22 November, 2024
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«500.000 bambini affidati ai Servizi Territoriali. 460.000 bambini sono quelli che nascono mediamente ogni anno. Se non freneremo questa espansione, le prossime generazioni saranno tutte affidate e adottate! Oggi non guardiamo solo al futuro della tutela dei bambini ma anche al tipo di governo e di società che vogliamo avere. La risposta sta in questa frase che non è solo uno slogan ma un programma di intenso lavoro tecnico e politico: aiutiamoli a casa loro!»

Queste le parole del Presidente INPEF Vincenza Palmieri all’inizio dell’evento nazionale dal titolo “Stati Generali sulla Tutela dei Minori. Oltre Bibbiano. il sistema che attraversa l’Italia e le famiglie: le riforme possibili”.

Affrontata, durante l’Evento, una delle più grandi tragedie italiane ma anche uno dei più grandi movimenti popolari degli ultimi 40 anni. Un’analisi del sistema politico ed economico nazionale che ha trovato, da sempre, nella filiera diagnostica, la sua lunga mano. Un castello di fango e business costruito minuziosamente sulla solitudine e sulla fragilità ma anche su un complesso di norme plasmabili approvate spesso per interessi trasversali nelle sedi dei governi centrali o locali.

I temi trattati da più punti di vista, secondo l’esperienza dei relatori e dei convenuti: dal miglior investimento dei fondi fino ad oggi indirizzati alla filiera, alla revisione delle Legge Quadro 328/2000 che ha permesso la creazione della filiera degli affidi illeciti; all’abolizione delle case ad “Alto Contenimento”, inaccessibili manicomi per bambini, dove è sequestrato un numero non conosciuto di piccoli cittadini senza tutele.

Gli Stati Generali sono stati voluti per questo, perché l’immensa rete di iniziative, le associazioni ed i Comitati, i professionisti, le brave persone e le famiglie potessero, come un esercito, marciare insieme verso obiettivi comuni.

Forte l’accento sul sistema parallelo alla Giustizia, quello delle CTU, dove si analizzano fatti familiari con un approccio patologico invece che pedagogico.

Esistono i processi, le indagini… e poi esistono parallelamente le Consulenze Tecniche che decidono le sentenze. Un mondo oscuro, dove si vuole esaminare con un punto di vista sanitario, psichiatrico e patologico, quello che è un fatto sociale, che attiene alla famiglia, all’educazione. Perché per stabilire con quale genitore debba stare il bambino o se quel bambino debba stare o meno con mamma e papà o con degli estranei, lo deve decidere il dottore, e non gli specialisti della famiglia… o non insieme? Quante sono le CTU in Italia? Quante sono le famiglie che vengono disgregate ed i bambini strappati su una sola base diagnostica? Perché non la progettualità, la formazione genitoriale, la rete, la traduzione sociale, l’approccio familiare multidisciplinare coordinato, come gli Strumenti della Pedagogia Familiare?

Raggiunto e superato quindi lo scopo dell’iniziativa che era di quello di affrontare le questioni portate alla luce dallo scandalo di Bibbiano e dall’inchiesta “Angeli e Demoni” al fine di:

– ottenere la tutela dei diritti delle famiglie all’interno di un sistema privatizzato che strappa i bambini non solo a Bibbiano e

– raccogliere le diverse forze che si battono per una soluzione istituzionale urgente e condivisa.

Durante l’evento sono state raccolte oltre 50 testimonianze di persone e famiglie colpite dal sistema attuale e che andranno a costituire il Dossier Italia. L’evento si è dimostrato essere la massima espressione del popolo dei diritti e della tutela dei bambini con oltre 70 associazioni che hanno partecipato. Forti, commoventi, difficili, le testimonianze di madri e padri che si sono visti strappare i loro bambini o che, loro per primi, sono stati bambini strappati.

Le sessioni dell’evento sono state presiedute dalla presidente prof.ssa Vincenza Palmieri con gli interventi del Presidente ANPEF Pierluigi Bonici, l’avvocato Francesco Miraglia, l’avvocato Francesco Morcavallo, l’avvocato Carlo Taormina, la senatrice Enza Blundo, la consulente ONU Daniela Salvati, il presidente UPF Italia (Federazione Universale per la Pace) Carlo Zonato, il presidente della FIDU (Federazione Italiana Diritti Umani) Antonio Stango, il vice presidente nazionale del Moige (Movimento Italiano Genitori) Elisabetta Scala, il giudice onorario prof.ssa Stefania Petrera e la vice presidente WFWP (Federazione delle Donne per la Pace nel Mondo) Maria Gabriella Mieli. Tra i relatori anche il giornalista Francesco Borgonovo che, attraverso le pagine de “La Verità”, non ha mai spento i riflettori su “Bibbiano – Fabbricanti di Mostri”, come dal titolo della sua ultima opera, messa a disposizione durante gli Stati Generali.

Nelle conclusioni:

– Ripensare la Responsabilità genitoriale con un approccio che non preveda sospensioni ma progetti integrati;

– Liberare i bambini, in ogni modo, restituire i piccoli alle loro famiglie; aiutare le famiglie, non medicalizzarle, soprattutto, AIUTANDOLE A CASA LORO;

– Continuare con eventi, seminari, convegni, manifestazioni di piazza, media, TV e formazione degli operatori e dei genitori; migliorare la cultura professionale di tutti gli operatori che orbitano nel sistema della tutela dei bambini e delle loro famiglie (avvocati, educatori, assistenti sociali, ecc.)

