica di figure che hanno segnato la storia della città di Carbonia attraverso le lotte, la quotidianità, l’impegno istituzionale e religioso delle quali ha tracciato un ritratto di grande valore per la nostra memoria collettiva: Renato Mistroni, Silvio Lecca, Don Vito Sguotti, Pietro Cocco, Marco Aurelio Giardina, Giorgio Carta, Francesco Piga Onnis, Giuseppe Cabua, Claudino Saba e moltissimi altri.

Questo lavoro testimonia una grande sensibilità e la volontà di non disperdere un patrimonio di conoscenze e di memorie il cui valore culturale, sociale ed antropologico è di un’importanza inestimabile per tutti noi.

Devo aggiungere che proprio su questa traccia l’indimenticato compagno ed amico Sergio Usai, alla guida dell’associazione “La nostra storia – Le nostre radici”, si era impegnato a proseguire in un analogo lavoro di implementazione riguardante figure importanti della città e del mondo dello sport cittadino, che è bene tenere presente in memoria.

In ultimo, mi avvio a concludere, voglio esprimere il mio sincero apprezzamento per l’organizzazione di questa  conversazione.

Non è questa la prima occasione in cui l’associazione “Amici della Miniera” dedica un’iniziativa in ricordo di personalità che si sono distinte nella nostra comunità, segnalo quella dedicata alla figura di Silvio Lecca alcuni anni orsono, altre analoghe ci saranno in futuro, a partire dalla prossima in programma, dedicata alla figura di Aldo Lai.

E’ quindi doveroso apprezzare ed elogiare il proposito dell’associazione e di Mario Zara che la dirige,  perché rimanga così forte e determinata la volontà di restituire alla memoria collettiva una piena e completa evidenza di protagonisti della nostra comunità cittadina, qual è stato Antonio Puggioni.

Nel concludere il mio intervento, vorrei ringraziare l’associazione, per avermi concesso l’onore ed il piacere di contribuire a farlo insieme a tanti altri amici e compagni intervenuti a questa iniziativa.

Antonangelo Casula

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Venerdì 14 ottobre, presso la sede del circolo Velio Spano in via Cagliari n. 173, ad Assemini, alle ore 19.00, verrà inaugurata la libreria comunitaria  “Sa Mata”.

L’Associazione Culturale “Sa Mata, l’albero delle idee” in collaborazione con il circolo arci Velio Spano,  ha portato a termine una raccolta di volumi per dare vita a una libreria comunitaria aperta a tutti. «Tanti i libri donati che nessuno leggeva o voleva più – dichiara Veronica Matta, presidente di “Sa Mata” – volumi vecchi (che probabilmente hanno alleggerito la libreria di qualche privato) ma anche nuovi da parte di coloro che avevano voglia di partecipare ad una bella iniziativa come questa. Stiamo organizzando un progetto di scrittura creativa – aggiunge la presidente di Sa Mata – con l’intenzione di creare una collana titolata “I Romanzi della Velio Spano” contenente i lavori concepiti durante il laboratorio, e successivamente di pubblicarla. Tengo a precisare – dichiara l’ideatrice dell’iniziativa – che tutti soci e non del circolo Velio Spano, possono usufruire della libreria».

In questi mesi la raccolta ha dato i primi frutti e «ad oggi i libri a disposizione dei soci sono circa 300» dice Simone Rivano, uno dei soci del circolo Arci Velio Spano. Attualmente la fruizione e lo scambio dei volumi raccolti e timbrati dall’associazione “Sa Mata” è possibile solamente presso la nostra sede che intende diventare un luogo di interesse culturale aperto a tutta la comunità. Da un’idea nata di alcuni artisti locali (Rosaria Straffalaci e Angelo Aresu), la libreria è stata realizzata con il recupero di materiali di riciclo (cassette di orto frutta e pancali), immersa nel verde e incorniciata in un vero e proprio orto verticale. La libreria comunitaria ospita diversa tipologie narrative, dall’arte,  alla storia, alla natura, all’informazione, alla musica, alla narrativa, ai fumetti.

Alle ore 19.30 ospite d’onore sarà Franco Mannoni con il suo libro Se ascolti il vento; il suo romanzo di debutto, edito da Arkadia, verrà presentato da Veronica Matta e Claudia Sarritzu.

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