Wicky Priyan, lo chef innovatore della cucina giapponese, si trasferisce nell’albergo 5 stelle Abi D’Oru, a Porto Rotondo, per un nuovo progetto pop-up all’insegna della contaminazione creativa.
[bing_translator]
Dal 10 al 29 agosto, il Giappone meltin’pot di Wicky Priyan incontra la Sardegna più autentica e ne nasce un luogo unico: un pop-up restaurant al Marinella, il ristornate pieds dans l’eau dell’Hotel Abi d’Oru.
Due terre lontanissime, accomunate da cucine che riflettono una straordinaria ricchezza e il rispetto per la materia prima, oltre che dall’arte della convivialità e dalla magia di uno stile di vita iconico.
Wicky’s ため Abi D’Oru, letteralmente Wicky’s for Abi D’Oru, dove il ‘for’ inglese è sostituito dal corrispettivo logogramma giapponese, indica l’apertura dello chef per questa nuova collaborazione, un’ avventura che per la prima volta lo vede lontano dal suo ristorante nel cuore di Milano. Ad accoglierlo sarà il ristorante sulla spiaggia dell’Hotel Abi D’Oru, guidato dallo chef Carlo Piras.
«Ho girato il mondo, e credo nella forza che scaturisce dagli incontri tra luoghi, persone, ingredienti, tecniche. La mia cucina è la concretizzazione di questo approccio – commenta lo chef Wicky Priyan -. Arrivare in Sardegna, in questo luogo meraviglioso, mi ha ispirato nuovi sapori. Ha inizio un nuovo corso che sono certo darà vita a una lunga collaborazione con l’Abi D’Oru. Come definire la cucina che farò qui? Una parola non basta. Occorre venire a provarla.»
Gli fa eco Alessandro Convertino, direttore dell’Abi d’Oru: «Stiamo facendo un grande lavoro di riposizionamento dell’albergo, ponendo sempre al centro di ogni scelta questa nostra casa: la Sardegna. Lo stesso vale per i nostri quattro ristoranti. Per il nostro gioiello sul mare abbiamo scelto di iniziare la nostra prima collaborazione esterna con Wicky Priyan, che ha sposato con entusiasmo l’idea di ‘contaminare’ creativamente la sua cucina con i più rinomati prodotti sardi, dal pecorino al pescato locale. Volevamo qualcosa di speciale che parlasse la nostra lingua, ma non solo. Credo ci siamo riusciti».