– Riformare le norme esistenti senza crearne di altre non necessarie, rivedere la durata dei processi ed anche quella dei decreti provvisori, sostenendo la cultura dei Diritti Umani e dei Bambini, le Raccomandazioni ONU per i Minori non Accompagnati, l’indirizzo alla Pace e alla Solidarietà che possa attraversare le Istituzioni. L’impegno delle donne per la pace.

– La costituzione di un tavolo tecnico e d’inchiesta a partire dai Dossier, incontri e restituzione nelle sedi legislative.

Al termine delle due giornate di lavoro concluse sabato 9 novembre, con incontri, meeting e presentazione di progetti, appare quanto mai attuale l’impegno verso tempi brevi di verifica delle proposte e che ognuno possa continuare a fare ORA, più che mai, la sua parte. Il Momento è ora!

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Il momento è ora.

E se il momento è ora – per quanti stanno chiedendo Giustizia e Verità – la Filiera Psichiatrica, ferita e dolorante, cerca, come ha sempre fatto in passato, un nuovo vestito da indossare per allungare i propri tentacoli.

Da un lato, l’intento è quello di spostare l’attenzione dalla cronaca, dalla stretta attualità.

Dall’altro, continuare ad alimentare il business più vergognoso, quello sui bambini.

Svelata Reggio Emilia (Bibbiano) – e la sua estensione e replica su tutto il territorio nazionale – il vestito nuovo della filiera diagnostica rispolvera merce che aveva temporaneamente messo in soffitta: i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (di cui, guarda caso, soffrono anche quasi tutti i bambini collocati in Case-famiglia e Case ad alto contenimento).

Ma ancora più velenoso è il fatto che, al momento dell’emanazione di tale orrida disposizione – quando buona parte anche della comunità scientifica vi si scagliò contro, paventando quelli che ne sarebbero stati gli effetti nefandi – sia i legislatori dell’epoca che i sostenitori passati e presenti sostennero a gran voce come con “DSA” non si intendessero disturbi della sfera sanitaria o “di interesse mentale”.

Invece – dal 2010 ad oggi – leggiamo dati progressivamente sempre più inquietanti. Già da noi documentati nel dossier “Troppi per essere vero” e in numerose altre ricerche, come anche nelle audizioni in Commissione Infanzia.

Oggi, per esempio, su Il Messaggero: “Scuola, boom di certificati: dislessici 177 mila ragazzi”. Proprio in un momento in cui la nostra attenzione è rivolta ai bambini fantasma, si parla abbondantemente di DSA, sistemi compensativi e dispensativi e, addirittura, si pone l’accento sui “risultati positivi” di questo abuso diagnostico. Si parla di un aumento del 450% di diagnosi in soli 7 anni, dal 2012 ad oggi.

Dunque il disagio (di chi?) è diventato malattia; ma, addirittura, si plaude al fatto che ci sia una estrema medicalizzazione della scuola e si gioisce nei casi in cui i Minori vengano dispensati dallo studio, come se li si stesse, così, “curando”.

Ma c’è di più. Addirittura, possiamo stare tranquilli, noi Italiani, perché al di sotto della media di altri Paesi! Non bastano le statistiche gravissime che ci riguardano, ma segue un invito a diagnosticare sempre di più i nostri ragazzi, a farli camminare attraverso i corridoi degli ospedali anche solo per una difficoltà di apprendimento (o di insegnamento?). E, soprattutto, ci si spinge ad affermare con entusiasmo il fatto che il Legislatore abbia “riconosciuto” i DSA: come se una norma potesse sancire l’esistenza di una patologia.

Non lo abbiamo mai visto accadere per il diabete, il colesterolo o per i calcoli alla cistifellea, che sono malattie statisticamente più ricorrenti nella popolazione italiana.

Il leone ferito sta cercando nuovi bacini?

Vuole rispolverare un vecchio vestito?

Lo abbiamo sempre scoperto, denudato e denunciato.

Quando praticava la lobotomia pre-frontale, quando faceva le docce ghiacciate, e ancora oggi, quando lega i ragazzi al letto, quando li elettro-shocka, quando ricorre a una puntura per domarli tutti.

E quando, con l’ausilio di 25 persone – fatto recentemente accaduto in una città del Piemonte – ha rapito un’adolescente, catturata davanti alla scuola, per portarla in una casa ad alto contenimento, soltanto perché litigava con sua madre.

E lì, ora, la stanno drogando con psicofarmaci.

Ecco perché non ci siamo stupiti quando il leone, oltre al vestito, ha indossato il grembiule, il colletto bianco e il fiocco. Ed è entrato nella scuola.

È entrato nelle scuole per l’infanzia, negli asili nido, fino ai bambini strappati dal seno materno: “I bambini senza latte”, peggio dei cani, dati in adozione ancora prima della nascita.

Non ci stupiamo di questi 177mila; e siamo preparati anche per aiutarli ad uscire dai reparti e dalle diagnosi opportunistiche.

L’Italia è una Nazione fatta di brave persone, di una comunità scientifica attenta e lungimirante, di politici che sanno metterci la faccia; di tecnici instancabili e di numerosi volontari totalmente dedicati alla causa, perché questo posto sia un luogo dove si possa vivere, ci si possa fidare e affidare. Che è il primo bisogno di ogni bambino.

Guardiamo con attenzione anche alle Commissioni di inchiesta che si stanno costituendo in alcune Regioni. Come in Emilia Romagna, dove notiamo il fatto che i membri di una Commissione istituita (e non certo gratuita) per la tutela dei Minori, a seguito dei fatti noti, siano neuropsichiatri e psichiatri esperti in dipendenze patologiche, che poco sono attinenti con l’Infanzia.

