“Hub and Spoke” – di Mario Marroccu
Ci stiamo abituando, nel paesaggio cittadino, ai nuovi simboli di questa “Era pandemica”: i cartelli che indicano il percorso per raggiungere i luoghi in cui ci vaccinano in ordine alle fasce d’età. In essi si trovano scritte le parole “Hub vaccinale”, oppure “Centro vaccinazioni”.
La parola inglese “Hub” tormenta gli ospedalieri dagli anni ’90.
Risuonò per al prima volta, a Carbonia, nell’aula “Velio Spano”. Vi erano stati riuniti tutti i medici, gli infermieri, gli amministrativi ed i rappresentanti politici delle USL (Unità Sanitarie Locali) n° 16 e n° 17 del Sulcis Iglesiente. Erano tutti lì per ascoltare un economista bocconiano venuto dal Continente per esporre il verbo della nuova rivoluzione sanitaria: “Hub and Spoke”. Spiegò: “L’Hub” è il mozzo della ruota del carro; gli “Spoke” sono i raggi della ruota. Dobbiamo trasformare la Sanità in un “Sistema Hub and Spoke”..., e proiettò un’immagine che rappresentava una stella con i suoi raggi luminosi. Sembrava una bella cosa.
Questi nuovi disegnatori del futuro sanitario della Sardegna, venuti dal Continente, stavano, invece, facendo crollare le basi di due riforme sanitarie eccezionali: la riforma del 1968-69 emanata con le leggi 132 e 128, e la riforma sanitaria del 1978 emanata con la legge 833. Erano due Riforme talmente fantastiche da sembrare più utopie che realtà. Contenevano concentrati, tutti i valori umanitari della carità cristiana maturata in 1.000 anni di Medio Evo, i valori solidaristici della cultura laica del 1700, 1800, 1900, e il bisogno di uguaglianza, equità e fratellanza esplosi alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale.
Con la nuova visione degli “Hub and Spoke” si stavano cambiando le basi ideali delle “Unità Sanitarie Locali” (USL) e si preparava il terreno per impiantare, al loro posto, la “Aziende Sanitarie Locali”(ASL). Dove stava la differenza? Era grossa e non ce ne avvedemmo. Nella Riforma del 1968 gli ospedali cittadini erano giuridicamente gli “Enti ospedalieri” della città di appartenenza, ed il presidente era il sindaco della città. Quel sindaco era la cinghia di trasmissione dei bisogni di Sanità dei sindaci di tutto il territorio. Nella riforma n° 833, del 1978, la gestione della Sanità ospedaliera e territoriale era sotto il controllo del “Comitato di gestione” che nominava al suo interno il presidente. Il Comitato di gestione era costituito da cittadini del territorio, nominati, a loro volta, dalla “Assemblea generale” dei consiglieri comunali delle varie cittadine.
Ne consegue che, fino ad allora, la conduzione della Sanità ospedaliera e territoriale era sotto il vigilissimo controllo dei sindaci e dei consiglieri comunali e, quindi, dei cittadini. Nel 1988 il ministro Carlo Donat Cattin abolì le “Assemblee generali” per semplificare l’apparato. Poi nel 1992, 1995, e 1999, con altre leggi avvenne la progressiva eliminazione dei “Comitati di gestione” e la loro sostituzione con una unica figura al comando: il Commissario straordinario nominato dalla Regione. I Commissari vennero poi chiamati “Manager” e venivano pescati da una lista di amministratori selezionati per titoli. Le Unità Sanitarie Locali vennero trasformate in aziende a gestione di tipo privatistico, sul modello della Sanità privata. Lo scopo era la “razionalizzazione” della gestione e l’amministrazione del patrimonio mobiliare ed immobiliare, al fine di raggiungere “efficienza ed efficacia”.