È come dire “il problema è affrontato da chi lo ha creato”.

Se non c’è Scienza, non può esserci nemmeno Verità. Ma se tutto questo fino a poche settimane fa era sottaciuto con l’idea che fosse impossibile fare qualunque cosa a riguardo, oggi non è più così. I riflettori rimangono accesi. La brava gente parla alla luce del sole, racconta, si organizza, manifesta, grida e scrive sui giornali, va in TV. E la luce dei riflettori si allarga fino al punto in cui diventa impossibile spegnerla. Un effetto domino inarrestabile.

Così è.

L’Italia s’è desta. Il momento è ora.

Vincenza Palmieri

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Vincenza Palmieri, presidente dell’INPEF, ha scritto una lettera aperta ai ministri dell’Istruzione, Università e Ricerca, Marco Bussetti; della Giustizia Alfonso Bonafede e della Famiglia e delle Disabilità Lorenzo Fontana, sul caso di «un ragazzo modello, punito dalla Giustizia».

Di seguito il testo integrale.

Onorevoli Ministri,

ci sono storie – ordinarie, straordinarie – sarete Voi a giudicarlo, che non possono essere taciute. Storie che vanno raccontate. E per le quali, magari, andrebbe scritto un finale diverso. 

Questa è una di esse. E’ la vicenda di un ragazzo di 16 anni, che vive da sempre con la mamma. Una mamma che con il figlio che le è stato affidato ha fatto un ottimo lavoro. “Paolo” (nome di fantasia), infatti, è un bravo ragazzo. Non è uno scapestrato: non si ubriaca, non si droga. Non è un bullo. E’ un adolescente che va a scuola con successo, rispettando le richieste dei professori. Lo studio gli piace; ha sempre dedicato tempo ad approfondimenti e ricerche. Ora frequenta un Liceo Linguistico. 

A casa, incontra persone madrelingua con cui fa conversazione, non soltanto nelle materie di base previste come oggetto di studio, ma anche e addirittura in Cinese. Le pagelle evidenziano buoni voti e qualità personali spiccate, che investe nello studio. Paolo è spiritoso, molto preparato, collaborativo nell’aiutare i compagni in difficoltà. I giudizi sono inequivocabilmente positivi.

La mamma lavora e vive in un contesto dignitoso; ed è riuscita a seguire il figlio offrendogli presenza e affetto. Paolo non ha mai sofferto di solitudine, è socievole, allegro. 

Allo stesso tempo, però, Paolo ha scelto – in questa fase della sua vita – di non volersi relazionare con il padre e i familiari paterni, dai quali sente di essere stato trascurato o addirittura mal sopportato. Nel momento in cui si è iscritto al Liceo linguistico, infatti, la sua scelta è stata da loro molto criticata. E oggi, quando racconta con entusiasmo di voler diventare Carabiniere, si sente rispondere dal padre che – così, magro come un chiodo – non ce la farà mai. Questo lo addolora profondamente.

Paolo rivendica il proprio diritto a scegliere per sé: chi siano i suoi amici, dove indirizzare le proprie energie, le proprie emozioni, passioni. Lo fa con educazione ma anche con profonda convinzione. 

Sottoposto a valutazioni neuropsichiatriche e psicologiche presso strutture pubbliche, le risultanze sono “nessuna evidenza clinica”. Eppure, l’esito finale che emerge, sorprendentemente, si trasforma in “disturbo dell’adattamento con sindrome ansiosa”. La mamma chiede, allora, una Consulenza all’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare. Da Presidente e Consulente Tecnico, prendo in carico il caso e la documentazione relativa.

Cosa accade, oggi, a Paolo?

Si ritrova a non poter partecipare ad una attività istituzionale della scuola, che ha organizzato una visita di istruzione all’estero di una settimana. Il papà non ha mai risposto alla richiesta della madre di firmare l’autorizzazione e il Giudice – non apprezzando l’iniziativa della mamma, che aveva comunque firmato e pagato – ha disposto che il ragazzo resti a casa. Non ha apprezzato l’autonomia della madre, che non aveva ritenuto di privare il figlio di questa attività formativa importante e meritata, solo a causa del silenzio del padre.

E, dunque, i suoi compagni domenica sono partiti. Ma Paolo è rimasto a casa.

Il Giudice ha inteso punire la decisione autonoma della madre che non ha ritenuto che il silenzio del padre dovesse penalizzare il figlio. Ma – in maniera tutt’altro che indiretta – ha di fatto punito un ragazzo che non lo merita. 

Un ragazzo che, oggi, sta venendo stigmatizzato e ritenuto malato.

Su questo punto, difficile essere in disaccordo con le parole dell’Avvocato della mamma, Francesco Miraglia: «Ancora una volta devo constatare che anche nel caso de quo la nostra Giustizia Minorile non funziona e, se funziona, funziona male. Ancora più incredibile è il comportamento del Giudice che invece di rimanere super partes e soprattutto di provvedere alla tutela del Minore diventa Esso stesso parte del processo, vietando, di fatto, al Minore di partecipare ad un viaggio studio per punire la mamma la quale, da sempre, ha sottolineato un rapporto conflittuale con i servizi sociali. Questa vicenda merita sicuramente l’attenzione delle Istituzioni affinché violenze del genere da parte delle Autorità deposte a tutela dei Minori non accadano più».”

Le Istituzioni, in questo modo, si stanno accanendo in maniera miope su di lui; invece che intervenire sugli adulti. Un bambino che non ha mai dato motivo di preoccupazione. 

Per “vendetta” sulla madre, insomma, si punisce il bambino. Un bambino che deve credere nelle Istituzioni. E che vuole farlo. A tal punto da desiderare di entrare a far parte dell’Arma dei Carabinieri, servire e rappresentare lo Stato. Ma che, oggi, invece, è oggetto di errore da parte di quelle Istituzioni che lo penalizzano ingiustamente e che gli vogliono imporre di incontrare degli adulti indesiderati, mentre su questi stessi adulti non è stato fatto nessun intervento. Nessun progetto di presa di coscienza e consapevolezza sugli errori commessi, nessun percorso su come potersi riavvicinare a gradienti al loro giovane parente per riconquistarne la fiducia e la relazione.

Da una parte si vuole forzare un adolescente ad incontrare parenti con cui non ha mai avuto rapporti, perché loro per primi non li hanno voluti avere, e, insieme, gli si impedisce di istruirsi. Un ragazzo sano, con il quale si sta sbagliando tutto.

La visita d’istruzione, attualmente in corso presso un Paese dell’Unione Europea che non nomineremo per rendere non riconoscibile l’identità del ragazzo stesso, si sta snodando lungo questi punti:

  • Sistemazione in famiglia
  • Passeggiata per la città: orientarsi con le cartina
  • Visita guidata con un professore di arte della scuola
  • Lezioni di lingua (4 ore al giorno)
  • Pranzi in famiglia
  • Musei

Di fatto, il ragazzo, oggi, sta perdendo 20 ore di lingua straniera e una settimana intera di cultura straniera. La mamma poteva pensare che non sarebbe stato apprezzato l’aderire all’offerta formativa della scuola? 

Cosa chiediamo, dunque, ai Ministri competenti, alla stampa e all’opinione nazionale?

Chiediamo innanzitutto se sia possibile che questo bambino sia rimasto a casa. Paolo è discriminato. Discriminato rispetto ai compagni che si stanno chiedendo come mai non sia andato. E che, da adolescenti, si stanno rispondendo, in proposito. Paolo è esposto a derisione e all’emarginazione. Penalizzato nell’accesso all’Istruzione e nella Relazione con i compagni.

Ma chiediamo, ancor di più, se tutto ciò non rappresenti anche una grave violazione rispetto all’immagine delle Istituzioni.

Che messaggio educativo si veicola?

Domandiamo l’attenzione concreta del ministro per l’Istruzione; e che il Ministro della Famiglia prenda in carico questo caso. Così come il ministro della Giustizia, nel momento in cui un Magistrato ha agito nei confronti di un Minore e della sua Famiglia in modo talmente evidentemente paradossale.

Che idea si farà il ragazzo delle Istituzioni?

Che Cittadino stiamo costruendo?

E’, senza alcun dubbio, un caso non unico – Onorevoli Ministri – ma, anzi, emblematico. 

Sul quale vorremmo sentire la mano restauratrice delle Istituzioni pronte a difendere i Valori, la Famiglia e un giovane adolescente cresciuto in maniera sana e per bene, fino a questo momento.

Prof.ssa Vincenza Palmieri

Presidente Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare

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Ancora raccontiamo la storia di Desirée.
Anche se, più che alla piccola Desirée, in questo momento l’attenzione corre al mondo sommerso che la sua vicenda ha rivelato. Una condizione che denunciamo con forza ormai da anni, con grandi evidenze e significativi risultati, come dimostrano i numerosi arresti e sequestri avvenuti e la crescente attenzione istituzionale sul tema.

Di cosa stiamo parlando? Della nuova e autentica “versione” della fine di Desirée. Quella che era una storia di abuso, consumata all’interno di un ghetto per disperati e migranti, si è trasformata in ciò che noi abbiamo sempre sostenuto: in una storia di pusher – italiani o stranieri – ma soprattutto nell’evidente connivenza tra “droghe di strada” e “droghe di Stato”: il business dell’azienda psichiatrica in Italia.

Tempo fa avevamo chiesto dove fosse Marco, quel ragazzo che distribuiva psicofarmaci ai tossicodipendenti perché – com’è noto tra i giovani che fanno uso di droga – gli psicofarmaci potenziano l’effetto delle sostanze.
Cosa significa questo?
Innanzitutto che il consumo degli psicofarmaci sia un consumo che viene indotto in questa fascia di popolazione. E poi che questi milioni di persone tossicodipendenti rappresentino un nuovo, enorme bacino per il marketing degli psicofarmaci.

I ragazzi, dunque, usano droghe esattamente come usano psicofarmaci.
Questo crea quella tristemente nota doppia dipendenza voluta e determinata dal sistema psichiatrico che, all’interno della filiera diagnostica, costruisce ragazzi fragili sin dalla tenera età. Attraverso un sistema di stigma che parte già dalle scuole elementari, passa attraverso l’adolescente cibernetico, per arrivare al giovano tossicodipendente che, qualora volesse mai uscire dalla sua dipendenza da stupefacenti, si troverà a dover affrontare anche quella da psicofarmaci, che però non gli è nota.
Il ragazzo sa che, per uscire dal consumo delle droghe, esistono alcune soluzioni (poche quelle buone); per uscire dagli psicofarmaci – proprio perché vengono erroneamente considerati farmaci – invece no. Rappresentano quella parte di dipendenza oscura che il ragazzo non sa affrontare o non sa di dover affrontare.