Così, nella nuova lingua parlata, in sanità scomparvero progressivamente parole come medico, infermiere, ostetrica, farmacista, etc., che divennero “Operatori sanitari”. La parola “malato” venne sostituita col termine “cliente”. In tutte le leggi e disposizioni comparvero nuove espressioni come “hub and spoke”, “efficienza ed efficacia”, “razionalizzazione”, “equità”, “omogeneità”. Questo nuovo modo di esprimersi, sottintendeva l’obiettivo di raggiungere un “Livello Essenziale di Assistenza” (LEA) con la minor spesa possibile. Eravamo usciti dal linguaggio sanitario, derivato dalla solidarietà laica e dalla carità cristiana, per entrare nel linguaggio amministrativo. A questo punto la “gestione contabile” della Sanità si sostituì alla “gestione politica” dei bisogni di salute della cittadinanza.
L’”Hub and Spoke” fu la chiave per spostare il controllo amministrativo della Sanità dai territori al centro. In realtà quella espressione inglese non andava tradotta con l’espressione italiana “ruota del carro” o “stella con i raggi” ma semplicemente e crudamente: “Centro e periferia”.
Così il nostro territorio divenne “periferia” e la città capoluogo divenne il Centro su cui devono convergere tutti i finanziamenti ed i Servizi sanitari, tagliandoli a noi. Con l’“Hub and spoke” la città divenne il “buco nero” che risucchia le stelle e i pianeti che gli passano vicino, facendo il deserto attorno.
Con l’esclusione dei sindaci e dei Consigli comunali dal controllo della ASL, è iniziato l’impoverimento di strutture sanitarie del nostro territorio. Oggi stiamo assistendo alla diminuzione progressiva di medici ed infermieri, alla chiusura di reparti ospedalieri, alla difficoltà di ricevere prestazioni sanitarie e strumentali, e alla generazione di liste d’attesa infinite, sia per essere visitati che per essere curati. La diminuzione di assistenza sanitaria, in loco, obbliga a mettersi in viaggio e chiedere il dovuto a Cagliari e anche al Continente. Ormai la nostra incapacità di produrre Sanità è arrivata ad un punto gravissimo: il 47 per cento di prestazioni sanitarie devono essere comprate all’esterno del nostro sistema. Questo è l’effetto dello “Hub and Spoke”.
Apparentemente la centralizzazione della Sanità nella città capoluogo è un beneficio disponibile per tutti. In realtà, la migrazione dei nostri malati sta portando solo ad affollamento in centri già saturi di pazienti ed alla formazione di lunghe file per essere operati per patologie comuni, o solo visitati o sottoposti ad esami. Questo fenomeno si traduce in aumento della spesa sanitaria per le famiglie che hanno la disgrazia di avere un componente ammalato, alla frustrazione e, addirittura, alla rinuncia ad essere curati.
Gli Hub sono stati il fallimento del Sistema sanitario dei territori, ridotti a “periferia” povera e sguarnita. Il Covid-19 ha dimostrato che gli accentramenti dei servizi sono un errore. Un esempio si trova nella cronaca recente. La sindaca di Roma, Virginia Raggi, ha dovuto lamentare pubblicamente la sua impotenza nel gestire un importantissimo Hub: il cimitero di Roma. Vi sono accatastate, nei magazzini, migliaia di bare con il loro triste contenuto. Le squadre di operai non fanno in tempo a tumulare o cremare i cadaveri, che restano per mesi miseramente impilati. Quell’umiliazione finale tocca indistintamente tutti, poveri e ricchi, miseri e potenti. Ecco, questo è il problema degli “Hub”: l’affollamento. E l’affollamento genera “inefficacia e inefficienza”, “iniquità”, e “umiliazione”. Cioè l’esatto opposto della “efficacia ed efficienza” proclamati da quei professori bocconiani che negli anni ’90 ci introdussero al concetto miracolistico degli “Hub and Spoke”.
Chi ha seguito l’evoluzione di questa rivoluzione, che poi si è rivelata un’involuzione, oggi legge con amarezza la scritta “Hub” nei cartelli indicanti i “Centri di vaccinazione”.
Mario Marroccu