E la doppia dipendenza è esattamente ciò che si voleva ottenere, secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM). Un tossicodipendente, malato cronico e recidivante, con doppia diagnosi: legata all’uso delle droghe e legata ad una possibile patologia antecedente all’uso delle droghe stesse.
Ma è proprio questo a essere falso. Perché non sempre dietro la tossicodipendenza troviamo una patologia. È falso perché tutti i ragazzi arrivati da noi con una doppia diagnosi l’avevano ricevuta, in effetti, a seguito di una sindrome allucinatoria. Ma sappiamo bene come le sostanze psichedeliche inducano allucinazioni: è proprio quello lo scopo per cui i ragazzi le assumono!
Quindi, considerare una patologia mentale quella che è una reazione all’uso di una droga, è solo la logica che la Psichiatria ha voluto consolidare per creare un ulteriore bacino di utenza. Un bacino che è sempre ricompreso in quella filiera che citavamo prima e che li porta non nelle comunità per soli tossicodipendenti, ma nelle comunità per doppia diagnosi dove il tossicodipendente è costretto a continuare ad assumere psicofarmaci, imprigionato ancora e sempre nel gioco del grande Marketing.
La dolorosa storia di Desirée ha fatto conoscere una realtà fino a questo momento negata.

Dov’è allora, oggi, Marco? Marco è in prigione. Ma in prigione dovrebbero esserci anche le farmacie compiacenti che rilasciano psicofarmaci senza ricetta e le case farmaceutiche che cedono quintali di psicofarmaci a chi li vende online; dovrebbero esserci quei chimici che producono psicofarmaci “taroccati” la cui assunzione comporta enormi rischi sin dalla prima dose.

Finalmente oggi, anche se con dolore, si parla di questo.
Noi siamo parte di questa denuncia. Ma siamo anche parte della soluzione nel momento in cui siamo qui, coraggiosamente, a denunciare e accogliere le vittime di questo sistema anche attraverso il Programma Vivere Senza Psicofarmaci: perché si tratta – come abbiamo ribadito anche nei precedenti comunicati sull’argomento – di un unico business.

I Signori delle droghe, delle Case Farmaceutiche e i Signori della Guerra abitano tutti la stessa zona del mondo e si irradiano nelle altre zone sociali, alla ricerca di quei disperati che – a loro volta – cercheranno altri più disperati di loro, di qualunque colore essi siano, alimentando il marketing della follia, dell’abuso e della negazione dei Diritti.

Passeranno attraverso leggi e Governi, forti dell’aver legiferato.
Ma ci troveranno in ogni angolo del Palazzo, nella stampa libera, nella cultura, nella Scuola e sulla rete. Ci troveranno nelle Aule, pronti a contrastarli e vincerli.
A soffiare il vento forte dei Diritti irrinunciabili per tutti. Senza sosta.

Vincenza Palmieri

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Quando l’attenzione istituzionale si sposta dalla manifestazione alle cause – mancanza di speranza, fiducia, prospettive – si afferma che non esistono i malati ma esistono, invece, i problemi; ed è su quelli che bisogna intervenire.

Non si vuole sostenere questa o quella parte politica.
Ma quando il dato sul consumo di psicofarmaci nel nostro Paese diventa improvvisamente centrale nelle parole di chi avrà la responsabilità di formare il prossimo Governo e di pensare le Politiche attive sul territorio, non può che essere una buona notizia.

Perché solo con l’appoggio delle Istituzioni il lavoro che facciamo da anni contro i poteri forti, come battaglia coraggiosa, può assumere la consistenza che merita.

È bello constatare, allora, che non si è più una soluzione alternativa, new age o controcorrente. Ma che le soluzioni e le analisi portate avanti per circa 30 anni possono diventare ufficiali e legittimate da una posizione così forte.

30 anni di persone salvate dal buio della soppressione psicofarmacologica, 30 anni di informazione corretta, di formazione, ma soprattutto migliaia di bambini, giovani, donne e uomini che hanno attraversato il programma Vivere Senza Psicofarmaci e ora sono individui liberi nella società, non possono che sentirsi riconosciuti da tali affermazioni.

Noi non ci siamo mai nascosti.
Qualche volta ci siamo anche fatti male; ma abbiamo sempre insistito ad operare nella direzione di “modificare il punto di vista” attraverso accoglienza e risultati.

Siamo certamente felici. Ma le nostre maniche continuano ad essere rimboccate: perché tutto quello che dobbiamo fare è CONTINUARE!

Vincenza Palmieri

Fondatore Programma Vivere Senza Psicofarmaci

 

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Quando 40 anni fa con la Legge Basaglia furono chiusi i manicomi, si dette un grosso smacco alla psichiatria nazionale ed internazionale.

Senza entrare nel merito di quelle che sono state poi anche le derive stesse della Legge Basaglia, essa ha rappresentato con grossa evidenza un momento storico.

Non a caso la ricordiamo come una delle più importanti Leggi emanate nel nostro Paese e – consci di una portata che è andata ben oltre – come un fatto epocale in sé.

Rappresentò, infatti, una svolta non solo riguardo la chiusura stessa dei manicomi ma anche sul fronte della percezione e del sentire da parte del Governo e della Popolazione intera.

Da quel momento in poi, infatti, si assistette alla presa di coscienza di come la reclusione, la permanenza anche per tutta la vita all’interno di un manicomio e la stessa fatiscenza di quelle strutture rappresentassero uno dei crimini contro l’Umanità più efferati; tanto da essere spesso equiparati a campi lager, anche per la tipologia di percorsi terapeutici posti in atto.

Con la Legge Basaglia si modificò, dunque, la visione dell’Uomo e della Donna. Elevati dal rango di animali e bestie – com’erano stati concepiti da chi li aveva relegati in tali strutture – rappresentarono il simbolo evidente della stangata inferta al sistema psichiatrico e a tutto il sistema di potere ad esso connesso.

Ma ovviamente, quando parliamo di psichiatria, non ci riferiamo ad un’entità astratta né ad una forza minore facile da contrastare: stiamo relazionandoci con una Organizzazione mondiale fortissima, collegata ai signori della guerra e delle droghe. Tra guerra, droghe e psicofarmaci ci stiamo battendo contro una delle più grandi potenze mondiali, tra le quali il nesso strettissimo appare anche oggi più che evidente.

Una organizzazione così potente ha, quindi, trovato il modo di elaborare nuove strade e percorsi.

E da quel momento in poi, infatti, una serie di altre efferatezze sono state strategicamente progettate e opportunamente mascherate: la psichiatria, nel corso dei decenni, si è evoluta anche dal punto di vista del marketing. Ed ha trovato nuove forme per affermare se stessa.

Mentre, forte dell’ignoranza post bellica, abbiamo avuto per anni una psichiatria palese – elettroshock, docce fredde, ecc. – con l’evoluzione politica mondiale, l’emancipazione delle donne e gli esiti di grandi battaglie civili, la stessa psichiatria ha dovuto adattare le sue campagne e la sua strategia alla nuova realtà; per raggiungere un sempre più vasto bacino di utenza, nell’ambito di un panorama sociale mutato.

Cosa è avvenuto, dunque?

Di fatto, chiusi i manicomi, abbiamo aperto i nuovi manicomi.

I manicomi, oggi, si chiamano puntura depot, case famiglia, case ad alto contenimento, lager per anziani, SPDC dei reparti d’ospedale, piani terapeutici, abuso sessuale su pazienti detenuti, psicofarmaci ai detenuti o ai ragazzi in casa famiglia senza alcuna prescrizione, allontanamenti familiari ingiusti, diagnosi ingiustificate, Legge 170, i TSO agli adulti e ai bambini.

E, se per 40 anni abbiamo applaudito la chiusura dei manicomi, sono ormai 20 anni che osserviamo un fiorire costante della psichiatria attraverso mille rivoli, non ultimo quello della scuola e delle numerose diagnosi che, per affermare se stesse, hanno bisogno di essere addirittura sancite per legge.

Ogni volta che riportiamo a casa un bambino, noi stiamo chiudendo un manicomio. Ogni volta che togliamo ad un ragazzo una puntura depot, noi stiamo chiudendo un manicomio. Ogni volta che avviamo un processo di dismissione degli psicofarmaci, noi stiamo chiudendo un manicomio. Ogni volta che ne salviamo uno, noi stiamo chiudendo un manicomio: i nuovi manicomi.

E ogni volta che questo accade, noi dobbiamo alzarci in piedi e plaudire allo stesso modo in cui, a suo tempo, abbiamo gioito per la chiusura dei manicomi.

(Tratto dal contributo della prof.ssa Vincenza Palmieri – Fondatrice e Presidente dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare – al convegno “Bambini allo sbaraglio, Bambini bersaglio” – Pordenone, 27 gennaio 2018)

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La prestigiosa Associazione Norman Academy ha conferito il Magister Scientiae Sociali e Umanitarie Honoris Causa alla prof.ssa Vincenza Palmieri (INPEF) presso la Casa dell’Aviatore Il riconoscimento le è stato consegnato dalla dott.sa Paola Zanoni, giornalista televisiva, e dal Gran Cerimoniere Duca dott. Riccardo Giordani di Willemburg.
Durante la cerimonia, la dott.sa Zanoni ha ricordato l’importante lavoro che la prof.ssa Palmieri svolge quotidianamente – in qualità di Ambasciatrice dei Diritti Umani, fondatrice del Programma internazionale, multidisciplinare Vivere Senza Psicofarmaci® contro l’abuso psicofarmacologico e presidente dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare® – dando vita a Progetti Umanitari a carattere nazionale ed internazionale, in particolare nel campo dei Diritti Umani dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
Ringraziando per il grande onore riservatole, la prof.ssa Palmieri ha ribadito con forza la necessità di arrestare l’attuale tendenza alla patologizzazione dei normali comportamenti e atteggiamenti dei bambini: «Ricevo questo premio come stimolo per fare ancora meglio e sono sicura che sarò in buona compagnia perché quello che ho visto e sentito questa sera mi dà la certezza di non essere sola in questa direzione. Siamo, in questo momento, in una situazione in cui i nostri ragazzi, in particolare, vengono patologizzati per qualunque comportamento o atteggiamento. Dobbiamo ritornare a guardare l’infanzia e l’adolescenza – e anche l’età adulta e la maturità – con occhi più sani, perché possiamo avere qualche momento di difficoltà, ma questo non significa che sia una malattia!»
Particolarmente toccante la risposta del Gran Cerimoniere Duca dott. Riccardo Giordani di Willemburg, che ha sottolineato come le parole della prof.ssa Palmieri fossero in sintonia con quanto sosteneva San Pio Decimo, affermando che certi riconoscimenti servono a premiare chi ha fatto bene ma anche a spronare a fare meglio. Il Duca ha concluso dicendo: «Complimenti, rimaniamo su quella linea. Noi siamo con Lei per questo!», suggellando l’accordo della società civile, del mondo accademico ed anche delle autorità militari e religiose nella difesa dei Diritti dei Bambini.

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A conclusione dell’intensa settimana sull’apprendimento e a seguito del convegno “Dal Diritto allo studio al diritto all’apprendimento” presso il Senato della Repubblica, l’Istituto nazionale di pedagogia familiare ha aperto le porte a due giornate di Didattica Efficace® presso il Centro congressi “Roma Eventi Fontana di Trevi”, al fine di dare rappresentazione concreta e utile degli esiti degli incontri di natura teorica ed istituzionale e mostrare con chiarezza alcune delle strade alternative funzionali che possano garantire a tutti il diritto all’apprendimento.

La prima giornata si è aperta con l’intervento del presidente prof.ssa Vincenza Palmieri nell’ambito della conferenza Dubbi di costituzionalità sulla Legge 170/2010 – La tutela del Diritto all’Apprendimento”. Assieme al Comitato tecnico-scientifico INPEF – rappresentato brillantemente dall’avv. Francesco Morcavallo, già giudice del lavoro e dei minori, e dal prof. Michele Goffredo, docente universitario – è stato sviscerato il quesito di legittimità costituzionale della legge, ribadendo la conclusione di incostituzionalità della stessa.

Il presidente Palmieri ha rinnovato, dunque, con forza, l’impegno quotidiano – proprio e delle personalità istituzionali che assieme a lei oggi hanno sposato la causa – nella battaglia di riforma della norma, già intrapresa 7 anni fa.

Ma le giornate di Didattica Efficace® sono state principalmente eventi di formazione, con tanta pratica ed esercizi; perché «non basta denunciare, non basta soltanto informare, bisogna formare», ricorda la prof.ssa Palmieri, che ha creato i laboratori successivamente condotti dai docenti che da sempre collaborano con le attività di alta formazione dell’Istituto Nazionale di pedagogia familiare: la prof.ssa Paola Gravela, pedagogista familiare, esperta di educazione logico-matematica ed abilità di base, la prof.ssa Margherita Fasano, docente universitaria, scrittrice, già Direttrice SSIS dell’Università della Basilicata, l’avv. Francesco Miraglia, esperto in diritto di famiglia, la prof.ssa Stefania Petrera, pedagogista familiare, giudice onorario presso la Corte d’Appello di Roma sezione per i minorenni, Sabrina Di Giacomo, pedagogista familiare, formatrice ed artista dell’INPEF.

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Nel corso delle Giornate di Didattica Efficace® del 27 e 28 ottobre – organizzate dall’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare presso il Centro Congressi “Roma Eventi Fontana di Trevi” – si è discusso dei dubbi di incostituzionalità della legge 170 che, di fatto, riconosce “per legge” i disturbi dell’apprendimento.

Tale posizione rappresenta da sempre una battaglia fondamentale portata avanti dalla prof.ssa Vincenza Palmieri; pertanto, i punti più controversi di tale norma e delle linee guida che ne articolano l’attuazione sono stati accuratamente analizzati dal Comitato Scientifico dell’INPEF, di cui la prof.ssa Palmieri è fondatore e presidente. Voci autorevoli in tal senso, l’avv. Morcavallo, già magistrato presso il Tribunale dei minori di Bologna, e il prof. Michele Goffredo, prestigioso accademico lucano.

All’interno delle due giornate di lavoro pratico sulla Didattica Efficace® – che hanno concluso una intensa settimana sul tema, ricca non solo di incontri laboratoriali ma anche di importanti eventi istituzionali – sono stati evidenziate le motivazioni basilari e i nodi di natura tecnica che rendono tali dubbi di incostituzionalità pressoché una certezza.

La prof.ssa Palmieri ha introdotto il tema ricordando che già nel 2012 – nel convegno “Analisi Critica delle Nuove Norme in Materia di Disturbi Specifici dell’Apprendimento(DSA): una Nuova Ottica” tenuto presso la Sala Protomoteca del Campidoglio – aveva sollevato forti dubbi sulla legge 170, dubbi che si sono poi concretizzati in un aumento esponenziale delle diagnosi, fino ad arrivare addirittura a 190.000 bambini diagnosticati.

La legge 170, dunque, di fatto sancisce i margini di criticità dello spazio di manovra da parte degli insegnanti che non riescono a risolvere le difficoltà degli studenti, considerato che nella prassi viene del tutto disapplicata la cosiddetta “parte buona della legge”, ovvero quella in cui si afferma che: «Per gli studenti che, nonostante adeguate attività di recupero didattico mirato, presentano persistenti difficoltà, la scuola trasmette apposita comunicazione alla famiglia».Purtroppo, queste “adeguate attività di recupero didattico mirato” non vengono quasi mai implementate: si passa direttamente alla comunicazione alla famiglia e alla conseguente diagnosi. Quando si etichetta un bambino con una malattia sancita per legge, dove persino la metodologia di intervento è definita dalla stessa norma, spesso si finisce con il compromettere il suo futuro. Soprattutto da questo punto critico fondamentale nascono i forti dubbi di costituzionalità della legge.

L’avv. Morcavallo è intervenuto ribadendo quanto sia davvero singolare il fatto che in questa norma il legislatore si sia trasformato in un diagnosta e psicoterapeuta.

Incredibilmente, la Legge contiene persino errori di sintassi; ma il difetto maggiore è il riconoscimento dei DSA poiché tradizionalmente la parola riconoscere è usata per constatare una realtà esistente, mentre in questa legge si forza una realtà: «Se riconosco qualcosa che definisco io significa che sto creando quel fenomeno, e come diceva un noto giurista è più facile costruire un’irrealtà».

Come già evidenziato, dunque, il primo aspetto di incostituzionalità è dato dal limite di discrezionalità del legislatore, cioè quello di non invadere altri settori né travalicare altri poteri: ma qui la legge si sostituisce al medico e al diagnosta.

Il secondo aspetto di incostituzionalità è il principio costituzionale di non frapporre ostacoli al pieno sviluppo della personalità: ma la legge “marchia” il bambino fino all’università, istituendo in modo paradossale un diritto alla NON istruzione. La legge viola anche l’articolo 30 della Costituzione, perché non può esistere una norma che prescriva nel merito come istruire i figli, dato che è dovere e diritto dei genitori istruire ed educare i figli.

La conclusione è, quindi, che i dubbi di incostituzionalità diventano quasi una certezza.

Secondo il prof. Michele Goffredo, questa legge sancisce il fatto che «non si conosce quasi nulla delle difficoltà di apprendimento» ed è una norma figlia di un’arretratezza abissale sulla cognizione di cosa sia l’apprendimento. Essa decreta di fatto l’incapacità dei professionisti della didattica e mette i bambini in un ghetto.

In realtà, esistono eccome dei sistemi per risolvere le difficoltà di apprendimento: si sa come fare, ci sono dei testi che lo spiegano. Bollare così un bambino significa sottoporlo a una menomazione ed è un alibi per la scuola. Questa legge sancisce un ripiego. Il prof. Goffredo ha concluso il suo intervento affermando che è necessario cancellare le premesse di questa legge.

«Chi trae profitto da questa norma? – ha concluso la prof.ssa Palmieri – «Forse i Centri che emettono le certificazioni? I professionisti che se ne occupano? Nel nostro Istituto incontriamo ogni giorno famiglie che vogliono liberarsi dalla diagnosi. Un giorno, un bambino seguito da noi è corso esultante dalla mamma dicendo: “Mamma, guarda, anch’io posso imparare!” Ecco, noi ci battiamo e continueremo a batterci contro la filiera diagnostica imposta da questa legge, affinché ogni bambino possa gioire con quelle stesse parole!»

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Nell’ambito delle iniziative previste per la settimana sul Diritto all’Apprendimento, si è svolto a Roma il convegno “Dal diritto allo studio al diritto all’apprendimento”, con il patrocinio di Camera e Senato. Il convegno, organizzato e presieduto dalla prof.ssa Vincenza Palmieri – presidente dell’Istituto Nazionale di pedagogia familiare ha raccolto gli esiti di un lavoro decennale volto ad affermare quotidianamente il ruolo fondamentale della Didattica Efficace che permetta di garantire il diritto all’apprendimento, passo ulteriore fondamentale rispetto al basilare diritto allo studio. La prof.ssa Palmieri, dopo aver sollevato dubbi di incostituzionalità in relazione alla legge 170/2010 (posizione già espressa e raccolta nelle sedi istituzionali) dalla cui interpretazione ed attuazione sono discesi i numeri impressionanti che riassumono il proliferare delle diagnosi nella Scuola, ha dichiarato: «Noi diciamo che 190.000 ragazzi sono “troppi, per essere vero”. Ma, a fronte di questo, qualcuno sta affermando che siamo nella media europea e che non sono, a questo punto, neanche tanti perché “quelli veri” dovrebbero essere 350.000. Stiamo assistendo ad una guerra di numeri tra chi dice che sono troppi e chi dice che sono troppo pochi. Ma se fossero anche solo dieci, o uno, questo renderebbe meno grave il fatto? Una violenza, anche se fosse isolata, sarebbe comunque inaccettabile. Nessuna base scientifica supporta la legge 170, unica al mondo a essere legge “diagnostica e terapeutica”, pertanto paradossale e funzionale solo alla non conoscenza e al degrado della gioventù e della società».

Al convegno, sono intervenuti la sen. Rosetta Enza Blundo, vicepresidente Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza che ha ricordato alla platea la sua recente interpellanza parlamentare volta a comprendere le criticità dell’implementazione della legge 170 e l’aumento delle diagnosi di DSA nella scuola; l’on. Eleonora Bechis – componente della VII commissione (Cultura, Scienza e Istruzione), che ha parlato della sua recente interrogazione parlamentare sugli abusi di psicofarmaci sui bambini e adolescenti; il dott. Antonio Guidi – neuropsichiatra, già sottosegretario di Stato della Sanità; il dott. Federico Bianchi Di Castelbianco – direttore IdO (Istituto di Ortofonologia) di Roma; la dott.ssa Stefania Petrera – pedagogista familiare, giudice onorario Corte d’Appello di Roma; Francesco De Palma – blogger e docente di Scuola d’Istruzione Secondaria Superiore e Pasquale Critone – consigliere del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. I relatori hanno portato le loro esperienze e competenze ponendo l’accento sulla necessità di rafforzare una didattica efficace invece che la delega ad altri opinabili sistemi.

Interessanti e coinvolgenti la partecipazione e le testimonianze di studenti INPEF e pedagogisti familiari ANPEF, in particolare Valentina, che ha raccontato come ha aiutato il fratello minore a superare le difficoltà scolastiche togliendolo dal percorso medicalizzante a cui sembrava destinato.

La professoressa Palmieri ha concluso ricordando le giornate di didattica efficace® del 27 e 28 ottobre presso il Centro Congressi “Roma Eventi Fontana di Trevi”, Sala Leopardi, dove i partecipanti potranno sperimentare direttamente che cosa si intende con Diritto all’Apprendimento attraverso attività di laboratorio.